Corte app. Milano, Sez. II, sent. 8 novembre 2019 (dep. 7 gennaio 2020), n. 7547, Pres. est. Gamacchio, imp. Maroni e al.
1. La sentenza che si annota è relativa alla nota vicenda processuale che coinvolge l’ex Presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni (sulla quale si rinvia alla scheda di M.C. Ubiali, in Dir. pen. cont.): la Corte d’Appello di Milano, nel confermare l’insussistenza del contestato reato di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 314-quater c.p.), procede alla riqualificazione dei fatti attinenti alla procedura competitiva indetta da Eupolis, ritenendo che integrino la fattispecie di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.), piuttosto che quella di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353-bis), come era stato invece affermato in primo grado. I giudici rigettano inoltre le eccezioni presentate dalla difesa circa l’inutilizzabilità delle intercettazioni acquisite in dibattimento.
2. I fatti riguardano le indebite pressioni che – tra 2013 e 2014 – sarebbero state esercitate da Roberto Maroni, all’epoca Presidente della Regione Lombardia, su due enti partecipati dalla Regione (Expo 2015 S.p.a. e Eupolis), al fine di favorire due sue ex collaboratrici, Mariagrazia Paturzo e Mara Carluccio.
Nello specifico, in un caso, veniva contestato il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 314-quater c.p.), in quanto Maroni – in concorso con Giacomo Ciriello, che agiva su suo mandato – avrebbe indotto Christian Malangone (Direttore Generale di Expo 2015 S.p.a.) a promettere, indebitamente, che la suddetta società si sarebbe accollata il costo delle spese necessarie per sostenere il viaggio ed il soggiorno di Mariagrazia Paturzo a Tokyo, in occasione di un evento organizzato dal Ministero degli Affari Esteri per la promozione di Expo.
Nell’altro caso, secondo l’originaria ipotesi accusatoria, Maroni avrebbe illegittimamente condizionato, servendosi degli intermediari Giacomo Ciriello (Capo della segreteria di presidenza) e Andrea Gibelli (Segretario generale di Regione Lombardia), il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto della “procedura comparativa per l’affidamento di un incarico di consulenza” indetto da Eupolis, al fine di far prevalere la candidata Mara Carluccio (risultata poi, effettivamente, aggiudicataria della gara).
La sentenza di primo grado (che può leggersi su Dir. pen. cont., con nota di M.C. Ubiali) aveva condannato Maroni, Gibelli, Ciriello e Carluccio per il delitto previsto dall’art. 353-bis c.p., ritenendo invece non sussistenti gli elementi costitutivi della fattispecie di induzione indebita a dare o promettere utilità contestata a Maroni e Ciriello.
Con la sentenza che può leggersi in allegato, la Corte d’Appello di Milano ribadisce le valutazioni già espresse circa la non configurabilità del delitto di cui all’art. 319-quater, mentre – condividendo le richieste avanzate dal Procuratore Generale in sede di discussione – procede alla riqualificazione del fatto di cui al secondo capo, sussumendolo nella fattispecie prevista dall’art. 353 c.p.
3. Per ciò che concerne il gravame relativo all’art. 319-quater c.p., la Corte d’Appello non si discosta da quanto stabilito dal giudice di prima istanza.
Preliminarmente, la Corte osserva che il concorrente necessario, Christian Malangone, nei cui confronti si era proceduto separatamente con giudizio abbreviato, era stato assolto con sentenza passata in giudicato per insussistenza del fatto (la sentenza può essere letta in Dir. pen. cont., con nota di G.L. Gatta). Il precedente non è privo di rilevanza, quantomeno ai fini della ricostruzione del fatto: l’art. 319-quater è infatti un reato a concorso necessario e, per questo motivo, «i fatti attinenti alla condotta dell’indotto, costituiscono precondizioni del giudizio in corso, riguardante le condotte dell’induttore» e, ai sensi dell’art. 238 c.p.p., «il fatto storico, complessivamente inteso e quindi anche nella parte delle condotte contestate agli odierni imputati, non può essere ricostruito in maniera diversa rispetto a quanto ha fatto la decisione che si è pronunciata sulla responsabilità di Malangone, mentre diverse possono essere le valutazioni giuridiche».
Posto che la ricostruzione del fatto resta quella delineata con riferimento al caso Malangone, la Corte d’Appello non ritiene di dover procedere ad una valutazione giuridica dei fatti diversa da quella formulata dal Tribunale. In osservanza dei principi espressi dal più recente orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (vd. Cass. SS.UU. 1228/2014, Maldera, che può leggersi su Dir. pen. cont., con nota di G.L. Gatta) la Corte afferma che il reato di cui all’art. 319-quater c.p. non sussiste nel caso di specie, difettando sia l’elemento costitutivo della condotta induttiva, che quello dell’indebito vantaggio personale (si rimanda alla nota di M.C. Ubiali, in Dir. pen. cont. per le argomentazioni utilizzate dal Tribunale, integralmente richiamate nella sentenza in commento).
4. Quanto alla vicenda relativa all’assunzione di Mara Carluccio da parte di Eupolis, Maroni, Gibelli, Ciriello e Carluccio erano stati originariamente condannati per il delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353-bis c.p.), che punisce «chiunque con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione».
La sentenza in commento ha provveduto, su istanza dello stesso Procuratore Generale, a riqualificare il fatto ai sensi dell’art. 353 c.p., che punisce «[c]hiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni, ovvero ne allontanagli offerenti».
Per comprendere le motivazioni addotte dalla Corte di gravame per giustificare la riqualificazione, è utile ricostruire le regole che disciplinavano le procedure competitive all’interno di Eupolis, le cui peculiarità sono all’origine delle controversie circa l’applicazione dell’art. 353 c.p. o dell’art. 353-bis c.p.
Il regolamento interno di Eupolis prevede che – al fine di partecipare ai bandi per personale esterno, di volta in volta emessi dall’ente – sia necessario essere previamente accreditati presso l’istituto: i candidati non si propongono per la singola procedura competitiva, ma è l’ente a selezionare – tra i profili presenti nel database ed in relazione alle competenze richieste – quelli idonei, che vanno a formare la rosa di concorrenti che viene successivamente valutata da una Commissione appositamente nominata.
Nel caso di specie, Alberto Brugnoli (Direttore Generale di Europolis, per il quale si è proceduto separatamente), dopo aver verificato – attraverso richiesta ai responsabili delle diverse direzioni di Eupolis – che non vi fossero dipendenti aventi specifica esperienza “in materia di sicurezza, gestione relazioni ed eventi internazionali” (verifica che era richiesta dal regolamento), dava avvio alla procedura comparativa per l’affidamento dell’incarico, nominando all’uopo una Commissione. All’esito della comparazione tra i curricula dei quattro candidati selezionati, veniva preferito il profilo di Mara Carluccio, accreditatasi ad Europolis neanche un mese prima.
Benché la procedura amministrativa fosse stata formalmente rispettata, dai messaggi e dalle chiamate intercettate emerge che Carluccio si era accreditata proprio allo scopo di ottenere quell’incarico, che le era stato promesso prima ancora che la procedura di gara fosse iniziata, tanto che era stata l’imputata stessa ad indicare il compenso che avrebbe voluto vedersi corrisposto (e che effettivamente compare nel contratto).
La scelta originaria di contestare il 353-bis c.p. piuttosto che il 353 c.p. rispondeva a due ordini di motivazioni:
a) effettivamente le condotte degli imputati non intervenivano su una procedura competitiva già esistente, ma erano esse stesse a determinare l’esistenza della procedura: il decreto che indiceva la gara non sarebbe mai stato emesso se non vi fosse stata l’esigenza di creare un incarico di consulenza ad hoc per Mara Carluccio;
b) a differenza dell’art. 353 c.p., l’art. 353-bis c.p., attraverso il riferimento all’“altro atto equipollente”, esplicita la possibilità di estendere la disciplina ivi prevista anche a procedure diverse da quelle che prevedono l’iter classico di pubblicazione del bando e presentazione delle offerte.
Entrambe le argomentazioni sono, tuttavia, superabili se si analizzano i rapporti tra art. 353 c.p. e 353-bis c.p.
4.1 La sentenza in commento, citando l’orientamento ampiamente maggioritario in seno alla giurisprudenza di legittimità, individua il discrimine tra le due fattispecie nell’indizione del bando di gara: l’art. 353 c.p. punisce le condotte – successive all’indizione del bando – che abbiano effettivamente turbato la gara o abbiano tentato di ottenere tale risultato, mentre l’art. 353-bis si applica alle condotte di turbativa che si verificano prima dell’adozione del bando di gara, allo scopo di condizionarne il contenuto (in giurisprudenza si parla, a tal proposito, di “bandi fotografia”, ossia di bandi che, al fine di favorire determinati candidati, sono predisposti ricalcando le specifiche competenze dei favoriti)[1].
Nel ricostruire le esigenze che, nel 2010, portarono all’introduzione dell’art. 353-bis c.p., la Corte d’Appello di Milano cita un caso giunto all’attenzione della Corte Suprema (sent. 26 febbraio 2009, Sez. VI, pres. De Roberto), nel quale si giudicava la riconducibilità alla fattispecie di cui all’art. 353 c.p. di «condotte dirette ad influenzare linee e scelte meramente programmatiche di un ente pubblico, prodromiche alla stipula di un contratto di global service». In quel caso, riconoscendo nella gara un presupposto necessario, un antecedente logico giuridico, della condotta sanzionabile ex art. 353 c.p., la Corte di Cassazione affermava il principio in base al quale il delitto di turbata libertà degli incanti non è configurabile, nemmeno nella forma del tentativo, prima che la procedura di gara abbia inizio, difettando in tale situazione un requisito oggettivo.
La lacuna legislativa è stata colmata proprio con l’introduzione dell’art. 353-bis c.p.[2], che – sanzionando le condotte finalizzate a turbare le fasi preliminari di una gara – realizza una tutela anticipata dell’interesse alla concorrenza, nella convinzione che tale bene giuridico può essere leso non solo da condotte successive al bando, il cui contenuto sia stato determinato nel pieno rispetto della legalità, ma anche da comportamenti precedenti, in grado di influenzare il contenuto del bando.
Nel caso di specie, se è vero che gli imputati hanno turbato il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando (condotta sanzionata dall’art. 353-bis), è altrettanto vero che essi, attraverso pressioni e favoritismi, sono riusciti a turbare la gara (353 c.p.), tanto che Mara Carluccio è risultata la candidata vincitrice, così come le era stato assicurato. La fattispecie di cui all’art. 353-bis c.p. è un reato di pericolo che «si consuma indipendentemente dalla realizzazione del fine di condizionare le modalità di scelta del contraente, e per il cui perfezionamento, quindi, occorre che sia posta concretamente in pericolo la correttezza della procedura di predisposizione del bando di gara o di atto equipollente, ma non anche che il contenuto del provvedimento venga effettivamente modificato in modo tale da interferire sull'individuazione dell'aggiudicatario»[3]. Nel caso in cui, come nella vicenda che ci interessa, ai comportamenti abusivi preliminari segua un effettivo “turbamento” della gara, si applica l’art. 353 c.p. (che peraltro prevede la medesima pena); le condotte prodromiche – volte a confezionare il “bando fotografia” – sono da considerarsi alla stregua di antefatti non punibili[4].
4.2 Chiariti i contorni della condotta rilevante ai sensi dell’art. 353 c.p., resta da verificare se la procedura di selezione prevista dal Regolamento di Eupolis sia sussumibile nel novero degli atti previsti dalla fattispecie legale come oggetto materiale (gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni).
Come evidenzia la sentenza in commento, la giurisprudenza su questo aspetto è unanime: al fine dell’individuazione della gara, rileva qualsiasi procedura pubblica finalizzata alla scelta del contraente, indipendentemente dalla qualificazione utilizzata e anche in assenza di formalità[5]. Il requisito indispensabile è che siano previste precise forme procedimentali, che delineino un meccanismo selettivo delle offerte nell’ambito di una competizione basata su precisi parametri di individuazione del vincitore[6].
Nel caso di specie, il regolamento interno di Eupolis prevede che le procedure competitive si svolgano nel rispetto di precise fasi (preliminare selezione automatica, attraverso parole chiave, dei candidati accreditati; nomina di una Commissione di tre persone; selezione) e che la scelta del concorrente sia ispirata a predeterminati criteri (esperienze professionali e titoli di studio). Il decreto emesso da Brugnoli il 16 dicembre 2013, con il quale si dava avvio alla “procedura comparativa per l’affidamento di un incarico di consulenza avente ad oggetto il supporto tecnico-scientifico per l’individuazione delle condizioni di sicurezza adeguate inerenti EXPO 2015 [...]”, rientra nel campo semantico che la giurisprudenza attribuisce al termine “gara” ai sensi dell’art. 353 c.p., poiché, almeno formalmente, ha l’obiettivo di garantire una libera competizione a coloro che si erano accreditati.
5. Merita infine un breve cenno il tema dell’utilizzabilità delle intercettazioni. Tra i motivi d’appello, la difesa deduceva l’inutilizzabilità ex art. 191 c.p.p. delle intercettazioni acquisite nel dibattimento di primo grado, sotto due distinti profili:
a) violazione del divieto di utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali sono state disposte, ai sensi dell’art. 270, co. 1, c.p.p. (le operazioni tecniche erano state infatti disposte ed autorizzate nell’ambito del procedimento Finmeccanica);
b) violazione dell’obbligo di motivazione del provvedimento autorizzativo del giudice e delle relative proroghe, ai sensi dell’art. 267 c.p.p.
Se per quest’ultimo profilo la Corte d’Appello si limita ad evidenziare la completezza dei provvedimenti del G.I.P., è sul secondo aspetto che i giudici – nel rigettare l’eccezione – si diffondono in maniera più approfondita. Nello specifico, la Corte ritiene che il procedimento de quo non possa considerarsi diverso ai sensi dell’art. 270, co. 1, c.p.p., né utilizzando il criterio formalistico (maggioritario in giurisprudenza[7]) né utilizzando quello sostanzialistico.
In base al primo, il concetto di diversità si riferisce all’esistenza di più procedimenti distinti ab origine: i risultati delle intercettazioni telefoniche legittimamente acquisiti nell’ambito di un procedimento penale inizialmente unitario sono dunque sempre utilizzabili – anche se lo stesso è stato successivamente frazionato a causa della eterogeneità delle ipotesi di reato e dei soggetti indagati – purché, naturalmente, sussistano le condizioni di ammissibilità previste dall’art. 266 c.p.p. La ratio dell’art. 270, comma 1, c.p.p. è infatti quella di «evitare l’utilizzazione circolare dei risultati delle operazioni di captazione, in violazione dei presupposti di ammissibilità cui agli artt. 266 e 266-bis c.p.p.»; una volta che, tuttavia, sia verificata la sussistenza di tali presupposti anche per il diverso procedimento, non vi è motivo di limitare l’utilizzo delle intercettazioni. Applicando tale criterio, è evidente che i risultati delle operazioni tecniche – legittimamente effettuate nel procedimento Finmeccanica – siano utilizzabili anche nel procedimento de quo.
Ma la Corte d’Appello si spinge ben oltre, affermando che, nel caso di specie, i risultati delle intercettazioni sono da ritenersi utilizzabili anche qualora dovesse ritenersi applicabile il diverso criterio sostanzialistico, in base al quale la “migrazione” delle intercettazioni è possibile soltanto qualora sussista una connessione o un legame investigativo tra il procedimento di destinazione e l’originaria notizia di reato per la quale erano state disposte le operazioni tecniche. L’indagine originaria aveva infatti ad oggetto «un’ipotesi di corruzione internazionale, in relazione all’aggiudicazione di una gara relativa all’acquisto di elicotteri, ossia un reato contro la pubblica amministrazione che coinvolgeva anche Maroni nella sua veste di Presidente della Regione Lombardia, e dunque si trattava di un contesto investigativo di certo non eccentrico rispetto a quello odierno, in quanto in entrambi i casi si doveva verificare la sussistenza di accordi collusivi che andavano ad alterare il buon andamento della pubblica amministrazione».
Va segnalato che la pronuncia in commento è stata depositata pochi giorni dopo il deposito della sentenza delle Sezioni Unite 50/2020 (Cass., SS. UU., 28 novembre 2019, dep. 2 gennaio 2020, n. 50, disponibile in questa Rivista, con annotazione di G. Illuminati), che ha affermato il principio di diritto in base al quale «il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate le intercettazioni – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento ai risultati relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 cod. proc. pen. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge».
Sebbene la sentenza in esame non citi espressamente il principio affermato dalle Sezioni Unite, è evidente che l’argomentazione in chiave sostanzialistica avanzata dalla Corte d’Appello di Milano miri a dimostrare l’esistenza di una connessione tra procedimenti, rilevante ai sensi dell’art. 12 c.p.p.
[1] Vd. Cass., Sez. VI, 14 aprile 2015, pres. Milo, est. Citterio; Cass., Sez. VI, 27 gennaio 2016, pres. Paoloni, est. Tronci. In dottrina vd. nello stesso senso S. Seminara, sub art. 353-bis, in G. Forti – S. Seminara – G. Zuccalà, Commentario breve al codice penale, 6a ed., Padova, 2017, 1152 ss.: «[Il 353-bis è] chiamato ad operare nella fase procedimentale a monte della scelta del contraente, sanzionando ogni turbamento destinato a riflettersi sul contenuto del bando: gli artt. 353 e 353 bis andrebbero dunque a coprire spazi cronologicamente contigui, rispettivamente successivi e precedenti l'avvio della gara. [...] In sostanza, l'art. 353 bis assolve alla funzione di rendere punibili come reati consumati fatti che, in sua assenza, avrebbero potuto ritenersi come preparatori in caso di assenza di una successiva gara o, al più, come tentativi ex art. 353».
[2] Inserito da art. 10, l. 13 agosto 2010, n. 136.
[3] Cass, Sez. VI, sentenza n. 27719 del 24 giugno 2013; nello stesso senso vd. Cass., Sez. VI, 25 giugno 2015 (ud. 14 aprile 2015), n. 26840.
[4] Così si era espressa in dottrina, commentando la sentenza di primo grado, M.C. Ubiali, La sentenza del Tribunale di Milano sul caso Maroni (in tema di induzione indebita e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente), in Dir. pen. cont., 20 dicembre 2018.
[5] Così Cass., Sez. VI, 28 gennaio 2008, pres. Serpico, est. Carcano: «le locuzioni gare nei pubblici incanti o licitazione privata non hanno un significato normativo mutuato dalla procedura per l’aggiudicazione degli appalti per le pubbliche forniture, con l’osservanza dei termini e delle disposizioni legislative sula contabilità dello Stato, bensì sono riferite ad ogni procedura di gara, anche informale o atipica, mediante la quale la pubblica amministrazione decida di individuare il contraente e concludere un contratto e che assicuri una libera competizione tra più concorrenti»; nello stesso senso vd. anche Cass., Sez. VI, 22 settembre 2004; Cass., Sez. VI, 11 giugno 1993; Cass., Sez. VI, 12 aprile 1994; Cass., Sez. VI, 11 novembre 1997; Cass., Sez. VI, 30 settembre 1998, pres. Trojano, est. Milo; rientrano dunque nel campo semantico del termine “gara” anche le procedure c.d. informali o di consultazione, vd. Cass., Sez. VI, 13 marzo 2014, pres. Agrò, est. De Amicis; Cass., Sez. VI, 13 aprile 2017, pres. Fidelbo, est. Giordano; critico nei confronti di una tale ermeneutica è N. Madia, I “nebulosi” confini della nozione di “gare nei pubblici incanti o nelle licitazioni private” enucleata nell'art. 353 c.p.: tra eccessi “espansionistici” e tendenze “restrittive” – Nota a Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 21/07/2014, n. 32237, in Cass. pen., 4/2015, p. 1362, che intravede nella asserita estensione semantica una vera e propria analogia in malam partem, in violazione del principio di riserva di legge.
[6] In questo senso vd. Cass., Sez. VI, Sez. VI, 30 settembre 1998, pres. Trojano, est. Milo; Cass., Sez. VI, 24 maggio 2011, pres. De Roberto, est. Fidelbo.
[7] Cass., Sez. II, 11 dicembre 2012, pres. Esposito, est. Iannelli; Cass., Sez. VI, 15 luglio 2015, pres. Rutundo, est. Di Salvo; Cass., Sez. VI, 16 dicembre 2014.