Scheda  
23 Giugno 2022


Uno più uno anche a Roma può fare due: la illegittimità costituzionale del doppio binario punitivo in materia di diritto d’autore


Marco Scoletta

C. cost., sent. 16 giugno 2022, n. 149, Pres. Amato, Red. Viganò


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1. Dopo una lunga serie di altalenanti interventi giudiziari, nelle giurisdizioni sovranazionali e in quelle nazionali, accompagnati da un torrenziale dibattito dottrinale[1], il principio di ne bis in idem fa finalmente breccia nel proscenio costituzionale anche nel nostro ordinamento giuridico.

Oggetto specifico di censura da parte della Corte costituzionale, con la recentissima sentenza n. 149 del 2022, è stato il meccanismo di doppio binario sanzionatorio previsto dalla l. n. 633 del 22 aprile 1941 in materia di diritto d’autore; si tratta di un sottosistema punitivo fino ad oggi, a ben vedere, meno sottoposto all’attenzione degli interpreti, che invece hanno concentrato i rilievi critici sul doppio binario vigente in materia di abusi di mercato - in relazione al quale la questione del ne bis in idem aveva trovato problematicamente origine nel 2014, con la celeberrima sentenza Grande Stevens della Corte EDU[2] – , nonché su quello che caratterizza la materia sanzionatoria tributaria – in ragione della rilevanza di tale settore nella prassi giudiziaria e dunque dell’ impatto sistematico che deriverebbe da un eventuale scardinamento del meccanismo ivi previsto.

Rispetto a tali settori – come noto – il modello punitivo a doppio binario ha fino ad oggi resistito al confronto con il vincolo europeo del ne bis in idem[3], sebbene, per quanto riguarda quello in materia finanziaria, con alcuni aggiustamenti interpretativi (ed un piccolo ritocco legislativo: v. infra § 5) funzionali ad assicurare la piena conformità alla garanzia convenzionale.

Occorre dunque verificare, attraverso un’attenta analisi della sentenza, se il meccanismo di doppio binario censurato dalla Corte presenti delle caratteristiche peculiari, che lo distinguono dagli altri e lo rendono del tutto incompatibile con il divieto di bis in idem, oppure se sia in qualche modo mutata, in senso maggiormente garantistico, l’interpretazione costituzionale del contenuto del principio e dei limiti da esso derivanti alla discrezionalità punitiva del legislatore.

 

2. Nel caso in esame, l’input era arrivato da una perspicua ordinanza di remissione del Tribunale di Verona, sollevata nel corso di un procedimento penale a carico di un soggetto imputato del delitto previsto dall’art. 171-ter, primo comma, lettera b) della legge 22 aprile 1941, n. 633, per avere, a fini di lucro, detenuto per la vendita e riprodotto abusivamente “opere letterarie fotocopiate oltre il limite consentito pari al 15% in numero pari a quarantanove testi […] presso la copisteria di cui è titolare”.

Per lo stesso fatto, all’imputato era già stata inflitta in via definitiva la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 174-bis della medesima legge[4], nella misura di 5974 euro (pari al doppio della sanzione minima – 103 euro – in relazione a venticinque libri di testo di prezzo non determinabile, oltre a “un terzo dell’importo massimo previsto per le opere il cui prezzo di vendita era conosciuto”); sanzione ritenuta dal rimettente di natura punitiva secondo i c.d. criteri Engel. Da qui la questione sollevata dal Tribunale veronese sulla legittimità costituzionale di tale assetto normativo per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 del Protocollo 4 alla Cedu, così come interpretato dalla Corte EDU, in particolare nella sentenza A e B pronunciata dalla Grande Camera nel 2016: il giudice a quo si soffermava infatti a valutare e ad escludere l’esistenza di una close connection in substance and in time tra i due procedimenti sanzionatori dello stesso fatto, cioè il presupposto che, in ipotesi, può legittimare il cumulo dei procedimenti in quanto reciprocamente integrati.

La norma oggetto di censura veniva allora individuata – come già era accaduto più volte in passato – nell’art. 649 c.p.p., nella parte in cui tale disposizione limita il divieto di un secondo giudizio (il c.d. ne bis in idem processuale) esclusivamente ai casi di giudicato penale intervenuto sul medesimo fatto e non trova viceversa applicazione ai casi – come quello rilevante nel processo a quoin cui il giudicato sia formalmente amministrativo ma sostanzialmente penale (vale a dire, appunto, i tipici meccanismi di “doppio binario” punitivo), come tale attratto nell’alveo delle  garanzie della “materia penale” come convenzionalmente definita.


3. Chiamata dunque a pronunciarsi sulla questione, la Corte, dopo aver respinto una serie di eccezioni di inammissibilità – e con l’occasione ribadito a chiare lettere la percorribilità alternativa tra il rimedio giurisdizionale della illegittimità costituzionale e quello della diretta disapplicazione della norma interna contrastante con il diritto unionale[5] –, la Corte entra nel merito del giudizio di fondatezza, svolgendo una motivazione che sostanzialmente segue gli snodi logico-argomentativi dell’ordinanza di rimessione in relazione al riconoscimento dei presupposti applicativi della garanzia del ne bis in idem.

In particolare, la Corte ravvede, oltre al chiaro idem soggettivo – in quanto è la stessa persona ad essere sottoposta ad un duplice procedimento punitivo –, anche l’idem oggettivo, cioè il requisito dell’idem factum naturalistico come oggetto di entrambi i procedimenti: invero, la Corte sottolinea come “le due disposizioni – l’art. 171-ter e l’art. 174-bis della legge n. 633 del 1941 – sanzionano dunque esattamente le medesime condotte materiali; e l’art. 174-bis stabilisce espressamente, a scanso di ogni equivoco interpretativo, che le sanzioni amministrative da esso previste si applichino «ferme le sanzioni penali», indicando così l’inequivoca volontà del legislatore di cumulare in capo al medesimo trasgressore le due tipologie di sanzioni” (cfr. par. 5.2.1); a ciò si aggiunge come “il mero richiamo compiuto dall’art. 174-bis della legge n. 633 del 1941 alle «violazioni previste nella presente sezione», e dunque anche a quelle contemplate come delitto dall’art. 171-ter, rende gli ambiti dei due illeciti – quello amministrativo e quello penale – in larga misura sovrapponibili” (cfr. par. 5.2.2)[6].

Indubitabile, infine, il presupposto del “bis”, ovvero del carattere punitivo di entrambi i procedimenti, posto che le modalità di determinazione della sanzione pecuniaria irrogata in sede amministrativa rendono evidente la “la funzione accentuatamente dissuasiva”, espressamente confermata altresì dalla relazione al disegno di legge sfociato  poi nell’introduzione dell’art. 174-bis, nella quale si indicava come l’obiettivo perseguito fosse proprio quello di «incrementare il grado di dissuasività delle misure di contrasto» alle violazioni del diritto d’autore, attraverso sanzioni amministrative «che appaiono dotate di autonoma deterrenza in quanto rapidamente applicabili» (cfr. par. 5.2.2.). “Una finalità” – chiosa la Corte – “in tutto e per tutto sovrapponibile a quella caratteristica delle sanzioni penali” (ibidem).

La Corte raccoglie e condivide le osservazioni del remittente anche nel valutare la esclusione – come già detto – del carattere integrato tra i due procedimenti sanzionatori, sul rilievo dell’assenza di quei requisiti indicativi della “stretta connessione sostanziale e temporale” enucleati dalla Corte Europea nella sentenza A e B. In particolare, ancorché il cumulo punitivo sia prevedibile dall’autore del fatto, la Corte costituzionale rileva:

(i) in primo luogo, che i due procedimenti non perseguano scopi complementari, né concernano diversi aspetti del comportamento illecito: come già illustrato, il procedimento amministrativo è dichiaratamente funzionale a “potenziare l’efficacia generalpreventiva dei divieti già contenuti nella legge, compresi quelli per i quali erano già previste sanzioni penali: queste ultime anch’esse finalizzate, strutturalmente, a dissuadere potenziali autori dal commettere gli illeciti in parola”; né i due fatti tipici presentano aspetti distintivi rilevanti, che possano cioè giustificare un concorso formale tra le due norme sanzionatorie (cfr. par. 5.2.3);

(ii) in secondo luogo, che “il sistema normativo non prevede, d’altra parte, alcun meccanismo atto a evitare duplicazioni nella raccolta e nella valutazione delle prove, e ad assicurare una ragionevole coordinazione temporale dei procedimenti” (ibidem);

(iii) in terzo luogo, che non è previsto “alcun meccanismo che consenta al giudice penale (ovvero all’autorità amministrativa in caso di formazione anticipata del giudicato penale) di tenere conto della sanzione già irrogata ai fini della commisurazione della pena, in modo da evitare che una medesima condotta sia punita in modo sproporzionato” (ibidem).

Alla luce di tutto ciò, la Corte riconosce pertanto la violazione dell’art. 4 Prot. 7 Cedu e dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p.; tuttavia, discostandosi dalla più ampia richiesta del Tribunale remittente[7], circoscrive l’intervento additivo – cioè l’estensione applicativa della fattispecie oggetto di censura – alla specifica materia oggetto di scrutinio: la norma che sancisce il ne bis in idem processuale è infatti dichiarata illegittima “nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171-ter della legge n. 633 del 1941 che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174-bis della medesima legge”.

Tale operazione potrebbe far pensare ad una problematica modifica del petitum (circostanza che in altre occasioni aveva portato a giudicare inammissibile la questione di legittimità[8]), ma la Corte – ben consapevole di ciò – si preoccupa di fugare possibili rilievi in tal senso, precisando opportunamente come in realtà “l’intero sviluppo argomentativo della parte motiva dell’ordinanza evidenzia, come giustamente rilevato dalla difesa dell’imputato, che il rimettente ha inteso censurare l’art. 649 c.p.p. con specifico riferimento al regime di doppio binario sanzionatorio previsto in materia di tutela del diritto d’autore”; e come “secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’oggetto del giudizio costituzionale deve essere individuato interpretando il dispositivo dell’ordinanza di rimessione alla luce della sua motivazione (ex multis, sentenza n. 33 del 2019)” (cfr. par. 4).

Interesse della Corte è comunque quello di non generalizzare la portata applicativa dell’art. 649 c.p.p. a tutti i meccanismi di doppio binario; di non attuare, quindi, una modifica strutturale “di sistema”, idonea a neutralizzare le numerose previsioni legislative di tale paradigma punitivo o a delegare ai giudici ordinari la delicata valutazione relativa alla sussistenza degli incerti presupposti applicativi del divieto (costituzionale) del secondo giudizio[9]; l’intervento rimane puntualmente mirato a sanare la specifica situazione normativa oggetto del procedimento a quo, rispetto alla quale soltanto sono stati analiticamente vagliati i profili di incompatibilità con la garanzia del ne bis idem.

Si tratta peraltro di una sanatoria costituzionale di cui la stessa Corte riconosce la parzialità, poiché – anche rispetto al sottosistema sanzionatorio del diritto d’autore – l’assetto normativo ‘di risulta’ lascia comunque impregiudicato il cumulo procedimentale e punitivo rispetto alle ipotesi in cui il giudicato penale intervenga prima di quello amministrativo. Non solo: la Corte stigmatizza altresì il fatto che il rimedio apprestato non sia “idoneo di per sé a conferire razionalità complessiva al sistema, che consente comunque l’apertura di due procedimenti e il loro svolgimento parallelo, con conseguente duplicazione in capo all’interessato dei costi personali ed economici” (cfr. par. 7).

Di conseguenza, il monito finale è indirizzato ancora una volta al legislatore, sollecitato a “rimodulare la disciplina in esame in modo da assicurare un adeguato coordinamento tra le sue previsioni procedimentali e sanzionatorie, nel quadro di un’auspicabile rimeditazione complessiva dei vigenti sistemi di doppio binario sanzionatorio alla luce dei principi enunciati dalla Corte EDU, dalla Corte di giustizia e da questa stessa Corte” (ibidem).

 

4. Così sintetizzati i passaggi motivazionali dell’accoglimento, l’interrogativo fondamentale che oggi si pone riguarda la vis espansiva di questa importante pronuncia, cioè se e quali sono i meccanismi di doppio binario previsti nel nostro ordinamento destinati a cadere qualora sottoposti al vaglio di legittimità secondo una linea di coerenza logica con le statuizioni della Corte costituzionale.

Rispetto al passato, in effetti, non può essere negato un “cambio di rotta”, se si pensa, ad esempio, all’importante pronuncia n. 43 del 2018 in materia tributaria: in quella decisione, infatti, la Corte rilevava la metamorfosi funzionale del principio sancito dall’art. 7 del Protocollo 4 Cedu, ovvero “il carattere innovativo che la regola della sentenza A e B contro Norvegia ha impresso in ambito convenzionale al divieto di bis in idem […] In sintesi può dirsi che si è passati dal divieto imposto agli Stati aderenti di configurare per lo stesso fatto illecito due procedimenti che si concludono indipendentemente l’uno dall’altro, alla facoltà di coordinare nel tempo e nell’oggetto tali procedimenti, in modo che essi possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un’unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto specialmente riguardo all’entità della pena (in senso convenzionale) complessivamente irrogata”; in sostanza, la Corte metteva l’accento sul versante c.d. “sostanziale” della garanzia, a scapito di quello c.d. “processuale”, che invece sembrava essere preponderante nell’ottica della precedente pronuncia Grande Stevens della Corte EDU. 

Nella sentenza qui in esame, invece, nel ribattere all’eccezione dell’Avvocatura relativa alla omessa argomentazione dell’ordinanza in merito alla sproporzionalità del trattamento sanzionatorio cumulativo, la Corte osserva decisivamente come “il diritto al ne bis in idem riconosciuto dall’art. 4 Prot. n. 7 CEDU mira […] in primo luogo, a tutelare la persona contro le sofferenze e i costi di un nuovo procedimento per i medesimi fatti già oggetto di altro procedimento definitivamente concluso. Pertanto, nella prospettiva del rimettente, la mera circostanza della pendenza di un secondo procedimento per i medesimi fatti una volta divenuta definitiva la sanzione irrogata in esito al primo procedimento è sufficiente a rendere operante la garanzia, in assenza di una stretta connessione sostanziale e temporale tra i due procedimenti. A prescindere – dunque – dall’esito del secondo” (cfr. par. 2.1.).

Lo stesso concetto è successivamente ancora ribadito nel motivare la fondatezza della questione: “la garanzia convenzionale in parola mira – lo si è già poc’anzi osservato – a tutelare l’imputato non solo contro la prospettiva dell’inflizione di una seconda pena, ma ancor prima contro la prospettiva di subire un secondo processo per il medesimo fatto: e ciò a prescindere dall’esito del primo processo, che potrebbe anche essersi concluso con un’assoluzione. La ratio primaria della garanzia – declinata qui non quale principio ordinamentale valenza oggettiva, funzionale alla certezza dei rapporti giuridici, ma quale diritto fondamentale della persona – è dunque quella di evitare l’ulteriore sofferenza, e i costi economici, determinati da un nuovo processo in relazione a fatti per i quali quella persona sia già stata giudicata” (cfr. par. 5.1.1.).

È dunque chiaro il ‘recupero’ della dimensione che tradizionalmente definiamo “processuale” della garanzia. Tuttavia, si tratta di un cambio di rotta che, ancora una volta, è il frutto di un’attenta e doverosa osservazione dell’evoluzione della giurisprudenza convenzionale, soprattutto quella successiva alla sentenza Grande Stevens; una giurisprudenza – puntualmente richiamata dai  giudici costituzionali (cfr. par. 5.1.3)[10] – che testimonia la perdurante rilevanza della garanzia anche nel suo versante c.d. processuale, attraverso la decisiva e autonoma valorizzazione degli indici di close connection diversi da quello (prettamente “sostanziale”) della proporzionalità complessiva del trattamento sanzionatorio.

 

5. In questo modo, peraltro, la Corte Costituzionale sembra volere correggere, indirettamente (non vi è infatti alcun richiamo immediato), quell’orientamento giurisprudenziale – ormai consolidato nella nostra giurisprudenza ordinaria – che tende a ridurre il ne bis in idem a proporzionalità.

Tale tendenza, a ben vedere, trova fondamento e origine soprattutto nelle pronunce della Corte di Giustizia del 2018 sui doppi binari vigenti nel nostro ordinamento: non solo nella sentenza Menci[11], in materia tributaria, ma anche e soprattutto nella sentenza Garlsson[12] – avente ad oggetto il meccanismo sanzionatorio previsto in materia di abusi di mercato -, la Corte lussemburghese ha infatti sì formalmente recepito gli snodi argomentativi elaborati dalla Corte Europea, ma ha sostanzialmente annacquato la complessa criteriologia di giudizio dell’A e B test, valorizzando quasi esclusivamente il profilo della proporzionalità del trattamento sanzionatorio cumulativo[13] (piegando peraltro tale valutazione all’obiettivo primario di adeguata tutela degli interessi unionali[14]).

Sulla scorta di tali precedenti, che invitavano i giudici interni a garantire direttamente la  complessiva proporzionalità punitiva (e con essa il rispetto della garanzia del ne bis in idem) la giurisprudenza interna, di legittimità e di merito, ha riconosciuto la piena conformità del doppio binario previsto in materia finanziaria, in quanto al giudice del secondo procedimento è stata riconosciuta la possibilità di dare diretta applicazione a tale principio, eventualmente anche disapplicando (in parte o anche in tutto) la sanzione irrogabile ex lege all’esito del secondo procedimento (ma ritenuta “eccessiva” se cumulata a quella già irrogata all’esito del primo giudizio)[15]. Anche il legislatore interno ha ritenuto di conformare il sistema al vincolo sovranazionale dando copertura legale – attraverso la modifica dell’art. 187-terdecies TUF – a tale potere di disapplicazione in funzione di compensazione sanzionatoria. 

Ebbene, seguendo tale logica, tutte le previsioni di doppio binario punitivo presenti nel nostro ordinamento potrebbero essere riportate a legittimità nella misura in cui solo si garantisse al giudice del secondo procedimento punitivo il potere di svolgere una valutazione di proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio e di applicare solo ed eventualmente il surplus di penalità che ritenga ancora necessario in quanto comunque proporzionato al disvalore del fatto illecito. Ciò consegna ai giudici un potere discrezionale altissimo, sottraendolo alle tradizionali prerogative del legislatore e di conseguenza ponendo – come abbiamo già sottolineato in altra sede[16] – rilevanti problemi in tema di “legalità della pena”. Un potere, peraltro, a ben vedere solo teorico, il cui riconoscimento risulta fondamentalmente strumentale a riconoscere la legittimità del doppio binario: ad esso, infatti, non corrisponde affatto una concreta e significativa mitigazione della risposta punitiva irrogata, come chiaramente testimonia la giurisprudenza finora intervenuta a svolgere il giudizio di complessiva proporzionalità in materia finanziare e tributaria[17].

Nel porre indirettamente un freno a tale potere di valutazione giudiziaria di proporzionalità della pena si potrebbe anche scorgere un’espressione di diffidenza e un monito preventivo rispetto all’analogo potere che la Grande Sezione della Corte di Giustizia, nella recente sentenza NE dello scorso marzo[18], ha attribuito al giudice penale come conseguenza del riconoscimento di “effetto diretto” al principio europeo di proporzionalità della sanzione, sancito dall’art. 49, paragrafo 3, CDFUE, in conseguenza del quale appunto il giudice ordinario sarebbe legittimato a disapplicare le previsioni normative interne nella misura in cui rendano sproporzionata la risposta sanzionatoria che sarebbe irrogabile ex lege nel caso concreto[19].

Molto opportunamente, pertanto, nella sentenza qui in esame la Corte costituzionale prende le distanze da siffatta tendenza riduttiva della garanzia, dimostrando la limitatezza di tale approccio: la proporzionalità è solo “uno” degli indici che può essere valorizzato al fine di valutare il carattere integrato di un doppio binario sanzionatorio (la close connection in substance), ex se autonomamente inidoneo a legittimare i cumuli di procedimenti punitivi sullo stesso fatto illecito. In altre parole, a ciascun procedimento sanzionatorio deve essere riconosciuta una specifica ed autonoma funzionalità sistematica (questo è il senso della “complementarità degli scopi”), che giustifichi la necessità della duplicazione dei giudizi e del conseguente “peso” che la persona deve sopportare in termini di costi morali ed economici.

 

6. Ciò fondamentalmente precisato – riconosciuto cioè il nucleo centrale e sistematicamente innovativo di questo recente intervento della Corte – va nondimeno sottolineata, a mio parere, la piena tenuta del giudizio di legittimità costituzionale del doppio binario tributario, sul quale la Corte costituzionale si è espressa con suoi più recenti precedenti in materia (cfr. in particolare la sentenza n. 222 del 2019, successivamente ribadita dalle ordinanze n. 114 del 2020 e n. 136 del 2021). Nel valutare la conformità di tale disciplina punitiva con il principio europeo del ne bis in idem, la Corte, benché non ne abbia enucleato la ratio garantistica nei chiari termini della sentenza qui in esame, ha comunque svolto in maniera completa e non formalistica il test di conformità convenzionale proposto dalla sentenza A e B.

Ma soprattutto, nella materia tributaria, la valutazione della nostra Corte in merito alla close connection in substance risulta fortemente condizionata non solo dalla pronuncia Menci della Corte di giustizia – che ha riconosciuto la piena legittimità della disciplina italiana di doppio binario sanzionatorio in materia di IVA –, ma anche dalla stessa giurisprudenza della Corte EDU. È bene infatti ricordare come  quest’ultima, nella sentenza A e B, abbia riconosciuto la compatibilità convenzionale del doppio binario tributario vigente nell’ordinamento norvegese con il principio di ne bis in idem; e nelle sentenze in cui successivamente ha censurato i doppi binari tributari vigenti nei paesi scandinavi, lo ha fatto per lo più rilevando non una violazione strutturale ma contingente, ovvero l’assenza, in concreto, di uno stretta connessione di tipo “temporale” tra i procedimenti sanzionatori amministrativo-punitivo e penale. In sostanza, anche la giurisprudenza convenzionale, in materia tributaria, si dimostra tutt’altro che univoca nel bandire i modelli sanzionatori a doppio binario; anzi, a ben vedere dimostra ampia tolleranza, applicando a maglie piuttosto larghe il test della stretta connessione sostanziale. Non ci sono quindi i presupposti adeguati per contrappore ed anteporre, sul piano costituzionale, la prospettiva garantista della Corte europea a quella funzionalista della Corte di Giustizia.

D’altra parte, per quanto si tratti di una valutazione che può essere discutibile sul piano teorico, il giudizio espresso dalle Corti europee costituisce il riferimento normativo decisivamente utilizzabile per dare concreto contenuto al parametro interposto di legittimità, secondo il modello di sindacato di inaugurato dalla “sentenze gemelle” del 2007. Non a caso, nella sentenza 222 del 2019 la Corte ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità sul doppio binario tributario sollevata proprio dal giudice del processo Menci sul presupposto di una diversa e autonoma lettura della garanzia convenzionale, sostanzialmente contrapposta a quella offerta dalla Corte di Giustizia[20]. Una diversa conclusione – tanto più se frutto di un’autonoma interpretazione della garanzia (in quanto, come detto, non imposta dal vincolo convenzionale) – avrebbe anzi potuto esporre lo Stato italiano ad un inadempimento degli obblighi di tutela punitiva degli interessi finanziari dell’Unione, posto che appunto la Corte di Giustizia ha ritenuto che in alcuni casi possa essere addirittura necessaria la tutela sanzionatoria cumulativa (penale e amministrativa) apprestata dal sistema a doppio binario (e si rivelerebbe viceversa inadeguata la tutela ‘a binario unico’ che la questione di legittimità costituzionale mirava ad introdurre)[21].

 

7. Al di fuori della materia tributaria, invece, ritengo che le “nuove” statuizioni di principio della Corte costituzionale possono sensibilmente condizionare il giudizio di legittimità dei numerosi modelli a doppio binario presenti nel nostro ordinamento, a cominciare da quello vigente in materia finanziaria.

Invero, in assenza di una autonomia funzionale dei procedimenti sanzionatori (che in materia tributaria è comunque riscontrabile nella precipua finalità riscossiva del procedimento amministrativo, conformemente al modello originario, poi degenerato in senso anche punitivo[22]), è possibile opinare che, qualora tutti gli effetti punitivi di un procedimento siano destinati ad essere assorbiti dall’altro – ad esempio con la previsione di meccanismi di completa compensazione sanzionatoria –, per ciò stesso verrebbe meno quella complementarità di scopo che dovrebbe fondamentalmente indiziare la legittimità del bis in idem[23]. Detto in termini ancora più chiari: se lo scopo del doppio binario fosse solamente quello di rafforzare la risposta punitiva – in senso retributivo e general preventivo – per uno stesso fatto materiale dotato di un particolare disvalore sociale, sarebbe allora sufficiente rendere più severa la pena comminata per una singola fattispecie applicabile in un unico procedimento. Perché duplicare i procedimenti – anche in termini di conseguenti costi personali a carico dell’autore del fatto – per ottenere il risultato punitivo che si può raggiungere anche solo nell’ambito di un unico procedimento?

La verità è che la reale giustificazione funzionale dei meccanismi di doppio binario punitivo, nel nostro ordinamento giuridico, risiede nella maggiore effettività delle sanzioni amministrative rispetto a quelle propriamente penali. La celebrazione del procedimento sanzionatorio amministrativo consente, intanto, di dare una prima risposta punitiva al fatto illecito, risposta che tendenzialmente avviene in tempi rapidi (notevolmente più rapidi di quelli del processo penale) e con più elevate chance di esecuzione in concreto. Attraverso questo meccanismo, in sostanza, il nostro ordinamento sopperisce ai deficit di effettività del diritto penale, compensandone in un certo senso il valore meramente simbolico e assiologico che sempre più spesso ne caratterizza l’utilizzo.

La previsione di meccanismi di doppio binario – come paradigmaticamente quello in materia di abusi di mercato –, se letta in questa logica politico-criminale, risponde quindi a reali esigenze di law enforcement, i cui costi tuttavia ricadono inevitabilmente sulla persona autrice del fatto illecito, che solo per rimediare alla carenza di effettività del diritto penale è costretta a sopportare il peso del doppio procedimento punitivo per lo stesso fatto. È ciò tollerabile alla luce della garanzia fondamentale della persona compendiata nel principio di ne bis in idem? La domanda, dal mio punto di vista, è retorica.

In questa prospettiva, c’è anche da chiedersi se la stessa celebrazione di due paralleli procedimenti, entrambi a finalità esclusivamente punitive per lo stesso fatto, trovi una ragionevole giustificazione costituzionale. Non a caso, come ricordato, è un tema problematicamente posto sul piano sistematico anche dalla Corte costituzionale nella sentenza qui in commento. Il principio europeo di ne bis in idem non sembra invero porre alcun argine alla litispendenza neppure in questi casi, in quanto presupposto applicativo della garanzia è la definitività del primo procedimento. Nondimeno: è possibile ritenere un “giusto processo” quello che replica esattamente le finalità di un procedimento sanzionatorio già pendente per lo stesso fatto?

 

 

[1] Per un quadro complessivo sulle evoluzioni giurisprudenziali nelle varie giurisdizioni coinvolte, a vari livelli, nella definizione del contenuto precettivo del principio di ne bis in idem, cfr. M. Scoletta, Il principio europeo di ne bis in idem e i modelli punitivi “a doppio binario”, in C. Amalfitano - M. D’Amico - S. Leone (a cura di), La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europa nel sistema integrato di tutela, Torino, 2022, e già in Dir. pen. cont.Riv. trim., 4/2021, p. 180 ss.

[2] Sulla quale si veda la nota di commento - della quale abbiamo qui ripreso, parafrasandolo, l’icastico titolo – di A. Tripodi, Uno più uno (a Strasburgo) fa due. L’Italia condannata per violazione del ne bis in idem in tema di manipolazione del mercato, in Dir. pen. cont., 9 marzo 2014.

[3] Sono state almeno sei le pronunce della Corte costituzionale sulla materia (comprese quelle di manifesta inammissibilità o di restituzione atti): cfr.  nn. 102 e 116 del 2016, n. 43 del 2018, n. 222 del 2019, n. 114 del 2020, n. 136 del 2021.

[4] Tale fattispecie amministrativa è costruita secondo la tecnica del rinvio, essendo previsto che le sanzioni ivi comminate si applichino alla «violazione delle disposizioni previste nella presente sezione», compresa quindi la disposizione incriminatrice tipizzata all’art. 171-ter.

[5] Cfr. par. 2.2.2.: “Tale rimedio [la questione di legittimità costituzionale: NdR] non si sostituisce, ma si aggiunge a quello rappresentato dalla disapplicazione nel singolo caso concreto, da parte del giudice comune, della disposizione contraria a una norma della Carta avente effetto diretto (sentenza n. 67 del 2022: «il sindacato accentrato di costituzionalità, configurato dall’art. 134 Cost., non è alternativo a un meccanismo diffuso di attuazione del diritto europeo»). E ciò in un’ottica di arricchimento degli strumenti di tutela dei diritti fondamentali che, «per definizione, esclude ogni preclusione» (ancora, sentenza n. 20 del 2019), e che vede tanto il giudice comune quanto questa Corte impegnati a dare attuazione al diritto dell’Unione europea nell’ordinamento italiano, ciascuno con i propri strumenti e ciascuno nell’ambito delle rispettive competenze”.

[6] Vero che la fattispecie amministrativa punisce anche le condotte colpose, “tuttavia, rispetto all’area in cui i due illeciti si sovrappongono – rappresentata dall’insieme dei fatti materiali descritti dall’art. 171-ter in concreto commessi con dolo – le due disposizioni fanno sì che il loro autore sia sanzionato più volte per un idem factum” (cfr. ancora par. 5.2.2.).

[7] Il giudice a quo aveva infatti chiesto di dichiarare la illegittimità dell’art. 649 c.p.p. in tutti in casi in cui “sia stata già irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo non legato a quello penale da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, una sanzione avente carattere sostanzialmente penale ai sensi della CEDU e dei relativi protocolli”.

[8]  Si veda ad esempio Corte cost. n. 193 del 2016, in materia di retroattività favorevole, in cui la questione – avente ad oggetto in generale la disciplina intertemporale delle sanzioni amministrative (chiedendo un intervento additivo sull’art. 1 l. 689/1989) è stata dichiarata inammissibile sul rilievo che “l’intervento additivo invocato dal rimettente risulta, quindi, travalicare l’obbligo convenzionale”; su tale pronuncia cfr. sulla quale cfr. M. Scoletta, Materia penale e retroattività favorevole: il ‘caso’ delle sanzioni amministrative, in Giur. cost., 2016, p. 115 ss.

[9] Come sarebbe stato se fosse stata accolta la questione nei termini in cui era stata formalmente posta dal giudice rimettente: l’intervento additivo richiesto sull’art. 649 c.p.p., infatti, avrebbe avuto l’effetto di attribuire al giudice ordinario, in relazione a qualsiasi ipotesi di doppio binario, il potere di svolgere autonomamente l’A e B test al fine di valutare la close connection tra i procedimenti (oltre che il loro carattere punitivo ai sensi degli Engel criteria) e dare quindi applicazione alla previsione processuale del divieto di doppio giudizio

[10] Per una sintesi del contenuto di tali pronunce, si rinvia a M. Scoletta, Il principio europeo di ne bis in idem, cit., § 5.

[11] Corte giust. UE, Grande Sezione, 20 marzo 2018, C-524/15, Menci.

[12] Corte giust. UE, Grande Sezione, 20 marzo 2018, C-537/16, Garlsson Real Estate.

[13] Lo denunciano tra gli altri E. Basile, Il “doppio binario” sanzionatorio degli abusi di mercato in Italia e la trasfigurazione del ne bis in idem europeo, in Giur. comm., 2019, p. 129 ss.; F. Consulich, Il prisma del ne bis in idem nelle mani del Giudice eurounitario, in Dir. pen. proc., 2018, p. 949 ss.; Fr. Mazzacuva, Il ne bis in idem dimezzato: tra valorizzazione delle istanze di proporzione della sanzione e smarrimento della dimensione processuale, in Giur. comm., p. 940 ss.; C. Silva, La deriva del ne bis in idem verso il canone di proporzionalità, in Arch. pen web, 1/2019.

[14]  Cfr. M. Scoletta, Il principio europeo di ne bis in idem, cit., § 6.

[15] Per completi riferimenti giurisprudenziali si rinvia ancora a Cfr. M. Scoletta, Il principio europeo di ne bis in idem, cit., § 8.

[16] M. Scoletta, Abusi di mercato e ne bis in idem: il doppio binario (e la legalità della pena) alla mercé degli interpreti, in Le Società, 2019, p. 533 ss.

[17] Per i riferimenti giurisprudenziali a fondamento di tale assunto, cfr. Cfr. M. Scoletta, Il principio europeo di ne bis in idem, cit., § 8.1., dove sul punto osservo come “per la giurisprudenza, infatti, è per lo più sufficiente rilevare che le sanzioni punitive – soprattutto quelle penali - sono state commisurate su livelli vicini ai minimi edittali, per riconoscere la proporzione sanzionatoria del cumulo punitivo e dunque il rispetto del ne bis in idem. In definitiva, si può concludere sul punto affermando che, in relazione al sistema di doppio binario previsto per gli abusi di mercato, la garanzia si risolve in un generico invito a mitigare le pene (non solo quella pecuniaria) previste dalla fattispecie incriminatrice, allo scopo di garantire la proporzionalità delle risposta punitiva complessiva: si tratta tuttavia di ben poca cosa, se si considera che già in passato la commisurazione della pena detentiva si assestava sostanzialmente sui minimi edittali”.

[19] In questa prospettiva, volta sostanzialmente all’accentramento del controllo di legittimità della norma penale, tale limitazione farebbe il paio con la precedente affermazione relativa ai rapporti tra questione di legittimità costituzionale e diretta disapplicazione della norma nazionale contraria al diritto UE; la Corte - come ricordato (cfr. supra § 4) - ha ribadito l’utilizzabilità – allo scopo di conformarsi agli obblighi unionali - di entrambi i rimedi giurisdizionali, ma non ha mancato di evidenziare i pregi della prima opzione, in termini di certezza e uniformità della tutela, “tanto più essenziale in una materia, come quella penale, dominata dal principio di stretta legalità” (in questi termini la sentenza in commento al par. 2.2.2.).

[20] Cfr. M. Scoletta, Legittimità in astratto e illegittimità in concreto del doppio binario punitivo in materia tributaria al cospetto del ne bis in idem europeo, in Giur. cost., 2019, p. 533 ss.

[21] Se questa nuova sentenza non modifica il giudizio di legittimità costituzionale del doppio binario tributario disciplinato agli artt. 19 ss. d.lgs. n. 74/2000, restano nondimeno altri (non pochi) profili di assai dubbia conformità con la garanzia del ne bis in idem nella disciplina punitiva degli illeciti tributari: per una rassegna argomentata di tali profili si rinvia ancora a Cfr. M. Scoletta, Il principio europeo di ne bis in idem, cit., § 8 ss.

[22] Cfr. G. Marongiu, Le sanzioni amministrative tributarie: dall’unità al doppio binario, in Riv. dir. trib., 2004, p. 373 ss.

[23] Analoghe osservazioni già in M. Scoletta, Abusi di mercato e ne bis in idem, cit.