C. giust. UE, sent. 16 dicembre 2021, HP, C-724/19
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1. Con la decisione HP del 16 dicembre 2021, C-724/19, la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha tracciato un importante punto fermo in merito ai connotati che devono contraddistinguere le autorità nazionali competenti ad emettere un ordine europeo di indagine penale (OEI).
Nel caso in questione, nell’ambito di un procedimento per reati di terrorismo, un pubblico ministero bulgaro aveva emesso un ordine europeo volto ad acquisire dati relativi al traffico di comunicazioni elettroniche (i c.d. tabulati) senza chiedere un’autorizzazione ad un organo giurisdizionale. Ciononostante l’ordine, rivolto a Germania, Austria, Svezia e Belgio, era stato ugualmente eseguito[1].
Insieme agli altri elementi raccolti nel corso delle investigazioni, i tabulati erano stati posti alla base di una richiesta di rinvio a giudizio dell’imputato. L’organo giurisdizionale bulgaro competente per il rinvio, tuttavia, si era domandato se essi potessero considerarsi legittimamente raccolti. Nel sistema della Bulgaria, infatti, se è vero che la legge di trasposizione della direttiva sull’OEI[2] conferisce in modo generico al pubblico ministero la competenza ad emettere un ordine europeo di indagine, secondo il diritto processuale nazionale l’acquisizione dei dati di traffico dovrebbe avvenire in forza del provvedimento di un giudice, a cui il pubblico ministero potrebbe unicamente rivolgere una richiesta motivata.
Di qui un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, la quale ha statuito, in sintesi, che la direttiva: (a) vieta che un pubblico ministero sia competente ad emettere un ordine europeo volto all’acquisizione di dati di traffico qualora l’adozione di un atto istruttorio di questo tipo, nell’ambito di un caso interno analogo, sarebbe di competenza di un giudice; (b) vieta altresì che il riconoscimento da parte dell’autorità di esecuzione di un OEI volto all’acquisizione di dati di traffico possa colmare la mancanza dell’autorizzazione di un giudice qualora quest’ultima fosse richiesta dal diritto dello Stato di emissione in un caso interno analogo.
2. Mi sembra che la decisione HP abbia il merito di riequilibrare la disciplina di emissione dell’OEI, laddove sempre la Corte di giustizia, con la precedente decisione A. e a. dell’8 dicembre 2020, C-584/19, aveva aperto una pericolosa breccia dal punto di vista dei connotati ordinamentali che dovrebbe possedere l’organo di accusa in qualità di autorità di emissione.
In generale, non ci sono dubbi che il pubblico ministero possa emettere un OEI. Lo si evince in modo chiaro dall’art. 2 lett. c punto i della direttiva, ai sensi del quale l’“autorità di emissione” può essere un “giudice, un organo giurisdizionale, un magistrato inquirente o un pubblico ministero competente nel caso interessato”.
La decisione A. e a., nondimeno, è arrivata ad affermare che potrebbe anche trattarsi di un pubblico ministero contraddistinto da un rapporto di subordinazione con il potere esecutivo dello Stato di emissione: in particolare, perchè sottoposto alle direttive di politica criminale impartite dal ministro della giustizia, magari anche relative al singolo caso.
La decisione A. e a. (§ 50 s.) giustifica questa possibilità, in primo luogo, appellandosi al fatto che l’art. 2 della direttiva in nessun modo richiede l’indipendenza dal potere esecutivo quale condizione indispensabile affinchè un pubblico ministero possa svolgere il ruolo di autorità di emissione.
Soprattutto, secondo la decisione A. e a. (§ 72 s.) sarebbe decisivo un argomento di natura teleologica: le attività istruttorie consentite dall’OEI avrebbero un impatto sui diritti fondamentali di portata minore di quella prodotta dalla privazione della libertà personale che discenderebbe dall’adozione di un mandato di arresto europeo: un atto in rapporto al quale in precedenza la Corte aveva, invece, già ben chiarito che il ruolo di autorità di emissione non potrebbe essere svolto da un pubblico ministero soggetto alle direttive del Governo del proprio paese[3].
Il problema è che la Corte di giustizia, in questo modo, mostra di sottovalutare la tremenda capacità intrusiva che, grazie agli sviluppi della tecnologia informatica, certi atti istruttori oggi possiedono. Probabilmente i giudici di Lussemburgo avevano in mente le attività investigative più tradizionali, quali le perquisizioni personali o in luoghi privati. Ma non va trascurato che, nel mondo digitale, una massa enorme di informazioni strettamente attinenti alla vita privata può essere agevolmente conservata in piccoli oggetti fisici o nella rete, e diventare così facile preda degli organi inquirenti. In un contesto del genere, è chiaro che l’attività di ricerca delle prove può essere altrettanto dannosa della privazione temporanea della libertà, e come tale dovrebbe fruire di garanzie analoghe[4].
Ad ogni modo, se, come ritiene la Corte di giustizia, un OEI potrebbe essere emesso anche da un pubblico ministero soggetto alle direttive del potere esecutivo, diventano ancora più importanti i margini di controllo giurisdizionale correttamente tracciati dalla decisione HP sulla base della legislazione eurounitaria.
3. Il quesito fondamentale è se i poteri di emissione dell’OEI conferiti al pubblico ministero debbano essere o no simmetrici a quelli previsti dal diritto nazionale in rapporto all’emissione di un omologo atto istruttorio a rilevanza interna. L’interrogativo si pone in particolare laddove, come per l’appunto nel caso della Bulgaria, la legge nazionale di trasposizione della direttiva preveda la generica competenza del pubblico ministero ad emettere un OEI, senza specificare se a tal fine debbano anche essere rispettate le ulteriori condizioni eventualmente previste dal diritto nazionale in rapporto ad un caso interno analogo.
Il giudice di rinvio bulgaro aveva chiesto alla Corte di giustizia di risolvere la questione unicamente in base alla lett. c dell’art. 2 della direttiva, la cui formulazione non è, a dire il vero, proprio cristallina. La lett. c, se, al punto i, come si è già detto, prevede la competenza ad emettere l’OEI in capo ai giudici e ai pubblici ministeri, al punto ii la estende anche a qualsiasi altra autorità nazionale diversa da questi ultimi, la quale “agisca in qualità di autorità inquirente nel procedimento penale e sia competente a disporre l’acquisizione di prove in conformità del diritto nazionale”[5]. Unicamente il punto ii, dunque, prescrive in modo espresso un’esigenza di “conformità al diritto nazionale”, con il conseguente dubbio del giudice di rinvio se lo stesso valga o no anche per il punto i.
Giustamente la Corte di giustizia osserva come il riferimento al solo art. 2 della direttiva sia insufficiente. Le prescrizioni decisive al riguardo sono rinvenibili, in realtà, nell’art. 6 della direttiva, dal quale si possono ricavare solidi argomenti testuali nel senso della necessaria equivalenza fra i poteri dell’autorità di emissione dell’OEI e quelli dell’autorità competente a disporre un analogo atto istruttorio a livello nazionale.
Viene in rilievo, anzitutto, il fatto che, in base all’art. 6 par. 1 lett. a, l’OEI da emettere debba essere “necessario” e “proporzionato” ai fini del procedimento penale, “tenendo conto dei diritti della persona sottoposta a indagini o imputata”: tale valutazione richiede la conoscenza dei “dettagli dell’indagine”[6], ed è pertanto del tutto naturale che essa sia conferita all’autorità altresì deputata a disporre l’omologo atto istruttorio a livello nazionale.
In ogni caso - aggiungono i giudici di Lussemburgo - risulta risolutiva la lett. b dell’art. 6 par. 1. Quest’ultima prevede chiaramente che gli atti istruttori richiesti nell’OEI dovrebbero poter essere “emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo”. Soltanto il giudice competente a disporre l’acquisizione dei dati di traffico ai sensi del diritto bulgaro, dunque, potrebbe emettere un OEI di questa tipologia[7].
4. Per supportare tale conclusione, la decisione HP richiama anche l’obiettivo della direttiva sull’OEI di istituire un sistema semplificato e più efficace di raccolta transnazionale delle prove, in modo da consentire all’Unione Europea di diventare “uno spazio di libertà, sicurezza, giustizia” basato su un “elevato livello di fiducia” fra gli Stati membri. “Un’eventuale distinzione tra l’autorità di emissione dell’ordine europeo di indagine e l’autorità competente a disporre atti di indagine in relazione al suddetto procedimento penale” - affermano i giudici di Lussemburgo - “comporterebbe il rischio di complicare il sistema di cooperazione e pregiudicare in tal modo la realizzazione di un sistema semplificato ed efficace”.
Si tratta di un argomento ad adiuvandum che, però, non mi sembra ben centrato. Il motivo per cui i requisiti di emissione dell’OEI devono coincidere con quelli operanti in un caso nazionale analogo non poggia solo sull’efficienza. La simmetria di cui si discute, prima ancora di tutelare l’efficacia della cooperazione, serve ad assicurare un adeguato standard di garanzia. Se essa non operasse, l’OEI potrebbe essere surrettiziamente impiegato come mezzo per eludere la corrispondente normativa nazionale, in particolare aggirando il controllo giurisdizionale ritenuto necessario a livello interno per svolgere gli atti istruttori più invasivi per i diritti fondamentali.
5. Si può aggiungere che, se il diritto dell’Unione si limitasse a prescrivere l’equivalenza in questione, verrebbe assicurato un livello di tutela non ancora soddisfacente. La necessità di un controllo giurisdizionale in rapporto all’emissione dell’OEI, infatti, sorgerebbe unicamente nelle situazioni in cui esso fosse previsto dal diritto dello Stato interessato in rapporto ad un procedimento interno analogo; come, per l’appunto, avviene in Bulgaria in merito all’acquisizione dei dati di traffico.
Vale a dire che, se la legislazione dello Stato di emissione non prevedesse l’autorizzazione preventiva o, perlomeno, la convalida di un giudice, l’OEI potrebbe essere emesso dal solo pubblico ministero (magari, come si è visto, perfino da un procuratore soggetto alle direttive del potere esecutivo). Il pericolo per i diritti fondamentali coinvolti dall’atto istruttorio, poi, aumenterebbe ancora di più qualora un controllo giurisdizionale non fosse previsto neppure nello Stato di esecuzione in sede di riconoscimento dell’OEI[8].
Fortunatamente, perlomeno per quanto concerne l’acquisizione dei dati di traffico, la Corte di giustizia ha già preso in carico il problema, meritoriamente fissando uno standard di tutela valido non solo ai fini dell’acquisizione dei tabulati all’estero, ma vincolante per tutti gli Stati dell’Unione anche quando essa debba avvenire all’interno dei confini nazionali[9]. Alludo alla decisione H.K. del 2 marzo 2021, C-746/18, opportunamente richiamata dalla decisione HP, che ha interpretato la normativa dell’Unione in materia[10] alla luce, in particolare, del diritto alla riservatezza (artt. 7 e 8 Carta di Nizza), statuendo che l’acquisizione dei dati di traffico non potrebbe avvenire sulla sola base della decisione di un pubblico ministero non sottoposta ad un controllo giurisdizionale[11]. Un’indicazione che, in Italia, è stata recepita dai commi 3 e 3 bis dell’art. 132 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (c.d. codice privacy)[12], ai sensi dei quali i dati di traffico vanno acquisiti previa autorizzazione o, nei casi urgenza, perlomeno con la successiva convalida del giudice per le indagini preliminari.
Il case-law della Corte di giustizia, in questo modo, appare compatto nel tracciare il prezioso ruolo del controllo giurisdizionale che deve assistere l’acquisizione dei dati di traffico, la quale diversamente rischierebbe di comprimere in modo sproporzionato il diritto alla riservatezza.
I giudici di Lussemburgo controbilanciano, così, l’eventualità che ad emettere un OEI sia un pubblico ministero subordinato al potere esecutivo, e adempiono pienamente al loro compito di tutelare l’effettività del diritto dell’Unione non in modo scriteriato, ma bilanciandola con la protezione dei diritti fondamentali.
In conformità al principio di equivalenza previsto dall’art. 53 Carta di Nizza[13], inoltre, si crea una saldatura con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul controllo “effettivo” degli atti istruttori tali da comprimere il diritto alla riservatezza ex art. 8 CEDU: inteso come controllo da parte di un’autorità imparziale, quest’ultimo, secondo i giudici di Strasburgo, integra una tutela di rango sovraordinato, da sottrarre al gioco di compensazioni a cui, normalmente, essi sottopongono le garanzie che dovrebbero operare affinché le compressioni dei diritti fondamentali possano ritenersi convenzionalmente conformi[14].
6. La decisione HP passa, poi, a considerare un quesito altrettanto importante: il fatto che l’OEI venga riconosciuto ai sensi dell’art. 9 della direttiva o, magari, anche solo informalmente eseguito dallo Stato a cui è rivolto, sarebbe sufficiente a compensare la sua emissione da parte di un pubblico ministero laddove, a livello interno, avrebbe dovuto essere emesso o, perlomeno, convalidato da un giudice?
Non merita neppure prendere in considerazione l’esecuzione informale: una prassi deviante, purtroppo, più diffusa di quello che si potrebbe credere, nonostante comporti un’evidente elusione dell’obbligo di riconoscimento chiaramente previsto degli artt. 9 s. della direttiva[15].
Quanto al riconoscimento debitamente avvenuto, la Corte di giustizia è netta nell’escluderne qualsiasi efficacia sanante in merito all’assenza dei connotati che deve possedere l’autorità di emissione dell’OEI. Esiste un inequivoco argomento testuale in tal senso: il dovere dell’autorità di esecuzione, sancito dall’art. 9 par. 3, di restituire al mittente l’OEI che non provenga da un’autorità legittimata ad emetterlo ai sensi dell’art. 2 lett. c.
I giudici di Lussemburgo aggiungono che l’efficacia sanante del riconoscimento confliggerebbe con il criterio di fiducia reciproca che dovrebbe reggere uno strumento di cooperazione giudiziaria come l’OEI. Se, infatti, il riconoscimento potesse ovviare all’assenza dei presupposti di emissione previsti dall’art. 6 par. 1 della direttiva, si conferirebbe “all’autorità di esecuzione un potere di controllo sui requisiti sostanziali per l’emissione” degli OEI, addossandole un onere che potrebbe rallentare la cooperazione.
Anche quest’ultimo, peraltro, mi sembra un argomento aggiuntivo non ben focalizzato: la mancanza di efficacia sanante del riconoscimento poggia, essenzialmente, sull’esigenza di evitare l’aggiramento delle garanzie che discendono dalla lex fori e, più in generale, dai diritti fondamentali previsti dalla Carta di Nizza.
7. La decisione HP non chiarisce, invece, se i dati di traffico raccolti grazie all’OEI indebitamente emesso dal solo pubblico ministero bulgaro siano utilizzabili o no nel processo nazionale.
La Corte di giustizia, qui, si dimostra coerente con la scelta della direttiva di rimettere le questioni dell’utilizzabilità delle prove alle valutazioni dei singoli Stati[16]. Il case-law dei giudici di Lussemburgo, del resto, è costante nell’affermare che, “in assenza di una normativa dell’Unione” nella materia considerata, dovrebbe spettare agli ordinamenti nazionali, ai sensi del principio dell’“autonomia procedurale”, stabilire “le modalità processuali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione”. L’importante è che queste ultime “non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno”, e “che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti”, evitando che “informazioni ed elementi di prova ottenuti in modo illegittimo rechino indebitamente pregiudizio a una persona sospettata di avere commesso reati”.
Né la Corte di giustizia ritiene che, in caso di raccolta di prove in violazione dei diritti fondamentali, l’unica via, a livello interno, debba essere quella dell’inutilizzabilità. L’obiettivo potrebbe essere raggiunto “altresì mediante norme e prassi nazionali che disciplinano la valutazione e la ponderazione delle informazioni e degli elementi di prova, o prendendo in considerazione il loro carattere illegittimo nell’ambito della determinazione della pena”[17].
Con ciò si conferma la perdurante incapacità del sistema dell’Unione di creare exclusionary rules di tipo sovranazionale, valide per tutti gli Stati membri. La sovranità nazionale, in materia di diritto delle prove, continua tuttora a pesare, anche se ciò rischia di indebolire garanzie come, per l’appunto, quella del controllo giurisdizionale.
Ad ogni modo, per quanto concerne l’ordinamento italiano, un chiaro divieto probatorio discende dall’esigenza, come si è appena detto imposta dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, che la violazione delle norme europee dia origine a conseguenze perlomeno analoghe a quelle che si determinerebbero in un caso interno analogo. Ciò significa che, da noi, sarebbero da ritenere inutilizzabili dati di traffico raccolti all’estero sulla base di un OEI non autorizzato o convalidato da un giudice: lo stesso avverrebbe, ai sensi dell’art. 132 comma 3-quater del codice della privacy[18], per i tabulati acquisiti senza un vaglio giurisdizionale all’interno del nostro paese.
8. La decisione HP, insieme alle più sopra ricordate decisioni H.K. in materia di raccolta dei dati di traffico a livello nazionale, e Gavanozov in materia di impugnazioni nei confronti dell’OEI, mostra una sensibilità nei confronti della tutela dei diritti fondamentali sottesi alla raccolta delle prove che i giudici di Lussemburgo, in altre occasioni, non avevano mostrato di possedere. Inutile sottolineare l’importanza di un approccio del genere in un contesto in cui, a causa dell’incapacità del legislatore europeo di predisporre un diritto delle prove unitario, completo e dotato di sufficiente precisione, è inevitabile che le regole che devono governare questa materia vengano costruite a colpi di pronunce giurisprudenziali.
Certo, non va trascurato che quello delle garanzie da applicare in rapporto agli atti istruttori lesivi del diritto alla riservatezza è un terreno già ben arato, soprattutto da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Vedremo come la Corte di giustizia si orienterà quando sarà chiamata a giudicare la mancata adozione di modalità istruttorie non altrettanto assestate a livello europeo: in primis, gli eventuali più elevati standard di assunzione delle prove che, sia pur previsti dalla lex fori[19], non venissero adottati dallo Stato di esecuzione poichè non figurassero nella lex loci.
[1] Germania, Austria e Svezia avevano provveduto all’acquisizione dei dati senza neppure riconoscere formalmente l’ordine.
[2] Direttiva n. 41 del 3 aprile 2014.
[3] V. le decisioni OG e PI, C‑508/18 e C‑82/19, e PF, C‑509/18, entrambe del 27 maggio 2019.
[4] Per ulteriori considerazioni critiche alla decisione A. e a., v. G. Borgia, Mandato d’arresto europeo e ordine europeo di indagine penale a confronto: così simili (?), eppure così diversi, in Arch. pen. web, 2021, n. 1, p. 6 ss.; G. De Amicis, Stato di diritto, garanzie europee di indipendenza della magistratura e cooperazione giudiziaria penale: quadri di un’esposizione in fieri, in questa Rivista, 13 dicembre 2021, p. 40 ss.; A. Falcone, Indipendenza del pubblico ministero e cooperazione internazionale in materia penale nello scenario giuridico europeo, in eurojus.it., 2021, n. 3, p. 77 ss.; M. Lanotte, Il requisito dell’indipendenza del pubblico ministero nell’emissione di un ordine europeo di indagine, in Cass. pen., 2021, p. 1072 ss. Ne sottolinea, invece, gli aspetti positivi S. Quattrocolo, Nozioni autonome o variabili? La Corte di giustizia e la definizione di “autorità giudiziaria” e “autorità emittente” nel sistema della cooperazione giudiziaria infraeuropea. Riflessioni a margine di due recenti pronunce, in Cass. pen., 2021, p. 1790 ss.
[5] Alla condizione, peraltro, che vi sia una convalida successiva dell’OEI da parte di un organo giudiziario.
[6] In questo senso il considerando n. 10 della direttiva.
[7] Il che, dal punto di vista del nostro ordinamento, conferma la correttezza della scelta a favore dell’equivalenza operata dall’art. 27 comma 1 del d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108 (che ha trasposto la direttiva nel nostro sistema), nel momento in cui ha conferito il potere di emettere l’ordine europeo al “pubblico ministero” e al “giudice che procede” “nell’ambito delle rispettive attribuzioni”.
[8] È un pericolo che nel nostro sistema, peraltro, è attenuato dal fatto che, stando all’art. 5 del d.lgs. n. 108 del 2017, l’esecuzione dell’OEI dovrebbe essere autorizzata dal giudice per le indagini preliminari ogni volta in cui l’atto istruttorio richiesto debba essere compiuto, secondo la legge italiana, da un giudice.
[9] Similmente, la Corte, con la sentenza Gavanozov dell’11 novembre 2021, C-852/19, ha ricavato dal diritto al ricorso effettivo previsto dall’art. 47 Carta di Nizza l’esigenza che il diritto nazionale preveda adeguati mezzi di impugnazione nei confronti dell’OEI anche qualora essi non fossero previsti in rapporto ad caso interno analogo, anche qui fissando uno standard di tutela unitario indipendente dalle caratteristiche della lex fori: v., sul punto, C. De Luca, La Corte di giustizia si pronuncia nuovamente sull’ordine europeo di indagine penale: la tutela dei diritti fondamentali prevale sull’efficienza investigativa, in questa Rivista, 9 marzo 2021.
[10] Vale a dire, l’art. 15 della direttiva 2002/58 del 12 luglio 2002.
[11] Cfr., al riguardo, J. Della Torre, L’acquisizione dei tabulati telefonici nel processo penale dopo la sentenza della Grande Camera della Corte di Giustizia UE: la svolta garantista in un primo provvedimento del g.i.p. di Roma, in questa Rivista, 29 aprile 2021.
[12] Così come modificati dal d.l. 30 settembre 2021, n. 132.
[13] Ai sensi del quale il livello di protezione dei diritti fondamentali a livello eurounitario dovrebbe raggiungere, perlomeno, quello assicurato dalla CEDU: cfr. sul punto M. Daniele, La triangolazione delle garanzie processuali fra diritto dell’Unione Europea, CEDU e sistemi nazionali, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2016, f. 4, p. 53 ss.
[14] Cfr. Corte eur., 18 marzo 2019, Brazzi c. Italia, § 41 s., secondo cui pure le perquisizioni tali da non dare adito ad un sequestro richiedono anch’esse un’autorizzazione o, perlomeno, il controllo ex post di un giudice.
[15] V., al riguardo, M. Daniele, Il riconoscimento “di fatto” dell’ordine europeo di indagine: un’altra censura della Cassazione, in Dir. pen. cont., 16 aprile 2019.
[16] Nel processo instaurato nello Stato di emissione – si legge nell’art. 14 par. 7 della direttiva – vanno rispettati i diritti della difesa e deve essere garantito un giusto processo «nel valutare le prove acquisite tramite l’OEI», «fatte salve le norme procedurali nazionali».
[17] In particolare, “la necessità di escludere informazioni ed elementi di prova ottenuti in violazione delle prescrizioni del diritto dell’Unione” dovrebbe essere valutata alla luce del rischio che la loro ammissibilità “comporta per il rispetto del principio del contraddittorio e, pertanto, del diritto a un processo equo”, considerando le possibilità per la difesa di interloquire sulle modalità di raccolta e sul valore degli elementi”: Corte giust., 6 ottobre 2020, La Quadrature du Net e a., C-511/18, C-512/18 e C-520/18, § 222 ss., da cui sono tratte anche le precedenti citazioni riportate nel testo.
[18] Ai sensi del quale “non possono essere utilizzati” “i dati acquisiti in violazione delle disposizioni dei commi 3 e 3 bis” (che, come si è già detto, prevedono il controllo preventivo o, nei casi di urgenza, perlomeno successivo da parte del giudice).
[19] Si pensi, nel caso dell’Italia, all’esame incrociato dei testimoni.