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1. Premessa. Il d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 (Decreto “Ristori”, d’ora innanzi per brevità il “Decreto”) interviene in materia penitenziaria con soluzioni che ripropongono, almeno in parte, le misure emergenziali sperimentate nel corso della prima “ondata” epidemica e che erano, però, rimaste in vigore soltanto sino al 30 giugno 2020[1].
Il provvedimento d’urgenza, intervenuto per far fronte alla nuova escalation di contagi da COVID-19 che sta attraversando il Paese e destando una rinnovata preoccupazione, si caratterizza prevalentemente per l’adozione di misure in materia economica e non stupisce che le disposizioni in in ambito carcerario siano passate, perlopiù, in sordina[2].
Le norme che ci si accinge ad illustrare sono contenute negli articoli 28, 29 e 30 del Decreto, che introducono, con vigenza limitata fino al 31 dicembre 2020[3], misure straordinarie e urgenti intese a favorire la concessione, ai soggetti che scontano la pena in carcere, di taluni benefici extra-murari.
Il fine perseguito dalla normativa in commento è quello di prevenire l’insorgenza di nuovi focolai epidemici all’interno degli istituti penitenziari attraverso l’adozione di misure in grado di alleviare la condizione di sovraffollamento carcerario nella quale sono ricadute le carceri dopo la tregua segnata dai provvedimenti seguiti alla nota vicenda “Torreggiani” nel 2013[4].
Abbandonato convintamente l’iniziale approccio securitario da “tutti dentro”[5], gli strumenti messi in campo dall’esecutivo vengono individuati nell’implementazione delle licenze premio per i detenuti “semiliberi”, dei permessi premio per i detenuti comuni e, inoltre, in un’ipotesi eccezionale e temporanea di detenzione domiciliare[6].
Due sono le direttrici seguite con le misure penitenziarie di fresca introduzione. Da un lato, con la previsione di licenze e permessi premio di durata eccezionale, si favorisce la permanenza all’esterno delle carceri di quei detenuti che già beneficiano di risorse trattamentali extra moenia e che, pertanto, possono dirsi ad uno stadio più avanzato del percorso di reinserimento sociale. Dall’altro lato, si ampliano le possibilità di scontare presso il domicilio da parte dei condannati la cui pena è di entità contenuta.
Gli interventi in materia penitenziaria restano, comunque, saldamente ancorati alla situazione contingente di emergenza sanitaria e non sembrano essere destinati ad una definitiva stabilizzazione nell’ordinamento.
Peraltro, visto il (nuovo) rapido progredire della curva del contagio da COVID-19 e considerata l’atavica propensione del legislatore domestico – anche nel settore penitenziario[7] – a trasformare in definitivo ciò che nasce come provvisorio, non si può escludere che il termine di efficacia delle misure possa subire ulteriori spostamenti in avanti o che le stesse possano, al fine, trovare una qualche forma di stabilizzazione all’interno dell’ordinamento.
Va, inoltre, osservato che, per quanto sorretti da nobili propositi, i recenti interventi in ambito penitenziario appaiono, a prima vista, insufficienti a conseguire l’alto obiettivo della deflazione carceraria e le soluzioni adottate non sembrano essere del tutto adeguate allo scopo. Come si vedrà meglio nel corso dell’analisi delle singole disposizioni, infatti, gli istituti eccezionalmente messi in campo del Governo sono stati disseminati di preclusioni e ostatività le quali finiscono, inevitabilmente, per ridurre di molto la platea dei possibili beneficiari.
A tal proposito, sembra aver influito il pesante clima politico e il violento clamore mediatico venutosi a creare, nella primavera scorsa, a seguito delle scarcerazioni (si ricordi, per motivi di salute) di alcuni esponenti della criminalità organizzata[8]. Proprio tale clamore aveva indotto il Governo a correre velocemente ai ripari con due provvedimenti ad hoc (ribattezzati, in modo evocativo, decreti “antiscarcerazioni”[9]) finalizzati ad irrigidire i procedimenti di concessione di alcuni istituti penitenziari nei confronti dei condannati per reati di criminalità organizzata e ad istituire, de facto, meccanismi di controllo sull’operato della magistratura di sorveglianza[10].
È, quindi, in tale temperie sociale e politica che si spiega – ma non per questo si giustifica – la particolare attenzione che, all’interno del nuovo Decreto, il Governo ha prestato nel tipizzare accuratamente i casi di esclusione dai benefici eccezionali di nuova introduzione.
2. Le licenze premio ai condannati “semiliberi”: consentito il superamento del limite massimo di 45 giorni all’anno (art. 28, Decreto). Con l’art. 28 del d.l. 137/2020 rivive, sostanzialmente invariata, la disposizione già contenuta nel d.l. “Cura Italia”[11] (vigente nella prima fase emergenziale) con la quale veniva stabilita la possibilità di concedere ai condannati ammessi alla misura alternativa della semilibertà licenze premio di durata superiore al limite di 45 giorni all’anno previsto dal comma 1, art. 52 ord. penit.
Mettendo a confronto le due disposizioni se ne ricava che, mentre il Decreto di marzo (così come modificato in sede di conversione) stabiliva che, fatti salvi «gravi motivi ostativi […] al condannato ammesso al regime di semilibertà sono concesse licenze con durata sino al 30 giugno 2020»[12], il più recente provvedimento governativo prevede che ai detenuti semiliberi «possono essere concesse licenze con durata superiore» a quelle ordinariamente previste dalla legge penitenziaria[13].
Al di là dell’apparente minor grado di cogenza del dettato normativo – “possono”, in luogo di “sono” concesse – poco sembra essere cambiato in termini di sostanza, considerato il fatto che anche nella vigenza della precedente disposizione il provvedimento del magistrato di sorveglianza non poteva, comunque, dirsi obbligato ma condizionato alla sussistenza dei presupposti di legge e all’assenza di motivi ostativi.
La decisione sulla concessione delle licenze premio ai semiliberi, rimessa alla competenza ordinaria del magistrato di sorveglianza (art. 69, co. 7, ord. penit.), non impone particolari verifiche a cura dell’organo giurisdizionale. La richiesta del detenuto potrà, infatti, essere rigettata soltanto qualora siano ravvisati «gravi motivi ostativi alla concessione della misura» (rectius beneficio), in assenza dei quali il semilibero dovrebbe sempre poter fruire del periodo “lungo” di licenza.
Restano, ovviamente, ferme le ulteriori disposizioni dell’ordinamento penitenziario che disciplinano le licenze premio ordinarie. In breve, quanto alle modalità di esecuzione, il semilibero beneficia del permesso in regime di libertà vigilata, con la conseguente sottoposizione alle prescrizioni e ai divieti tipici stabiliti dal magistrato di sorveglianza[14]. Non è da escludersi, pertanto, che in ragione della particolare situazione sanitaria in atto, nell’ambito della fruizione della licenza il magistrato potrà impartire prescrizioni peculiari (si pensi al divieto di frequentazione di altre persone o di particolari luoghi) volte a tutelare la salute del semilibero e, indirettamente, quella della collettività del carcere di provenienza.
L’intervento del legislatore, che favorisce la permanenza all’esterno del semilibero per periodi continuativi di lunga durata, si propone di prevenire uno dei rischi più evidenti della misura semidetentiva in parola, ossia che il detenuto possa contrarre il virus all’esterno e farsi veicolo di contagio nell’ambiente carcerario nel quale è tenuto a fare rientro[15].
La preoccupazione appare senz’altro ragionevole, considerato che la semilibertà, per sua natura, impone una continua spola del detenuto tra carcere e società esterna. Una condizione che, appunto, appare particolarmente problematica sotto il profilo della prevenzione del contagio e della protezione della comunità carceraria dal virus.
Di fronte alle criticità paventate, non può che salutarsi con favore la scelta del legislatore, il quale, anziché bloccare gli accessi alla misura alternativa – come, pure, era stato deciso nei primissimi giorni dell’epidemia[16]–, ha invece scelto di ampliare le opportunità di permanenza all’esterno.
I periodi di licenza, ai fini di un’efficace azione preventiva del contagio, dovrebbero avere una durata significativa – considerato che l’art. 28 consente, almeno in linea teorica, di accordare una licenza unica fino alla fine dell’anno in corso –, così da limitare al minimo i continui ingressi e le uscite dagli istituti.
Sotto altro profilo, la misura a carattere eccezionale mantiene anche la sua natura trattamentale. Non si può trascurare, infatti, che un periodo così lungo di permanenza del detenuto nella società libera potrebbe rappresentare una preziosa occasione per mettere alla prova il condannato nel percorso di reinserimento sociale.
Benché sul piano astratto la norma in commento risulti ispirata a razionalità e senso di umanità, le valutazioni che si devono esprimere sul piano delle ricadute pratiche non possono essere altrettanto ottimistiche.
Un dato, su tutti, risulta particolarmente eloquente. Limitando l’analisi ai condannati adulti, al 15 ottobre 2020 i detenuti che in Italia scontavano la pena in regime di semilibertà erano appena 760 su oltre 54.000 e soltanto il 2,7% del numero complessivo dei soggetti ammessi a una misura alternativa alla detenzione[17].
Il dato, oltre a confermare la scarsa fortuna che tale misura alternativa ha riscosso, sin dalla sua introduzione, nel sistema penitenziario, lascia prevedere che la disposizione di recente introduzione avrà un’applicazione molto limitata.
Ad ogni modo, l’istituto, se correttamente utilizzato, potrà contribuire alla prevenzione della diffusione del contagio all’interno delle carceri e, al contempo, servire da risorsa per il percorso trattamentale del detenuto semilibero.
3. I permessi premio di durata straordinaria (art. 29, Decreto). Diversamente dalle altre due misure introdotte dal Decreto “Ristori”, l’art. 29 rubricato “Durata straordinaria dei permessi premio”, contiene una disciplina che, nell’epoca dell’emergenza Covid-19, non era ancora stata sperimentata dal legislatore.
Anche in questo caso, il beneficio ha natura eccezionale ed è destinato ad operare pro tempore nell’ordinamento fino al 31 dicembre 2020. La formulazione, non del tutto perspicua, dell’art. 29 del Decreto sembra lasciare aperta la possibilità di interpretare la norma nel senso che i permessi potranno essere, in concreto, fruiti dal condannato anche dopo il termine del 31 dicembre 2020, purché siano stati concessi dal Magistrato anteriormente a tale data[18].
Per quanto attiene al contenuto della disposizione normativa, l’art. 29 stabilisce che possono essere concessi, in favore di soggetti detenuti che presentino determinati requisiti (come si vedrà di seguito) permessi premio per coltivare interessi affettivi, culturali e di lavoro, di durata anche superiore rispetto ai limiti previsti dall’ordinamento penitenziario.
Come noto, i limiti ordinari si rinvengono nell’art. 30-ter ord. penit. Mentre il primo comma prevede una disciplina generale per i condannati adulti – che possono beneficiare di permessi della durata ciascuno non superiore a 15 giorni, per un massimo di 45 giorni all’anno –, il secondo comma ne contiene una speciale, di maggior favore, per i condannati minorenni – per i quali i limiti passano, rispettivamente, a 30 e a 100 giorni.
Per effetto dell’art. 29 del Decreto, i predetti limiti diventano, ora, provvisoriamente superabili. Il magistrato di sorveglianza potrà, così, concedere singoli permessi anche di oltre 15 (per gli adulti) e 30 (per i minori) giorni consecutivi oppure accordare ulteriori permessi a detenuti che abbiano già fruito, nell’anno in corso e per intero, del periodo massimo previsto dalla legge.
La previsione di permessi premio di durata straordinaria condivide con le licenze premio la logica di favorire la permanenza prolungata all’esterno dell’istituto da parte dei soggetti detenuti. Si intuisce, anche in tale occasione, il tentativo del legislatore di dotare il sistema di strumenti – nel caso di specie, tra loro alternativi[19] – in grado di allentare la pressione carceraria e, al contempo, operare in chiave di prevenzione della diffusione del contagio.
3.1. I presupposti applicativi... Deve subito evidenziarsi, tuttavia, che il perimetro applicativo dell’istituto in commento risulta, anche in questo caso, piuttosto circoscritto. A tal riguardo, è necessario passare brevemente in rassegna i presupposti che consentono di accedere al beneficio e, subito dopo, volgere l’attenzione alle svariate preclusioni – di natura oggettiva e soggettiva – con le quali il legislatore ha costellato la disposizione in esame.
Procedendo per ordine, deve guardarsi innanzi tutto al comma 1 dell’art. 29 del Decreto, il quale individua la platea dei possibili beneficiari tra i condannati «cui siano stati già concessi i permessi di cui all’art. 30-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 e che siano stati già assegnati al lavoro all’esterno ai sensi dell’art. 21» della medesima legge.
Quanto al primo presupposto, può desumersi a contrario che il beneficio non può essere invocato da parte di quei detenuti che non abbiano ancora ottenuto il primo permesso premio, o perché privi dei presupposti di legge di cui all’art. 30-ter ord. penit. o perché il magistrato di sorveglianza ne ha rigettato la relativa istanza. La richiesta del permesso di durata “straordinaria”, pertanto, è riservata esclusivamente ai detenuti già beneficiari dei permessi di uscita “ordinari”.
La scelta del legislatore è chiaramente indirizzata a favorire quei condannati che, avendo già sperimentato il beneficio extra-murario (con esito positivo, si intende), dovrebbero garantire una maggior affidabilità nella corretta esecuzione del permesso di più lunga durata[20].
Quanto al secondo requisito, l’art. 29 fa riferimento al noto istituto di ordinamento penitenziario del lavoro all’esterno, regolato dall’art. 21 ord. penit., e alle attività di istruzione o formazione che siano ad esso assimilate[21].
Ad una prima lettura della disposizione, sorge un quesito interpretativo di non poco momento. Stando al tenore letterale dell’art. 29 i due presupposti appena menzionati parrebbero doversi intendere come cumulativi, considerata la presenza della congiuntiva “e” che appare inequivoca. La conseguenza che ne deriverebbe è che il detenuto che sia in possesso di uno solo dei requisiti – in quanto ha già beneficiato di permessi premio oppure perché svolge attività lavorativa ex art. 21 ord. penit. – rimarrebbe escluso dalla possibilità di richiedere il permesso premiale “straordinario”.
Orbene, la soluzione, per quanto fedele al testo, non convince poiché, oltre a restringere eccessivamente l’ambito applicativo della disposizione, sarebbe foriera di risultati poco coerenti in un’ottica di sistema.
Nel tentativo di indagare la ratio legis, ben potrebbe comprendersi la scelta del legislatore di precludere i permessi di durata eccezionale a condannati che ancora non abbiano avuto accesso al primo permesso “ordinario”, in base al principio di progressività del trattamento penitenziario. Al contrario, non riesce di capire perché un detenuto che fruisca, magari da lungo tempo e positivamente, dei permessi premio “ordinari”, debba essere escluso dal beneficio in esame per il sol fatto di non svolgere, al contempo, un’attività lavorativa o formativa extra moenia[22].
Il lavoro all’esterno è, come risaputo, un beneficio molto ambito dai detenuti e, purtuttavia, soltanto una minima parte della popolazione carceraria riesce ad avervi accesso[23].
Al contempo, non sempre il detenuto ammesso a lavorare ai sensi dell’art. 21 svolge, effettivamente, la propria attività al di fuori dell’istituto. È nota, infatti, la prassi di diverse realtà carcerarie di qualificare come “lavoro all’esterno” anche attività che, sebbene siano prestate dai detenuti-lavoratori per conto di imprese o società cooperative private, si svolgono in realtà in laboratori, uffici o locali che sono situati all’interno degli stessi istituti carceri. In casi del genere manca, pertanto, quel dato qualificante che, eppure, dovrebbe costituire la “cifra” dell’istituto in questione, rappresentata dal progressivo reinserimento del detenuto nella società libera attraverso il lavoro.
La soluzione ermeneutica, come appena visto, non può ritenersi soddisfacente.
Una diversa soluzione sarebbe, invece, quella di intendere i presupposti come tra loro alternativi, con l’effetto di allargare la platea dei detenuti potenzialmente beneficiari, senza pregiudicare in alcun modo il principio di progressività del trattamento e, soprattutto, di garantire quel livello di “affidabilità” – che, più di tutto, sembra stare a cuore al legislatore – per la concessione del permesso premio di durata straordinaria. Infatti, deve riconoscersi che sia il condannato che ha usufruito (almeno) di un permesso ordinario sia, a maggior ragione, quello autorizzato a lavorare quotidianamente all’esterno dell’istituto carcerario, hanno già sperimentato spazi di autonomia nella società libera e possono, in linea generale, dirsi meritevoli del beneficio qui in esame.
Sulla base di tali considerazioni, sarebbe certamente opportuno che in sede di conversione del decreto legge il testo della disposizione venisse interpolato, sostituendo nel comma 1, art. 29, la particella congiuntiva “e” con quella avversativa “o”, al fine di eliminare ogni margine di dubbio. Nel frattempo, si auspica che gli Uffici di sorveglianza che saranno chiamati ad applicare la norma sciolgano il nodo interpretativo facendo uso di un criterio sistematico (certo, un po’ forzato, ma dagli esiti ragionevoli), a discapito di uno meramente letterale (fedele al testo, ma dagli esiti irragionevoli[24]).
3.2. …e le preclusioni. Passando all’esame delle preclusioni, deve guardarsi al comma 2 dell’art. 29 del Decreto.
In primo luogo, la norma esclude espressamente dalla fruizione del beneficio in questione i condannati detenuti per delitti “ostativi” ricompresi nell’elenco di cui all’art. 4-bis ord. penit. e per i delitti di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e di atti persecutori (art. 612-bis c.p.).
In secondo luogo, viene stabilita un’ulteriore e, sembrerebbe, inedita ostatività per connessione per gli autori di taluni gravi delitti – si tratta di alcune delle figure delittuose cc.dd. di “prima fascia” di cui al comma 1, art. 4-bis ord. penit. e, in particolare, dei reati di associazione mafiosa o commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p. o al fine di agevolare l’associazione, di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico[25] – nei cui confronti sia in esecuzione un cumulo di condanne che preveda, oltre ai predetti reati, anche reati “comuni”.
In tale ipotesi, l’art. 29 del Decreto stabilisce che, se il giudice della cognizione o dell’esecuzione hanno accertato la connessione, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. b) o c), c.p.p., tra i due reati oggetto del cumulo, il condannato non può invocare il beneficio premiale e ciò, si badi, anche qualora abbia già compiutamente espiato la “quota” di pena relativa al reato ostativo e abbia, in astratto, maturato i presupposti per richiedere il permesso premio.
In breve, nei casi di connessione ex art. 12, lett. b), c.p.p. non sarebbe consentito procedere allo scioglimento del cumulo giuridico nel corso dell’esecuzione delle pene[26]; altrettanto, nei casi di connessione “teleologica” ex art. 12, lett. c), c.p.p. troverebbe sempre applicazione l’effetto ostativo proprio dell’art. 4-bis anche per i reati “comuni”.
Sul punto, deve osservarsi che la possibilità di sciogliere il cumulo di pene concorrenti discende da ovvie ragioni di conformità con il principio di uguaglianza e rappresenta il fil rouge che interessa molteplici istituti della legislazione penale e della fase dell’esecuzione penale[27].
Anche solo limitando lo sguardo al diritto penitenziario, la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che, in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti ex art. 663 c.p.p., possa procedersi con lo scioglimento del “cumulo” nel corso dell’esecuzione, quando occorre procedere al giudizio sull’ammissibilità della domanda di concessione di un beneficio penitenziario che trovi ostacolo nella presenza di un reato “ostativo” di cui all’art. 4-bis ord. penit.[28].
La previsione normativa in commento sembra, pertanto, porsi in aperto contrasto con quel principio che intende il cumulo tra pene come beneficio per il condannato dal quale, secondo il principio del favor rei, non possono derivare effetti pregiudizievoli sotto il profilo sanzionatorio.
Evidente è, poi, il rischio di un pericoloso effetto di “rete a strascico” capace di estendere indirettamente i regimi ostativi propri dell’art. 4-bis ord. penit. anche a reati “connessi”. In tal modo, il legislatore finisce per ampliare surrettiziamente il catalogo, già di per sé eterogeneo e sovrabbondante, dei reati considerati “ostativi” in materia penitenziaria.
Per quanto sin qui osservato, la disciplina in commento non sembra immune da possibili frizioni con i principi costituzionali di ragionevolezza e uguaglianza (art. 3 Cost.) e di rieducazione della pena (27, co. 2 Cost.), dal momento che il legislatore decide di escludere dal raggio di applicazione della norma in esame detenuti che, pur condannati per gravissimi reati, abbiano però validamente intrapreso un percorso rieducativo e si trovino ad uno stadio avanzato del medesimo, tanto da poter accedere alle ordinarie opportunità trattamentali extra-murarie.
Si ritiene, inoltre, che il presupposto stabilito dall’art. 29, comma 1 – ossia, l’aver già fruito il detenuto di permessi e di lavoro all’esterno – sarebbe stato, di per sé, sufficiente a selezionare tra i detenuti quelli più meritevoli del beneficio, senza per questo dover incidere sull’ordinaria operatività dell’art. 4-bis ord. penit.
In conclusione, risulta evidente che, mediante la serie di ostatività contenute nell’art. 29 del Decreto, il Governo abbia voluto mettersi al riparo da possibili nuove polemiche politiche e clamori mediatici, prevenendo tout court anche solo la remota eventualità che esponenti della criminalità organizzata possano beneficiare, nei mesi a venire, di permessi premio di durata straordinaria “in nome” della legislazione emergenziale.
L’opzione legislativa, oltre ad essere la spia di una sorta di “ossessione” dell’attuale legislatore nei confronti di talune espressioni della criminalità e a tradire una certa sfiducia nei riguardi della magistratura di sorveglianza, risulta altresì mal congegnata anche per quanto attiene la disciplina per i condannati per reati “comuni”.
Fatta salva l’ipotesi, sopra suggerita, di un’interpretazione alternativa del doppio requisito – l’aver beneficiato di permessi premio e l’essere ammessi al lavoro all’esterno – ci si deve domandare se l’art. 29 del Decreto nella sua attuale formulazione possa dirsi, quantomeno, una norma “servibile” agli operatori del diritto e, ancor prima, alla popolazione carceraria. Chi scrive, per le considerazioni esposte, ha motivo di dubitarne.
4. L’esecuzione domiciliare delle pene non superiori a 18 mesi (art. 30, Decreto). L’art. 30, Decreto “Ristori”, rubricato “Disposizioni in materia di detenzione domiciliare”, completa il trittico di misure emergenziali in materia penitenziaria. Con la disposizione in questione, torna in vigore la particolare disciplina della detenzione domiciliare riservata alle pene detentive di breve durata che già era stata sperimentata con il Decreto “Cura Italia” e che, al pari delle altre misure fin qui esaminate, aveva terminato la propria operatività il 30 giugno 2020.
Si tratta, anche in questo caso, di una norma “a tempo”, introdotta nell’ordinamento con finalità precipuamente deflattive. L’art. 30 consente, per l’appunto, al detenuto di espiare la pena presso il domicilio a prescindere da requisiti di meritevolezza e al di fuori della logica rieducativa che sottende l’esecuzione della pena[29].
L’efficacia ratione tempore del beneficio è limitata al 31 dicembre 2020, con la doverosa precisazione che possono accedere al beneficio i detenuti che abbiano maturato i presupposti di legge entro tale data[30]. Nel caso di specie, pertanto, le misure domiciliari disposte sotto la vigenza della norma continueranno ad avere esecuzione nelle medesime forme anche una volta terminato il periodo emergenziale e fino al termine della pena.
Modellata sulla “esecuzione della pena detentiva nel domicilio”, istituto introdotto nell’ordinamento con l’art. 1, l. 26 novembre 2010, n. 199[31], la detenzione domiciliare “Covid-19” trova la propria ragion d’essere nella volontà del legislatore, per un verso, di semplificare al massimo il procedimento di concessione della misura e, per altro verso, di stabilire nuove e autonome preclusioni in chiave soggettiva.
La disciplina contenuta nell’art. 30 rinvia, in generale, alla misura “madre” di cui all’art. 1, l. 199/2010 le cui disposizioni si applicano a quella di nuova introduzione “in quanto compatibili” (comma 8, art. 30), ad eccezione dei commi 1, 2 e 4[32]. Ci si limiterà, nel prosieguo, ad evidenziare i tratti peculiari della misura emergenziale, rinviando per il resto alla disciplina contenuta nella L. 199/2010.
4.1. L’iter istruttorio semplificato e il procedimento di concessione. Per quanto attiene ai profili procedurali della misura, l’iter istruttorio e il procedimento applicativo vengono ulteriormente semplificati.
Premesso che la domanda per la concessione della misura compete, in via principale, al detenuto, ma che l’iniziativa può anche essere ufficiosa (per opera della direzione dell’istituto penitenziario o del pubblico ministero), il comma 4, art. 30, Decreto, affida alla direzione del carcere un ruolo centrale nell’ambito della (pur limitata) attività istruttoria.
In primo luogo, nell’ottica della semplificazione e della speditezza del procedimento autorizzativo, l’art. 30 stabilisce che, a differenza di quanto previsto dall’art. 1, comma 4, l. 199/2010, la direzione possa omettere la trasmissione al magistrato di sorveglianza della relazione comportamentale sulla condotta tenuta dal condannato durante la detenzione.
In positivo, la direzione è, invece, tenuta a compiere una verifica preventiva circa i presupposti di legge stabiliti per il beneficio, in capo al detenuto, e a trasmettere al magistrato di sorveglianza una nota informativa in cui si attestano l’entità della pena residua (necessariamente inferiore ai 18 mesi), l’assenza delle condizioni ostative tassativamente indicate nel comma 1, art. 30 del Decreto, nonché l’acquisizione del consenso del condannato all’attivazione del braccialetto elettronico (quando obbligatorio).
Il procedimento assume cadenze, almeno in parte, diverse quando la misura venga applicata dallo stato di libertà. In tali casi il magistrato di sorveglianza provvede a seguito della sospensione dell’ordine di carcerazione disposta dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 1, comma 3, l. 199/2010.
Una volta instaurato il procedimento dinanzi al magistrato di sorveglianza, questi provvede sulla domanda con le forme semplificate stabilite dall’art. 69-bis ord. penit. (ma il termine per acquisire il parere del pubblico ministero è ridotto a 5 giorni). Il provvedimento decisorio è un’ordinanza emessa in camera di consiglio senza la presenza delle parti[33].
La competenza spetta, quindi, all’organo giurisdizionale monocratico – al pari di quanto previsto dall’art. 1, l. 199/2010 –, diversamente dal criterio generale di attribuzione al collegio delle decisioni in ordine alla concessione delle misure alternative[34].
Come si è anticipato, la peculiare ipotesi di detenzione domiciliare in commento assolve a una funzione strettamente deflattiva, tanto che nella valutazione richiesta al magistrato di sorveglianza ai fini della sua concessione manca ogni considerazione circa la meritevolezza o alla idoneità della misura a realizzare il reinserimento sociale del detenuto.
A mente del comma 2, art. 30, Decreto, il magistrato, verificati i presupposti di legge, accorda l’esecuzione della pena presso il domicilio, salvo che ravvisi «gravi motivi ostativi». Con l’inserimento di tale clausola generale, affetta da palese genericità[35], il legislatore ha attribuito all’organo giurisdizionale un residuale margine di apprezzamento che, tuttavia, non è agevole comprendere su quali elementi valutativi debba essere esercitato.
In breve, per quanto concerne la condotta serbata dal condannato in carcere, in ordine alla quale – come visto – non viene trasmessa alcuna relazione da parte della direzione, deve concludersi per la sua generale irrilevanza ai fini del decidere. Fanno eccezione, ovviamente, quei comportamenti di rilievo disciplinare che sono indicati alle lettere d) ed e) del comma 1 e sono qualificati espressamente come preclusivi della misura.
Ma, soprattutto, ci si deve domandare se possano integrare i “gravi motivi ostativi” quelle valutazioni prognostiche quali, su tutte, il “pericolo di fuga” e il pericolo di “commissione di nuovi delitti” che, pure, il legislatore aveva voluto non riprodurre nel testo del citato decreto legge, discostandosi chiaramente sul punto dalla disciplina-modello di cui alla legge 199/2010[36].
A tal riguardo, è stato autorevolmente osservato che “i gravi motivi ostativi”, diversi da quelli specificamente indicati dal comma 1 della disposizione, finirebbero per coincidere proprio con le due predette fattispecie preclusive contemplate nell’art. 1, co. 1 l. 199/2010, ma non replicate nella nuova disposizione[37].
Peraltro, poiché la verifica di tali presupposti, oltre a limitare l’utilizzo dell’istituto, richiede complessi accertamenti e il magistrato di sorveglianza nel procedimento previsto dall’art. 30, Decreto, è tenuto essenzialmente a compiere valutazione di tipo negativo, dovrebbe concludersi che il “pericolo di fuga” e il “rischio di recidiva” possano fondare il rigetto della domanda soltanto quando emergano autonomamente elementi dimostrativi di almeno uno dei due pericoli in questione[38].
4.2. Le modalità esecutive e il ricorso al c.d. braccialetto elettronico. Le modalità esecutive della misura domiciliare coincidono, in linea generale, con quelle tipiche delle ipotesi “tradizionali” di detenzione domiciliare e il luogo dove viene eseguita la pena, in concreto, può coincidere nell’abitazione del condannato o “in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza”[39].
Il quasi-automatismo che governa la concessione della detenzione domiciliare straordinaria – fermi i presupposti e le preclusioni di cui si dirà infra – è stato bilanciato dal legislatore con la previsione del ricorso generalizzato a procedure di controllo con mezzi elettronici (trattasi del c.d. braccialetto elettronico)[40] per tutti i detenuti ammessi a scontare la pena presso il domicilio, ad esclusione dei condannati con pena residua inferiore ai 6 mesi (ma, di fatto, 7 mesi)[41] e dei condannati minorenni[42]. L’utilizzo del braccialetto elettronico, che richiede sempre il consenso dell’interessato, deve intendersi quale condizione necessaria per la concessione della misura, in assenza del quale questa non può essere disposta[43].
Anche al di là delle accese critiche che lo strumento elettronico ha sollevato sin dalla sua introduzione nell’ordinamento e che si appuntano, essenzialmente, sull’effetto fortemente stigmatizzante e lesivo della dignità umana del condannato, il vero punctum dolens della novella si apprezza sul piano pratico in ragione della cronica carenza di dotazioni di cui soffrono gli istituti carcerari[44]. Considerati i tempi ristretti di vigenza della misura a carattere eccezionale e il mancato stanziamento di risorse finanziarie aggiuntive, risulta difficile credere che la domanda di braccialetti elettronici possa essere soddisfatta. Il risultato rischia di essere quello di vanificare in parte l’efficacia della misura e renderla accessibile, quasi esclusivamente, ai detenuti con pena residua non superiore ai 7 mesi o ai condannati minorenni.
4.3. I presupposti applicativi e le preclusioni. Per quanto riguarda, infine, i presupposti applicativi dell’istituto in esame, il Decreto “Ristori” conferma in 18 mesi il limite di pena massimo, da espiare ab initio o come residuo di una maggior pena, per accedere al beneficio[45].
Il comma 2, tuttavia, introduce un nutrito elenco di preclusioni che, in parte comuni a quelle della L. 199/2010, in parte autonome, escludono dall’area di operatività dell’istituto in questione talune categorie di condannati ritenuti, a vario titolo, pericolosi e comunque non meritevoli del beneficio.
Nella black list figurano, innanzitutto, i condannati per delitti di cui all’art. 4-bis ord. penit., come previsto già dalla L. 199/2010, ai quali vengono ora aggiunti i condannati per i reati di “maltrattamenti contro familiari o conviventi” (572 c.p.) e “atti persecutori” (art. 612-bis c.p.).
Ad essere benevoli, la ratio di quest’ultima integrazione dovrebbe risiedere nel fatto che buona parte di tali reati si consumano, in genere, in un contesto famigliare, se non addirittura all’interno del domicilio, rendendo inopportuno che il condannato possa scontare proprio nel domicilio la pena[46].
In realtà, la motivazione si rivela assai debole e, comunque, non pare sufficiente a fondare una preclusione assoluta come quella in parola. Da una parte, infatti, il detenuto potrebbe avere a disposizione un domicilio diverso nel quale scontare la condanna; dall’altra, il legislatore ha tenuto espressamente in considerazione le legittime aspettative di tutela della persona offesa dal reato – a prescindere dal titolo di reato oggetto di condanna –, stabilendo alla lett. f), del comma 2, l’esclusione dalla misura domiciliare nei riguardi di tutti i «detenuti privi di un domicilio effettivo e idoneo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato».
La scelta di affiancare al catalogo dei reati “ostativi” le due fattispecie di cui sopra non sembra, pertanto, sorretta da sufficienti ragioni special-preventive e lascia, invece, trapelare la particolare avversità e la spiccata volontà punitiva – puntualmente tradotta in legge – che si respira nell’attuale contesto sociale nei riguardi di tali fenomeni delittuosi.
Da ultimo, compare anche nella disciplina in commento la regola – in relazione alla quale valgono le stesse considerazioni critiche già formulate in tema di permessi premio “straordinari” – volta a neutralizzare lo scioglimento del cumulo tra pene per i più gravi reati ostativi e i reati “comuni” ad essi connessi ex art. 12, lett. b) e c), c.p.p.
Si tratta di una preclusione introdotta ex novo dal d.l. 137/2020 e che non era, invece, presente nella disciplina così come originariamente disegnata nel decreto “Cura Italia”. Appare superfluo ribadire che la scelta del legislatore si spiega, nuovamente, alla luce del complessivo giro di vite deciso dall’esecutivo in reazione ai clamori mediatici suscitati dalle scarcerazioni “eccellenti” nel corso della prima fase emergenziale.
Viene, invece, confermata l’esclusione dal beneficio dell’esecuzione domiciliare di altre categorie di detenuti, già considerate dalla disciplina generale de 2010, tra i quali figurano i condannati socialmente pericolosi e dichiarati delinquenti abituali (art. 102 c.p.), professionali (art. 105 c.p.) o per tendenza (art. 108 c.p.) e quelli ritenuti pericolosi per l’ordine interno degli istituti penitenziari tanto da essere sottoposti al regime di sorveglianza particolare a norma dell’art. 14-bis ord. penit.
Rispetto alla versione varata in primavera, si assiste ad un ridimensionamento delle preclusioni cc.dd. “disciplinari”. Nella disciplina di nuova introduzione, scompare il riferimento esplicito ai disordini e alle sommosse verificatisi in diversi istituti di pena nei primi giorni dell’emergenza COVID-19 e residua, al comma 1, lett. d), il generico riferimento ai detenuti che nell’ultimo anno siano stati sanzionati disciplinarmente per le infrazioni di “partecipazione o promozione di disordini o sommosse”, “evasione” o “fatti previsti dalla legge come reato, commessi in danno di compagni, di operatori penitenziari o di visitatori” (artt. 18, 19, 20 e 21 Reg. es. ord. penit.).
Infine, deve riconoscersi chiara finalità deterrente alla previsione contenuta alla lett. e), che esclude dal beneficio i soggetti nei cui confronti, a partire dall’entrata in vigore del Decreto verrà redatto, anche solo “rapporto disciplinare” (art. 81, comma 1) perché ritenuti promotori o compartecipi di sommosse o disordini. Il riferimento al semplice “rapporto” disciplinare, in luogo della “sanzione”, abbassa innegabilmente il livello di garanzie poste a tutela del detenuto, in considerazione del fatto che quanto contenuto nel rapporto redatto dagli operatori penitenziari potrebbe anche rivelarsi infondato all’esito del procedimento disciplinare o, comunque, non sfociare nell’irrogazione della sanzione. Pur a fronte di tali criticità, s’intuiscono le ragioni di speditezza perseguite dal legislatore a che la preclusione del beneficio operi in modo effettivo, senza ritardo e, quindi, senza attendere lo svolgimento dell’intero procedimento disciplinare[47].
[1] Per quanto riguarda la materia penitenziaria, le principali misure straordinarie legate all’emergenza sanitaria da COVID-19 sono state introdotte con il d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (decreto “Cura Italia”), conv. con mod. in l. 24 aprile 2020, n. 27; e con il d.l. 30 aprile 2020, n. 28 e il d.l. 10 maggio 2020, n. 29, entrambi conv. con modif. in l. 25 giugno 2020, n. 70). Per una ricostruzione del rapido susseguirsi dei provvedimenti V.G. Dario, Emergenza epidemiologica da Covid-19 e sistema penitenziario, in Dir. pen. proc., n. 7, 2020, p. 933.
[2] Non sorprende che nessun riferimento alle disposizioni in materia sia stato fatto nel Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri (n. 69 del 27 ottobre 2020) e nel corso della conferenza stampa tenuta dal Capo del Governo.
[3] Si noti che l’orizzonte temporale non coincide con quello dello “stato di emergenza nazionale” il quale, più volte prorogato dal Governo, è stato, da ultimo, fissato al 31 gennaio 2021. Cfr. Art. 1, d.l. 7 ottobre 2020, n. 125, recante “Misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 e per la continuità operativa del sistema di allerta COVID, nonché per l’attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020”.
[4] V. E. Dolcini, G.L. Gatta, Carcere, coronavirus, decreto ‘cura Italia’: a mali estremi, timidi rimedi, in questa Rivista, 20 marzo 2020, p. 2.
[5] Ci si riferisce alla disposizione – dapprima introdotta con il d.l. 8 marzo 2020, n. 11 e subito dopo abrogata dalla l. 24 aprile 2020, n. 27 di conversione del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 – con la quale si attribuiva al magistrato di sorveglianza la facoltà di sospendere, sino al 31 maggio 2020, la concessione dei permessi premio e della semilibertà.
[6] Cfr. sub Art. 123, Relazione Illustrativa al decreto “Cura Italia”, p. 25, ove si legge che «l’ampia concentrazione di personale di polizia penitenziaria, di detenuti e di operatori impone di considerare anche l’opportunità di percorrere moderate e accorte soluzioni volte ad alleggerire quella concentrazione e, al contempo ad attenuare il cronico problema del sovraffollamento degli istituti» e, ancora, che la «emergenza sanitaria […] all’interno degli istituti penitenziari tanto più agevolmente può essere gestita, quanto minore è la popolazione carceraria».
[7] Senza scomodare esempi eclatanti (viene subito in mente il “caso” del regime di carcere duro, di cui all’art. 41-bis ord. penit.) ancora di recente ha seguito la medesima sorte la misura della “esecuzione della pena presso il domicilio” di cui all’art. 1, l. 199/2010 (v. infra nota 32).
[8] In argomento si vedano le considerazioni di G. Fiandaca, Scarcerazione per motivi di salute, lotta alla mafia e opinione pubblica, in questa Rivista, 19 maggio 2020; e per una panoramica sui provvedimenti degli Uffici di sorveglianza v. A. Della Bella, Emergenza covid e 41-bis: tra tutela dei diritti fondamentali, esigenze di prevenzione e responsabilità politiche, in questa Rivista, 1 maggio 2020.
[9] Si tratta dei dd.ll. 28 e 29 del 2020 (v. supra nota 1). Per un commento alla normativa si vedano A. Cabiale, Covid e “scarcerazioni”: diventano legge, con alcune novità, i contenuti dei dd. ll. nn. 28 e 29 del 2020, in questa Rivista, 13 luglio 2020; M. Gialuz, L’emergenza nell’emergenza: il decreto-legge n. 28 del 2020, tra ennesima proroga delle intercettazioni, norme manifesto e “terzo tempo” parlamentare, in questa Rivista, 1 maggio 2020; L. Cesaris, Il d.l. n. 29, del 2020: un inutile e farraginoso meccanismo di controllo, in Giur. pen. web, 23 maggio 2020; L. Cesaris, La conversione in legge del d.l. n. 28 del 2020 con legge n. 70 del 2020 non elide i dubbi e le perplessità sulle scelte del legislatore, in Giur. pen. web, 6 agosto 2020; A. Pulvirenti, COVID-19 e diritto alla salute dei detenuti: un tentativo, mal riuscito, di semplificazione del procedimento per la concessione dell’esecuzione domiciliare della pena (dalle misure straordinarie degli artt. 123 e 124 del d.l. n 18/2020 alle recenti novità del d.l. n. 29/2020, in Leg. pen., 26 maggio 2020, p. 31 ss.
[10] Una disciplina controversa in relazione alla quale sono state sollevate diverse questioni di legittimità costituzionale per sospetto contrasto con il diritto di difesa, con il diritto alla salute e con il principio di separazione tra potere giudiziario e potere legislativo. Da quanto si apprende dal comunicato stampa della Corte Costituzionale del 4 novembre 2020. tutte le questioni sono state, infine, rigettate in quanto infondate. Per una panoramica sulle questioni sollevate si vedano A. Cabiale, Un’altra questione di legittimità costituzionale si abbatte sul d.l. antiscarcerazioni: questa volta entra in gioco il diritto alla salute, in questa Rivista, 10 giugno 2020; J. Della Torre, Il magistrato di sorveglianza di Spoleto non demorde: il “d.l. antiscarcerazioni” di nuovo alla consulta, in questa Rivista, 23 settembre 2020; M. Gialuz, Il d.l. antiscarcerazioni alla consulta: c’è spazio per rimediare ai profili di illegittimità costituzionale in sede di conversione, in questa Rivista, 5 giugno 2020.
[11] Cfr. Art. 124, d.l. 17 marzo 2018, n. 18. Per un commento al decreto “Cura Italia”, con particolare riguardo alle disposizioni che interessano la materia penale si vedano, tra gli altri, E. Dolcini, G.L. Gatta, op. cit.; F. Fiorentin, Decreto legge “Cura Italia”: le misure adottate dal Governo per affrontare l’emergenza COVID-19 in materia penitenziaria, in www.ilpenalista.it, 20 marzo 2020; M. Passione, “Cura Italia” e carcere: prime osservazioni sulle (poche) risposte all’emergenza, in www.questionegiustizia.it, 19 marzo 2020.
[12] Così l’art. 124, comma 1, d.l. 17 marzo 2018, n. 18.
[13] Si noti, per inciso, che la formulazione della disposizione in esame, contenuta nel Decreto “Ristori”, ricalca pressoché fedelmente il testo dell’omologa norma del d.l. “Cura Italia” che, tuttavia, è stata modificata in sede di conversione in legge. Cfr. Art. 1, comma 1, L. 24 aprile 2020, n. 27.
[14] La disciplina si rinviene nel combinato disposto degli artt. 190 disp. att. c.p.p. e 228 c.p.è
[15] V. G. Santalucia, La giustizia penale di fronte all’emergenza da epidemia da COVID-19 (Brevi note sul D. L. n. 11 del 2020), in giustiziainsieme.it, 9 marzo 2020.
[16] V. supra nota 5.
[17] Il dato è tratto dalla sezione “statistiche” del sito internet del Ministero della Giustizia https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14.page.
[18] Tanto si deve alla diversa formulazione delle due disposizioni a confronto. Mentre l’art. 28, Decreto, stabilisce, in modo inequivoco, che «la durata delle licenze premio non può estendersi oltre il 31 dicembre 2020», l’art. 29 prevede che «dalla entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 […] possono essere concessi [permessi premio al condannato] anche in deroga ai limiti temporali indicati dai commi uno e due dell’art. 30-ter».
[19] La licenza premio per il semilibero non è, infatti, cumulabile con il permesso premio, attesa la coincidenza delle rispettive finalità e in virtù del rapporto di specialità che regola l’operatività dei due istituti. Cfr. A. Presutti, sub Art. 52 ord. penit., in F. Della Casa, G. Giostra (a cura di), Ordinamento Penitenziario commentato, VI ed., 2019, p. 52.
[20] La scelta legislativa può dirsi, in certa misura, coerente con la maggior complessità e le tempistiche di maggior durata che, solitamente, caratterizzano le attività istruttorie prodromiche alla concessione del primo permesso premio. Attività e tempistiche che, verosimilmente, non potrebbero essere portate a termine dagli organi competenti entro il bimestre di vigenza della misura eccezionale.
[21] Cfr. art. 18, d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 121.
[22] Il comma 4-ter dell’art. 21 ord. penit. (inserito dal d.l. 1 luglio 2013, n. 78, conv. con mod. in l. 9 agosto 2013, n. 94) consente di svolgere all’esterno dell’istituto anche attività di volontariato nell’ambito di progetti di pubblica utilità.
[23] Al 30 giugno 2020, nelle carceri italiane, risultavano impiegati in articolo 21 ord. penit. solamente 1353 detenuti (di cui 793 stipendiati dall’Amministrazione penitenziaria e impiegati in servizi esterni agli istituti). Cfr. i dati pubblicati dal Ministero della Giustizia, https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14.page.
[24] Viene, qui, alla mente il caso che, nella materia processuale, ha interessato gli interpreti in ordine al significato da attribuire all’ambigua disgiuntiva “o” contenuta nel comma 5, art. 350, comma 5, c.p.p. in tema di sommarie informazioni rese dall’indagato alla p.g. Come noto, la questione interpretativa è stata risolta facendo prevalere l’argomento logico su quello letterale, avallando il significato congiuntivo della particella e considerando cumulativi i presupposti del “luogo” e della “immediatezza” della commissione del fatto di reato. Cfr. P.P. Paulesu, sub Art. 350 c.p.p., in A. Giarda, G. Spangher (a cura di), Codice di procedura penale commentato, V ed., t. II, Milano, 2017, 411.
[25] Restano fuori dalla preclusione “per connessione” stabilita dall’art. 29, comma 2, Decreto, invece, gli altri delitti di fascia “A” non espressamente menzionati dalla norma. Per la classificazione dei regimi ostativi del 4-bis ord. penit. si veda, da ultimo, F. Della Casa, G. Giostra, Manuale di diritto penitenziario, Torino, 2020, pp. 33 ss.
[26] Il principio della “scindibilità del cumulo giuridico”, di matrice giurisprudenziale, consente (derogando all’art. 73 c.p.) di restituire autonomia, in corso di esecuzione, alle singole pene fittiziamente unificate con il provvedimento esecutivo e di ricondurre le singole “quote” di pena al regime penitenziario pertinente. In virtù del principio del favor rei il reato “ostativo” dev’essere imputato al primo periodo di pena scontata. Sotto quest’ultimo profilo si veda, per tutte, Cass. sez. un., 30 giugno ottobre 1999, n. 14 in DeJure.
[27] Si pensi, ad esempio, all’individuazione del termine di prescrizione di un reato o all’applicazione dell’indulto per reati uniti sotto il vincolo della continuazione. In argomento si veda Trib. Sorv. Torino, ud. 19.03.12 (dep. 20.03.13), Pres. Velludo, Est. Fiorentin, ric. Nezvadi, in Dir. pen. cont., 10 aprile 2013.
[28] Il principio di diritto è contenuto, ex multis, in Corte cost., sentenza 27 luglio 1994, n. 361; Cass., sez. U., 30 giugno 1999, n. 14, in DeJure; Cass., sez. I, 3 dicembre 2013, n. 2285, in DeJure. Da ultimi, Cfr. Cass., sez. I, 21 febbraio 2020, n. 12554, in DeJure, nella quale la Corte, ribadendo il consolidato principio di diritto e con argomento a contrario, ha escluso la possibilità di sciogliere il cumulo in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti che comprenda esclusivamente condanne per reati ostativi alla concessione dei benefici penitenziari.
[29] Tanto che, al pari dell’istituto previsto dall’art. 1, l. 199/2010, ne viene esclusa la natura di misura alternativa alla detenzione. Cfr. A. Pulvirenti, op. cit., p. 8.
[30] V. Art. 30, comma 9, Decreto.
[31] La legge, designata come “svuota-carceri”, è stata introdotta nell’ordinamento con finalità di deflazione penitenziaria a fronte del collasso delle strutture penitenziarie per effetto del sovraffollamento. Originariamente prevista per pene fino a 12 mesi e destinata ad una vigenza temporanea, la misura ha visto, dapprima, innalzato a 18 mesi il limite per la sua concessione (ad opera del d.l. 22 dicembre 2011, n. 211) ed è, infine, stata resa definitiva nel 2013 (con il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146).
[32] Cfr. comma 1, art. 30, Decreto.
[33] Il modello procedurale è quello previsto dall’art. 69-bis ord. penit. in materia di liberazione anticipata nel quale il contraddittorio è soltanto eventuale e differito, potendo le parti presentare reclamo al Tribunale di sorveglianza nel termine di 10 giorni dalla comunicazione o notificazione dell’ordinanza. Cfr. F. Della Casa, G. Giostra, op. cit., p. 234.
[34] Elemento che rafforza la tesi secondo la quale la misura domiciliare in commento non sarebbe qualificabile come misura alternativa.
[35] In senso critico V. F. Soviero, Il carcere ai tempi del coronavirus, in www.penaledp.it, 3 aprile 2020.
[36] Cfr. art. 1, comma 1, lett. d), l. 199/2010.
[37] V. A. Pulvirenti, op. cit., p. 15 s. Cfr. E. Dolcini. G. L. Gatta, op. cit., ove gli AA., esprimendosi riguardo alla misura domiciliare introdotta dal d.l. “Cura Italia” avevano ritenuto che la clausola “gravi motivi ostativi” potesse ricomprendere anche il pericolo di fuga o di commissione di nuovi reati.
[38] Si veda ancora A. Pulvirenti, op. cit., p. 15. Cfr. anche la Relazione illustrativa al d.l. 18/2020 (“Cura Italia”), p. 26.
[39] Così l’art. 30, comma 1, Decreto.
[40] Si ricorda che la “sorveglianza elettronica” è stata introdotta dalla l. 4/2001 con un nuovo comma innestato nell’art. 47-ter (comma 4-bis) e, di recente, ricollocata in una disposizione ad hoc, l’art. 58-quinquies, da parte della l. 10/2014.
[41] Il comma 5, art. 30, Decreto, ultimo periodo, stabilisce infatti che gli strumenti di controllo non siano attivati nel caso in cui la pena residua da espiare non superi di 30 giorni la pena per la quale è imposta l’applicazione del braccialetto elettronico. Lo strumento dovrà, pertanto, essere attivato soltanto per i detenuti adulti che debbano scontare una pena residua di, almeno, 7 mesi e 1 giorno di reclusione.
[42] Cfr. Art. 30, comma 3, Decreto.
[43] Così E. Dolcini. G. L. Gatta, op. cit., p. 6.
[44] V. F. Fiorentin, op. cit. Da una parte, occorre evidenziare che il Decreto “Ristori” non ha riproposto la “clausola di invarianza finanziaria” presente, invece, all’art. 123, comma 9 del Decreto “Cura Italia”; dall’altra parte, deve notarsi che tra le “disposizioni finanziarie”, contenute all’art. 34, Decreto, non compaiono voci di spesa dedicate all’implementazione delle misure penitenziarie di nuova introduzione.
[45] Avuto riguardo all’analoga misura contenuta nel d.l. 18/2020 giudicavano «incomprensibile la scelta di conservare il limite di diciotto mesi previsto dalla disciplina generale del 2010, in un momento in cui la misura va adattata ad una situazione di assoluta emergenza» E. Dolcini. G. L. Gatta, op. cit., p. 3.
[46] V. E. Dolcini. G. L. Gatta, op. cit., p. 5.
[47] Sul punto Cfr. A. Pulvirenti, op. cit., p. 12, il quale ritiene che sarebbe stato più ragionevole legare la preclusione, non già al rapporto redatto nell’immediatezza dall’operatore penitenziario, ma al successivo atto con il quale il Direttore – ai sensi dell’art. 81, comma 2, reg. esec. ord. penit. –, entro 10 giorni dalla ricezione del rapporto, è tenuto a contestare formalmente l’addebito al detenuto.