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1. Le coordinate generali dell’intervento normativo. – Il 14 dicembre 2021 è entrato in vigore il d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188[1], con il quale il legislatore è intervenuto al fine di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni contenute nella Direttiva 2016/343/UE del 9 marzo 2016 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza[2].
Il percorso (alquanto incidentato) che ha portato all’adozione del provvedimento in epigrafe muove dal ragionevole timore dell’avvio di una procedura d’infrazione nei confronti del nostro paese.
Com’è noto, il termine per il recepimento della Direttiva era stato fissato al 1° aprile 2018, ma, subito dopo la sua pubblicazione, il Governo italiano ritenne di non dover adeguare la legislazione interna, reputandola già conforme agli standards minimi individuati nel provvedimento comunitario[3]. Sennonché, a seguito della recente pubblicazione della Relazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio sull’attuazione della predetta Direttiva, è emerso un quadro tutt’altro che confortante[4], specialmente con riferimento agli artt. 4 e 5, rispettivamente dedicati ai «riferimenti in pubblico alla colpevolezza» di un soggetto indagato o imputato in un procedimento penale e alla presentazione di tali soggetti «come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica»[5].
Proprio per evitare di incorrere in possibili sanzioni a seguito della procedura ex art. 258 TFUE, la l. 22 aprile 2021, n. 53[6], ha espressamente delegato il Governo al recepimento, tra le molte, anche della Direttiva in questione.
Tanto premesso, il provvedimento in commento si compone di sei articoli, il primo dei quali si occupa di delimitarne l’ambito di applicazione: il riferimento operato, sul versante soggettivo, è esclusivamente alle sole «persone fisiche sottoposte a indagini o imputate in un procedimento penale».
A tal proposito, i primi commentatori hanno già messo in evidenza come si sia difronte ad un’ingiustificata differenziazione con riguardo agli enti collettivi che, sotto il profilo delle garanzie costituzionali e convenzionali, dovrebbero invece essere accomunati dallo stesso standard di tutela previsto per le persone “in carne ed ossa”[7].
Invero, il legislatore nazionale si è limitato a recepire quanto espressamente previsto dai considerando n. 13 e 14 della Direttiva che, com’è noto, limitano l’efficacia dell’atto normativo europeo con esclusivo riferimento alle persone fisiche[8], in quanto «allo stato attuale di sviluppo del diritto e della giurisprudenza in ambito nazionale e di Unione, appare prematuro legiferare a livello di Unione sulla presunzione di innocenza con riferimento alle persone giuridiche».
Pur non potendo esaminare in modo approfondito la questione sottesa a tale scelta, sia sufficiente notare come il Governo avrebbe potuto sfruttare l’occasione per fare propria quell’autorevole impostazione dottrinale che, sul punto, aveva già sottolineato come «l’approccio minimal» della Direttiva de qua potesse essere superato attraverso un’esegesi sistematica delle fonti nazionali e sovranazionali, proprio al fine di evitare il rischio che tale provvedimento, in futuro, fosse interpretato (e recepito) «in modo da limitare o derogare ai diritti e alle garanzie procedurali che la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, la c.e.d.u. o “il diritto di qualsiasi Stato membro” siano in grado di assicurare»[9] agli enti collettivi.
Nonostante siffatte suggestioni non siano state colte dal legislatore italiano, non appare comunque ingiustificato domandarsi se le modifiche apportate dal decreto in esame al codice di rito criminale (delle quali si darà conto a seguire) e, in particolare, l’introduzione del nuovo art. 115-bis c.p.p., risultino applicabili anche alle persone giuridiche, in virtù del richiamo operato dagli artt. 34 e 35 del d.lgs. n. 231 del 2001. In effetti, qualora si ritenga legittimo (e, anzi, doveroso) estendere la presunzione di non colpevolezza ai soggetti collettivi, non si vede perché, in presenza di una eadem ratio, le disposizioni contenute all’art. 115-bis c.p.p. non possano operare nell’ambito della responsabilità ex crimine degli enti.
2. Le «autorità pubbliche» e le dichiarazioni «pubbliche» di colpevolezza. – L’art. 2, comma 1, del decreto in commento disciplina le “condotte comunicative” che le «autorità pubbliche» debbono tenere allorquando si riferiscano «pubblicamente» alla persona sottoposta a indagini o imputata in un «procedimento penale»: si fa divieto, in tali circostanze, di indicare questi soggetti come colpevoli fino a quando la responsabilità penale non sia stata accertata con pronuncia irrevocabile.
In merito alla (generica[10]) nozione di «pubblica autorità», il Governo – come espressamente sancito nella Relazione di accompagnamento[11] allo schema di decreto legislativo (approvato il 5 agosto 2021 dal Consiglio dei Ministri) – ha riproposto quanto previsto dall’art. 4 della Direttiva che, a sua volta, deve il suo contenuto al considerando n. 17.
In assenza di specificazioni normative, si può ritenere che l’espressione de qua possa essere ragionevolmente intesa quale sinonimo di “organismo che esercita funzioni pubbliche”: autorità giudiziaria, di polizia, ministri e altri pubblici funzionari quali, ad esempio, membri di autorità indipendenti o enti pubblici territoriali[12].
Conseguentemente, devono ritenersi all’evidenza esclusi dall’ambito di applicazione del decreto i giornalisti, con riferimento ai quali, pertanto, nessuna limitazione potrà essere imposta[13].
Si tratta, a ben considerare, di uno dei profili di maggiore criticità[14] dell’intero sistema predisposto dal legislatore che, invece di cogliere l’occasione per porre finalmente mano all’operato (talvolta distorto) degli organi di stampa nell’ambito dell’informazione giudiziaria, ha optato, sotto tale profilo, per una soluzione di compromesso[15].
Ciò chiarito, l’art. 2 si sviluppa in successivi quattro commi volti a disciplinare organicamente l’iter da seguire in caso di violazione della regola generale di cui si è detto poc’anzi.
Viene previsto, infatti, che, salve le eventuali sanzioni di carattere penale o disciplinare, la lesione della presunzione di non colpevolezza – così come tutelata all’art. 2, comma 1, del decreto – importa il diritto in capo al soggetto leso di ottenere il risarcimento del danno, nonché la rettifica della dichiarazione resa dall’autorità pubblica.
La procedura prevista, in particolare, può assumere due differenti esiti.
Qualora l’autorità pubblica riconosca tale violazione, essa stessa dovrà provvedere alla immediata rettifica («non oltre quarantotto ore dalla ricezione della richiesta») con le medesime modalità della dichiarazione rivelatasi lesiva della garanzia prevista all’art. 27, comma 2, Cost. (ovvero, quando ciò non sia possibile, «con modalità ideone a garantire il medesimo rilievo e grado di diffusione della dichiarazione oggetto di rettifica»).
Viceversa, laddove l’istanza non sia accolta (ovvero – stando a quando sostenuto dai primi commentatori – anche in caso di inerzia da parte dell’autorità[16]), l’interessato potrà adire il giudice civile che, seguendo la procedura d’urgenza ex art. 700 c.p.c.[17], potrà ordinare la pubblicazione della rettifica.
Ebbene, sul versante della scelta dello strumento rimediale (rectius, la rettifica), la dottrina[18] ha già avuto modo di esprimere più di qualche perplessità.
In particolare, si è sottolineato come la necessità di presentare l’istanza allo stesso organo che ha reso la dichiarazione lesiva della presunzione di non colpevolezza, comporterà una sostanziale inoperatività del rimedio. Inverosimile, in effetti, che quest’ultima riconosca la violazione dell’art. 27, comma 2, Cost., «smentendo in questo modo la serietà della propria [e precedente] presa di posizione»[19].
Sennonché, andrebbero comunque considerati i possibili effetti benefici di una rettifica proveniente dalla stessa autorità pubblica che ha reso la “dichiarazione accusatoria”. Se l’obiettivo che si intende perseguire è quello di evitare una rappresentazione del soggetto come colpevole, una pubblica ammenda da parte dello stesso autore potrebbe sortire effetti “riabilitanti” dell’interessato verso l’intera collettività più di quanto possa fare un’imposizione “dall’alto” ordinata da un organo giurisdizionale.
Casomai, sarebbe stato necessario riflettere con maggior attenzione in merito all’attribuzione in capo al giudice civile dello strumento de quo. Una parte della dottrina[20] e l’avvocatura riunita[21], sotto tale profilo, hanno espresso una posizione condivisa (e condivisibile): un’autorità garante, autonoma ed indipendente, potrebbe senza dubbio rispondere in maniera più celere ed efficace ad eventuali violazioni della presunzione di non colpevolezza.
3. Le modifiche apportate al d.lgs. n. 106 del 2006 nell’ambito del rapporto tra le Procure e gli organi di informazione. – Gli artt. 3 e 4 del decreto costituiscono il “cuore pulsante” della normativa neo introdotta.
Il primo, in particolare, incide direttamene sul contenuto dell’art. 5, d.lgs. n. 106 del 2006[22] che, com’è noto, disciplina il rapporto dell’ufficio del pubblico ministero con gli organi d’informazione.
Per maggiore comodità espositiva, daremo conto anzitutto delle modifiche che hanno inciso sui requisiti necessari per procedere alla divulgazione delle notizie (an) e, a seguire, di quelli che hanno avuto ad oggetto le modalità di diffusione delle stesse (quomodo).
3.1. I requisiti legittimanti la divulgazione delle notizie inerenti a un procedimento penale. – Per quanto concerne l’individuazione delle condizioni alla sussistenza delle quali il Procuratore della Repubblica – già titolare esclusivo dei rapporti dell’Ufficio inquirente con i giornalisti ai sensi dell’art. 5, comma 1, prima parte, vecchia formulazione – ovvero un sostituto appositamente delegato, potrà diffondere le «informazioni sui procedimenti penali», il nuovo comma 2-bis legittima tale divulgazione solo qualora sussista almeno uno dei seguenti presupposti: a) stretta necessità ai fini della prosecuzione delle indagini; b) «specifiche ragioni di interesse pubblico».
Anche in questo caso, il legislatore si è limitato a riproporre, sul versante nazionale, quanto previsto all’art. 4, comma 3, della Direttiva.
Con riferimento alla prima ipotesi, in particolare, (l’ineliminabile) genericità[23] dell’espressione può essere in parte mitigata attingendo al contenuto del considerando n. 18 che, sebbene a mero titolo esemplificativo, ritiene integrata la condizione in oggetto qualora vi sia l’esigenza di stimolare la collaborazione della cittadinanza per l’effettivo perseguimento di un reato.
In questo senso, peraltro, sembra essersi mossa anche una recente direttiva del Procuratore della Repubblica di Perugia che, nell’esemplificare ulteriori ipotesi legittimanti l’operatività dell’art. 5, ha individuato anche l’esigenza di «richiamare l’attenzione [della popolazione] su situazioni che possono cagionare rischi o pericoli per la pubblica incolumità»[24].
Maggiormente complessa, invece, l’opera di delimitazione del criterio sub b).
Occorre chiedersi, in proposito, come debba essere interpretata l’espressione «specifiche ragioni di interesse pubblico» e, in particolare, se si debba fare leva su un criterio modulato sul “tipo” di provvedimento ovvero su una valutazione in concreto e caso per caso[25].
Nel primo senso sembrerebbe già essersi orientata la Procura della Repubblica di Perugia che, nella richiamata “circolare”, individua una serie di provvedimenti che consentirebbero la legittima divulgazione delle informazioni da essi ricavabili (tra questi, ad esempio, «l’esecuzione di provvedimenti cautelari personali e reali, l’esecuzione di provvedimenti definitivi, quali ordini di carcerazione o confische» e le richieste di rinvio a giudizio, nonché le ordinanze o i decreti di archiviazione)[26].
In una prospettiva in parte differente, invece, il CSM, richiesto di esprimersi sullo schema di decreto legislativo, aveva ritenuto, con riguardo al requisito in esame, che «la verifica della [sua] effettiva ricorrenza […] chiama in causa valutazioni di opportunità rimesse al solo Procuratore e dunque inevitabilmente influenzata dalla sua sensibilità culturale»[27].
Ad ogni modo, sembrerebbe che la soluzione più ragionevole – che si collochi, cioè, nel solco di un contemperamento tra l’esigenza di garantire il rispetto della presunzione di non colpevolezza e il diritto di cronaca, nonché il controllo pubblico sull’amministrazione della giustizia (art. 101, comma 1, Cost.) – non possa non passare attraverso una valorizzazione dell’espressione «specifiche ragioni», fatta propria dal dettato letterale della disposizione de qua. L’aggettivo, nella dinamica del codice di rito criminale, viene pressoché riferito a situazioni nelle quali è avvertita l’esigenza di operare, in ogni caso, valutazioni calibrate sui fatti concreti per i quali si sta procedendo. Basti pensare, a mero titolo esemplificativo, alla “specificità intrinseca”[28] dei motivi di impugnazione ovvero alle «specifiche ragioni» di cautela che consentono al giudice il differimento del colloquio del difensore con l’indagato in vinculis ex art. 104, comma 3, c.p.p.
In questa prospettiva, il legislatore avrebbe potuto predisporre un elenco di parametri, normativamente predefiniti, quali (oltre al tipo di provvedimento?), ad esempio, la sussistenza di un reato di particolare gravità, lo scalpore che il reato ha suscitato nella collettività e la qualifica soggettiva dell’indagato-imputato. Nella stessa ottica, inoltre, si sarebbero potuti altresì trasfondere, nella disciplina interna, i requisiti di “ragionevolezza” e “proporzionalità” cui si riferisce la stessa Direttiva nella parte conclusiva del già ricordato considerando n. 18[29].
Siffatte specificazioni a livello normativo, pur non potendo escludere in toto la vaghezza che si cela dietro espressioni come quella in oggetto, avrebbe avuto certamente il pregio di contribuire a mitigare quell’alone di incertezza che, invece, pare circondare il parametro in esame. In questo senso, un intervento nei termini sopra illustrati avrebbe forse potuto contribuire a guidare l’operato del pubblico ministero, evitando così di incorrere in pericolose scelte assunte nell’arbitrio più assoluto; ciò, al contempo, avrebbe però garantito la presenza di quello che appare un ineliminabile e giustificato spazio di discrezionalità in capo all’organo d’accusa.
Sempre con riferimento all’an della comunicazione giudiziaria, il successivo comma 3-bis stabilisce che le stesse «regole di condotta»[30] (in termini, cioè, di requisiti e modalità) concernenti la diffusione delle informazioni relative ad un procedimento penale, debbano essere seguite anche dagli ufficiali di polizia giudiziaria, qualora questi siano stati autorizzati ad hoc («con atto motivato» del Procuratore della Repubblica che indichi le «specifiche ragioni di pubblico interesse») a rilasciare comunicati scritti ovvero a tenere conferenze stampa.
La disposizione, pur nell’apparente chiarezza lessicale, pone talune questioni di carattere interpretativo.
Due le possibili letture dell’incipit «nei casi di cui al comma 2-bis»: contestuale richiamo sia all’oggetto dell’informazione da trasmettere («informazioni sui procedimenti penali»), sia ai requisiti richiesti («prosecuzione delle indagini» o «interesse pubblico») ovvero, adottando una diversa prospettiva, riferimento esclusivo alla necessità che sussistano i presupposti di operatività (an) sanciti dal comma 2-bis.
Quest’ultima lettura, a ben vedere, appare maggiormente in linea con la parte finale del capoverso in esame, laddove prevede l’applicazione delle «disposizioni di cui ai commi 2-bis e 3», dovendosi perciò ragionevolmente intendere tale riferimento come circoscritto alla seconda parte del comma 2-bis, relativo – come si vedrà a breve – al quomodo dell’informazione giudiziaria, ovverosia al diritto dell’interessato di non essere presentato come colpevole. In altre parole, anche qualora la divulgazione della notizia avvenga ad opera della polizia giudiziaria, questa dovrà attenersi alla regola di comportamento che impone di «chiarire la fase in cui il procedimento penale pende».
Quanto sostenuto, inoltre, sembrerebbe confermato dal fatto che il capoverso de quo risulta formulato in termini differenti rispetto alla disposizione principale (comma 2-bis) proprio con specifico riguardo all’oggetto dell’informazione giudiziaria che può essere veicolato: «informazioni sugli atti di indagine compiuti o ai quali hanno partecipato» gli ufficiali di polizia giudiziaria, stando a quanto previsto dal comma in esame, e «informazioni sui procedimenti penali», nell’ipotesi disciplinata al comma 2-bis.
In proposito, si potrebbe ritenere che il combinato disposto delle previsioni in oggetto debba essere inteso nel senso che mentre il Pubblico ministero (Procuratore capo o sostituto) possa divulgare – ai sensi del comma 2-bis – le informazioni relative all’intero procedimento penale, alla polizia giudiziaria, viceversa, sia consentita tale attività esclusivamente con riguardo agli «atti di indagine» compiuti nel corso dell’iter procedimentale, indipendentemente dal momento in cui questi ultimi sono stati eseguiti[31].
Il legislatore, in questo senso, avrebbe voluto limitare la facoltà di delega alla polizia giudiziaria solo con specifico riferimento a quelle “mansioni” investigative espressamente attribuitele dal codice di rito – al fine di garantire così una maggiore specificità dell’informazione veicolata alla stampa – escludendo, al contrario, tutte quelle attività che, pur ricomprese nell’ambito del procedimento penale in senso stretto, non sono classificabili come «atti di indagine» compiuti dalla polizia giudiziaria.
Alla luce di ciò, la formula «procedimenti penali» prevista dal comma 2-bis ricomprenderebbe anche quegli «atti di indagine compiuti» dalla polizia giudiziaria; tuttavia, solo con riferimento a questi ultimi – e non anche con riguardo alle ulteriori attività del procedimento penale – il soggetto di cui agli artt. 55 ss. c.p.p. potrà intrattenere rapporti diretti con gli organi d’informazione.
Sembrano collocandosi in una differente prospettiva, invece, le già ricordate “linee guida” adottate dalla Procura della Repubblica di Perugia che, in argomento, ha fornito un’interpretazione particolarmente rigorosa in ragione proprio del differente lessico utilizzato dal legislatore.
Sul punto, infatti, si è autorevolmente sostenuto che «gli atti di indagine su cui la polizia giudiziaria può fornire direttamente notizie siano solo quelli posti in essere prima dell’iscrizione di una notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. e, quindi, ad esempio, gli arresti in flagranza, i fermi di indiziato di reato […], la denuncia di soggetti “a piede libero”. Quelli successivi all’iscrizione, infatti, entrano a pieno titolo negli atti di un procedimento penale e come tale sono regolati [dal comma 2-bis]»[32].
L’esegesi offerta, com’è intuibile, è destinata a limitare l’attività divulgativa in capo alla polizia giudiziaria, inibendo qualunque contatto tra quest’ultima e gli organi di informazione a seguito dell’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro. Se, da un lato, un’impostazione di questo tipo si muove condivisibilmente nell’ottica di responsabilizzare la funzione di garante affidata al Procuratore della Repubblica (o al singolo sostituto delegato), dall’altro, è indubbio che ciò possa contribuire ad aggravare (in termini meramente quantitativi) il carico di lavoro di tali soggetti.
Ad un esame più attento, peraltro, la tesi in oggetto sembra restringere non poco la nozione di «atti di indagine» di cui al comma 3-bis, finendo per far coincidere quest’ultima con quella di “atti compiuti nel corso delle cd. operazioni pre-investigative” che, come tali, si qualificano quali «attività [esterne al procedimento] realizzabili nell’area che precede l’iscrizione di una persona sul registro delle notizie di reato»[33].
La questione, meritevole di ben altro approfondimento, chiama direttamente in causa il dibattito – sul quale non è possibile soffermarsi in questa sede – in merito all’esegesi della formula «atti di indagine»[34].
Volendo seguire tale prospettiva, inoltre, si potrebbero forse delineare taluni profili di irragionevolezza nella disciplina, dal momento che la stessa circolare sembra introdurre un “organigramma comunicativo” strutturato in modo tale per cui il Procuratore della Repubblica – e non anche la polizia giudiziaria – potrà fornire informazioni ai media su qualunque notizia relativa all’iter procedimentale, mentre al «braccio armato del pubblico ministero»[35] – e non anche al magistrato (in ragione del dato per cui quest’ultimo è ritenuto il titolare esclusivo solo delle informazioni da rendersi «sui procedimenti penali») – sarebbe affidata la divulgazione di quelle notizie raccolte nel corso di una fase (quella precedente all’iscrizione ex art. 335 c.p.p.) assai più delicata e complessa, nella quale «gli organi inquirenti si muovono senza sottostare ad alcuna forma di controllo giurisdizionale, con evidente compromissione del diritto di difesa dell’indagato e, più in generale, dei diritti fondamentali della persona»[36].
Ad ogni modo, le differenti letture che possono essere offerte circa il contenuto letterale del comma 3-bis confermano la presenza di criticità non trascurabili nel dettato normativo. Il nodo interpretativo, com’è prevedibile, sarà sciolto dalle singole circolari adottate nelle diverse Procure che, nel più breve tempo possibile, si dovranno dotare di un sistema interno di gestione dell’informazione giudiziaria conforme al dictum della Direttiva europea[37].
A tal proposito, sia sufficiente notare come l’esegesi autorevolmente sostenuta dalla Procura umbra risulti in contrasto con quanto affermato dall’Ufficio inquirente di Modena. Nella Direttiva in tema di “comunicazioni istituzionali della Procura della Repubblica di Modena”, infatti, si sostiene che la polizia giudiziaria non avrebbe necessità di essere autorizzata ad hoc – da parte del Procuratore capo – per la diffusone di informazioni alla stampa, qualora si tratti di quelle «comunicazioni di routine effettuate per le attività di iniziativa»[38]. La giustificazione di tale assunto è rinvenuta nella formulazione dell’art. 3-bis che sembrerebbe «riguardare i casi in cui è già in essere un procedimento penale iscritto presso la Procura», di talché «detta norma non dovrebbe applicarsi alle indagini espletate d’iniziativa dalla polizia giudiziaria in una fase pre-procedimentale, cioè al di fuori e prima di un procedimento penale già iscritto, in relazione alle quali […] deve ritenersi consentito alla polizia giudiziaria procedente di fornire autonomamente informazioni sulle attività investigative espletate»[39].
In una diversa (ma connessa) prospettiva, è opportuno notare come le guidelines della Procura della Repubblica di Perugia offrano un interessante spunto di riflessione al quale, tuttavia, è possibile fare solo un brevissimo cenno.
Ritenendo l’operatività del comma 3-bis relativamente agli atti compiuti prima della formale iscrizione della notitia criminis, la “circolare umbra” estende l’applicazione della normativa in commento (e, pertanto, della Direttiva 2016/343/UE) anche al di fuori del procedimento penale stricto sensu inteso, imponendo così il rispetto della presunzione di non colpevolezza con riguardo a soggetti diversi da colui che risulta formalmente indagato.
Questa condivisibile prospettiva richiama alla mente quello che è stato efficacemente definito in dottrina come l’elemento del cd. «reputational aspetc»[40] che caratterizza (o dovrebbe caratterizzare) la presunzione di innocenza.
Non potendo entrare nel merito di siffatta, delicata questione, preme evidenziare come il cammino per una piena affermazione del canone costituzionale sancito all’art. 27, comma 2, Cost. – perlomeno sotto tale profilo – risulti ancora impervio.
A conferma di ciò, basti richiamare quanto affermato dal CSM nella già ricordata delibera del 3 novembre 2021: «la scelta del legislatore di ancorare la tutela al formale coinvolgimento [(art. 335 c.p.p.)] del soggetto nelle indagini appare condivisibile essendo questi destinato a catalizzare l’attenzione della collettività e conseguentemente esposto rispetto alla salvaguardia della sua presunzione di innocenza»[41]. Tale considerazione, a tutto concedere, confligge con un’interpretazione sostanziale del concetto di presunzione di innocenza, soprattutto qualora si richiami quanto efficacemente osservato da attenta dottrina, secondo la quale le dichiarazioni accusatorie mosse ad opera di un’autorità pubblica nei confronti di soggetti non ancora (formalmente) indagati hanno comunque l’attitudine a «“ingenerare nella collettività anticipati giudizi colpevolisti”, venendo così infranta, al di là dei formalismi, la componente extraprocessuale della loro presunzione d’innocenza»[42].
3.2. Le modalità di diffusione. – Per quanto concerne le modalità di “trasmissione” dell’informazione giudiziaria (quomodo), la novella, riformando l’art. 5, comma 1, si cimenta in un’inedita opera di tipizzazione degli strumenti di comunicazione ai quali il Procuratore della Repubblica (e gli altri soggetti a ciò deputati) potrà ricorrere: «comunicati ufficiali» ovvero, «nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti» e previo atto specificatamente motivato, «conferenze stampa».
Il dettato letterale della disposizione ne rivela ictu oculi la ratio: evitare «la sovraesposizione mediatica degli inquirenti»[43], circoscrivendo l’utilizzo delle conferenze stampa alle ipotesi di stretta necessità, nonché escludere qualunque passaggio informale di notizie dagli Uffici delle Procure agli organi di stampa.
Le certezze, tuttavia, sembrano fermarsi qui. Anche in questo caso, infatti, la disposizione pone alcuni problemi interpretativi.
Innanzitutto, dall’esame congiunto del primo comma dell’art. 5, con il secondo capoverso della medesima disposizione sembrerebbe venirsi a delineare una situazione siffatta: qualora il Procuratore della Repubblica intenda convocare una conferenza stampa, egli dovrebbe motivare circa la sussistenza dei requisiti generali previsti all’art. 2-bis relativi all’an della diffusione e, al contempo, sarebbe tenuto, altresì, ad addurre una giustificazione specifica e, soprattutto, ulteriore e diversa sul perché ritenga insufficiente, nel caso concreto, un mero comunicato scritto.
Questa lettura del dettato normativo si fonda su una duplice considerazione.
Sul piano letterale, il primo comma dell’art. 5, ultima parte, richiede espressamente che l’opzione di «procedere a conferenza stampa» sia assunta dal Procuratore della Repubblica evidenziando «le specifiche ragioni di pubblico interesse» che rendono necessario il ricorso a tale strumento.
Com’è evidente, si ripropone, in termini essenzialmente identici, il secondo dei requisiti – previsti dal comma 2-bis della medesima disposizione – individuato dal legislatore quale presupposto legittimante l’an della diffusione di informazioni sui «procedimenti penali» («specifiche ragioni di interesse pubblico»). Sennonché, nonostante la strettissima contiguità lessicale, si dovrebbe comunque ritenere che il pubblico ministero non possa ricorrere ad un’unica ed identica motivazione per sostenere sia la necessità di divulgare una determinata informazione (an), sia l’indispensabilità di veicolare quest’ultima per mezzo di una conferenza stampa, con ciò svuotando evidentemente di significato l’inciso finale previsto nel primo comma.
Sul piano sistematico, la lettura proposta risulterebbe in linea con la ratio della previsione de qua (volta a limitare l’abuso delle tanto agognate “conferenze nelle Procure”) ben rappresentata dalla circostanza che la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati ha espresso parere favorevole allo schema di decreto approvato dal Governo a condizione, tra le altre, di aggiungere proprio l’espressione ad oggi confluita nell’ultimo periodo dell’art. 5, comma 1[44].
Se ciò è vero, risulta ancor più condivisibile la critica di quanti hanno già sottolineato l’assenza di uno strumento di tutela (con individuazione di un conseguente regime sanzionatorio) per il caso in cui il provvedimento del Procuratore capo in merito alla necessità di procedere con una conferenza stampa dovesse rivelarsi “scarsamente” o “apparentemente” motivato.
La mancanza di un siffatto meccanismo, peraltro, sembra stridere non poco con l’utilizzo di espressioni quali «particolare rilevanza pubblica dei fatti» e «specifiche ragioni di pubblico interesse» (entrambe ricollegate alla volontà di procedere ad una conferenza stampa) che, in questo senso, sembrerebbero imporre un doppio onere di motivazione: infatti, non solo gli accadimenti del caso di specie dovrebbero avere una «rilevanza pubblica» e, cioè, manifestare un concreto (ed anche attuale?) interesse della collettività per quella determinata notizia, ma, altresì, dovrebbero essere addotte le ragioni per cui, nell’ipotesi di volta in volta in rilievo, vi sia la necessità di ricorrere alla conferenza stampa anziché ad un semplice comunicato scritto[45].
Senza una corretta valorizzazione, in concreto, di tali indici letterali, il rischio di una lettura abrogans del dettato normativo non risulta poi così remota, soprattutto facendo leva sulla circostanza per cui la rilevanza pubblica dei fatti risulterebbe sempre in re ipsa alla luce del fatto che la giustizia, ex art. 101, comma 1, Cost., è amministrata in nome del popolo[46].
Sempre con riferimento alle modalità di trasmissione delle notizie, viene in rilievo quanto previsto nella seconda parte del comma 2-bis: il Procuratore della Repubblica, il suo delegato (e gli ufficiali di polizia giudiziaria, ai sensi del richiamo operato al comma 2-bis dal quarto capoverso dello stesso articolo) devono indicare in modo chiaro e preciso, «la fase in cui il procedimento pende» onde assicurare il diritto dell’indagato e dell’imputato a non essere indicato come colpevole.
Definita dai primi commentatori come una previsione «tanto appariscente quanto poco efficace»[47], nonché financo «una soluzione illusoria»[48], è sufficiente considerare come la maggior parte delle interazioni fra Procure e organi di stampa si verifichino nel corso della fase investigativa[49] (e, allo stato, non vi è motivo di credere che nel prossimo futuro le cose siano destinate a mutare). Di talché, un’indicazione simile a livello normativo sembra risultare quantomai superflua e scontata[50], in quanto già ad oggi i giornalisti, nonostante una tendenziale specializzazione nella cronaca giudiziaria, non hanno fatto proprio questo modus operandi; ma, se ciò è vero, non si intravedono ragioni per cui una simile condotta sia destinata a mutare, perlopiù a fronte di una normativa che, come già osservato, non è destinata ad esplicare nei loro confronti alcun effetto giuridico vincolante.
L’ultima previsione “modale” introdotta con la novella è quella prevista al nuovo comma 3-ter dell’art. 5, laddove si stabilisce che nei comunicati ufficiali e nelle conferenze stampa non debbono essere «assegnati ai procedimenti pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza». Anche sotto tale profilo, non si possono che condividere i primi commenti che, pur lodando le intenzioni del legislatore, si sono rivelati critici, soprattutto tenendo conto che, nella maggior parte dei casi, l’utilizzo di roboanti formule etero-accusatorie avviene per mano dei giornalisti.
4. Le modifiche al codice di procedura penale. – L’art. 4 del decreto in epigrafe ha apportato alcune rilevanti modifiche al codice di rito penale, volte ad implementare, in particolare, gli artt. 4 e 7 della Direttiva.
4.1. La «Garanzia della presunzione di innocenza». – Nel Libro II, titolo I è stato inserito un nuovo art. 115-bis che, stando alle intenzioni del legislatore, dovrebbe arginare il fenomeno dei “provvedimenti giudiziari colpevolisti”, ovverosia contenenti espressioni lesive della presunzione di innocenza.
La disposizione si compone di quattro commi: i primi due individuano, attraverso un meccanismo regola-eccezione, quei provvedimenti rispetto ai quali deve ritenersi operante il divieto di indicare come colpevoli l’indagato o l’imputato prima della pronuncia definitiva; il terzo e quarto, invece, predispongono un sistema di tutela in caso di violazione della garanzia prevista all’art. 27, comma 2, Cost.
Procedendo con ordine, il primo comma può essere esaminato “per sottrazione”[51]. Quali sono, cioè, i provvedimenti giudiziari con riferimento ai quali deve ritenersi inapplicabile il divieto di presentare l’indagato come colpevole?
Due le macrocategorie individuate: a) «i provvedimenti volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato»; b) «atti del pubblico ministero diretti a dimostrare la colpevolezza» dell’imputato o dell’indagato.
La prima eccezione non pone particolari problemi.
La seconda, al contrario, appare, sotto certi profili, oscura ed indecifrabile.
In proposito, il considerando n. 16 della Direttiva esemplifica tale categoria con il riferimento al termine «imputazione», il che porterebbe a ritenere che tutti gli atti richiamati all’art. 405, comma 1, c.p.p. siano inclusi nell’espressione sub b)[52]. Alla medesima soluzione, inoltre, si può agevolmente giungere con riguardo alle impugnazioni proposte dal pubblico ministero.
Problematiche diverse (ma connesse) con quella in esame sorgono, altresì, dalla lettura del primo capoverso dell’art. 115-bis c.p.p.: nell’adottare i provvedimenti (diversi da quelli volti alla decisione in merito alla penale responsabilità dell’imputato) che implicano una «valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza», l’autorità giudiziaria deve limitare – alla luce di un criterio di continenza – «i riferimenti alla colpevolezza» dell’indagato a quanto risulta strettamente necessario per «soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per l’adozione del provvedimento».
Evidente, ancora una volta, il richiamo al considerando n. 16 della Direttiva, nella parte in cui si premura di escludere dall’ambito di operatività della medesima «le decisioni preliminari di natura procedurale, adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità».
La delimitazione oggettiva della disposizione de qua, tuttavia, non è agevole. A prima vista, potrebbero forse rientrare in questa categoria, ad esempio, tutti quei provvedimenti con i quali il pubblico ministero dispone una perquisizione o un sequestro ovvero richiede l’autorizzazione per eseguire un’intercettazione telefonica.
Venendo ora al regime sanzionatorio previsto in caso di inosservanza delle prescrizioni di cui si è detto poc’anzi, un dato emerge con chiarezza: il comma 3 dell’art. 115-bis ancora lo strumento rimediale esclusivamente al «caso di violazione delle disposizioni di cui al comma 1».
Il fondamento di tale scelta non è chiaro, né risulta esplicitato dai lavori preparatori. Le conseguenze, invece, sono di tutta evidenza, soprattutto in ordine alla delicata questione relativa alla collocazione sistematica dell’ordinanza cautelare.
I primi autorevoli commentatori, in effetti, si sono già interrogati sulla riconducibilità di tale provvedimento nel novero di quelli di cui al comma 1 ovvero in quelli «che presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza della persona sottoposta alle indagini» (comma 2)[53].
La circostanza che il primo capoverso dell’art. 115-bis c.p.p. sia stato introdotto quale cristallizzazione del contenuto previsto dal considerando n. 16 della Direttiva che, come già ricordato, richiama espressamente «le decisioni riguardanti la custodia cautelare», sembrerebbe avallare la tesi volta a ricondurre i provvedimenti de quo nell’alveo del secondo comma. La soluzione, tuttavia, non è affatto scontata.
Sennonché, anche laddove si riconducesse l’ordinanza in questione nell’alveo del primo comma (garantendone, in tal modo, la “giustiziabilità”), il rischio che si intravede è quello di un giudicante costretto a ricorrere ad espressioni “acrobatiche”[54], al solo fine di tutelarsi da possibili censure mosse nei suoi confronti, svuotando così di significato la vera essenza del considerando n. 16 della Direttiva.
In questo senso, sono comprensibili (e condivisibili) le osservazioni del CSM che, nel più volte richiamato parere, ha espresso dubbi circa l’effettività di un sistema così delineato nella parte in cui, per un verso, impone al giudice una «disamina della consistenza e dello “spessore” degli indizi raccolti» a fondamento della richiesta di applicazione della misura restrittiva e, per altro verso, lo obbliga a «specificare che l’illustrazione effettuata ha il solo fine di dimostrare la ricorrenza dei presupposti per l’emissione della misura»[55].
In tale prospettiva, il legislatore avrebbe potuto fare tesoro di quanto suggerito da coloro che avevano proposto di esplicitare all’interno dei provvedimenti giudiziari la fase in cui pende il procedimento, «sottolineando in premessa che il convincimento e le motivazioni del giudice hanno in tale fase un carattere solo relativo e sono suscettibili di smentita e di correzione nel successivo corso del processo»[56]. Una siffatta soluzione, peraltro, sembra collocarsi nel solco di quanto affermato da autorevole dottrina che, in argomento, aveva già messo in luce come il severo «ammonimento metodologico» che discende dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (recepito nella Direttiva 2016/343/UE) imporrebbe di adottare una motivazione de libertate «da contestualizzare con attenzione al momento procedimentale nella quale viene formulata, rispetto al diverso momento della decisione sulla colpevolezza»[57].
Ad ogni modo, per evitare che anche una soluzione simile si riveli di “mera facciata”, si può solo sperare che il recepimento della Direttiva 2016/343/UE possa segnare l’inizio di un’epoca di rinnovato interesse per la “linguistica forense”[58]: uno sforzo comune, da parte di magistrati ed avvocati, volto a dare maggiore concretezza ed effettività ad uno dei principali cardini del processo penale accusatorio.
Ciò chiarito, l’iter procedimentale previsto ai commi tre e quattro dell’art. 115-bis stabilisce che laddove sia stata lesa la presunzione di non colpevolezza dell’interessato, questi possa (entro il termine perentorio di dieci giorni dalla conoscenza del provvedimento) proporre istanza di correzione al «giudice che procede» (ovvero al giudice per le indagini preliminari, nel corso della fase investigativa). Quest’ultimo, a sua volta, è tenuto a provvedere, con decreto motivato, entro quarantottore dal deposito dell’istanza. La decisione dovrà essere in seguito comunicata alle parti che, nei dieci giorni successivi (termine decadenziale) potranno proporre «opposizione» al presidente del tribunale o della corte che deciderà «senza formalità di procedura»[59].
Al netto delle divergenti opinioni espresse dal mondo forense e dalla magistratura riunita[60], la principale criticità di siffatta procedura è stata ben messa in evidenza dal Servizio Studi del Senato in sede di approvazione del decreto in epigrafe: «si valuti se la richiesta di una correzione alla stessa autorità giudiziaria che ha adottato il provvedimento lesivo […] soddisfi quanto richiesto dall'art. 10 della Direttiva, circa la previsione di un “ricorso effettivo in caso di violazione dei diritti conferiti dalla presente Direttiva”»[61].
4.2. Il diritto al silenzio nell’ambito della riparazione per ingiusta detenzione. – Ulteriore e rilevante modifica apportata al sistema codicistico è quella relativa all’istituto della riparazione per ingiusta detenzione. Il nuovo art. 314, comma 1, c.p.p., dopo aver delineato i requisiti della cd. ingiustizia sostanziale, stabilisce che «l’esercizio da parte dell’imputato della facoltà di cui all’articolo 64, comma 3, lettera b), non incide sul diritto alla riparazione di cui al primo periodo».
La novella sul punto è dovuta al parere espresso dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati che, valorizzando il dettato letterale dell’art. 7, par. 5 della Direttiva, ha subordinato il “nulla osta” al decreto, solo a seguito di una specifica aggiunta, dopo il primo comma dell’art. 314 c.p.p., che inibisca al giudice di valutare, ai fini della domanda di risarcimento per ingiusta detenzione, l’eventuale esercizio del diritto al silenzio da parte dall’indagato[62].
Si tratta, all’evidenza, di una modifica volta a superare quell’orientamento giurisprudenziale, ormai granitico, in base al quale l’essersi avvalsi della facoltà di non rispondere, pur costituendo esercizio del diritto di difesa, assumere rilievo ai fini dell’accertamento della sussistenza della condizione ostativa del dolo o della colpa grave, «poiché è onere dell’interessato apportare immediati contributi o riferire circostanze che avrebbero indotto l’Autorità Giudiziaria ad attribuire un diverso significato agli elementi posti a fondamento del provvedimento cautelare»[63].
4.3. Una “stretta” in tema di pubblicazione degli atti. – L’art. 4, par. 3 della Direttiva prevede che l’obbligo di non presentare pubblicamente l’indagato come colpevole non impedisca, tuttavia, di divulgare informazioni sul procedimento, laddove ciò sia «strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale o per l’interesse pubblico».
Sotto tale profilo, la più volte richiamata relazione della Commissione europea aveva messo in luce come il diritto nazionale di alcuni Stati membri non fosse completamente conforme al dictum dell’articolo 4, con precipuo riguardo all’assenza di specificazioni in merito al requisito di “stretta necessità”[64].
Per tale regione, il Governo, come esplicitato nella Relazione illustrativa allo schema di decreto[65], ha deciso di intervenire sul punto, interpolando l’art. 329, comma 2 c.p.p. che, con l’aggiunta dell’avverbio «strettamente», impone ora al pubblico ministero che intenda derogare al regime di pubblicazione degli atti previsto all’art. 114 c.p.p., un onere di adeguata e rafforzata motivazione in merito alle specifiche ragioni legate alla necessità di prosecuzione delle indagini[66].
4.4. La “nuova” riservatezza tra difensore e imputato in vinculis nel corso dell’udienza dibattimentale. – L’art. 5 della Direttiva impone agli Stati membri di adottare misure idonee per garantire che gli indagati e imputati non siano presentati come colpevoli «in tribunale o in pubblico» attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica. Al secondo paragrafo, tuttavia, si precisa che tali limitazioni possono ritenersi legittime se, in relazione al caso di specie, risultino necessarie «in relazione alla sicurezza o al fine di impedire che [tali soggetti] fuggano o entrino in contatto con terzi».
In ossequio a tali prescrizioni, il legislatore italiano ha interpolato l’art. 474 c.p.p. mediante l’aggiunta di un comma 1-bis diretto a procedimentalizzare l’iter di adozione del provvedimento (rectius, ordinanza) che limita la libertà dell’indagato di assistere “libero” all’udienza dibattimentale.
Deve certamente accogliersi con favore, sotto tale profilo, la previsione di una “consultazione riservata” tra avvocato ed assistito che, in quanto estrinsecazione del diritto di difesa, dovrà essere garantita anche nel caso in cui sussistano le condizioni per derogare al disposto dell’art. 474, comma 1, prima parte, c.p.p. A tal fine, peraltro, potranno essere utilizzati «strumenti tecnici idonei», eventualmente presenti nell’aula del tribunale.
[1] Per un primo commento, v. G.M. Baccari, Presunzione di innocenza: le nuove regole in ottemperanza alla direttiva (UE) 2016/343, in www.ilpenalista.it, 30 novembre 2021; Id., In Gazzetta il D.Lgs. 188/2021 sulla presunzione di innocenza, in www.quotidianogiuridico.it, 30 novembre 2021; L. Filippi, Quale presunzione di innocenza?, in www.penaledp.it, 11 novembre 2021; F. Galluccio, Presunzione di innocenza: tra giustizia e informazione, in www.dirittifondamentali.it, 20 dicembre 2021; F. Porcu, L’adeguamento della normativa nazionale alla direttiva sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza, in www.ilpenalista.it, 9 dicembre 2021; F. Resta, Il “compiuto” adeguamento alla direttiva 2016/343/UE sulla presunzione d’innocenza, in www.giustiziainsieme.it, 14 dicembre 2021; A. Spataro, Commento al Decreto Legislativo 8 novembre 2021, n. 188, in www.giustiziainsieme.it, 14 dicembre 2021.
[2] Sulla quale, ex plurimis, L. Camaldo, Presunzione di innocenza e diritto di partecipare al giudizio: due garanzie fondamentali del giusto processo in un’unica direttiva dell’Unione Europea, in Dir. pen. cont., 23 marzo 2016; A. De Caro, La recente direttiva europea sulla presunzione di innocenza e sul diritto alla partecipazione al processo, in www.quotidianogiuridico.it, 23 febbraio 2016; J. Della Torre, Il paradosso della direttiva sul rafforzamento della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo: un passo indietro rispetto alle garanzie convenzionali?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, p. 1835 ss.; C. Valentini, La presunzione d’innocenza nella Direttiva n. 2016/343/UE: per aspera ad astra, in Proc. pen. giust., 6/2016, p. 193.
Per un commento alla proposta di direttiva, v. O. Mazza, Una deludente proposta in tema di presunzione d’innocenza, in Arch. pen., 3/2014, p. 727 ss.
[3] Cfr. F. Costarella, Presunzione di innocenza e diritto comunitario, in www.dirittodidifesa.eu, 27 aprile 2020.
[4] Un interessante ed efficace quadro di sintesi sull’attuale situazione europea in merito alle difficoltà sorte nel corso del recepimento della direttiva è offerto dal recente Report della European Union Agency for Fundamental Rights dal titolo Presumption of innocence and related rights del 31 marzo 2021.
[5] Nella Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, 31 marzo 2021, p. 4 si sottolinea come «la legislazione di soli sei Stati membri è pienamente conforme all’articolo 4, paragrafo 1», precisando, altresì, come siano «stati rilevati problemi di conformità in 19 Stati membri, rendendo questa disposizione la più problematica».
[6] Cfr. G. Spangher, Presunzione di innocenza: la Dir. UE 343/2016 limita alla stretta necessità le informazioni delle Procure alla stampa, in www.quotidianogiuridico.it, 28 aprile 2021.
[7] G. Caneschi, Processo penale mediatico e presunzione di innocenza: verso un’estensione della garanzia?, in Arch. pen. (web), 2021, p. 12, nt. 31. Nello stesso senso, Osservatorio UCPI sull’informazione giudiziaria, Note sullo “Schema di decreto legislativo recante disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della Direttiva UE 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”, in www.dirittodidifesa.eu, 28 settembre 2021, p. 2.
[8] Cfr. S. Lamberights, The Directive on presumption of innocence. A missed opportunity for legal persona?, in www.eucrim.eu, 1/2016, p. 36 ss.
[9] H. Belluta, L’ente incolpato. Diritti fondamentali e “processo 231”, Giappichelli, Torino, 2018, p. 76.
[10] Auspicava l’inserimento di un elenco – quantomeno indicativo – di tali autorità, l’Osservatorio UCPI sull’informazione giudiziaria, Note sullo “Schema di decreto legislativo, cit., p. 2.
[11] «Sul punto, si aggiunge unicamente che, trattandosi all’evidenza di una nozione autonoma del diritto dell’Unione, risulta interdetta – oltre che sostanzialmente superflua, attesa l’immediata chiarezza del concetto – qualsiasi iniziativa definitoria da parte del legislatore nazionale» (così, la Relazione di accompagnamento allo Schema di decreto legislativo recante disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (285), reperibile in questa Rivista, 12 agosto 2021).
[12] In questo senso, seppur con riferimento allo schema di decreto legislativo, N. Rossi, Il diritto a non essere “additato” come colpevole prima del giudizio. La direttiva UE e il decreto legislativo in itinere, in www.questionegiustizia.it, 3 settembre 2021. Cfr., altresì, la Delibera del CSM relativa allo schema di decreto legislativo in materia di presunzione di innocenza, reperibile al sito www.csm.it, 3 novembre 2021, p. 4: «Se dunque i primi e naturali destinatari del divieto affermato nel primo comma dell’art. 2 sono le autorità in vario modo coinvolte nel procedimento penale concernente un determinato reato e cioè pubblici ministeri, giudici e dirigenti delle forze di polizia incaricate delle indagini, il divieto tuttavia ha un ambito ben più ampio fino ad includere tutte le autorità che, interloquendo sulla vicenda penale di una persona indagata o imputata, lo presentino come già colpevole prima dell’esito di un processo».
[13] Non si tratta, invero, degli unici soggetti esclusi dalla disciplina de qua. Nella Circolare della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cuneo, 15 dicembre 2021, al sito www.procura.cuneo.it, p. 7 si dà contro, in senso fortemente critico, del fatto che la nuova regolamentazione non ponga «limiti, quantomeno di contenuto, ai rapporti dei privati con gli organi di informazione, ossia alle comunicazioni degli altri protagonisti dei procedimenti penali (i difensori, l’indagato, la persona offesa)», cosicché, «laddove la comunicazione di natura privata appaia non conforme alle risultanze di indagine, si ritiene che doverosamente l’inquirente debba instaurare il rapporto con gli organi di informazione al fine di riportare sui corretti binari la conoscenza dell’opinione pubblica per evitare di lasciare del tutto il passo a un’informazione esclusivamente privata, probabilmente interessata e libera di scegliere, forme, contenuti e momenti».
[14] In tal senso, v. G. Caneschi, Processo penale mediatico e presunzione di innocenza, cit., p. 21 la quale sottolinea come «i convitati di pietra dello schema di d.lgs. (così come della direttiva europea che ne è ispiratrice) sono i mass media, del tutto ignorati dalla sfera di applicazione delle nuove misure penate a tutela dell’imputato. Non è sufficiente, infatti, dettare regole di comportamento per l’autorità e lasciare piena libertà agli organi di stampa di indicare anticipatamente un individuo come colpevole: al contrario, è legittimo pretendere che anche la cronaca giudiziaria si attenga al rigoroso rispetto della presunzione di innocenza».
[15] Già autorevole dottrina ebbe ad osservare, in merito alla proposta di direttiva formulata in sede comunitaria, come «rimane inspiegabilmente al di fuori della portata della direttiva il comportamento dei media che molto spesso arrecano più danni alla presunzione d’innocenza di quanto non possano fare i pubblici ufficiali. Per disinnescare del tutto il cortocircuito mediatico-giudiziario non appare sufficiente dettare regole di comportamento rivolte all’autorità inquirente, lasciando al tempo stesso piena libertà alla stampa di indicare preventivamente un colpevole, magari nell’ambito di violente campagne volte al raggiungimento di scopi schiettamente politici» (così, O. Mazza, Presunzione di innocenza e diritto di difesa, in AA.VV., I nuovi orizzonti della giustizia penale europea. Atti del convegno. Milano, 24-26 ottobre 2014, Giuffrè, Milano, 2014, p. 156).
[16] G. M. Baccari, In Gazzetta il D.Lgs. 188/2021 sulla presunzione di innocenza, cit.
[17] Dubbi sui concreti meccanismi di applicazione della disposizione processual-civilistica sono stati espressi dalla magistratura nella Delibera del CSM relativa allo schema di decreto legislativo in materia di presunzione di innocenza, cit., p. 7-9, nonché dalla stessa avvocatura riunita per la quale «il rimedio previsto dal comma 5 rappresenta un aggravio - anche sotto il profilo economico - per la parte interessata che è costretta ad adire il giudice civile con il patrocinio di un legale» (così, Osservatorio UCPI sull’informazione giudiziaria, Note sullo “Schema di decreto legislativo, cit., p. 2).
[18] Cfr. G. M. Baccari, Presunzione di innocenza: le nuove regole, cit., il quale evidenzia come «un conto è utilizzare lo strumento della rettifica per un enunciato fattuale suscettibile di una verifica attraverso un giudizio di verità-falsità; ben altra cosa è impiegare lo stesso rimedio per sottoporre a controllo la correttezza di una espressione a carattere valutativo»; nonché, G. Caneschi, Processo penale mediatico e presunzione di innocenza, cit., p. 14 che osserva criticamente (ma, condivisibilmente) come – alla luce del rapporto tra la disciplina in esame e la legge sulla stampa (l. 8 febbraio 1948, n. 7) – qualora i giornalisti si siano limitati a riportare le dichiarazioni accusatorie rese dall’autorità pubblica, essi non saranno comunque tenuti a diffondere la rettifica eventualmente disposta da quest’ultima.
[19] Così, G. Caneschi, Processo penale mediatico e presunzione di innocenza, cit., p. 14. Nello stesso senso, G.M. Baccari, Presunzione di innocenza: le nuove regole, cit.: «sull’efficacia del rimedio accolto sembra giustificato nutrire scetticismo: tanto più che la decisione sulla richiesta di rettifica è attribuita, almeno in prima battuta, allo stesso autore della dichiarazione lesiva della presunzione di innocenza».
[20] G. Caneschi, Processo penale mediatico e presunzione di innocenza, cit., p. 22-23.
[21] Cfr. Osservatorio UCPI sull’informazione giudiziaria, Note sullo “Schema di decreto legislativo, cit., p. 2.
[22] Cfr. il d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 106 recante «Disposizioni in materia di riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, a norma dell’art. 1, comma 1, lettera d), della legge 25 luglio 2005, n. 150».
[23] G. Caneschi, Processo penale mediatico e presunzione di innocenza, cit., p. 16: «il testo della disposizione appare di una vaghezza tale da portare a pensare che, concepita come eccezione, la diffusione di notizie diventerà la regola». In questo senso, anche, G.M. Baccari, In Gazzetta il D.Lgs. 188/2021 sulla presunzione di innocenza, cit. per il quale «in assenza di più stringenti e chiare indicazioni sui criteri ai quali dovrebbero attenersi questi ultimi, resta affidata alla prassi la specificazione delle possibili “ragioni di interesse pubblico”».
[24] Così, la Direttiva della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia relativa alle novità in tema di comunicazione delle informazioni sui procedimenti penali e sugli atti di indagine introdotte dal d.lgs. 188/2021, reperibile in questa Rivista, 7 dicembre 2021, p. 2. Nello stesso senso, v. la Direttiva n. 3/2021 della Procura della Repubblica di Tivoli concernente “Prime indicazioni sull’applicazione del d.lgs. n. 188/2021 di attuazione della direttiva (UE) 2016/343, con particolare riferimento alla diffusione di informazioni e ai rapporti tra Procuratore della Repubblica e polizia giudiziaria in ordine alle disposizioni sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza”, 13 dicembre 2021, in Giurisprudenza penale web, 14 dicembre 2021 nella quale vengono riportati, a titolo esemplificativo, la necessità di «verificare la reazione di persone oggetto delle indagini (intercettazioni, servizi di osservazione), sollecitare la collaborazione ed il rilascio di informazioni»; la Circolare della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cuneo, cit., p. 3 che si riferisce ai «casi in cui il rapporto con le fonti d’informazione è necessario per la ricerca di testimoni oculari, di documenti, di persone scomparse, nonché per l’individuazione di responsabili al momento non noti e per la cui identificazione non siano utili i normali strumenti d’indagine»; le Indicazioni operative della Procura presso il Tribunale di Latina, 13 dicembre 2021, al sito www.ordineavvocatilatina.it, p. 3.
Si deve dare conto, peraltro, di come ulteriori specificazioni in tal senso fossero già state offerte dalla Delibera del CSM relativa allo schema di decreto legislativo in materia di presunzione di innocenza, cit., p. 11: «la divulgazione di notizie dirette a vagliare la reazione di una o più persone soggette ad intercettazione».
[25] Secondo F. Porcu, L’adeguamento della normativa nazionale alla direttiva, cit., il requisito in esame dovrebbe «declinarsi come comprensiv[o] dell’interesse pubblico all’informazione sull’amministrazione della giustizia, quale strumento necessario per un effettivo controllo democratico sull’esercizio del potere giurisdizionale».
[26] Direttiva della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, cit., p. 2.
[27] Delibera del CSM relativa allo schema di decreto legislativo in materia di presunzione di innocenza, cit., p. 12. Nello stesso senso, v. la Circolare del 2 dicembre 2021 della Procura della Repubblica di Bologna, reperibile all’indirizzo www.procura.bologna.giustizia.it, p. 7. Cfr., altresì, la Direttiva n. 3/2021 della Procura della Repubblica di Tivoli, cit. p. 4 ss. nella quale, dopo aver elencato una serie di provvedimenti che, «come insegna l’esperienza rientrano tra le informazioni per ragioni di interesse pubblico», specifica che il Procuratore della Repubblica dovrà «considerare ragioni di opportunità, non potendo declinarsi preventivamente le molteplici ragioni di interesse pubblico che possono ricorrere».
[28] Com’è noto, tale nozione richiama la necessità di predisporre un atto di impugnazione che non si fondi su considerazioni generiche e astratte o «non pertinenti al caso concreto» (così, Cass., Sez. Un., 27 ottobre 2016, n. 8825, Galtelli, in Dejure, par. 5.1).
[29] «Il ricorso a tali ragioni dovrebbe essere limitato a situazioni in cui ciò sia ragionevole e proporzionato, tenendo conto di tutti gli interessi». Auspicava un intervento in questo senso, G. Caneschi, Processo penale mediatico e presunzione di innocenza, cit., p. 15, nt. 36.
[30] Così si esprime la Relazione di accompagnamento allo Schema di decreto legislativo, cit., p. 5.
[31] Nella Direttiva 1/2021 della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Taranto, reperibile al sito www.procmin.taranto.giustizia.it, p. 4 si specifica che tale riferimento debba valere «tanto per le attività di iniziativa, quanto per quelle in esecuzione di delega da parte di quest’Ufficio di Procura».
[32] Direttiva della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, cit., p. 4.
[33] Testualmente, A. Scalfati, Il fermento pre-investigativo, in Id. (a cura di), Pre-investigazioni. (Espedienti e mezzi), Giappichelli, Torino, 2020, p. 3. Sul tema delle pre-investigazioni, v. R. Aprati, La notizia di reato nella dinamica del procedimento penale, Jovene, Napoli, 2010, p. 45 ss.; A. Marandola, I registri del pubblico ministero tra notizia di reato ed effetti procedimentali, Cedam, Padova, 2001, p. 98-120; N. Triggiani, Legalità opaca: raccolta atipica e pre-investigazioni, in Arch. pen. (web), 1/2021, p. 4; A. Zappulla, La formazione della notizia di reato. Condizioni, poteri ed effetti, Giappichelli, Torino, 2012, p. 225-256.
[34] Cfr. G. Giostra, Processo penale e informazione, Giuffrè, Milano, 1989, p. 301 ss.; F. Porcu, Pubblicità e segretezza nel processo penale tra indicazioni normative e profili attuativi, Cedam, Milano, 2020, p. 194-208; N. Triggiani, Giustizia penale e informazione. La pubblicazione di notizie, atti e immagini, Cedam, Trento, 2012, p. 39 ss.; nonché, volendo, A. Malacarne, Recenti approdi giurisprudenziali in tema di pubblicabilità degli atti del procedimento penale, in Leg. pen. (web), 15 aprile 2020, p. 9 ss. al quale si rinvia per ulteriori indicazioni bibliografiche.
[35] F. Cordero, Procedura penale, 9° ed., Giuffrè, Milano, 2012, p. 226.
[36] Così, N. Triggiani, Legalità opaca, cit., p. 1.
[37] Cfr., oltre alle direttive citate nelle note precedenti, la Circolare della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Bologna del 13 dicembre 2021, all’indirizzo www.procuraminorenni.bologna.it; la Circolare della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Palermo del 15 gennaio 2021, al sito www.procmin.palermo.giustizia.it; la Nota esplicativa e direttive esplicative della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Gorizia del 10 dicembre 2021, all’indirizzo www.procura.gorizia.giustizia.it.
[38] Cfr. la Direttiva in tema di “comunicazioni istituzionali della Procura della Repubblica di Modena” ed altre disposizioni in tema di presunzione di innocenza, 9 dicembre 2021, all’indirizzo www.procura.modena.giustizia.it, p. 12. Contra, la Circolare del 2 dicembre 2021 della Procura della Repubblica di Bologna, cit., p. 7 s. nella quale si specifica che l’attivazione del meccanismo previsto al comma 3-bis «non può essere autonoma, ma deve essere, appunto, sempre autorizzata dal procuratore della Repubblica».
[39] Così, ancora, la Direttiva in tema di “comunicazioni istituzionali della Procura della Repubblica di Modena”, cit., p. 12.
[40] Cfr. J. Della Torre, Ritratto di un’archiviazione come atto di (cripto)accusa, in Arch. pen. (web), 2/2021, p. 9 che, alla nt. 32, attribuisce la paternità dell’espressione a L. Campbell, Criminal Labels, the European Convention on Human Rights and the Presumption of Innocence, in The Modern Law Review, 2013, p. 684.
[41] Delibera del CSM relativa allo schema di decreto legislativo in materia di presunzione di innocenza, cit., p. 5.
[42] Cfr., ancora, J. Della Torre, Ritratto di un’archiviazione, cit., p. 12.
[43] G.M. Baccari, Presunzione di innocenza: le nuove regole, cit.
[44] Cfr., in questo senso, l’art. 3 dello Schema di decreto approvato dal Governo il 6 agosto 2021 (reperibile in questa Rivista, 12 agosto 2021) e il Parere della commissione giustizia della Camera dei Deputati del 20 ottobre 2021, in Giurisprudenza penale web, 21 ottobre 2021, p. 240.
[45] Si pensi, ad esempio, alla notizia dell’arresto di un’asserita “banda” di rapinatori seriali; in tale circostanza, lo strumento della conferenza stampa potrebbe risultare opportuno per informare più celermente la popolazione residente in quella determinata zona della città colpita dai malviventi. In questo senso, v. la Direttiva in tema di “comunicazioni istituzionali della Procura della Repubblica di Modena”, cit., p. 8 nella quale si rileva come la formula in oggetto sia «abbastanza vaga, anche perché (soprattutto in realtà provinciali e comunque medio-piccole, con tassi di criminalità non paragonabili a realtà territoriali più grandi) la sensibilità della popolazione residente può essere diversa e ciò non può che incidere sul criterio della rilevanza pubblica in concreto. In altri termini, anche un episodio di microcriminalità che altrove sarebbe di importanza trascurabile, in territori come la provincia di Modena potrebbe apparire rilevante, con tutto ciò che consegue in termini di esigenza di diffusione delle notizie sui relativi sviluppi giudiziari della vicenda».
[46] Metteva già in guardia da una simile interpretazione del contenuto della direttiva, C. Valentini, Media e processo penale: riflessioni a margine, in Proc. pen. giust., 1/2021, p. 13.
[47] G.M. Baccari, In Gazzetta il D.Lgs. 188/2021 sulla presunzione di innocenza, cit.
[48] G. Caneschi, Processo penale mediatico e presunzione di innocenza, cit., p. 16.
[49] Cfr. E. Amodio, Estetica della giustizia penale. Prassi, media, fiction, Giuffrè, Milano, 2016, p. 129.
[50] Contra, E. Bruti Liberati, Giustizia e comunicazione: 11) La problematica attuazione della direttiva UE 2016/343 sulla presunzione di innocenza, in www.giustiziainsieme.it, 3 settembre 2021 secondo cui «questo tipo di informazione, ove non si riduca al mero testuale riferimento all’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento (Pubblico ministero, Giudice delle indagini preliminari, Giudice dell’Udienza Preliminare, Tribunale, Corte di Appello), può contribuire a formare nella pubblica opinione la comprensione del reale valore della presunzione di non colpevolezza». In una prospettiva non dissimile, N. Rossi, Il diritto a non essere “additato” come colpevole prima del giudizio, cit., che definisce la disposizione de qua come «assolutamente decisiva» in quanto «una informazione “situata”, dunque, che consenta ai giornalisti specializzati che si occupano di cronaca giudiziaria e agli altri media di chiarire all’opinione pubblica quando si è di fronte ad una informazione di fonte unilaterale o a notizie relative a fasi connotate da un contraddittorio anticipato o, ancora, a dati concernenti l’esito di procedimenti incidentali».
[51] La Delibera del CSM relativa allo schema di decreto legislativo in materia di presunzione di innocenza, cit., p. 16 auspicava una modifica dello schema di decreto legislativo volta a individuare «”in positivo” quali [fossero] i provvedimenti cui si applica il divieto contenuto nel primo comma dell’art. 115 bis c.p.p.».
[52] In questo senso, v., ancora, la Delibera del CSM relativa allo schema di decreto legislativo in materia di presunzione di innocenza, cit., p. 17.
[53] Cfr. P. Ferrua, La direttiva europea sulla presunzione di innocenza e i provvedimenti cautelari, in www.ilpenalista.it, 27 ottobre 2021 che ritiene «inutile chiedersi quale comma, in questo sibillino testo di pessima lega, alluda ai provvedimenti cautelari. Si può indifferentemente ritenere che siano contemplati nel primo o nel secondo comma o in entrambi, sperando che in sede di formulazione definitiva il dubbio sia sciolto e il testo migliorato. Tuttavia, a prescindere dal significato della disposizione, il problema resta quello di evitare che i provvedimenti relativi alle misure coercitive si risolvano in giudizi anticipati sulla colpevolezza; problema essenzialmente linguistico perché, in definitiva, ciò che vieta la direttiva europea sono proprio le imprudenti affermazioni di colpevolezza prima della condanna». Ritiene che «l’interprete più attento, superato l’iniziale disorientamento, dovrà di necessità finire pe ritenere che le ordinanze de libertate rientrino tanto nel secondo quanto nel primo comma della norma de qua e siano, quindi, in ogni caso suscettibili di “correzione”», G.M. Baccari, In Gazzetta il D.Lgs. 188/2021 sulla presunzione di innocenza, cit. Al contrario, la Delibera del CSM relativa allo schema di decreto legislativo in materia di presunzione di innocenza, cit., p. 17 pare collocare l’ordinanza applicativa della misura cautelare nell’ambito del secondo comma dell’art. 115-bis, con conseguente inoperatività dell’istanza di correzione.
[54] In questi termini, già, N. Rossi, Il diritto a non essere “additato” come colpevole prima del giudizio cit.
[55] Delibera del CSM relativa allo schema di decreto legislativo in materia di presunzione di innocenza, cit., p. 17 s. Anche secondo G. M. Baccari, Presunzione di innocenza: le nuove regole, cit. «in concreto sarà molto complicato per il magistrato esaltare il quadro di gravità indiziaria, esclusivamente al fine di dimostrare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura, ma senza scadere in un giudizio anticipato di colpevolezza dell’imputato».
[56] Cfr., ancora, N. Rossi, Il diritto a non essere “additato” come colpevole prima del giudizio cit. Nello stesso senso, F. Porcu, L’adeguamento della normativa nazionale alla direttiva, cit., per il quale «la nuova disposizione potrebbe imporre all’A.G. di precisare che le valutazioni in ordine alla colpevolezza dell’imputato trasfuse nel provvedimento risultano di natura provvisoria e suscettibili di essere modificate nel corso del procedimento».
[57] Testualmente, E. Marzaduri, Presunzione d’innocenza e tutela della libertà personale dell’imputato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in A. Gaito (a cura di), I principi europei del processo penale, Dike, Roma, 2016, p. 186, al quale si rinvia per gli opportuni richiami alla giurisprudenza della Corte europea. L’Autore, inoltre, richiamando, alla nt. 62, O. Mazza, Presunzione di innocenza e diritto di difesa, cit., p. 158, ritiene di «non poter non condividere il rilievo di chi ha sostenuto che i provvedimenti cautelari adottati dal giudice italiano non sono sempre “caratterizzati da un linguaggio così sorvegliato”, per cui “sarebbe forse opportuno recepire (…) a livello normativo” l’indicazione contenuta nella Direttiva del 2016, “rendendola generalmente precettiva”».
[58] A tal proposito, v. l’Editoriale – Giustizia e Comunicazione promosso dalla Rivista Giustizia insieme e reperibile all’indirizzo www.giustizainsieme.it, 19 maggio 2021.
[59] La bozza del decreto prevedeva la celebrazione, in sede di giudizio di opposizione, di un’udienza camerale ex art. 127 c.p.p. A seguito del parere espresso dalla Commissione giustizia della Camera dei Deputati («all’articolo 4, prevedere un procedimento più snello per la correzione dell’errore in riferimento alla salvaguardia della presunzione di innocenza») la disposizione è stata riformulata nei termini riferiti nel testo.
[60] Su tale specifico punto, avvocatura e magistratura hanno espresso pareri discordanti: l’UCPI ha qualificato come «incomprensibile» l’attribuzione del potere di correzione in capo allo «stesso giudice che ha affermato convintamente un presupposto fattuale e una qualificazione della condotta dell’imputato» (cfr. Osservatorio UCPI sull’informazione giudiziaria, Note sullo “Schema di decreto legislativo, cit., p. 4); al contrario, il CSM ha ritenuto «del tutto condivisibile la sua attribuzione al giudice “che procede”», auspicando, altresì, un’estensione della competenza anche al tribunale delle libertà nel corso delle indagini preliminari (anziché al g.i.p.), laddove si tratti di provvedimenti emessi nel corso delle procedura di riesame (cfr. Delibera del CSM relativa allo schema di decreto legislativo in materia di presunzione di innocenza, cit., p. 20).
[61] Così, il Servizio Studi del Senato della Repubblica, Dossier n. 429 in tema di Adeguamento alla Dir. 2016/343/UE, in tema di presunzione di innocenza, 7 settembre 2021, p. 5.
[62] Cfr. A. Macrillò, La riparazione per l’ingiusta detenzione cautelare, in L. Luparia (a cura di), L’errore giudiziario, Giuffrè, Milano, 2021, p. 776 che dà conto di come nel 2019 fosse stato approvato un emendamento alla proposta di legge A.C. 1206 volto ad introdurre una disciplina simile a quella approvata con il decreto in esame.
[63] Cfr., da ultimo, Cass. pen., Sez. III, 10 giugno 2020, n. 19063, in Dejure; Cass. pen., Sez. IV, 27 aprile 2018, n. 24439, in Dejure.
[64] Relazione della commissione, cit., p. 5.
[65] Relazione di accompagnamento allo Schema di decreto legislativo, cit., p. 6 dove si legge come «alla luce di uno specifico rilievo contenuto nella relazione della Commissione europea menzionata in premessa è stato altresì necessario intervenite sull’art. 329, comma 2, del codice».
[66] Di «aggiunta […] coerente con l’impianto delle modifiche disposte con il disegno di legge in commento» ha parlato, in sede consultiva, la Delibera del CSM relativa allo schema di decreto legislativo in materia di presunzione di innocenza, cit., p. 20.