GIP Milano, decreto 1 marzo 2021, giud. Del Corvo
1. Il decreto di archiviazione, che può leggersi in allegato, è presumibilmente uno dei primi provvedimenti giudiziari a pronunciarsi sulla violazione del divieto di allontanamento dalla propria abitazione da parte del soggetto positivo al Covid-19. Nel caso di specie, l’indagata è una donna senza fissa dimora che, nelle prime ore del mattino del 21 marzo 2020, si era allontanata dalla struttura ospedaliera nella quale era stata ricoverata a seguito dell’esito positivo del tampone e che, un paio di ore dopo, era stata rintracciata davanti all’ingresso del dormitorio pubblico ove aveva il domicilio ed era stata infine persuasa a tornare in ospedale. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, su conforme richiesta del Pubblico ministero, ha disposto l’archiviazione del reato contestato, previsto dall’art. 4 co. 6 d.l. 25 marzo 2020, n. 19[1], poiché la condotta dell’indagata “non è perseguibile penalmente e non è nemmeno assoggettabile alle sanzioni amministrative previste dal D.l. 19/2020”.
2. Prima di esaminare le motivazioni del provvedimento, può risultare opportuno ricostruire in estrema sintesi le convulse vicende che, nei primi mesi del 2020, hanno portato all’introduzione nel nostro ordinamento di illeciti penali ed amministrativi finalizzati a sanzionare le condotte di violazione delle misure di contenimento previste nella legislazione emergenziale per contrastare la diffusione del virus Covid-19 (di tale legislazione e delle novità di volta in volta introdotte nell’ordinamento questa Rivista ha dato conto in una serie di contributi che si possono leggere nelle colonna a fianco). Innanzitutto, si ricorderà che con un primo provvedimento, ossia con l’art. 3 co. 4 d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, conv. in l. 5 marzo 2020, n. 13 veniva sanzionata penalmente, con un rinvio quoad poenam all’art. 650 c.p., l’inosservanza delle misure di contenimento di cui all’art. 1 e 2 dello stesso decreto[2]. Ora, mentre l’art. 1 conteneva un elenco di misure determinate (ad esempio il divieto di allontanamento o accesso nei comuni o nelle aree ove fosse stata accertata la circolazione del virus oppure la sottoposizione alla “quarantena con sorveglianza attiva” per i soggetti che avessero avuto contatti stretti con soggetti positivi), l’art. 2, con una disposizione che aveva le chiare fattezze di una norma penale in bianco, prevedeva la possibilità che, con atti amministrativi di fonte secondaria, venissero adottate “ulteriori misure di contenimento e gestione dell'emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell'epidemia da COVID-19 anche fuori dei casi di cui all'articolo 1”. Tra le ‘ulteriori misure’ nel DPCM 8 marzo 2020 compariva, all’art. 1 co. 1 lett.c), il “divieto assoluto di mobilità dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena ovvero risultati positivi al virus” (dove la quarantena, in quel contesto, era prevista non per i soggetti positivi, di regola ospedalizzati, ma per chi avesse avuto contatti stretti con i positivi). Dunque, sotto la vigenza del d.l. 6/2020, la violazione del divieto di mobilità per i soggetti risultati positivi al virus – divieto che non rientrava, paradossalmente, tra le misure contenitive tipiche elencate nell’art. 1, ma tra le misure previste da fonti amministrative secondarie al quale l’art. 2 del d.l. rinviava –, integrava una contravvenzione sanzionata con le pene previste dall’art. 650 c.p. con buona pace del principio di riserva di legge[3].
3. Con il successivo d.l. 25 marzo 2020, n. 19, conv. l. 22 maggio 2020 n. 35, il Governo abbandonava la strada della penalizzazione, disponendo all’art. 4 co. 1 – con una decisa inversione di rotta – che “salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’art. 1, co. 2 (…) è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000 e non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale (…)”. Come è stato sin da subito osservato[4], alla base della scelta di rinunciare alla sanzione penale vi è stata, da un lato, la volontà di non gravare eccessivamente sul sistema della giustizia penale, già messo a dura prova dalla situazione di emergenza sanitaria (si pensi, a questo proposito, che nel breve periodo di tempo intercorrente tra i due decreti legge, si contavano già più di 100.000 denunce per la contravvenzione in esame) e, dall’altro, la consapevolezza della minore efficacia deterrente di una sanzione penale come quella dell’art. 650 c.p., che poteva essere oblata, rispetto all’efficacia di una sanzione amministrativa, non oblabile, più facilmente applicabile ed esigibile.
In questa opera di depenalizzazione, l’unica eccezione è rappresentata dalla violazione delle misure di contenimento da parte del soggetto positivo al virus, per la quale il legislatore ha deciso di conservare l’uso della pena - in considerazione, evidentemente, della particolare pericolosità per l’incolumità pubblica di condotte di questo genere - modificando però profondamente la disciplina della contravvenzione, rispetto a quella delineata nel d.l. 6/2020.
Innanzitutto, quanto alla definizione della misura, l’art. 2 co.2 lett. e) sancisce “il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena [applicata dal sindaco quale autorità sanitaria locale] perché risultate positive al virus”. Per la prima volta all’isolamento del soggetto positivo viene associato il concetto di quarantena ma in questa prima formulazione del decreto la misura della quarantena non trova ancora alcun tipo di definizione, né con riferimento ai presupposti, né agli organi tenuti ad applicarla. È solo in sede di conversione del decreto che si riformula la disposizione (inserendo le parole che noi abbiamo racchiuso tra le parentesi quadre), specificando che per quarantena deve intendersi un provvedimento amministrativo emanato dal sindaco quale autorità sanitaria locale.
Quanto poi al profilo sanzionatorio, l’art. 4 co. 6 del d.l. 19 stabilisce che “salvo che il fatto costituisca violazione dell’articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, la violazione della misura di cui all’art. 1, co. 2, lett. e) è punita ai sensi dell’articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265”. Come già per l’art. 650, anche in questo caso il legislatore anziché indicare direttamente la cornice edittale opera un richiamo quoad poenam ad un’altra disposizione incriminatrice (questa volta una disposizione contenuta in un vecchio provvedimento normativo in materia di salute pubblica)[5]: la contravvenzione in parola è ora sanzionata con la pena congiunta, e quindi non più oblabile, di arresto ed ammenda e, in particolare, l’arresto da 3 a 18 mesi e l’ammenda da 500 a 5.000 euro.
4. I rapporti tra il sistema sanzionatorio (penale) previsto dal d.l. 6/2020 e il sistema sanzionatorio (amministrativo) del successivo d.l. 19/2020 sono regolati da una specifica norma transitoria di quest’ultimo decreto, su cui è opportuno soffermarsi brevemente, in quanto norma presa in considerazione dal Giudice nelle motivazioni del decreto di archiviazione. Si tratta in particolare dell’art. 4 co. 8 d.l. 19/2020, a norma del quale “le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà”. Scopo di questa disposizione, che riduce per i fatti pregressi l’entità della sanzione, è di consentire l’applicazione retroattiva della sanzione amministrativa punitiva a fatti commessi prima dell’introduzione dell’illecito amministrativo, nel rispetto del principio inderogabile di irretroattività che impedisce di punire l’autore del fatto con una sanzione più severa di quella che gli sarebbe stata applicata sulla base della legge vigente al tempo del fatto[6].
Pare opportuno sin da ora precisare che tale disposizione non trova applicazione nel caso in esame, occupandoci noi di una condotta – la violazione delle misure contenitive da parte del soggetto positivo – che non è stata depenalizzata, conservando anche nel d.l. 19/2020 natura di illecito penale.
5. Proseguendo nell’esame della normativa emergenziale, occorre infine evidenziare che, ancor prima della conversione in legge del d.l. 19/2020, il Governo emanava un ulteriore provvedimento, il d.l. 16 maggio 2020, n. 33, conv. l. 14 luglio 2020, n. 74, allo scopo di disciplinare le misure contenitive per la c.d. ‘fase 2’ dell’emergenza sanitaria, ossia la fase che avrebbe dovuto guidarci – secondo una prospettiva che oggi non può che apparirci terribilmente ottimistica – nel ritorno alla normalità. Anche tale decreto, che si è affiancato, senza sostituirlo, al decreto precedente, contiene, all’art. 2 co. 3, la previsione di una contravvenzione per il caso della violazione delle misure contenitive da parte del soggetto positivo. In particolare, ’art. 1 co. 6 del d.l. sancisce il “divieto di mobilità dalla propria abitazione o dimora alle persone sottoposte alla misura della quarantena per provvedimento dell'autorità sanitaria in quanto risultate positive al virus COVID-19, fino all'accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata”. Come nel precedente decreto, anche in questo caso, la contravvenzione, secondo quanto disposto all’art. 2 co. 3, è sanzionata con il richiamo, quoad poenam, all’art. 260 r.d.1265 /1934.
Confrontando la disciplina della quarantena dei positivi nel d.l. 19/2020 e nel d.l. 33/2020 due sembrano le novità di rilievo introdotte con questo ultimo decreto: l’aver espressamente sancito che il divieto di mobilità dall’abitazione presuppone l’emanazione di un provvedimento dell’autorità sanitaria e l’aver previsto un termine di durata della misura. La necessità che la misura contenitiva, la cui violazione è sanzionata con la pena, debba avere una ‘base legale’ è stata sin da subito avvertita dalla dottrina, che ha rinvenuto in tale lacuna un grave vulnus alle garanzie costituzionali e convenzionali poste a presidio della libertà personale[7].
A partire da questo intervento normativo è divenuto inequivocabile che il reato di violazione del divieto di uscire dall’abitazione da parte del soggetto positivo presuppone l’emanazione di un provvedimento amministrativo individuale di quarantena da parte dell’autorità sanitaria. Da ciò, come poi diremo meglio in seguito, è derivata una conseguenza altrettanto univoca: che cioè, in mancanza di un tale provvedimento, l’allontanamento dal domicilio da parte del soggetto positivo non costituisce reato, mancando un presupposto della condotta.
Quanto poi all’individuazione dell’autorità competente ad emanare il provvedimento di quarantena, si è già visto come in sede di conversione del d.l. 19/2020 (avvenuta pochi giorni dopo l’emanazione del d.l. 33/2020) l’art. 1 co. 2 lett. e) sia stato integrato inserendo il riferimento al sindaco, quale autorità sanitaria locale. Come diremo più avanti, parrebbe ragionevole ritenere che, alla luce di un’interpretazione sistematica delle norme, l’art. 1 co. 6 d.l. 33/2020 debba essere letto come se contenesse il riferimento al sindaco, quale autorità competente ad emanare la quarantena[8].
Venendo poi al secondo profilo di novità del decreto, ossia la durata del divieto di allontanamento, l’art. 1 co. 6 d.l. n. 33/2020 individua un termine, benché indeterminato, coincidente con l'accertamento della guarigione o con il ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata. A prescindere da profili di dubbia ragionevolezza (che sussistono quantomeno con riferimento all’indicazione del ricovero come termine finale del divieto di allontanamento) la previsione deve essere salutata certamente con favore, avendo rappresentato un seppur parziale progresso nella prospettiva della definizione legislativa della disciplina della quarantena.
6. A questo punto, si pone il problema di definire il rapporto tra le due fattispecie incriminatrici di violazione della quarantena, contenuta l’una nel d.l. 19 e l’altra nel d.l. 33 (con la precisazione, peraltro, che entrambe le contravvenzioni devono ritenersi ancora in vigore, dal momento che ad ogni proroga dello stato di emergenza viene prorogato anche il termine finale di applicabilità delle misure contenute nei due decreti[9]).
Secondo una prima tesi poiché il nuovo decreto non ha abrogato quello precedente, ma si è affiancato ad esso per disciplinare una diversa situazione (quella cioè della “fase2” dell’emergenza sanitaria), si dovrebbe ritenere che le due contravvenzioni, praticamente sovrapponibili, siano contemporaneamente vigenti nell’ordinamento. Secondo tale tesi, la contravvenzione prevista dal d.l. 19 sarà applicabile quando sono in vigore le misure contenitive proprie della fase 1, mentre la contravvenzione prevista nel d.l. 33 sarà applicabile alla violazione della quarantena disposta sulla base di questo ultimo provvedimento[10].
Diversamente si potrebbe però ritenere che, se è vero che tali disposizioni sono contenute in leggi temporanee, ciascuna destinata a disciplinare una ‘diversa fase’ dell’emergenza sanitaria, è vero anche che - con riferimento alla specifica previsione della violazione della quarantena del positivo - la ‘diversità di fase’ risulta irrilevante, tanto più che, come evidente, l’intento del Governo nel ridefinire la contravvenzione con l’art. 1 co. 6 d.l. 33 era quello di meglio definire la disciplina della quarantena rispetto alla disposizione del d.l. 19, colmando quelle lacune relative ai profili di legalità che erano state evidenziate anche dai commentatori. In questo senso, si potrebbe ritenere che l’art. 2 co. 5 non sia in questo caso chiamato in causa e che il rapporto tra le due fattispecie in esame possa essere regolato dall’art. 2 co. 4 c.p.[11]. Aderendo a questa impostazione, si potrebbe allora ritenere che l’art. 2 co. 3 d.l. 33/2020 abbia soppiantato la disciplina contenuta nell’art. 4 co. 6 d.l. 19/2020 in quanto più favorevole, se non altro perché meglio definisce l’area di operatività della norma incriminatrice, restringendone i contorni (ciò certamente con riferimento ai profili di durata della quarantena). Ciò consentirebbe dunque di ritenere risolta la paradossale situazione della convivenza - a dire il vero del tutto inutile e fonte solo di confusione - di due norme incriminatrici pressochè identiche finalizzate a disciplinare lo stesso fenomeno.
7. Così sinteticamente ricostruito il complesso quadro normativo che disciplina la materia, veniamo ora alle motivazioni del decreto di archiviazione. Come vedremo, ciò che risulta assorbente nella valutazione del giudice è la considerazione dell’insussistenza di una norma incriminatrice applicabile alla condotta dell’indagato ed è per questa ragione che alcune questioni, pur astrattamente di grande interesse per l’argomento che si tratta – quali ad esempio la considerazione della scarsissima offensività della violazione commessa dall’indagata[12], piuttosto che il dubbio circa la configurabilità della condotta di allontanamento dall’abitazione o dimora per chi si sia allontanato dal luogo di ricovero – vengono solo adombrate ma non affrontate nel provvedimento in esame.
Come si diceva, la conclusione è nel senso che la condotta dell’indagata “non è penalmente perseguibile (…) né ai sensi dell’art. 650 c.p., né ai sensi dell’art. 260 r.d. 1265/1934”: sul punto peraltro si precisa, condivisibilmente, che il richiamo a tali disposizioni deve intendersi effettuato solo quoad poenam, trattandosi di contravvenzioni che trovano la loro fonte rispettivamente nell’art. 3 co. 4 d.l. 6/2020 e nell’art. 4 co. 6 d.l. 19/2020.
Premesso che la condotta è stata posta in essere il 21 marzo 2020, dunque nella vigenza della contravvenzione ex art. 3 co. 4 d.l. 6/2020, sostiene il giudice che, da un lato, tale disposizione non si applica in quanto abrogata dal successivo art. 5 d.l. 19/2020 e che, dall’altro, la contravvenzione contenuta nell’art. 4 co. 6 del d.l. 19/2020 non si applica perché introdotta in epoca successiva alla commissione del fatto da parte dell’indagata.
Una volta negata la rilevanza penale della condotta in esame, il giudice conclude anche nel senso della non applicabilità delle sanzioni amministrative contenute nel d.l. 19/2020 (astrattamente applicabili, lo ricordiamo, in virtù dell’art. 4 co. 8 in base al quale è prevista l’applicazione retroattiva delle disposizioni che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative). A tale conclusione si perviene in considerazione del fatto che il divieto di allontanamento dal domicilio per il positivo, in quanto misura ‘atipica’ contenuta come si è detto nel DPCM 8 marzo 2020, non è riprodotta nell’elenco delle misure tipizzate nel d.l. 19/2020 e non è pertanto assoggettabile a quelle sanzioni.
8. La conclusione cui arriva il giudice è certamente condivisibile. Si potrebbe però rilevare che la perdita di rilevanza penale della condotta contestata all’indagata si deve non tanto alla abrogazione del d.l. 6/2020, quanto ad un’abolitio criminis parziale che ha interessato la fattispecie contravvenzionale in esame nel passaggio dal d.l. 6/2020 al d.l. 19/2020: come già osservato, infatti, mentre il d.l. 6 /2020 puniva l’allontanamento dall’abitazione del soggetto positivo senza che fosse necessario un provvedimento individuale di quarantena, con il d.l. 19/2020, e ancora più con il d.l. 33/2020, l’area di rilevanza penale della condotta è andata restringendosi, interessando oggi solamente l’ipotesi di allontanamento dal domicilio di un soggetto positivo che sia destinatario di un provvedimento individuale di quarantena emanato dal sindaco. Ciò detto, l’esito del ragionamento è lo stesso: che cioè il fatto contestato all’indagata non è attualmente previsto dalla legge come reato e che pertanto il procedimento penale deve essere archiviato.
9. Oltre che per i complessi profili di diritto transitorio dovuti al caotico sovrapporsi dei provvedimenti normativi emergenziali specie nella ‘prima stagione’ della pandemia, la vicenda in esame risulta di particolare interesse perché consente di fare una riflessione su di un profilo rimasto nell’ombra, ossia quello della necessaria emanazione di un provvedimento individuale di quarantena ai fini della configurabilità del reato, che ci porta a constatare, non senza un certo sconcerto, l’assoluta mancanza di effettività della normativa penale prevista per contrastare la diffusione del contagio.
Come si è più sopra sinteticamente illustrato, è a partire dal d.l. 19/2020 che la violazione del divieto di allontanamento dall’abitazione da parte del positivo viene legata alla nozione di quarantena, ma in questa prima fase la quarantena parrebbe essere una “conseguenza automatica dell’accertamento dello stato di positività”[13]: infatti, l’art. 1, co. 2 lett. e) – nella formulazione precedente la conversione in legge del decreto – dispone il “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus”. È solo poi con il d.l. 33/2020 che si chiarisce espressamente che di violazione della quarantena può parlarsi solo in presenza di un provvedimento dell’autorità sanitaria: secondo l’art. 2 co. 3, infatti, la contravvenzione riguarda i soggetti “sottoposti alla misura della quarantena per provvedimento dell'autorità sanitaria in quanto risultate positive al virus”. Sarà infine con la conversione in legge del d.l. 19/2020 (successiva, come si è detto, al citato d.l. 33) che si specificherà che tale provvedimento deve essere emanato dal sindaco, in quanto autorità sanitaria locale.
Come abbiamo già evidenziato, non può dunque porsi in dubbio che laddove il provvedimento del sindaco non sia stato emesso il reato di allontanamento dal domicilio da parte del soggetto positivo non costituisca reato, difettando il presupposto della condotta.
Presumibilmente alla base della previsione che individua nel sindaco l’autorità competente ad emettere il provvedimento di quarantena vi è la volontà di “assicurare la certezza giuridica della conoscenza del provvedimento in capo al soggetto interessato, che potrebbe essere garantita attraverso la notifica nelle forme di legge dell’ordinanza sindacale”[14]. Sennonché né in sede legislativa, né in sede regolamentare si è poi provveduto a disciplinare i profili attuativi di una tale disposizione che è pertanto rimasta lettera morta: non esistendo una disposizione in questo senso, le autorità sanitarie locali, che dispongono delle necessarie informazioni, non comunicano ai sindaci i nominativi dei soggettivi positivi ed i sindaci conseguentemente non emanano le relative ordinanze.
Significativo peraltro osservare che gli stessi sindaci, come si ricava da una nota dell’Anci del 13 novembre 2020, negano che la legge attribuisca loro il compito di emanare tali provvedimenti e ciò sulla base di due argomentazioni: il primo è che l’art. 1 co. 2 lett. e) d.l. 19/2020 (che contiene appunto il riferimento al sindaco quale autorità competente ad emettere i provvedimenti di quarantena) sarebbe stato abrogato dall’art. 1 co. 6 d.l. 33/2020 (che, nel disciplinare la stessa fattispecie, non fa riferimento al sindaco, ma genericamente all’autorità sanitaria); il secondo è che, nell’impianto normativo attuale, il compito di accertare i contagi e di gestire le misure di isolamento è attribuito alle aziende sanitarie locali (si citano a questo proposito l’ordinanza 21 febbraio 2020 del Ministro della salute, l’ordinanza 27 febbraio della Protezione civile, il DPCM 1 marzo 2020) e sarebbe pertanto del tutto eccentrica l’attribuzione di una competenza di questo tipo al sindaco.
Ora, anche a voler accogliere la tesi propugnata dall’Anci – peraltro poco plausibile, per lo meno da un punto vista strettamente giuridico, per il fatto che una disposizione non può essere abrogata da una norma ad essa precedente – e ipotizzando dunque che siano le aziende sanitarie locali, e non i sindaci, a dover emanare i provvedimenti di quarantena, il risultato, in termini di tenuta della norma contravvenzionale, non cambia di molto. Pare infatti potersi escludersi che, nella prassi, le aziende sanitarie locali abbiano notificato o stiano notificando provvedimenti di quarantena ai soggetti di cui si accerti la positività al virus.
Nell’incertezza di quale sia l’autorità competente ad emanare i provvedimenti di quarantena, un risultato parrebbe invece certo: che, in assenza di tali provvedimenti, le denunce per il reato di violazione della quarantena da parte dei positivi dovranno essere archiviate[15], dal momento che, in assenza di un presupposto necessario del reato, la condotta è da ritenersi priva di rilevanza penale.
[1] Dal provvedimento di archiviazione sembrerebbe desumersi che il fatto sia stato iscritto nel registro delle notizie di reato a titolo di “contravvenzione p. e p. dall’art. 260 r.d. 1265/1934”. Come si dirà, il Gip nel provvedimento chiarisce però che tale disposizione è richiamata solo quoad poenam, dovendosi qualificare più propriamente il fatto come contravvenzione prevista dall’art. 4 co. 6 d.l. 19/2020 .
[2] Per la considerazione secondo cui la contravvenzione contenuta nel d.l. 6/2020 è un reato autonomo, dovendosi interpretare il richiamo all’art. 650 c.p. quoad poenam cfr. G.L. Gatta, Coronavirus, limitazione di diritti e libertà fondamentali, e diritto penale: un deficit di legalità da rimediare, in questa Rivista, 16 marzo 2020.
[3] I grossolani profili di contrarietà di questa disciplina al principio di legalità sono stati immediatamente rilevati dai commentatori. Cfr., tra gli altri, G. Battarino, A. Natale, Reati dell’epidemia e reati nell’epidemia, in Quest. Giust. 2/2020; G.L. Gatta, Coronavirus, cit. ed anche Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, più aderente ai principi costituzionali, e un nuovo approccio al problema sanzionatorio: luci ed ombre nel d.l. 25 marzo 2020, n. 19, in questa Rivista, 26 marzo 2020; M. Pelissero, Covid-19 e Diritto penale pandemico. Delitti contro la fede pubblica, epidemia e delitti contro la persona alla prova dell’emergenza sanitaria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2020, p. 503 ss.
[4] Cfr. ancora G.L. Gatta, Un rinnovato assetto del diritto dell’emergenza COVID-19, cit.
[5] A questo proposito, parla di “tecnica di redazione normativa (….) incomprensibilmente arzigogolata” S. Fiore, «Va’, va’ povero untorello, non sarai tu quello che spianti Milano». La rilevanza penale della violazione della quarantena obbligatoria, in questa Rivista, 3 novembre 2020.
[6] Cfr. G.L. Gatta, Un rinnovato assetto, cit.
[7] Il tema, di grande spessore, che sta alla base di tale osservazione e su cui sono confrontate opinioni anche molto diverse ha a che fare con la natura dei diritti compressi dalla ‘quarantena’, se cioè il divieto di allontanamento dall’abitazione sanzionato penalmente a carico del soggetto positivo costituisca una limitazione della libertà di circolazione o configuri piuttosto una limitazione della libertà personale, che in quanto tale deve essere circondata dalle garanzie della legalità e della riserva di giurisdizione. Sul tema, tra gli altri, G.L. Gatta, I diritti fondamentali alla prova del coronavirus. Perché è necessaria una legge sulla quarantena, in questa Rivista, 2.4.2020; M. Luciani, Il sistema dell’emergenza alla prova del coronavirus, in Rivista AIC, n. 2/2020, p. 126 ss.; G. Battarino, A. Natale, Reati dell’epidemia, cit.
[8] Questa peraltro la tesi sostenuta dal pubblico ministero nel provvedimento di richiesta di archiviazione cui ha fatto seguito il provvedimento del gip in esame.
[9] Cfr. da ultimo l’art. 1 d.l. 14 gennaio 2021, n. 2 che ha prolungato l’applicabilità delle misure contenute nei d.l. 19/2020 e. 33/2020 al 30 aprile 2021.
[10] Così G.L. Gatta, Emergenza COVID-19 e “fase 2”: misure limitative e sanzioni nel d.l. 16.5.2020, n. 33 (nuova disciplina della quarantena), in questa Rivista, 18 maggio 2020.
[11] A sostegno di questa tesi sembrerebbe parlare anche quella giurisprudenza che ritiene non applicabile l’art. 2 co. 5 c.p. al caso di successione di più norme temporanee durante la permanenza della medesima situazione di eccezionalità (ex multis, C 30 gennaio 2013, n. 1194, CED 255448-01).
[12] Sui delicati profili di offensività che la fattispecie contravvenzionale in esame solleva, cfr. i rilievi di S. Fiore, cit.
[13] Così si legge nella Richiesta di archiviazione poi accolta con il Provvedimento del Gip che qui si pubblica.
[14] Cfr. la Richiesta di archiviazione citata, ove si osserva parimenti che il provvedimento del sindaco è da considerarsi un provvedimento dovuto, da emettere cioè senza esercizio di discrezionalità, a seguito della comunicazione da parte delle autorità sanitarie competenti circa lo stato di positività di un soggetto.
[15] Stando ai dati pubblicati sul sito del Ministero dell’Interno, ad oggi le denunce per questo reato sono circa 3000.