C. cost., sent. 5 marzo 2021, n. 30, Pres. Coraggio, Red. Petitti
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1. Con la sentenza n. 30/2021 la Corte costituzionale si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate – con ordinanze pubblicate in questa Rivista – dal Tribunale di Torino e dal Tribunale di Torre Annunziata. Le questioni riguardavano l’art. 131-bis c.p., nella parte in cui – in seguito alla modifica introdotta dall’art. 16 c. 1, lett. b), d.l. 14 giugno 2019, n. 53, convertito, con modificazioni, nella l. 8 agosto 2019, n. 77 – prevede che l’offesa non possa essere ritenuta di particolare tenuità nei casi di cui all’art. 337 c.p., quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni.
2. Diversi i parametri costituzionali invocati.
2.1. Ad avviso del Tribunale di Torino l’art. 131-bis c.p. si pone in contrasto con gli artt. 3, 27 c. 3 Cost. e con l’art. 117 c. 1 Cost., in relazione all’art. 49, § 3, CDFUE. Il punto centrale della doglianza ruota attorno alla seguente considerazione: l’esclusione prevista rispetto all’art. 337 c.p. si pone in contrasto con i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità perché – al contrario delle altre ipotesi in cui, ai sensi dell’art. 131-bis c.p., l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità – è collegata unicamente al titolo del reato e non a particolari caratteristiche del fatto, inerenti, ad esempio, alle modalità della condotta, alla gravità delle conseguenze del reato e alla colpevolezza. L’irragionevolezza della norma era stata sostenuta, tra l’altro, anche facendo riferimento a fattispecie poste a tutela di beni giuridici analoghi rispetto a quello protetto dall’art. 337 c.p. e, ciò nonostante, non escluse dall’applicazione dell’art. 131-bis c.p. In punto di proporzione, il giudice a quo rilevava, poi, come l’esclusione ancorata al solo titolo di reato potesse portare a una condanna anche in casi in cui non sussiste un ‘bisogno di pena’.
2.2. Il Tribunale di Torre Annunziata ha prospettato l’illegittimità costituzionale dell’art. 16 c. 1, lett. b), d.l. n. 53 del 2019, come convertito, nella parte in cui, modificando l’art. 131-bis, c. 2, c.p., ha previsto che l’offesa non possa essere ritenuta di particolare tenuità nei casi di cui all’art. 337 c.p., quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni. I seguenti sono i parametri invocati: gli artt. 1, 25 c. 2, 27 c. 1 e 3 per violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e finalismo rieducativo della pena; l’art. 77 Cost. per eterogeneità rispetto al decreto-legge in cui la norma è inserita.
3. Una questione è stata dichiarata inammissibile, mentre le altre, affrontate nel merito, sono state ritenute infondate.
3.1. La Corte costituzionale, in particolare, ha dichiarato inammissibile la questione, sollevata dal Tribunale di Torino, concernente il contrasto dall’art. 131-bis, c. 2, c.p. con l’art. 117 Cost. in relazione all’art. 49 § 3 CDFUE. In particolare, richiamando la giurisprudenza costituzionale[1] sul punto, la Corte ricorda come la CDFUE possa essere invocata come parametro interposto solo quando la fattispecie oggetto della legislazione interna sia disciplinata dal diritto europeo, requisito non sussistente nel caso di specie.
3.2. Le altre questioni sono state dichiarate infondate. Quanto alla questione relativa alla violazione dell’art. 77 Cost., l’infondatezza vene motivata – in linea con la giurisprudenza costituzionale[2] – evidenziando che la violazione di tale norma costituzionale si determina solo quando “la disposizione aggiunta in sede di conversione sia totalmente «estranea», o addirittura «intrusa», cioè tale da interrompere ogni nesso di correlazione tra il decreto-legge e la legge di conversione”. Nel caso di specie, trattandosi di un decreto-legge contenente ab origine disposizioni eterogenee, l’omogeneità della disposizione aggiunta in sede di conversione deve essere valutata sotto il profilo teleologico. Il d.l. n. 53/2019 è animato dalla finalità di garantire una tutela più efficace della sicurezza pubblica, di rafforzare le norma poste a garanzia del regolare e pacifico svolgimento delle manifestazioni nei luoghi pubblici e aperti al pubblico, “nel più ampio quadro delle attività di prevenzione dei rischi per l’ordine e l’incolumità pubblica”. Tanto premesso, la Corte costituzionale ritiene che la disposizione aggiunta in sede di conversione – essendo finalizzata ad “assicurare una maggiore tutela ai pubblici ufficiali quali tramite necessario dell’agire della pubblica amministrazione” – non sia né “estranea”, né “intrusa” rispetto alla materia della sicurezza pubblica, né alla ratio ispiratrice del decreto.
Infondate sono anche le questioni con le quali veniva prospettata la violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità̀ e finalismo rieducativo della pena.
Sotto il profilo della ragionevolezza, la Corte, dopo aver ribadito che le scelte del legislatore circa l’ampiezza applicativa della causa di non punibilità̀ di cui all’art. 131-bis c.p. solo sindacabili soltanto per manifesta irragionevolezza, esclude che la norma in questione sia censurabile sotto questo profilo. Infatti, la scelta di escludere che l’offesa possa essere ritenuta di particolare tenuità nel caso del delitto di cui all’art. 377 c.p. “corrisponde all’individuazione discrezionale di un bene giuridico complesso, ritenuto meritevole di speciale protezione”. Tale complessità, rileva la Corte, è stata rimarcata anche dalle Sezioni Unite, “laddove hanno osservato che il normale funzionamento della pubblica amministrazione tutelato dall’art. 337 cod. pen. va inteso «in senso ampio», poiché include anche «la sicurezza e la libertà di determinazione» delle persone fisiche che esercitano le pubbliche funzioni”[3].
La Corte, poi, respinge anche le censure fondate sui principi di proporzionalità e finalismo rieducativo, in considerazione del fatto che si è in presenza di un “fatto-reato intrinsecamente offensivo” di un bene giuridico avente – come anticipato – carattere complesso e che i criteri di cui all’art. 133 c. 1 c.p. – richiamati dall’art. 131-bisc.p. – se è vero che non assumono rilievo ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità, è altrettanto vero anche che conservano “la loro ordinaria funzione di dosimetria sanzionatoria, unitamente a quelli di cui al secondo comma del medesimo art. 133”.
Non pertinente, poi, è ritenuto il riferimento – operato nell’ordinanza del Tribunale di Torre Annunziata – alle presunzioni assolute: nel caso in esame, infatti, il legislatore non ha fatto ricorso a una presunzione ma ha identificato – nell’esercizio della discrezionalità di cui gode in materia di politica criminale – “un bene giuridico di speciale pregnanza, cui ha ritenuto di assegnare una protezione rafforzata”.
Infine, nella prospettiva della violazione dell’art. 3 Cost., la Corte costituzionale ritiene che i tertia addotti dai giudici a quo non siano provvisti dell’omogeneità necessaria ai fini del giudizio comparativo.
Per queste ragioni, la Corte ritiene che le questioni sollevate siano tutte infondate, ad eccezione di quella inerente all’art. 117c. 1 Cost., in relazione all’art. 49, § 3 CDFUE, dichiarata inammissibile.
[1] C. Cost., sent. n. 278/2020, C. Cost. sent. n. 254/2020, C. Cost., sent. n. 194/2018 e C. Cost, sent. n. 63/2016.
[2] C. Cost., sent. n. 115/2020, C. Cost, sent. n. 247/2019, C. Cost, sent. n. 226/2019, C. Cost., sent. n. 181/2019, C. Cost., sent. n. 169/2017, C. Cost., sent. n. 145/2015, C. Cost., sent. n. 251/2014; C. Cost., ord. n. 204/, C. Cost., ordn., n. 93/2020.
[3] Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2018, n. 40981.