Corte cost., sent. 14 giugno 2022, n. 146, Pres. Amato, Red. Viganò
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1. Con sentenza n. 146, decisa il 27 aprile 2022, depositata il 14 giugno 2022, e pubblicata in G.U., 1a Serie Speciale, n. 24 del 15 giugno 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale (parziale) dell’art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede, a seguito di contestazione di reati connessi a norma dell’art. 12, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la facoltà per l’imputato di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, con riferimento a tutti i reati contestatigli, in tal modo ampliando le ipotesi di messa alla prova “recuperata”.
La decisione si inserisce nel solco delle pronunce di illegittimità costituzionale parziale, con le quali è stata “recuperata” dalla Consulta la facoltà, per l’imputato, di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, quando sopravvengono elementi di novità che, nonostante il superamento delle preclusioni di fase, non gli impediscano la scelta del rito alternativo della messa alla prova ma, anzi, gli assicurino quell’esercizio del diritto di difesa che la Costituzione gli riconosce: in questo senso, nello specifico, Corte cost., sent. n. 14 del 2020, che ha riconosciuto all’imputato la facoltà di richiedere la messa alla prova a fronte della nuova contestazione di un fatto diverso ex art. 516 cod. proc. pen., e, prim’ancora, Corte cost., sent. n. 141 del 2018, che ha inciso proprio sulla disposizione censurata nel giudizio a quo, nei casi di contestazione supplettiva di una circostanza aggravante ex art. 517 cod. proc pen..
La sospensione del procedimento con messa alla prova, come ogni rito speciale, ha infatti le sue preclusioni di fase (stabilite dall’art. 464, comma 2, cod. proc. pen.), ma, trattandosi di un procedimento premiale (l’esito positivo porta all’estinzione del reato), alternativo al processo ed alla pena, con connotazioni sanzionatorie, ma anche, al tempo stesso, rieducative e riparatorie, laddove muti la contestazione a carico dell’imputato, per evenienze sostanzialmente a lui non imputabili, bensì dovute a precisazioni e correttivi, da parte del pubblico ministero, dell’originaria imputazione, e laddove, anche in base alle nuove contestazioni, ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi per accedere al beneficio, la Corte, con le dichiarazioni di illegittimità costituzionale incidentali sopra indicate, gliene attribuisce la facoltà, in linea con quelle pronunce già adottate in passato in tema di patteggiamento e di rito abbreviato “recuperati”.
2. Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 517 cod. proc. pen. sono state sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dal Tribunale ordinario di Palermo con ordinanza del 25 marzo 2021 (pubblicata in G.U., n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2021).
In punto di rilevanza, il giudice a quo rappresenta che l’imputata D.L.P. è chiamata a rispondere, con decreto di citazione diretta, del reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)» e, dopo l’apertura del dibattimento, a seguito dell’escussione di un testimone della lista del pubblico ministero, questi ha proceduto, ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., alla contestazione di ulteriori reati, ossia quelli di cui agli artt. 71 e 95 del d.P.R. n. 380 del 2001, per la violazione, rispettivamente, degli artt. 64, 65 e 93 del medesimo d.P.R., connessi al primo ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. e avvinti dal nesso della continuazione ex art. 81, comma secondo, cod. pen..
L’art. 517 cod. proc. pen. consente infatti le contestazioni suppletive che, nel caso in esame, hanno riguardato reati connessi a quello originariamente imputato, commessi con la medesima azione o omissione, ovvero con condotte diverse, ma comunque in esecuzione del medesimo disegno criminoso.
Sotto il profilo oggettivo, e dunque quoad poenam, sono tutti reati per i quali è oggettivamente possibile richiedere la messa alla prova, trattandosi di fattispecie contravvenzionali i cui limiti di pena rientrano in quelli fissati all’art. 168-bis, comma secondo, cod. pen., ma, essendo già stato dichiarato aperto il dibattimento, e non essendo stato richiesto il rito speciale entro quel termine di fase, la facoltà di richiedere il rito speciale è preclusa, nonostante la procura speciale (requisito di ammissibilità formale richiesto per la presentazione della istanza) rilasciata al difensore.
Ciò nonostante, il difensore, in ragione della nuova contestazione, presenta istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova e acquisisce anche una proposta di programma di trattamento da parte dell’ufficio di esecuzione penale esterna e questo rende la questione rilevante.
3. In punto di non manifesta infondatezza, rileva il giudice a quo che le richieste di riti speciali - e tale è anche la sospensione del procedimento con messa alla prova - sono espressione di esercizio del diritto di difesa, e laddove i contorni dell’accusa mutino, va riconosciuta all’imputato la facoltà di poter accedere ad essi, anche se la fase processuale glielo precluda, pena la violazione dell’art. 24 Cost.; se poi, al ricorrere di situazioni processuali analoghe, la facoltà di chiedere i riti speciali venisse diversamente disciplinata, questo, a parere del giudice a quo, determinerebbe una disparità di trattamento che non va permessa, in quanto violativa dell’art. 3 Cost.
Proprio sotto quest’ultimo profilo, ossia con riferimento all’art. 3 Cost., il giudice a quo riporta le numerose pronunce che hanno segnato un «progressivo percorso di riallineamento costituzionale» della disciplina codicistica, che, partito da un’iniziale chiusura, ha riconosciuto la possibilità di recuperare i riti alternativi «nel caso di contestazioni dibattimentali cosiddette “patologiche” (…[a questo proposito]… vengono citate le sentenze n. 139 del 2015, n. 184 del 2014, n. 333 del 2009 e n. 265 del 1994), e infine all’estensione di tale recupero anche nelle ipotesi di nuove contestazioni cosiddette “fisiologiche” (sono citate le sentenze n. 141 del 2018, n. 206 del 2017, n. 273 del 2014, n. 237 del 2012 e n. 530 del 1995).».
Non riconoscere all’imputato, che si veda contestare nuovi reati, la facoltà di accedere al rito speciale della messa alla prova – malgrado la sussistenza delle condizioni e dei presupposti per poterlo richiedere – significa discriminarlo, considerati i numerosi interventi della Consulta che hanno di fatto recuperato i riti speciali (compresa la messa alla prova), a seguito di nuove contestazioni: in questo, il contrasto con gli artt. 3 (per disparità di trattamento) e 24 (per lesione del diritto di difesa) Cost..
4. La Corte dichiara fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, sia con riferimento all’art. 3 Cost., che in relazione all’art. 24 Cost., estendendo in tal modo la dichiarazione di illegittimità costituzionale incidentale, che già in passato ha colpito l’art. 517 cod. proc. pen. (con la sentenza n. 141 del 2018, nella parte relativa alla contestazione di una nuova circostanza aggravante), all’altra, ulteriore, ipotesi di contestazione supplettiva, ossia quella che riguarda, appunto, i reati connessi.
Premette sul punto la Consulta che «[u]na fitta serie di pronunce di questa Corte ha adeguato il principio di fluidità dell’imputazione, che costituisce un dato caratterizzante del nostro sistema processuale anche in sede dibattimentale, al diritto di difesa presidiato dall’art. 24 Cost. quale “principio supremo” dell’ordinamento costituzionale» (sentenze n. 18 del 2022, n. 238 del 2014, n. 232 del 1989 e n. 18 del 1982).»
Il graduale superamento dei limiti di accesso ai riti alternativi, dai casi di nuove contestazioni dibattimentali “patologiche” a quelle “fisiologiche” è stato dettato - rimarca sul punto la Consulta - dalla necessità di salvaguardare la pienezza del diritto di difesa dell’imputato, evitando disparità di trattamento tra l’imputato che sin dall’inizio si sia dovuto difendere da un’imputazione “completa” e colui che, nel corso del dibattimento, abbia visto modificare la contestazione, per il sopravvenire di addebiti che siano stati precisati o integrati successivamente. Nell’uno come nell’altro caso, va assicurata la facoltà di accedere ai riti speciali, anche quando il relativo termine sia spirato, in quanto «di fronte a un mutamento dell’imputazione, ragioni di tutela del suo diritto di difesa e del principio di eguaglianza impongono che sia sempre consentito all’imputato rivalutare la propria scelta alla luce delle nuove contestazioni.»
A tal proposito la Consulta richiama le pronunce in tema di patteggiamento “recuperato” (che, dopo le Corte cost., sent. n. 265 del 1994 e n. 206 del 2017, può essere richiesto in caso di nuova contestazione di un fatto diverso ex art. 516 cod. proc. pen.; o, dopo Corte cost., sent. n. 184 del 2014, in caso di circostanza aggravante ex art. 517 cod. proc. pen. e ancora, dopo Corte cost., sent. n. 265 del 1994 e n. 82 del 2019, in caso di reati connessi ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen.); nonché quelle in tema di rito abbreviato, “recuperato” nelle medesime ipotesi, rispettivamente con Corte cost., sent. n. 333 del 2009 e 273 del 2014, con sent. n. 139 del 2015 e con sent. n. 333 del 2009.
Oltre alle pronunce in tema di patteggiamento e di rito abbreviato, non poteva mancare il riferimento alle due sentenze (Corte cost., sent. n. 14 del 2020 e n. 141 del 2018) con le quali è stata superata la preclusione del termine di fase ed è stato ammesso il recupero della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, nel caso in cui, dopo l’apertura del dibattimento, si proceda a contestazioni di un fatto diverso (art. 516 cod. proc. pen) o suppletive (di una circostanza aggravante ex art. 517 cod. proc. pen.).
Operata questa premessa, la Consulta richiama i principi espressi dalle sentenze sopraindicate, ed in particolare quanto affermato nella pronuncia che ha riguardato la stessa questione e che ha ammesso la facoltà di “recuperare” la richiesta di patteggiamento ai casi di contestazione di reati connessi ex art. 517 cod. proc. pen., nella quale tali ultime ipotesi sono state ritenute del tutto analoghe a quelle in cui venga contestato un fatto diverso emerso per la prima volta a dibattimento ex art. 516 cod. proc. pen, (norma che già allora era caduta sotto la scure della Corte costituzionale).
Afferma quindi la Consulta che «…anche rispetto all’ipotesi di nuove contestazioni di reati connessi ex art. 517 cod. proc. pen., dovrà riconoscersi all’imputato la facoltà di chiedere la messa alla prova, che la sentenza n. 14 del 2020 ha già esteso all’ipotesi di contestazione di un fatto diverso.»
5. Il “recupero” della facoltà di richiedere il rito speciale e premiale della messa alla prova anche al caso del reato connesso contestato per la prima volta a dibattimento, non è per altro impedita – afferma sul punto la Consulta – dalla circostanza che la sospensione verrebbe concessa non in relazione ad un unico reato (il nuovo reato connesso, oggetto di contestazione supplettiva) bensì con riferimento a tutti i reati in concorso fra loro.
In un costruttivo dialogo a distanza con la Corte di cassazione, di cui richiama i principi di diritto espressi in due decisioni conformi (Sez. II, 12 marzo 2015 Cc., n. 14112, Allotta, Rv. 263125 – 01, così massimata sul punto «In tema di sospensione con messa alla prova, la sospensione non può essere disposta, previa separazione dei processi, soltanto per alcuni dei reati contestati per i quali sia possibile l'accesso al beneficio, in quanto la messa alla prova tende alla eliminazione completa delle tendenze antisociali del reo e sarebbe incompatibile con le finalità dell'istituto una rieducazione "parziale"», principio, questo, conforme ad una successiva decisione, Sez. VI, 12 aprile 2021, n. 24707, Rv. 281832 – 01, così massimata sul punto: «In tema di messa alla prova, è inammissibile l'accesso al beneficio nel caso di procedimenti cumulativi aventi ad oggetto anche reati diversi da quelli previsti dall'art. 168-bis cod. pen, in quanto la definizione parziale è in contrasto con la finalità deflattiva dell'istituto e con la prognosi positiva di risocializzazione che ne costituisce la ragione fondante, rispetto alla quale assume valenza ostativa la commissione dei più gravi e connessi reati per i quali la causa estintiva non può operare»), la Consulta fonda l’ammissibilità della richiesta di messa alla prova per più reati, prendendo le mosse proprio dall’art. 168-bis, comma quarto, cod. pen. – secondo cui la sospensione del procedimento «non può essere concessa più di una volta» – e sottolineando come il disposto normativo, letto in uno ai principi di diritto espressi dalla Corte di cassazione nelle richiamate sentenze, non escludano affatto (ma anzi, implicitamente ammettono, ndr) la concedibilità della messa alla prova «ogniqualvolta venga contestato più di un reato, quando – come nella fattispecie del giudizio a quo – per ciascuno dei reati in concorso sia astrattamente applicabile l’istituto della messa alla prova».
In altri termini, se da un lato non è permesso avanzare richieste di messa alla prova parziali, che ne snaturerebbero la ratio, soprattutto nella sua vocazione “risocializzante”, come efficacemente affermato dalla Suprema Corte, (che, sin dalle due sentenze “gemelle” S. U. n. 36272 del 2016, Sorcineli, e n. 33216 del 2016, Rigacci, ne ha sempre sottolineato la natura bifronte - processuale e sostanziale; rito premiale, con un trattamento sanzionatorio peculiare; strumento deflattivo, alternativo alla pena ed al processo – ndr), dall’altro, nulla impedisce all’imputato di chiedere, nell’ambito del medesimo procedimento, e per reati tra loro connessi, il rito speciale di cui si discute.
Tuttavia, diversamente da quanto accade con il rito abbreviato “recuperato” dalla Corte cost., sent. n. 237 del 2012, l’imputato, se da un lato potrà chiedere, tra i reati connessi contestati nello stesso procedimento, la sospensione del procedimento con messa alla prova, sarà in ogni caso tenuto a farlo con riferimento a tutti i reati contestatigli, e dunque sia in relazione all’originario reato, che per quelli oggetto di contestazione supplettiva (connessi ex art. 12, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. e dunque commessi con una sola azione o omissione, ma anche con più azioni o omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso), non essendogli appunto consentito, in applicazione dei principi di diritto della Suprema Corte, avanzare richieste di messa alla prova “parziali”.
Una tale scelta, se da un lato, permette all’imputato di intraprendere quel percorso risocializzante al quale avrebbe potuto orientarsi sin dall’inizio, laddove si fosse dovuto difendere da una contestazione completa in origine, dall’altro non snatura la matrice deflattiva che comunque connota l’istituto, «determinando comunque l’interruzione del processo e l’estinzione del reato nel caso di esito positivo della messa alla prova… [consentendo così]…sia di evitare lo svolgimento di ulteriore attività istruttoria, sia di eliminare ogni altro contenzioso legato all’impugnazione della sentenza di primo grado.».
Di qui, la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 517 cod. proc. pen, nella parte in cui non prevede, in seguito alla contestazione di reati connessi a norma dell’art. 12, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la facoltà dell’imputato di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, con riferimento a tutti i reati contestatigli.