Scheda  
10 Gennaio 2022


Il nuovo assetto del reato di incendio boschivo dopo il “decreto incendi” (d.l. 8 settembre 2021, n. 120, convertito con l. 8 novembre 2021, n. 155)


Silvia Bernardi

1. L’estate del 2021 è stata segnata, oltre che dall’emergenza pandemica, da una grave emergenza ambientale: i grandi incendi – secondo una stima della Coldiretti[1] – sono cresciuti del 256%, devastando decine di migliaia di ettari di bosco, macchia mediterranea, terreni agricoli e pascoli in diverse regioni d’Italia.

La gravità della situazione ha posto il legislatore di fronte all’esigenza di individuare nuove misure per prevenire e arginare il problema, conducendolo all’emanazione del d.l. n. 120 dell’8 settembre 2021 «recante disposizioni per il contrasto degli incendi boschivi e altre misure urgenti di protezione civile», altresì noto come “decreto incendi”, da ultimo convertito con alcune modificazioni nella legge 8 novembre 2021, n. 155.

 

2. Tale intervento normativo si pone l’obiettivo di rafforzare il sistema di previsione, prevenzione e contrasto degli incendi boschivi, integrando e in parte modificando quanto già previsto dalla «Legge-quadro in materia di incendi boschivi» n. 353 del 21 novembre 2000.

A questo fine, la riforma mira anzitutto a migliorare l’azione di coordinamento tra Stato e Regioni, introducendo lo strumento del Piano nazionale di coordinamento per l’aggiornamento tecnologico e l’accrescimento della capacità operativa nelle azioni di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi, da adottare su base triennale, ma suscettibile di aggiornamento annuale; un secondo, importante asse riguarda il rafforzamento della capacità operativa del Dipartimento di Protezione civile e del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, specialmente in punto di aggiornamento tecnologico (con riferimento all’acquisizione di nuovi mezzi operativi, terrestri e aerei, e di attrezzature innovative, anche satellitari) e di reclutamento del personale; in terzo luogo, il decreto punta all’accelerazione delle procedure di aggiornamento del catasto dei soprassuoli percorsi dal fuoco, al quale spesso i Comuni non provvedono tempestivamente, attribuendo poteri sostitutivi alle Regioni[2]. Alle Regioni viene inoltre conferita la possibilità di individuare aree da sottoporre a rimboschimento compensativo delle superfici bruciate.

 

3. Alle misure qui brevemente richiamate si aggiungono numerose e rilevanti novità di interesse per il penalista, alle quali è dedicato l’intero art. 6 del decreto, rubricato “Modifiche al codice penale”.

Alcune di tali modifiche incidono direttamente sul testo dell’art. 423-bis c.p., che sanziona il delitto di incendio boschivo, o più precisamente i delitti di incendio boschivo: la norma, infatti, prevede due distinte fattispecie, una dolosa (al comma 1) e una colposa (al comma 2), entrambe configurate come reati d’evento a forma libera. Secondo l’interpretazione prevalente, si tratterebbe di reati di danno, in quanto il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice viene individuato (unicamente) nel patrimonio boschivo, a dispetto della scelta del legislatore del 2000 di collocare l’art. 423-bis nel titolo dedicato ai delitti contro la pubblica incolumità; nel caso in cui la condotta di incendio boschivo cagioni altresì un pericolo per l’incolumità pubblica, di conseguenza, il reato de quo dovrebbe concorre con il delitto di incendio “semplice” di cui all’art. 423 (e con la corrispondente figura colposa delineata dall’art. 449)[3].

 

3.1. Il “decreto incendi” interviene anzitutto sul primo comma dell’articolo in questione, inserendo dopo il termine «chiunque» la clausola di riserva «al di fuori dei casi di uso legittimo delle tecniche di controfuoco e di fuoco prescritto»; l’intervento, ci pare, non restringe effettivamente l’area del penalmente rilevante, ma esclude dalla tipicità del fatto condotte che, comunque, sarebbero state lecite ai sensi dell’art. 51 c.p.[4]

 

3.2. Una seconda modifica concerne poi il terzo comma, che ora prevede una circostanza aggravante speciale a efficacia comune per il caso in cui dall’incendio derivi «pericolo per edifici o danno su aree o specie animali o vegetali protette o su animali domestici o di allevamento», mentre in precedenza accanto al pericolo per edifici la norma contemplava il solo «danno su aree protette». La novella ha pertanto determinato un’estensione della tutela apprestata dall’aggravante in parola anche ad animali e piante, con conseguenze – secondo quanto osservato dai primi commentatori – anche sull’interpretazione del successivo comma 4, il quale prevede un ulteriore aggravamento di pena in caso di «danno grave, esteso e persistente all’ambiente», da intendersi «come ecosistema, come habitat comprensivo di flora e fauna»[5].

 

3.3. La novità più significativa, tuttavia, risiede nell’introduzione nel testo dell’art. 423-bis c.p. di due nuovi commi, i quali configurano due speciali circostanze attenuanti a effetto speciale.

Il nuovo quinto comma stabilisce che la pena sia diminuita dalla metà a due terzi «nei confronti di colui che si adopera per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi». La norma è costruita sul modello dell’attenuante del ravvedimento operoso prevista dall’art. 452-decies c.p. per i c.d. eco-delitti introdotti dalla l. n. 68 del 2015; tale – ormai classica – fattispecie premiale è peraltro integrata dall’ulteriore previsione dell’inapplicabilità al soggetto che abbia efficacemente provveduto al ripristino dello stato dei luoghi della confisca introdotta dal nuovo art. 423-quater, di cui si dirà a breve.

Il neo-introdotto sesto comma prevede poi una diminuzione da un terzo alla metà «nei confronti di colui che aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti». Anche in questo caso, l’attenuante trova un chiaro riferimento nell’art. 452-decies c. 1 ultima parte, estendendo l’ormai diffusa figura del “ravvedimento processuale” anche al delitto di incendio boschivo[6].

 

3.4. È stata invece soppressa in sede di conversione la circostanza aggravante introdotta dalla versione originaria dell’art. 6 del decreto-legge, volta a sanzionare con un’autonoma cornice edittale (reclusione da sette a dodici anni) i fatti di incendio boschivo cagionati «con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti allo svolgimento di servizi nell'ambito della prevenzione e della lotta attiva contro gli incendi boschivi». Tale previsione voleva costituire la risposta del Governo ad alcuni casi di cronaca che avevano destato scalpore nell’opinione pubblica e che avevano visto come protagonisti proprio alcuni forestali, sospettati di aver appiccato incendi dolosi al fine di garantirsi il posto di lavoro; il Parlamento ha tuttavia ritenuto opportuno elidere la circostanza aggravante, comunque dedicando alla fattispecie una specifica pena accessoria.

 

3.5. In punto di pene accessorie, infatti, la riforma introduce un nuovo art. 423-ter (rubricato, appunto, “Pene accessorie”), composto da due distinti commi. Il primo comma stabilisce che alla condanna alla reclusione non inferiore a due anni per il delitto di incendio boschivo doloso segua l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego nei confronti del dipendente di amministrazioni od enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica; ai sensi del secondo comma, inoltre, la condanna per il delitto ex art. 423-bis c. 1 c.p. importa sempre l’interdizione da cinque a dieci anni dall’assunzione di incarichi o dallo svolgimento di servizi nell’ambito della lotta attiva contro gli incendi boschivi.

Resta ferma l’applicabilità delle pene accessorie previste dagli artt. 29 (interdizione dai pubblici uffici) e 31 (interdizione temporanea dai pubblici uffici o da una professione, arte, industria, commercio o mestiere), oltre che della sanzione accessoria dell’incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione di cui all’art. 32-quater, il cui campo di applicazione è stato opportunamente esteso dall’art. 6 del decreto in esame, includendovi il riferimento all’art. 423-bis primo comma.

 

3.6. Di nuova introduzione è anche l’art. 423-quater, rubricato “Confisca”, il quale definisce un’ulteriore ipotesi di confisca obbligatoria con riferimento ai «beni che costituiscono il prodotto o il profitto del reato e delle cose che servirono a commettere il reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato», eseguibile, ai sensi del secondo comma, anche per equivalente. Il terzo comma del nuovo articolo prevede che i beni oggetto di confisca siano messi nella disponibilità della pubblica amministrazione competente e che il loro utilizzo sia vincolato al ripristino dei luoghi, mentre l’ultimo comma, come si anticipava, stabilisce che la confisca non operi nel caso in cui l’imputato abbia efficacemente provveduto al ripristino dello stato dei luoghi.

Anche tale norma trova un preciso antecedente nell’art. 452-undecies in tema di eco-delitti, confermando la volontà del legislatore di considerare il delitto di incendio boschivo quale parte effettiva del sistema di tutela penale dell’ambiente, nonostante la differente collocazione all’interno del codice.

Un’ulteriore ipotesi di confisca obbligatoria, di carattere amministrativo, è peraltro delineata anche dall’art. 5 del “decreto incendi”, che introduce un nuovo periodo all’interno dell’art. 10 c. 3 della citata legge quadro n. 353 del 2000: in base a tale norma, in caso di trasgressione al divieto di pascolo su soprassuoli di zone boscate percorse dal fuoco – punito ai sensi del medesimo comma con una sanzione amministrativa pecuniaria – è sempre disposta la confisca degli animali qualora il trasgressore nei dieci anni precedenti sia stato condannato ai sensi dell’art. 423-bis c.1 c.p. in relazione alle medesime zone boscate.

 

3.7. Da ultimo, l’art. 6 del decreto incide anche sull’art. 425 c.p., aggiungendo le aziende agricole all’elenco dei luoghi rispetto ai quali la commissione dei delitti di incendio (art. 423 c.p.) e di danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.) risulta meritevole di un aggravamento di pena.

 

 

[2] L’aggiornamento del catasto è funzionale a rendere effettivi i divieti sanciti dall’art. 10 l. 21 novembre 2000, n. 353, tra cui il divieto di mutamento della destinazione d’uso dei soprassuoli percorsi dal fuoco per il tempo di 15 anni, di edificazione per il tempo di dieci anni, di pascolo e caccia per il tempo di dieci anni. Tali prescrizioni sono assistite da sanzioni amministrative, oltre che da sanzioni civili (ad esempio, si prevede la nullità dei contratti di compravendita di aree e immobili situati nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dall’incendio, che non richiamino espressamente il suddetto vincolo di destinazione).

[3] A riguardo può rimandarsi, per tutti, a S. Corbetta, sub Art. 423-bis c.p., in E. Dolcini – G.L. Gatta, Codice penale commentato, V ed., Milano, 2021, p. 2361 ss.

[4] Definisce la clausola in questione «a rigore superflua» C. Ruga Riva, Fuoco, bosco, animali: prime osservazioni sul novellato delitto di incendio boschivo (art. 423-bis cp), Leg. pen. (web), 14.12.2021, p. 2.

[5] In questi termini, C. Ruga Riva, Fuoco, bosco, animali, cit., p. 3.

[6] In proposito si può rimandare alle considerazioni di C. Ruga Riva, Fuoco, bosco, animali, cit., p. 6, il quale osserva che la formula «sottrazione di risorse rilevanti» mal si attaglia al delitto di incendio boschivo e verosimilmente costituisce il frutto di un disattento “copia-incolla” del legislatore da attenuanti di identico tenore pensate per fenomeni diversi.