1. Lo scorso martedì 13 luglio è iniziato, in Senato, l’esame del c.d. ‘d.d.l. Zan’ (n. 2005) recante “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”.
Il disegno di legge, approvato alla Camera nel novembre dell’anno scorso, è approdato all’esame del Senato a seguito di un serrato braccio di ferro fra forze politiche contrapposte e ha generato un ampio dibattito scientifico – non solo penalistico – oltreché reazioni contrastanti in seno all’opinione pubblica.
In attesa di ospitare nuovi contributi sul punto (rimandiamo, intanto, all’opinione sul punto a firma del prof. Bartoli, recentemente pubblicata su questa Rivista) ci limitiamo qui sinteticamente ad illustrare i contenuti del disegno di legge in esame.
2. Può anticiparsi, per sommi capi, che il cuore dell’intervento legislativo – rappresentato dagli artt. 2 e 3 del d.d.l. – è di natura strettamente penale, poiché volto ad ampliare l’ambito di applicazione dei reati attualmente contenuti nella sezione dedicata ai “delitti contro l’eguaglianza”, oltreché a modificare l’art. 1 della c.d. ‘legge Mancino’ (art. 5 del d.d.l.).
A questo nucleo duro di modifiche al diritto penale antidiscriminatorio si aggiungono, poi: una norma definitoria (art. 1 del d.d.l.), che precisa il significato dei termini ‘sesso’, ‘genere’, ‘orientamento sessuale’ e ‘identità di genere’; una norma c.d. ‘salva libertà di espressione’ rubricata “pluralismo delle idee e libertà delle scelte” (articolo 4 del d.d.l.); alcune modifiche volte a raccordare la disciplina processuale alla nuova formulazione dei delitti contro l’uguaglianza (in particolar modo quella dell’art. 90 quater, in materia di “condizioni di particolare vulnerabilità” dettata dall’art. 6 del d.d.l.); alcune misure non penali, di prevenzione e monitoraggio del fenomeno.
3. Per quanto concerne le misure più strettamente penalistiche, al centro dell’attuale dibattito, va ribadito come il d.d.l. Zan non introduca nuove fattispecie incriminatrici ma si limiti ad ampliare i confini di alcuni delitti – segnatamente quelli previsti e puniti dagli artt. 604 bis e ter c.p. – già da tempo presenti nel nostro ordinamento giuridico, seppure solo di recente inseriti all’interno del codice penale.
Più precisamente, la nuova sezione dedicata ai “delitti contro l’eguaglianza” è stata introdotta nel capo dei “delitti contro la personalità individuale” dal d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, volto ad attuare la c.d. ‘riserva di codice’. Le norme ivi contenute, tuttavia, erano già previste dal d.l. 26 aprile 1993 n. 122, convertito con modificazioni dalla l. 25 giugno 1993, n. 205 (c.d. ‘legge Mancino’) recante “Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”. La ‘Legge Mancino’, poi, era a sua volta intervenuta a modificare l’originaria legislazione antidiscriminatoria italiana, introdotta dalla l. 13 ottobre 1975 n. 654 (c.d. ‘legge Reale’), in attuazione di una Convenzione internazionale: quella sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (ICERD), firmata a New York, il 7 marzo 1966.
Breve: nella legislazione italiana sono presenti, da lungo tempo, le due norme che andiamo brevemente ad analizzare e sulle quali inciderebbe il disegno di legge. Esse hanno, ovviamente, subìto qualche modificazione nel corso degli anni, ma hanno per sommi capi mantenuto il loro assetto originario.
4. In particolar modo, l’art. 604 bis – rubricato “Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa” – punisce:
• “a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” (comma primo);
• “b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” (comma secondo).
La stessa disposizione, inoltre:
• vieta ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo che abbia tra i propri scopi quello di incitare alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e punisce chiunque vi partecipa o vi presta assistenza (comma terzo);
• prevede un’aggravante (la c.d. ‘aggravante di negazionismo’, di cui al comma quarto) “se la propaganda ovvero l'istigazione e l'incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull'apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale”.
L’art. 604 ter prevede invece un’apposita aggravante – applicabile a tutti i reati, fuorché quelli già puniti con l’ergastolo – che aumenta la pena fino alla metà se i reati sono commessi “per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità”.
5. Sulle due disposizioni appena illustrate si innesterebbe la modifica legislativa di cui al d.d.l. Zan. Il disegno di legge mira – esclusivamente, si badi bene – ad aggiungere al novero delle possibili discriminazioni che la legge già prende in considerazione (razza, etnia, nazione, religione) quelle, nuove, del sesso, del genere, dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere e della disabilità (art. 2 e 3 del d.d.l).
Il testo delle norme appena analizzate verrebbe, allora, così modificato:
“604-bis. Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa o fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità.
[1] Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito:
a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità;
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità.
[2] È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni.
[3] Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l'istigazione e l'incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull'apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale”.
604-ter. Circostanza aggravante
[1] Per i reati punibili con pena diversa da quella dell'ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso oppure per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità la pena è aumentata fino alla metà.
[2] Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'articolo 98, concorrenti con l'aggravante di cui al primo comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante.
6. Il disegno di legge, inoltre, si premura di agire in due diverse direzioni, onde scongiurare o minimizzare le principali criticità emerse dal dibattito sulla riforma.
6.1. In primo luogo, il d.d.l. prevede una disposizione definitoria che precisa le nozioni di ‘sesso’, ‘genere’, ‘orientamento sessuale’ e ‘identità di genere’, al fine di assicurare una maggiore determinatezza della norma penale.
Così l’art. 1 del d.d.l. – rubricato “definizioni” – recita: “Ai fini della presente legge: a) per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico; b) per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; c) per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi; d) per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.
6.2. In secondo luogo, il d.d.l. si premura di minimizzare le frizioni fra il delitto di cui all’art. 604 bis – come emergente dalla riforma – e il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, sancito dall’art. 21 della Costituzione.
A tale fine, si prevede innanzi tutto che nel novero delle condotte punibili per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità non rientri la propaganda di idee – che rimarrebbe penalmente rilevante, come prevede l’attuale formulazione della norma, solo se le idee sono fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico – ma solo l’istigazione a commettere o la commissione di atti di discriminazione o di violenza o di atti di provocazione alla violenza.
Una specifica disposizione è poi riservata, dal disegno di legge, a chiarire il rapporto fra la riforma e il diritto di manifestare il proprio pensiero. L’art. 4 del d.d.l. – rubricato “Pluralismo delle idee e libertà delle scelte” – recita infatti che: “ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a de terminare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.
7. Sempre sul versante strettamente penalistico il d.d.l. si premura, poi, di agire sul sistema delle sanzioni correlate alla violazione degli artt. 604 bis e ter, disciplinate dall’art. 1 della c.d. ‘Legge Mancino’. In particolar modo, l’art. 5 del d.d.l. sostituisce i commi 1 ter e 1 quater della suddetta disposizione, stabilendo che “nel caso di condanna per uno dei delitti indicati al comma 1 bis, la sospensione condizionale della pena può essere subordinata, se il condannato non si oppone, alla prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività secondo quanto previsto dai commi 1 quater, 1 quinquies e 1 sexies. Per i medesimi delitti, nei casi di richiesta dell’imputato di sospensione del procedimento con messa alla prova, per lavoro di pubblica utilità si intende quanto previsto dai commi 1 quater, 1 quinquies e 1 sexies”.
8. Il disegno di legge contempla, infine, una serie di misure non penali, volte alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica e alla promozione del rispetto e dell’inclusione in questo ambito – si pensi, in particolar modo, all’istituzione di una giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia (art. 7 del d.d.l.) – oltreché al monitoraggio del fenomeno (art. 10 del d.d.l.) e alla formulazione di una strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere, comprensiva dell’istituzione di appositi centri in grado di offrire assistenza legale, psicologica, sanitaria e sociale alle vittime (artt. 8 e 9 del d.d.l.).