C. ass. Sassari, sent. 14 febbraio 2022 (dep. 21 febbraio 2022), Pres. Pusceddu, est. De Luca
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1. La sentenza della Corte d’Assise di Sassari, che può leggersi in allegato, si segnala per aver interpretato la fattispecie di omicidio preterintenzionale discostandosi dall’orientamento giurisprudenziale consolidato in punto di elemento soggettivo[1] ed affermando in particolare la necessità di accertare in concreto la colpa dell’agente in relazione all’evento-morte, in linea con quanto la giurisprudenza (S.U. Ronci) riconosce in relazione all’ipotesi di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p.)[2].
Nel caso di specie, l’imputazione concerneva l’aver cagionato la morte di un soggetto precedentemente colpito con un calcio al petto allo scopo di recargli lesioni personali, a seguito di ricovero in terapia intensiva, resosi necessario per far fronte allo stato comatoso riportato dalla colluttazione.
2. Più in particolare, i profili essenziali in punto di fatto possono essere così riassunti.
All’ora di pranzo del 3 marzo 2020, la persona offesa, che versava in condizioni di ubriachezza, andava a riprendere il nipote a scuola e, in quell’occasione, si rendeva protagonista di una scena di particolare aggressività nei confronti del bambino, che allarmava i passanti, i quali intervenivano in suo soccorso nel tentativo di calmarlo. Egli, a seguito di uno scontro con l’imputato, uno tra gli intervenuti, cadeva all’indietro sbattendo la testa e perdendo i sensi. Veniva, dunque, immediatamente trasportato in ospedale dove era sottoposto ad intervento di craniotomia decompressiva e successivamente ricoverato in terapia intensiva in stato di coma profondo. Quattordici giorni dopo, moriva a causa di un trauma cranico produttivo di fratture della volta e della base cranica, di lacero-contusioni cerebrali e di emorragia subdurale e subaracnoidea, determinanti encefalopatia ed insufficienza multiorgano.
Il tasso alcolemico riscontrato al momento dell’accesso in pronto soccorso era pari ad 1,96 g/l e dalla documentazione agli atti risultava che al momento dell’arrivo presso il presidio ospedaliero i sanitari riscontravano l’assenza di segni di trauma, abrasioni, contusioni, ed ecchimosi ad eccezione di una minima escoriazione del diametro di circa 5 mm in prossimità della porzione laterale dell’arcata sopraciliare sinistra. Da documentazione medica, risultava che i mezzi produttivi delle lesioni letali erano compatibili con una caduta all’indietro con impatto del capo al suolo a seguito di una violenza contusiva da parte di una terza persona.
3. Come si è premesso, la sentenza in commento si caratterizza per un’innovativa motivazione in punto di criterio di imputazione soggettiva dell’evento morte nell’omicidio preterintenzionale.
I giudici sassaresi mostrano piena adesione all’orientamento consolidato per quanto attiene alla tipicità della fattispecie, riscontrando come ai fini dell’integrazione del reato non sia richiesto che gli atti diretti a commettere percosse o lesioni superino la soglia di rilevanza penale del tentativo. Si afferma, infatti, che è sufficiente qualsiasi atto dolosamente orientato ad integrare uno dei delitti di cui agli artt. 581 e 582 c.p., anche se non idoneo, da cui sia derivata la morte della persona offesa: sul punto, vengono richiamate talune pronunce che hanno ravvisato la materialità di tali atti anche in una semplice spinta, strattone, violenta manomissione, o, addirittura, un semplice atteggiamento aggressivo o minaccioso[3].
Quanto all’imputazione soggettiva, la sentenza muove da un’analitica ricognizione della evoluzione ermeneutica in materia che ha comportato la progressiva espansione del principio di colpevolezza e della sua portata applicativa.
Il dato da cui muove la motivazione è la presa d’atto dell’intenzione del legislatore storico di configurare una forma di responsabilità dolosa mista a responsabilità oggettiva da cui si inferisce che la preterintenzione costituisce non un autonomo criterio di imputazione ma un’ipotesi di versari in re illicita approntata con finalità di prevenzione generale ed agevolazione probatoria. A fronte di tale retroterra, si prende atto di come il sopravvenuto mutamento costituzionale abbia progressivamente comportato da parte della Consulta l’adozione di criteri interpretativi maggiormente garantistici già a partire dalle risalenti sentenze n. 3/1956 e 42/1965 fino alle storiche pronunce nn. 364 e 1085/1988, poi ulteriormente consolidate da Corte cost. 322/2007, con cui si è fissato il principio per cui l’art. 27 co. 1 Cost. è incompatibile con l’incriminazione di fatti propri non colpevoli ed è, dunque, necessario che il dolo o la colpa coprano gli elementi più significativi della fattispecie, da intendersi come quelli in cui si incentra il giudizio di disvalore astratto del fatto di reato.
Così tematizzato il quadro costituzionale, la sentenza si sofferma su una disamina di come la successiva evoluzione dottrinale e giurisprudenziale abbia provveduto a rileggere le fattispecie di responsabilità oggettiva.
Si dà conto, in primo luogo, di quell’orientamento secondo il quale la colpa sarebbe incompatibile con lo svolgimento di attività illecite[4] in quanto il soggetto attivo dovrebbe comunque rispondere degli eventi riconducibili alla propria condotta, purché sussistano i requisiti di prevedibilità ed evitabilità dell’evento ulteriore più grave.
Tale lettura viene disattesa rilevando che non sussistono incompatibilità logico-giuridiche rispetto alla configurabilità di regole cautelari finalizzate a prevenire ulteriori eventi dannosi anche in contesti illeciti: ciò viene ritenuto auspicabile non solo in chiave garantistica, ma anche general-preventiva poiché si ritiene necessario tenere distinta la violazione della norma penale che incrimina la condotta produttiva del rischio illecito dall’adozione di regole cautelari ulteriori. Si rileva, peraltro, come lo stato attuale dell’ordinamento ben consenta di ravvisare ipotesi caratterizzate da forme di responsabilità colposa che si innestano su condotte già penalmente illecite: l’esempio di cui si dà conto è quello del regime delle circostanze aggravanti che, dopo la riforma del 1990, sono imputabili a condizione che sia ravvisabile quantomeno la colpa.
Ciò premesso, la motivazione si diffonde nella ricostruzione di almeno tre categorie di sentenze che continuano a costruire sul modello del versari in re illicita le originarie ipotesi di responsabilità oggettiva.
Un primo gruppo di pronunce è individuato in quelle che, pur non esprimendosi ex professo in ordine alla compatibilità fra colpa ed attività illecita, forniscono un’interpretazione costituzionalmente orientata che rende le fattispecie de quo compatibili con il dettato costituzionale in punto di principio di colpevolezza. Tale primo orientamento si va consolidando specialmente in materia di concorso di persone nel reato ex art. 116 c.p. allorché la giurisprudenza[5] richiede la prevedibilità in concreto del reato commesso diverso da quello voluto da taluno dei correi, nonché la colpa in concreto da parte del soggetto attivo circa la qualifica soggettiva del concorrente che determina il mutamento del titolo di reato (art. 117 c.p.)[6]. Allo stesso novero di pronunce è ricondotto il filone[7] che qualifica in termini circostanziali i reati aggravati dall’evento richiedendo l’imputazione a titolo di colpa dell’evento aggravatore secondo la disciplina dettata in via generale dall’art. 59 c.p.
Un secondo sottoinsieme di sentenze è quello in cui la giurisprudenza si è espressamente orientata nel senso della configurabilità della colpa in attività illecite: sul punto, riferimento imprescindibile la ben nota S.U. Ronci del 2009 in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p.). Nella lettura fornita dal giudice sassarese, tale fattispecie, ricostruita come ipotesi speciale di aberratio delicti (art. 83 c.p.), è equiparabile a quella dell’omicidio preterintenzionale in quanto accomunata dalla medesima logica del versari in re illicita che ha ispirato il Legislatore storico. Come noto, le Sezioni Unite hanno affermato il principio per cui l’unica interpretazione costituzionalmente compatibile è quella che richiede l’accertamento della concreta prevedibilità ed evitabilità dell’evento mortale dell’acquirente di sostanze stupefacenti che deve valutarsi in rapporto al modello di un agente razionale collocato idealmente nello stesso contesto dell’agente concreto, secondo i consueti paradigmi di accertamento della colpa. Richiamando tale orientamento, i giudici sassaresi non mancano di rilevare come esso abbia superato la diversa tesi interpretativa[8] secondo cui la colpa in rapporto all’evento ulteriore sarebbe da fondare esclusivamente sull’inosservanza della norma incriminatrice che sanziona la condotta-base. Tale lettura maschererebbe un’ipotesi di responsabilità oggettiva, attribuendo alla norma incriminatrice una funzione cautelare che non le è propria e si porrebbe, pertanto, in contrasto con il dettato costituzionale allo stesso modo dell’altra opzione interpretativa secondo cui sarebbe sufficiente la prevedibilità in astratto della morte o delle lesioni.
Il terzo nucleo di pronunce è quello elaborato in relazione all’omicidio preterintenzionale, rispetto al quale si riscontra un consolidato orientamento per cui sarebbe superfluo l’accertamento della colpa in concreto rispetto alla morte. Tale affermazione, non condivisa dalla Corte d’Assise, si fonda sull’assunto, ritenuto apodittico, in base al quale in caso di condotte dirette a ledere o percuotere sarebbe da ravvisarsi una prevedibilità intrinseca dell’evento morte sulla base di una generale disposizione di legge che ne renderebbe non necessario l’accertamento in concreto della prevedibilità ed evitabilità. L’assunto si fonda sulla ritenuta, e non condivisa, inestensibilità dei principi affermati in ordine all’art. 586 c.p. anche al delitto di cui all’art. 584, in quanto quest’ultima fattispecie si caratterizzerebbe, rispetto all’altra, per la omogeneità fra il bene giuridico tutelato dal reato voluto dall’agente e quello concretamente leso, trattandosi di una condotta causalmente mortifera sorretta da dolo comunque indirizzato alla lesione dell’incolumità fisica. Ciò spiegherebbe, dunque, la massima tralatizia per cui «l’elemento soggettivo del reato di omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità di un evento più grave nell’intenzione di risultato»[9].
Così ricostruito il panorama giurisprudenziale, la Corte d’Assise di Sassari se ne discosta.
In primo luogo, viene negata l’asserita assoluta probabilità che da qualsiasi atto dolosamente orientato a ledere o a percuotere possa derivare la morte della persona offesa, affermandosi, al contrario, che costituisce una «nozione di comune esperienza che, nella grandissima maggioranza dei casi, spinte e strattoni non hanno esiti letali»[10], rilevando la valenza imprescindibile dell’accertamento della colpa in concreto rispetto all’evento più grave e negando qualsiasi rilevanza alla volontà del Legislatore storico, la cui politica criminale è incompatibile con il vigente ordinamento costituzionale.
Si sottolinea, inoltre, come sia indubitabile che nell’omicidio preterintenzionale la morte costituisca un elemento costitutivo del disvalore astratto della fattispecie: ciò, in base a quanto chiaramente espresso dalla Consulta nelle già citate sentenze del 1988, deve necessariamente condurre ad un’interpretazione costituzionalmente orientata che riconduca ad un coefficiente di colpevolezza, quantomeno a titolo di colpa, tale evenienza.
Quanto all’opportunità di mantenere l’interpretazione dell’art. 584 dentro un alveo di maggior rigore in nome di ragioni di prevenzione generale, i giudici sassaresi rilevano, da un lato, l’ineludibilità di una rigorosa applicazione del dettato costituzionale e dall’altro che nella maggior parte dei casi in cui la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la sussistenza del reato de quo ad analoghe conclusioni si sarebbe pervenuti anche applicando rigorosamente il canone della colpa in concreto rispetto all’evento morte.
Tale esito, peraltro, è quello cui si perviene nel caso di specie: l’imputato, infatti, viene condannato per il reato a lui ascritto in quanto «alla luce di tutte le circostanze del caso concreto ed alla stregua di una valutazione effettuata secondo il parametro dell’uomo medio-agente razionale, la morte della persona offesa» è ritenuta «in concreto prevedibile ed evitabile», poiché «corrisponde ad una nozione di comune esperienza che la caduta all’indietro su di una superficie dura come quella dello slargo dove avvenne il fatto di una persona adulta che si trovi in piedi può avere esiti letali, considerata l’altezza dalla quale avviene la caduta, e dunque la velocità dell’impatto a terra, e la delicatezza della parte del corpo interessata, ossia la nuca». Da ciò si desume che in capo all’imputato sia ricostruibile una «colpa in concreto e che egli avrebbe potuto porre in essere condotte violente meno pericolose e, in particolare, tali da non comportare il rischio di caduta all’indietro» della persona offesa[11].
* * *
4. Come già evidenziato, la portata innovativa della sentenza si caratterizza per l’adesione ad un orientamento giurisprudenziale minoritario[12] sul criterio di imputazione soggettiva dell’evento morte conseguente alla condotta dolosa di lesioni: in base a quanto prospettato dai giudici sassaresi, è necessario l’accertamento della colpa.
Si tratta di una posizione non accolta dalla prassi successiva, nell’ambito della quale si è consolidata la diversa massima tralatizia, aspramente stigmatizzata dalla Corte d’Assise di Sassari, per cui l’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale consiste unicamente nel dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità dell’evento più grave nell’intenzione di risultato.
In primo luogo, è necessario evidenziare l’innovazione rappresentata dall’equiparazione del delitto preterintenzionale alle altre ipotesi contenenti un coefficiente di responsabilità oggettiva. Si tratta di una soluzione autorevolmente sostenuta in dottrina[13] che si fonda sull’assunto per cui è impossibile configurare una forma intermedia di responsabilità tra il dolo e la colpa, in quanto non sarebbe possibile ipotizzare una zona grigia fra la situazione in cui l’evento sia sorretto da coefficienti volontaristici e quella in cui esso sia non voluto come conseguenza della condotta dell’agente. Da ciò deriva la completa equiparazione del delitto preterintenzionale al modello dei delitti aggravati dall’evento nell’ambito dei quali l’accadimento ulteriore è (rectius, era) imputato a titolo di responsabilità oggettiva.
Tale ricostruzione, che sul piano storico si pone come alternativa rispetto a quella che ravvisa nel delitto preterintenzionale un’ipotesi di dolo misto a colpa[14], giunge, de iure condito, ad analoghi risultati applicativi, alla luce della sentenza 364/1988 della Corte costituzionale. Si afferma, infatti, che dalla portata cogente del principio di colpevolezza deriva necessariamente che l’evento ulteriore, in specie la morte, debba imputarsi a titolo di colpa generica, e ciò indipendentemente dal fatto che dal punto di vista storico si consideri l’art. 584 come combinazione fra dolo e responsabilità obiettiva o fra dolo e colpa. L’esito è lucidamente espresso dalla dottrina più recente[15] nella parte in cui si riferisce il dolo alla condotta e la colpa all’evento, che della prima deve rappresentare una conseguenza concretamente prevedibile ed evitabile.
Come noto, il Legislatore storico ha configurato il delitto preterintenzionale come fattispecie strutturalmente distinta sia dal delitto doloso che da quello colposo, in cui la realizzazione del fatto più grave non voluto è sottesa alla rappresentazione e volizione di uno meno grave. Fra i due eventi sussiste una omogeneità strutturale della lesione, in cui è dato scorgere un rapporto di progressione lineare fra l’evento voluto e quello non voluto.
L’evento più grave è elemento costitutivo del reato in quanto ne fonda il giudizio di disvalore astratto.
Nella ricostruzione più tradizionale, dunque, la preterintenzione è strutturata come una forma derivata di dolo indiretto. Sarebbe sufficiente, infatti, una condotta illecita iniziale in cui sia dato scorgere la tendenza alla propagazione verso un evento ulteriore, come, si ritiene, avverrebbe nella generalità di casi in presenza di atti violenti che sfociano in conseguenze più gravi: è su tale assunto che si è sviluppata la tesi della c.d. “prevedibilità in astratto”[16].
Viceversa, la Corte d’Assise sassarese, rifiutando qualsiasi forma di fictio iuris e valorizzando appieno la portata logico-giuridica del principio di colpevolezza aderisce all’orientamento dottrinale maggioritario in base al quale è sempre richiesto l’accertamento in concreto della colpa.
L’orientamento assunto è certo da cogliere con favore nella misura in cui segna un’ulteriore tappa nel consolidamento dell’affermazione del principio di colpevolezza come cardine dell’intero sistema penale.
Resta, si crede, comunque necessario che tale compito di adeguamento della preterintenzione al principio di colpevolezza venga assunto, in primo luogo e definitivamente, dal Legislatore[17].
Se da un lato, infatti, è certamente da condividere lo sforzo di adeguamento ai canoni costituzionali che, tanto sollecitato dagli interpreti, ha fatto breccia anche presso i giudici di merito sassaresi, d’altro canto, tuttavia, non sembra ad avviso di chi scrive che possa negarsi che l’istituto della preterintenzione conservi una propria autonomia logica, dogmatica e normativa, il cui superamento andrebbe avallato da esplicite scelte legislative politico-criminali in tal senso.
L’omogeneità degli interessi lesi, l’innegabile progressione della condotta lesiva ed il maggior disvalore di azioni, comunque tendenti verso la messa a repentaglio dell’integrità della vita umana, potrebbero, infatti, accompagnare l’eliminazione della responsabilità oggettiva e l’espressa previsione del coefficiente di colpa con un contestuale ripensamento delle cornici edittali in cui si esprime una valutazione di maggior disvalore.
[1] Per tutte, Cass. pen., Sez. V, 21 aprile 2016 (dep. 26 ottobre 2016), n. 44986, imp. P.G. e P.C. in proc. Mulè, «l'elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo e responsabilità oggettiva né dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'art. 43 cod. pen. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell'intenzione di risultato. (In applicazione del principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità dell'imputato a titolo di omicidio colposo aggravato dalla previsione dell'evento e non di omicidio preterintenzionale, con riferimento alla morte di una donna per soffocamento, verificatasi nel corso di un rapporto sessuale con l'imputato, che prevedeva l'adozione di comune accordo di tecniche di "bondage", ossia di costrizione fisica mediante legatura)», in CED Cass. Pen., 268299-01.
[2] Cass. pen. Sez. Un., 22 gennaio 2009 (dep. 29 maggio 2009), n. 22676, imp. Ronci, «in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell'assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale.», in CED Cass. Pen., 243381-01.
[3] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 13 ottobre 2010 (dep. 15 novembre 2010), n. 40202, imp. Gesuito, in CED. Cass. Pen., 248438.
[4] Cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, ibidem, 2021, p. 435.
[5] Cass. pen., Sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 17502, imp. Larosa, in CED. Cass. Pen. 272892; Cass. pen., Sez. I, 28 aprile 2016, n. 49165, imp. Operea Petrut, in CED. Cass. Pen. 268159, nella motivazione; Cass. pen., Sez. I, 15 dicembre 2015, n. 11595, imp. Cinquepalmi, in CED. Cass. Pen. 266647.
[6] Cass. pen., Sez. VI, 31 gennaio 2019, n. 25390, imp. Gorbunova, in CED. Cass. Pen. 276804-01.
[7] Cass. pen., Sez. VI, 29 novembre 2007, n. 12129, imp. Passafiume, in CED. Cass. Pen. 239585; Cass. pen., Sez. VI, 15 ottobre 2009, n. 44492, imp. D.N., in CED Cass. Pen. 245478; Cass. pen., Sez. F., 23 agosto 2019, n. 38200, imp. Simoncini, in CED Cass. pen. 277290 in motivazione; Cass. pen., Sez. I, 7 febbraio 2020, n. 9040, imp. Ciontoli, in cortedicassazione.it.
[8] Cass. pen., Sez. IV, 15 novembre 1989, n. 17687, imp. Paradisi, in CED. Cass. Pen. 182907.
[9] Per tutte, Cass. pen., Sez. V, 21 aprile 2016 (dep. 26 ottobre 2016), cit.
[10] Cfr. p. 21 della sentenza in commento.
[11] Cfr. pp. 30-31 della sentenza in commento.
[12] Cass. pen., Sez. I, 26 aprile 2006, n. 19611, imp. G.G., in Dir. pen. proc., 2006, p. 1394; Cass. pen., Sez. I, 22 settembre 2006, n. 37385, imp. V.M.B., in Leggi d’Italia nonché, nella giurisprudenza di merito, Corte Assise Brescia, 13 maggio 2019, imp. Z., in Sist. pen., 17 dicembre 2019, Corte Assise Reggio Emilia, 12 gennaio 2015, imp. F.A., in Dir. pen. cont., 24 dicembre 2015
[13] Cfr. F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, XVI edizione, Milano, 2003, p. 392.
[14] Cfr. F. Antolisei, ibidem, p. 393 in cui si argomenta il dissenso rispetto alla tesi qui illustrata ravvisando che «il nostro codice non esige che l’evento più grave sia dovuto a negligenza o imprudenza. L’ipotesi preveduta nell’art. 584, infatti, si verifica indipendentemente da tale requisito, bastando che con atti diretti a percuotere o a ferire una persona se ne determini la morte».
[15] Cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, X edizione, Milano, 2021, p. 439.
[16] Cass. pen., Sez. V, 13 novembre 2019, n. 6763, imp. D’Argenzio, in cortedicassazione.it; Cass. pen., Sez. V, 4 aprile 2018, n. 23606, imp. Perrone, in CED. Cass. Pen. 273284-01; Cass. pen., Sez. V, 21 aprile 2016 (dep. 26 ottobre 2016), cit.
[17] Sulle prospettive de iure condendo, cfr. S. Canestrari, La responsabilità colpevole nell’articolato della parte generale del Progetto Grosso, in Riv. it. dir. proc. pen., fasc. 3, 2001, p. 884.