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27 Gennaio 2022


Le novità operative introdotte dal decreto interministeriale 20 dicembre 2021 in materia di rifusione delle spese legali agli imputati assolti


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1. La l. 30 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021) ha introdotto nel sistema italiano un innovativo diritto alla rifusione delle spese legali in favore degli imputati assolti[1]. È stata così fornita una prima generale risposta all’esigenza, da più parti sentita in dottrina[2], di assicurare un qualche rimedio riparatorio a chi è stato sottoposto a un procedimento penale conclusosi con esito a lui favorevole[3]. Sullo sfondo, milita la concezione del “processo come pena”[4], per cui «ogni vicenda giudiziaria produce necessariamente una sofferenza per l’innocente»[5]. L’idea di una rifusione delle spese legali del prosciolto rappresenta, in altre parole, il risvolto di una «logica “riparatoria” rispetto a un “danno” da attività giudiziaria lecita»[6].

La normativa demandava, d’altra parte, a un apposito decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, l’individuazione dei profili operativi del novum legislativo. Sennonché, anche in ragione delle difficoltà pratiche legate alla messa in funzione del nuovo istituto, specie a fronte, come meglio si vedrà, dell’esiguo fondo a esso destinato[7], tale provvedimento ha tardato per molto tempo ad arrivare.

Il 20 gennaio 2022, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto 20 dicembre 2021[8], si è finalmente posto fine a questa situazione di impasse. Si assiste, così, alla messa a punto di una disciplina operativa piuttosto dettagliata, che ha il merito di integrare notevoli aspetti su cui la l. n. 178 del 2020 è rimasta, pressoché, silente.  

 

2. Ai fini di una migliore comprensione delle novità apportate dal decreto interministeriale, giova, anzitutto, ripercorrere brevemente la disciplina condensata nell’art. 1, commi 1015-1022 della l. n. 178 del 2020.

Come si è anticipato, la novella enuclea un innovativo e generale diritto dell’imputato alla rifusione delle spese legali, purché assolto con sentenza irrevocabile «perché il fatto non sussiste, perché non ha commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato» (art. 1, comma 1015). Dal canto suo, il comma 1018 dell’art. 1 della legge in esame circoscrive il campo applicativo della garanzia. La disposizione ha, invero, cura di escludere il rimborso nei casi di «assoluzione da uno o più capi di imputazione e condanna per altri reati»; di «estinzione del reato per avvenuta amnistia o prescrizione»[9]; nonché, infine, di «sopravvenuta   depenalizzazione   dei   fatti   oggetto   di imputazione».

Per quanto riguarda il quantum della rifusione, esso non può superare la soglia di 10.500 euro (art. 1, comma 1015) e deve essere ripartito in tre quote annuali dello stesso ammontare, da elargire a partire dall’anno successivo in cui è divenuta irrevocabile la sentenza. Si esclude, inoltre, che tale somma possa costituire un’ipotesi di reddito ai sensi del TUIR (art. 1, comma 1016).

Il comma 1017 dell’art. 1 l. n. 178 del 2020 delinea, inoltre, alcune modalità operative per ottenere il riconoscimento della tutela: occorre la presentazione della fattura del legale, con indicazione della causale e dell’avvenuto pagamento, unita, da un lato, a un parere di congruità formulato dal competente Consiglio dell’ordine degli avvocati e, dall’altro, a una copia del provvedimento di assoluzione con l’attestazione da parte della cancelleria dell’intervenuta irrevocabilità.

Di particolare rilievo è, inoltre, la previsione di cui all’art. 1, comma 1020 della legge di bilancio, con cui viene disposta l’istituzione nello stato di previsione del Ministero della giustizia di un «Fondo per il rimborso delle spese legali agli imputati assolti», dotato di 8 milioni di euro annui a partire dal 2021 per assicurare il diritto. A ciò si affianca il disposto del comma 1021, che, sempre sul piano economico, ha modo di escludere una qualsiasi variazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie presso il Ministero della giustizia, «senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica», ai fini degli incombenti derivanti dalla riforma.

Completa il quadro il comma 1022 dell’art. 1 della legge de qua, la quale precisa, dal punto di vista temporale, che la nuova disciplina si applica ai casi di sentenze di assoluzione divenute irrevocabili dopo l’entrata in vigore della normativa in commento e, quindi, a partire dal 1° gennaio 2021.

 

3. Ebbene, in tale contesto si è inserito il decreto interministeriale 20 dicembre 2021. Sulla scia di quanto dettato dall’art. 1, comma 1019, l. n. 178 del 2020, il provvedimento ha avuto il compito di prevedere gli ulteriori profili necessari per la concreta operatività del nuovo diritto. Si tratta, più specificamente, «[de]i criteri e [del]le modalità di erogazione dei rimborsi», nonché «[del]le ulteriori disposizioni ai fini del contenimento» della spesa destinata per la garanzia, avuto riguardo al numero di gradi in cui si è svolto il procedimento e alla sua durata complessiva.

In particolare, il decreto in commento consta di sette articoli, i quali, a una visione di insieme, si distinguono per offrire una disciplina a tutto tondo sul complesso degli aspetti per la concretizzazione del diritto: si va dall’elencazione dei requisiti di accesso alla tutela alle modalità di presentazione della domanda e del contenuto di quest’ultima, dai criteri di priorità nell’ammissione delle istanze alla procedura di verifica e di pagamento del rimborso.

Il provvedimento si apre con alcune precisazioni terminologiche, valevoli ai fini della normativa stessa. Senza voler soffermarsi su ciascuna di esse, in quanto non necessitano di particolari chiarimenti, vi è, tuttavia, una che merita porre in risalto, giacché delimita l’area di azione della nuova garanzia. Più nel dettaglio, la lett. g) dell’art. 1, comma 2 del provvedimento chiarisce una questione interpretativa di non poco conto, che deve, a ben considerare, la sua origine alla mancanza di chiarezza della l. n. 178 del 2020.

Invero, a una prima lettura di quest’ultimo atto, sorgeva spontanea la domanda circa la reale estensione del diritto[10]. L’utilizzo dell’espressione “spese legali” pareva indicare che il rimborso di nuovo conio includesse non solo le spese del difensore, ma anche quelle di altri professionisti[11], come, in particolare, il consulente tecnico o l’investigatore privato autorizzato. Sennonché, il contenuto del comma 1017 dell’art. 1 l. n. 178 del 2020 sembrava sbarrare la strada a una tale esegesi: si rammenti, infatti, che questa disposizione condiziona il riconoscimento della tutela alla presentazione della fattura del solo patrocinatore, corredata da un parere di congruità da parte del Consiglio dell’ordine degli avvocati. Di modo che, poteva effettivamente essere prediletta la tesi secondo cui la portata del rimborso fosse stata pensata per operare limitatamente alle spese sostenute per pagare la difesa tecnica.

Ebbene, una tale conclusione trova ora una diretta e chiara conferma proprio nella definizione di “spese legali” offerta dal decreto: esse vengono, in particolare, identificate nelle «spese sostenute dall’imputato esclusivamente per remunerare il professionista legale che lo ha assistito». Ne consegue, quindi, che rimangono fuori dal raggio di intervento della nuova garanzia tutti gli ulteriori esborsi che possono sorgere nell’esercizio delle prerogative difensive.

Per quel che concerne, invece, la portata ratione temporis del provvedimento, quest’ultima è, per ovvie ragioni, allineata a quella della l. n. 178 del 2020, sicché le previsioni del decreto trovano applicazione con riferimento alle sentenze divenute irrevocabili a partire dal 1° gennaio 2021 (art. 6, comma 1 del decreto).

Da osservare, infine, che l’intero quadro di novità apportate dall’atto si erge sulla consueta clausola di invarianza finanziaria. Difatti, dall’attuazione del medesimo «non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica», dovendo il Ministero adempiervi «con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente» (art. 7, comma 1 del provvedimento). Ne esce, pertanto, confermato di essere in presenza di un intervento complessivo pressoché “a costo zero”, con nuovi oneri in capo all’amministrazione, senza, tuttavia, le necessarie implementazioni di mezzi e persone.

Queste, in definitiva, le coordinate generali del provvedimento: non resta che addentrarsi nelle previsioni di dettaglio tratteggiate dallo stesso.

 

4. L’intero art. 2 del decreto è dedicato alla disciplina dei presupposti per l’accesso alla tutela.

Sulla falsariga di quanto statuito dall’art. 1, comma 1015, l. n. 178 del 2020, vengono enucleate le formule terminative della sentenza di assoluzione legittimanti il riconoscimento della garanzia. L’interessato deve, più nel dettaglio, essere stato assolto con sentenza perché il fatto non sussiste, perché non ha commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, con l’ulteriore precisazione che, in quest’ultimo caso, è esclusa l’ipotesi di abolitio criminis (art. 2, comma 2, lett. a).

Ai sensi della lett. b) dell’art. 2, comma 2 del decreto, si richiedono, sempre in linea con la prescrizione della l. n. 178 del 2020, l’irrevocabilità della pronuncia di assoluzione, nonché l’assenza di una qualsiasi condanna per una delle imputazioni contestate al richiedente. Trattasi, quest’ultima, di una previsione che concretizza quanto dettato dall’art. 1, comma 1018, lett. a), l. n. 178 del 2020, rispetto al quale erano sorte, già in sede di commento al novum legislativo, alcune, condivisibili, osservazioni critiche[12]. Le perplessità si elevano, in particolare, laddove ci si soffermi su quelle ipotesi in cui l’imputato sia stato assolto per reati particolarmente gravi e condannato per una fattispecie bagatellare, come una contravvenzione[13]. In questo caso, sarebbe stato, invero, auspicabile prevedere comunque una rifusione parziale delle spese legali sostenute; poiché ciò non è avvenuto, la disposizione, così come poi declinata e ribadita nel decreto, rischia di peccare di irragionevolezza.

Ma non è tutto. Se l’attenzione permane sulle condizioni espresse dall’art. 2, comma 2, lett. b) del provvedimento in analisi, ci si imbatte in un’ulteriore perplessità e in un dubbio esegetico.

Quanto al primo aspetto, dalla formulazione contenuta nell’atto sembra evincersi che il riconoscimento del rimborso è negato non solo nel caso in cui l’imputato sia stato assolto per uno o più capi di imputazione e condannato per un altro reato, ma anche se sia stata pronunciata, accanto a una assoluzione legittimante il riconoscimento del diritto, l’estinzione del reato per prescrizione o amnistia in relazione a un altro capo di imputazione. Ebbene, le riserve si stagliano in maniera evidente di fronte alla considerazione secondo cui si è in presenza di un limite operativo che non pare trovare alcun fondamento, nemmeno implicito, nella l. n. 178 del 2020.

Rispetto, invece, alla questione interpretativa, ci si chiede se la negazione del diritto valga anche nell’ipotesi in cui, oltre a una pronuncia di assoluzione rientrante tra i casi di riconoscimento della tutela, il prevenuto sia stato assolto per un ulteriore reato con una formula terminativa esclusa dal raggio di azione della garanzia, ad esempio, per difetto di imputabilità. Il silenzio serbato sul punto, nell’ambito dei requisiti di accesso al rimborso, sembra far propendere per la risposta negativa, di modo che, in sostanza, l’interessato parrebbe, in tal caso, aver diritto alla rifusione delle spese legali sostenute[14]. Al contempo, però, non si può trascurare il dettato dell’art. 1, comma 2, lett. e) del decreto, il quale definisce “imputato assolto” il soggetto assolto con le formule legittimanti il riconoscimento della tutela «per tutti i capi di imputazione a lui contestati» (corsivo nostro). Ad ogni modo, proprio l’assenza di una indicazione analoga tra i criteri di riconoscimento della garanzia di cui all’art. 2 del decreto, nonché, e soprattutto, la mancata esplicita menzione di siffatto limite nella l. n. 178 del 2020 paiono elementi determinanti per ritenere preferibile la soluzione qui prospettata, e cioè che alcun ostacolo sembrerebbe sussistere in caso di assoluzione per un altro capo di imputazione con una formula posta al di fuori nell’area di applicazione del rimborso.

Peraltro, oltre ai requisiti appena considerati, il decreto si preoccupa di esplicitarne altri, nell’evidente intento di evitare una indebita duplicazione di tutele. A queste ipotesi sono, più precisamente, dedicate le lett. c) – e) dell’art. 2, comma 2 del provvedimento.

Così, si esclude, anzitutto, il riconoscimento della garanzia in caso di ammissione dell’interessato al patrocinio a spese dello Stato nel medesimo procedimento (art. 2, comma 2, lett. c). La ratio di tale disposizione è chiara. Se l’imputato ha goduto dell’assistenza legale gratuita, con conseguente copertura da parte dell’erario di tutti i costi legati alla difesa, egli non può avere, al contempo, diritto al rimborso delle spese legali; e ciò, evidentemente, in quanto alcuna spesa difensiva è stata mai personalmente versata.

Se questo è vero, la previsione sembra, ad ogni modo, lasciare irrisolto il particolare caso in cui il patrocinio per i non abbienti, una volta concesso, sia stato, tuttavia, revocato, ad esempio, per sopravvenuto superamento delle condizioni reddituali ex art. 112, comma 1, lett. b), d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115[15]. Si pensi all’ipotesi di un procedimento sviluppatosi sino al giudizio di Cassazione, in cui il decreto di riconoscimento del patrocinio statale, intervenuto in primo grado, sia stato successivamente revocato in quello successivo.

Sulla scorta del tenore letterale della disposizione in discorso («l’imputato assolto non abbia beneficiato nel medesimo procedimento del patrocinio a spese dello Stato»), la soluzione adottata dal decreto interministeriale sembrerebbe quella secondo cui sia sufficiente, ai fini dell’esclusione del rimborso delle spese legali, la semplice ammissione all’assistenza legale gratuita, a prescindere da una successiva revoca del provvedimento di riconoscimento della tutela. Sennonché, l’interpretazione preferibile, basata sulla valorizzazione della ragione dell’esclusione della garanzia in commento nel caso di specie, parrebbe piuttosto quella di ritenere comunque sussistente il diritto per l’arco temporale in cui non vi sia stata una copertura pubblica delle spese del difensore in forza del patrocinio a spese dello Stato[16].

Nondimeno, ferma la preferenza avanzata per quest’ultima esegesi, va, in ogni caso, segnalato un ostacolo letterale di non poco conto. Come si vedrà, l’art. 3 del decreto, dedicato al contenuto dell’istanza, prescrive, tra l’altro, di attestare ai sensi dell’art. 46 d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 «che l’imputato non ha beneficiato nel medesimo procedimento del patrocinio a spese dello Stato»[17]. Ne deriva che, in forza della littera legis di quest’ultima previsione – la quale, del resto, riprende la formula di cui all’art. 2 dell’atto – la tesi che si è proposta risulta difficilmente sostenibile sul piano pratico.

Sempre nella prospettiva di disciplinare eventuali sovrapposizioni di fattispecie tra loro ontologicamente incompatibili, l’art. 2, comma 2, lett. d) del provvedimento preclude il rimborso delle spese legali nel caso in cui si sia «ottenuto nel medesimo procedimento la condanna del querelante alla rifusione delle spese di lite» ex artt. 427 o 542 c.p.p.

La precisazione è da accogliere con favore, poiché si premura di coordinare il nuovo istituto con il panorama normativo in cui si è inserito. Eppure, una riserva permane. Se, infatti, il decreto ha preso in esame l’ipotesi della condanna alle spese legali del querelante, per altro verso, ha lasciato fuori l’analoga fattispecie riguardante la parte civile ex art. 541, comma 2, c.p.p.[18]. Forse, il motivo di tale omissione va ricercata nella circostanza che, in effetti, quest’ultima ipotesi circoscrive la condanna alla rifusione delle spese limitatamente a quelle affrontate dal prevenuto in ragione dell’esercizio dell’azione civile[19]. Tuttavia, vi è da rilevare che, a prescindere dal silenzio mantenuto al riguardo, laddove abbia trovato concretamente applicazione l’art. 541, comma 2, c.p.p., la garanzia di cui alla l. n. 178 del 2020 non sembra comunque poter operare. Ammettere altrimenti, infatti, finirebbe per ingenerare un’ipotesi di indebito arricchimento per quanto concerne l’ammontare di quelle spese già rifuse dalla parte civile all’imputato[20].  

Ad ogni buon conto, al di là di quest’ultima osservazione, sembra, piuttosto, essere un’altra la questione maggiormente problematica visibile a fronte di tale previsione. Nonostante l’intervenuto decreto, rimane ancora aperto il problema attinente alla situazione in cui, pur potendo astrattamente configurarsi il caso di rifusione delle spese a opera dei privati ex artt. 427, 542 e 541 c.p.p., difetta una apposita richiesta in tale senso da parte dell’imputato, la quale è una condicio sine qua non per disporre la condanna del querelante o della parte civile[21]. In ragione di esigenze di risparmio della spesa pubblica e, soprattutto, dell’esiguità del fondo destinato al diritto in analisi, non si può che condividere l’assunto secondo cui «forse sarebbe stato più razionale un meccanismo che, con specifico riferimento ai processi aventi ad oggetto reati procedibili a querela, subordinasse l’intervento dello Stato nel rimborso delle spese legali al rigetto della richiesta di condanna del querelante»[22]. Analogamente, la stessa conclusione sarebbe dovuta valere anche in relazione ai procedimenti che vedono coinvolta la parte civile.

Per concludere sul punto, la lett. e) dell’art. 2, comma 2 del decreto condiziona la sussistenza della garanzia al presupposto che l’interessato «non abbia diritto al rimborso delle spese legali dall’ente da cui dipende» ex art. 18 d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito in l. 23 maggio 1997, n. 135.

Si è di fronte, a ben guardare, a uno dei due casi in cui era visibile, prima della l. n. 178 del 2020, la configurazione eccezionale di un onere dello Stato alla rifusione delle spese legali in favore del prosciolto[23]. Ora, dal momento che si tratta di una ipotesi speciale rispetto a quella contemplata nella l. n. 178 del 2020, è chiaro che, laddove operante, deve ritenersi prevalente rispetto a quest’ultima.

Peraltro, la disposizione de qua sollecita un rilievo. Non può, infatti, sottacersi che il decreto ha contemplato solo la fattispecie di rimborso delle spese in favore dei dipendenti pubblici, e non anche il più recente caso di cui all’art. 115-bis d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 8 l. 26 aprile 2019, n. 36[24]. Eppure, va detto che quest’ultima ipotesi costituisce, insieme alla prima, un ulteriore eccezionale esempio, ravvisabile anteriormente alla l. n. 178 del 2020, di rifusione delle spese legali nei confronti del prevenuto risultato “vittorioso” all’esito di un procedimento penale.

Insomma, tale mancanza sembra rappresentare una conferma di quanto si è rilevato poc’anzi in relazione alla omessa considerazione dell’art. 541 c.p.p. Detto altrimenti, il provvedimento in esame, mentre, da un lato, ha opportunatamente tentato di coordinare il nuovo istituto con l’assetto preesistente, dall’altro lato, non pare aver conseguito fino in fondo questo obiettivo. Pure la disciplina valevole in caso di legittima difesa “domiciliare” o di eccesso colposo nella legittima difesa “domiciliare” risulta, infatti, avere carattere speciale rispetto a quella di cui alla l. n. 178 del 2020, onde per cui la sua eventuale rilevanza esclude, di per sé, l’operatività di quest’ultima normativa. Va da sé che, siccome è stata considerata l’ipotesi di rifusione delle spese concernente i dipendenti pubblici, per coerenza e, soprattutto, per evitare ogni sorta di dubbio al riguardo, sarebbe stato auspicabile riportare anche l’art. 115-bis d.P.R. n. 115 del 2002.

Né, d’altra parte, – val la pena chiarirlo – l’ipotesi contemplata da quest’ultima disposizione può reputarsi riconducibile alla garanzia del patrocinio a spese dello Stato e, come tale, rientrante nell’ulteriore requisito di cui all’art. 2, comma 2, lett. c) del decreto. Si consideri, infatti, che la previsione in discorso è racchiusa nel titolo III del d.P.R. n. 115 del 2002 in cui sono collocati casi tra loro eterogenei, accomunati dalla sola circostanza di caratterizzarsi per un’«estensione, a limitati effetti, della disciplina del patrocinio a spese dello Stato prevista per il processo penale»[25]. Più nel dettaglio, l’art. 115-bis d.P.R. n. 115 del 2002 rinvia alla normativa sul patrocinio statale esclusivamente, per l’appunto, ai fini di commutarne la disciplina quanto alle modalità di liquidazione delle spese del difensore, dell’ausiliario del magistrato e del consulente tecnico, ma, per il resto, e, in particolar modo, in ragione della differente ratio, l’ipotesi ivi prevista si distingue nettamente dall’istituto del patrocinio per i non abbienti.

 

5. Una volta chiariti i requisiti di accesso al diritto di rifusione delle spese legali, il decreto si snoda in un’articolata normativa riguardante la procedura di riconoscimento della garanzia.

In primo piano, si colloca quanto sancito dall’art. 3, comma 1 del provvedimento, che stabilisce, in via esclusiva, una modalità digitale di presentazione dell’istanza. Più nel dettaglio, la domanda deve essere depositata in un’apposita piattaforma telematica del sito giustizia.it, mediante l’utilizzo delle credenziali SPID di livello due.

Dal punto di vista temporale, la richiesta deve essere presentata «entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello in corso alla data di irrevocabilità della sentenza di assoluzione» (art. 3, comma 5)[26]. È comunque assicurata una disciplina transitoria per evitare che il ritardo nell’emanazione del decreto provochi dei vuoti temporali di tutela: in base a quanto previsto dall’art. 6, comma 2 dell’atto, in relazione alle sentenze diventate irrevocabili nel corso del 2021, le domande potranno essere presentate a partire dal 1° marzo 2022 e fino al 30 giugno dello stesso anno.

Sul piano soggettivo, invece, il decreto chiarisce che la richiesta deve essere presentata personalmente dall’imputato, con la precisazione che, in caso di morte, l’istanza può essere avanzata da uno degli eredi nell’interesse di tutti gli aventi diritto alla successione (art. 3, comma 2)[27].

Di portata centrale è, inoltre, quanto prescritto nei commi 3 e 4 dell’art. 3 del provvedimento, i quali sono volti a disciplinare il contenuto della richiesta, nonché i documenti da allegare alla stessa: trattasi di indicazioni di estremo rilievo, in quanto la loro inosservanza preclude la valutazione dell’istanza.

Senza voler sconfinare nello zelo didascalico, attraverso un’arida elencazione di quanto stabilito dal decreto, qui merita rilevare che la domanda deve racchiudere una apposita attestazione circa la sussistenza di ogni requisito di accesso alla garanzia di cui all’art. 2 dell’atto. Per di più, giova osservare che nella richiesta deve comparire, tra l’altro, la durata del processo in cui è stata emessa la sentenza di assoluzione, da calcolare a partire dall’esercizio dell’azione penale fino all’irrevocabilità della decisione; il grado nella quale è stata pronunciata la sentenza; nonché, infine, il reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, avuto riguardo alla dichiarazione relativa all’anno precedente a quello del passaggio in giudicato della pronuncia di assoluzione.

La ragione dell’inserimento di queste ultime previsioni si spiega alla luce di quanto stabilito nell’articolo immediatamente successivo, in cui si possono leggere i criteri di priorità nell’ammissione delle domande.

A tal proposito, si rammenti che l’art. 1, comma 1019, l. n. 178 del 2020, nell’implicita presa d’atto della pratica impossibilità da parte della copertura pubblica stanziata di soddisfare tutte le richieste, prescriveva all’apposito decreto di adottare, tra l’altro, «le ulteriori disposizioni ai fini del contenimento della spesa nei limiti» del fondo predisposto per garantire la tutela, «attribuendo rilievo al numero di gradi di giudizio cui l’assolto è stato sottoposto e alla durata del giudizio».

Ebbene, per parte sua, l’art. 4 del provvedimento in esame ha dato seguito a tale indicazione, dettando, nell’ordine, tre gruppi di istanze a cui deve essere data precedenza. In primo luogo, vengono in gioco quelle riguardanti le ipotesi di sentenze di assoluzione divenute irrevocabili in Cassazione o in sede di giudizio di rinvio, nonché, ad ogni modo, concernenti processi di durata complessiva superiore a otto anni; in secondo luogo, vanno considerate le domande attinenti a sentenze la cui irrevocabilità sia intervenuta in appello o nell’ambito di un processo protrattosi oltre a cinque anni e fino a otto; da ultimo, rilevano le istanze relative a sentenze irrevocabili di assoluzione emesse in primo grado o, comunque, in un processo durato fino a cinque anni. Nell’ambito di ciascuna categoria – puntualizza, infine, il decreto – deve essere data priorità ai processi di maggior durata e, in caso di parità, alle istanze presentate dagli imputati con reddito inferiore.

Chiude, infine, il cerchio l’art. 5 del decreto. La disposizione detta un procedimento di verifica sulla effettiva veridicità del contenuto di tutte quelle istanze che, sulla scorta dei requisiti di priorità appena analizzati e sino all’esaurimento dell’ammontare del fondo stanziato per assicurare la tutela, potrebbero, in astratto, essere soddisfatte. Deputato a siffatto controllo è il personale del Ministero della giustizia o, se del caso, in forza di una convenzione ad hoc, quello di Equitalia giustizia S.p.a. (art. 5, comma 1). A conclusione di tale vaglio seguono, infine, l’approvazione dell’elenco delle richieste accolte e la relativa pubblicazione nella medesima piattaforma digitale predisposta per il deposito delle domande, con conseguente emissione del mandato di pagamento nei quindici giorni successivi (art. 5, comma 4). Particolarmente emblematica è la precisazione secondo cui tutte le richieste escluse dal rimborso, anche a causa dell’esaurimento delle apposite risorse pubbliche destinate per l’anno di riferimento, «non possono essere ripresentate» (art. 5, comma 5).

 

 

[1] Su tale novità normativa, cfr. G.S. Foderà, Ingiusta imputazione: il rimborso delle spese di lite nel processo penale, in Giurisprudenza Penale web, 2022, 1, p. 22 e ss.; R. Nerucci-A. Trinci, Il principio di soccombenza dello Stato nel processo penale: un indennizzo da attività giudiziaria lecita, in ilPenalista, 3 febbraio 2021; E. Sacchettini, Passa il principio di “chi perde paga”: ristoro in parte per l’imputato assolto, in Guida dir., 2021, n. 5, p. 62 e ss.; G. Spangher, Imputato assolto e rifusione (parziale) delle spese difensive: una previsione nello spirito solidaristico, in il Quotidiano giuridico, 31 dicembre 2020.

[2] Cfr. R. Gambini, Spese di giustizia e processo penale: urge una riforma, in Dir. pen. proc., 2007, p. 1361 e ss.; F. Giunchedi, In tema di condanna dello Stato al rimborso delle spese sostenute dall’imputato assolto. La Consulta «boccia» la piena attuazione del «giusto processo», in Giur. cost., 2001, p. 2566 e ss.; L. Parlato, La rifusione delle spese legali sostenute dall’assolto. Un problema aperto, Milano, 2018, passim; Ead., La rifusione delle spese legali sostenute dall’assolto, in Aa.Vv., La vittima del processo. I danni da attività processuale penale, a cura di G. Spangher, Torino, 2017, p. 229 e ss.; G. Spangher, Conclusioni, in Aa.Vv., La vittima del processo, cit., p. 489 e ss.; Id., Proscioglimento dell’imputato e rifusione delle spese di difesa, in Giur. cost., 2003, p. 2333 e ss.

[3] Sulla tematica, si veda, diffusamente, L. Parlato, La rifusione, cit., passim.

[4]  In questo senso, L. Parlato, La rifusione, cit., p. 3, la quale richiama F. Carnelutti, Lezioni sul processo penale, I, Roma, 1949, p. 48 e ss. In termini adesivi, cfr. A. Marandola, Gli assolti con formula piena con sentenza penale irrevocabile avranno diritto al rimborso delle spese legali, in ilPenalista, 21 dicembre 2020.

[5] Così, L. Parlato, La rifusione, cit., p. 3.

[6] Cfr. L. Parlato, La rifusione, cit., p. 243. Al riguardo, si vedano, inoltre, i rilievi di R. Aprati, Riflessioni intorno alla “vittima del processo”, in Cass. pen., 2017, p. 978.

[7] Si veda, in particolare, quanto emerge dalla risposta scritta pubblicata giovedì 27 maggio 2021 nell’allegato al bollettino in Commissione II (Giustizia) 5-06119, Atto Camera, XVIII Legislatura. Essa è stata, in particolare, sollecitata dall’interrogazione a risposta immediata presentata dall’on. Costa, mercoledì 26 maggio 2021, seduta n. 516, Atto Camera, XVIII Legislatura.

[8] V. decreto interministeriale 20 dicembre 2021, recante Definizione dei criteri e delle modalità di erogazione dei rimborsi di cui all’articolo 1, comma 1015 della legge 30 dicembre 2020, n. 178 e delle ulteriori disposizioni necessarie ai fini del contenimento della spesa nei limiti di cui all’articolo 1, comma 1020.

[9] A ben considerare, peraltro, l’esclusione dei casi di estinzione del reato per avvenuta amnistia o prescrizione dall’area operativa della novella poteva già desumersi dal dettato dell’art. 1, comma 1015, l n. 178 del 2020.

[10] V. R. Nerucci-A. Trinci, Il principio di soccombenza, cit.

[11] Cfr. A. Anceschi, Le spese legali in sede civile, penale, amministrativa e nelle giurisdizioni speciali, Padova, 2010, p. 204; L. Parlato, La rifusione, cit., p. 56.

[12] V. R. Nerucci-A. Trinci, Il principio di soccombenza, cit.

[13] Cfr. R. Nerucci-A. Trinci, Il principio di soccombenza, cit.

[14] Contra, cfr., tuttavia, le osservazioni di R. Nerucci-A. Trinci, Il principio di soccombenza, cit., svolte in relazione all’art. 1, comma 1018 della l. n. 178 del 2020.

[15] Sul tema della revoca del patrocinio a spese dello Stato, v., tra gli altri, L. Dipaola, Difesa d’ufficio e patrocinio dei non abbienti nel processo penale, Milano, 2016, 3a ed., p. 131 e ss.; G. Ebner, La revoca del gratuito patrocinio all’epoca della spending review, in Giur. merito, 2012, p. 1995 e ss.; P. Sechi, Il patrocinio dei non abbienti nei procedimenti penali, Milano, 2006, p. 293 e ss.; nonché, volendo, da ultimo, E. Grisonich, Sul sistema di revoca del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato: pregi e limiti della lettura offerta dalle Sezioni Unite, in Cass. pen., 2020, p. 4497 e ss.

[16] Mette conto, al riguardo, rammentare, per quanto concerne, più precisamente, il dies a quo a partire dal quale, a seconda dei casi di revoca, quest’ultima esplica i suoi effetti, l’art. 114 d.P.R. n. 115 del 2002.

[17] Così, in particolare, l’art. 3, comma 3, lett. i) del decreto.

[18] In relazione ai meccanismi apprestati dagli artt. 427 e 542 c.p.p., da un lato, e 541 c.p.p., dall’altro lato, v. A. Anceschi, L’azione civile nel processo penale, Milano, 2012, p. 433 e ss.; A. Chiliberti, L’azione civile nel processo penale, Milano, 2017, 3a ed., pp. 92 e ss. e 392 e ss.; L. Parlato, La rifusione, cit., p. 99 e ss.

[19] Cfr., sul punto, L. Parlato, La rifusione, cit., p. 133; nonché A. Anceschi, Le spese legali, cit., p. 227.

[20] Analogamente, con riferimento alla rifusione delle spese addebitata al querelante soccombente, cfr. R. Nerucci-A. Trinci, Il principio di soccombenza, cit.

[21] La formulazione dell’art. 427, comma 2, c.p.p. (a cui rinvia l’art. 542 c.p.p.), nonché dell’art. 541, comma 2, c.p.p. è chiara in tale senso. In dottrina, cfr., per tutti, A. Anceschi, L’azione civile, cit., p. 435. In giurisprudenza, con riferimento alla condanna del querelante, v., tra le altre, Cass., Sez. V, 15 febbraio 2021, n. 5920, in CED. Cass., n. 280454; Cass., Sez. V, 21 giugno 2011, n. 42102, ivi, n. 251702; in relazione, invece, alla condanna della parte civile, si veda, ad esempio, quanto desumibile da Cass., Sez. II, 23 aprile 2019, n. 17434, ivi, n. 276442.

[22] Così, R. Nerucci-A. Trinci, Il principio di soccombenza, cit.

[23] Cfr., in merito, L. Parlato, La rifusione, cit., p. 216 e ss.

[24] Sulla l. n. 36 del 2019, cfr., per tutti, S. Aprile, Un’altra riforma della legittima difesa: molta retorica e poche novità, in Cass. pen., 2019, p. 2414 e ss.; J. Della Torre, Novità legislative interne, in Proc. pen. giust., 2019, p. 833 e ss.; G.L. Gatta, La nuova legittima difesa nel domicilio: un primo commento, in Dir. pen. cont., 1° aprile 2019; A.A. Hayo, Il (molto) “vecchio” ed il (poco) “nuovo” della legittima difesa domiciliare “presunta”, in Cass. pen., 2020, p. 374 e ss.

[25] Così, in particolare, recita la rubrica del titolo III del d.P.R. n. 115 del 2002.

[26] È appena il caso di rilevare che tale requisito temporale viene espressamente contemplato pure tra le condizioni di accesso al rimborso ex art. 2, comma 2, lett. f) del decreto.

[27] Quanto a quest’ultimo aspetto, è stato, così, risolto il dubbio interpretativo sorto a fronte del silenzio della l. n. 178 del 2020: v. R. Nerucci-A. Trinci, Il principio di soccombenza, cit.