Corte cost., ord. 17 gennaio 2020, n. 3, Pres. Carosi, Red. Antonini
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Diamo sintetica ed immediata notizia d’una ordinanza della Corte costituzionale in materia di patrocinio a spese dello Stato, relativamente all’assistenza difensiva richiesta dalla persona offesa nella fase di opposizione alla richiesta di archiviazione.
Come meglio si vedrà tra breve, la questione sollevata si fondava sull’assunto che l’investimento di risorse pubbliche sarebbe irragionevole quando appaia prima facie che i fatti denunciati sono privi di rilevanza penale. La Corte ha replicato che, nella procedura di opposizione, la persona offesa ha comunque diritto all’assistenza difensiva, e che tale assistenza va dunque garantita anche alle persone che siano prive dei mezzi necessari per avvalersene.
1. La norma censurata.
Il rimettente ha inteso discutere la legittimità costituzionale dell’art. 74, comma 1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)». La norma stabilisce che «è assicurato il patrocinio nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente, indagato, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria».
2. I parametri costituzionali e le censure.
Secondo il rimettente, la disciplina censurata sarebbe intrinsecamente priva di ragionevolezza nella parte in cui assicura «il patrocinio nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente […] persona offesa da reato […]», senza prevedere la «possibilità per il giudice chiamato a decidere sulla ammissione al beneficio di valutare la eventuale evidente assenza di fatti di rilevanza penale».
In altre parole, sarebbe irragionevole che lo Stato venga “costretto” ad assumersi l’onere finanziario delle spese di assistenza, a fronte di una qualunque denuncia (anche la più infondata), senza che mai sia possibile un sindacato sul fondamento della notizia di reato, e dunque in base ad un mero atto di volontà della presunta vittima. Non un sindacato del pubblico ministero, posto che l’iscrizione della notitia criminis nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. sarebbe obbligatoria, e solo con una successiva richiesta di archiviazione potrebbe esserne discusso il fondamento. Non un sindacato del giudice dell’opposizione, poiché, quando ricorrono, come nel caso di specie, i presupposti soggettivi ed oggettivi per l’accesso al patrocinio, l’accoglimento della richiesta sarebbe inevitabile, per quanto chiara possa risultare, nel merito, l’infondatezza delle ragioni della pretesa vittima. La quale dunque otterrebbe assistenza, con sacrificio dell’Erario, pur mancando della “qualità effettiva” di persona offesa dal reato.
Il rimettente ha quindi evocato, quale parametro di misurazione della legittimità costituzionale della norma censurata, l’art. 3 Cost., quale presidio del principio di necessaria ragionevolezza delle norme giuridiche.
3. La risposta della Corte.
La Consulta ha ritenuto, con ordinanza, la manifesta infondatezza della questione sollevata.
In apertura del ragionamento si è ricordato come venga comunemente riconosciuta al legislatore una discrezionalità particolarmente ampia nella conformazione degli istituti processuali, categoria cui certamente va ricondotta la previsione del patrocinio a spese dello Stato (da ultimo, sentenza n. 97 del 2019).
La denuncia di irragionevolezza, d’altra parte, si è fondata nella specie su un presupposto palesemente erroneo, e cioè che il pubblico ministero sia vincolato nella iscrizione del procedimento dalla prospettazione del denunciante e, in particolare, dall’auto-qualificazione del medesimo come vittima d’un fatto avente rilevanza penale.
In realtà, se è vero che l’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. assegna alla vittima di quel reato la qualità di persona offesa, con i diritti e le facoltà conseguenti, è vero anche che l’iscrizione stessa è frutto di una valutazione preliminare del pubblico ministero, che può ravvisare nei fatti reati diversi da quello denunciato (con diversa persona offesa, eventualmente), o può stimare i fatti privi di rilevanza penale, in tal caso iscrivendo l’atto nel corrispondente registro (cd. “cestinazione”).
L’acquisizione dello status di persona offesa, dunque, non dipende solo dalla volontà del denunciante, ed anzi è il frutto di una valutazione, provvisoria ma non priva di ponderazione, da parte del pubblico ministero, specie quando si discuta della qualificazione del fatto così come prospettato, e non della sua sussistenza o dei suoi profili soggettivi.
Raggiunta questa condizione, nella quale si attiva un diritto di interlocuzione della persona offesa sull’eventuale scelta di rinuncia all’esercizio dell’azione, l’ordinamento esige una garanzia della difesa tecnica, che va naturalmente estesa ai non abbienti (sentenza n. 353 del 1991), e corrisponde anche all’interesse generale, perché si risolve in «un’attività di supporto e di controllo dell’operato del pubblico ministero», mediante «una sorta di contributo all’esercizio dell’azione penale)» (sentenza n. 23 del 2015), restando dunque funzionale anche alla piena attuazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale presidiato dall’art. 112 Cost. (ordinanza n. 95 del 1998).