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01 Dicembre 2023


I primi dati ufficiali sulle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi: già oltre 1.400 in esecuzione


*Il contributo pubblicato nel fascicolo 12/2023. 

 

1. Il Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità ha pubblicato sul sito del Ministero della Giustizia il Rapporto sullo stato dell’esecuzione delle misure e sanzioni di comunità, aggiornato al 15 novembre 2023.  

Il Rapporto, che viene periodicamente aggiornato, contiene dati statistici che riguardano l’intera area dell’esecuzione penale esterna e quindi un grande numero di informazioni, tutte assai interessanti, relative, tra l’altro, alla messa alla prova, alle misure di sicurezza ed alle misure alternative. A partire dal mese scorso il Rapporto contiene anche i dati relativi alle applicazioni delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi, introdotte con la riforma Cartabia (d.lgs. n. 150/2022).

Nella sostanza, il dato che emerge è che le pene sostitutive hanno preso vita: dall’entrata in vigore del d.lgs. 150/2022 sino ad oggi, ossia più precisamente dal 22 dicembre 2022 al 15 novembre 2023, i provvedimenti applicativi delle nuove pene sostitutive sono stati 1.472.

Andando nel dettaglio delle singole misure, si rileva che sono state applicate: 246 detenzioni domiciliari sostitutive; 2 semilibertà sostitutive; 1.224 provvedimenti di lavoro di pubblica utilità.

Preliminarmente, deve osservarsi che i dati sulle pene sostitutive raccolti dal Dipartimento della giustizia minorile e di comunità non prendono in considerazione la pena pecuniaria sostitutiva: rilevazioni statistiche su questa pena sostitutiva non sono mai esistite, neanche in passato, essendo disponibile solo il dato complessivo, non disaggregato, sulla pena pecuniaria. Sul punto, c’è peraltro da osservare che la situazione dovrebbe essere destinata a cambiare, dal momento che il d.lgs. 150/2022 dispone espressamente, all’art. 79, il monitoraggio delle pene pecuniarie, anche sostitutive, in previsione di una relazione annuale del Ministro della giustizia in Parlamento in merito all’attuazione del decreto in tale materia.

Benché occorra certamente tener conto del fatto che si tratta di dati ‘prematuri’, che non consentono cioè di fare valutazioni definitive sull’impatto della riforma, tuttavia essi lasciano intravedere alcune linee di tendenza, che forniscono l’occasione per sviluppare qualche prima riflessione.   

Innanzitutto, pare di poter dire che il numero complessivo delle applicazioni, che ammonta come si è detto a 1.472, è incoraggiante e ciò per una molteplicità di ragioni.

In primo luogo, il dato è incoraggiante se si considera il breve lasso di tempo che è decorso dall’entrata in vigore del d.lgs. 150/2022, ossia poco più di dieci mesi. Ce ne si può convincere laddove si confronti questo dato con quello relativo alle applicazioni della sospensione del procedimento con messa alla prova di cui all’art. 168 bis c.p., quindi con una misura di sicuro ed indiscusso successo. Sempre secondo dati ministeriali, a dieci mesi dall’entrata in vigore della messa alla prova nel nostro ordinamento, ossia al 30 marzo 2015, le applicazioni di messa alla prova erano 1.946: un numero non di molto superiore rispetto a quello delle pene sostitutive, e che lascia quindi ben sperare. Del resto, che le riforme, specie quelle che si caratterizzano per una forte valenza innovativa, abbiano bisogno di tempo per essere ‘digerite’ da chi è chiamato ad applicarle è un fatto naturale, dettato da un lato dalla necessità di superare le difficoltà interpretative ed applicative che sempre si pongono davanti a nuovi testi normativi, dall’altro dalle resistenze culturali che inevitabilmente si incontrano quando si introducono cambiamenti significativi.

In secondo luogo, il dato che si ricava dalla rilevazione del 15 novembre scorso è assai incoraggiante se messo a confronto con la sostanziale mancanza di utilizzazione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi di cui alla l. 689/81 nel sistema pre-Cartabia: il numero di applicazioni annue complessivo tra semidetenzione e libertà controllata ha sempre oscillato tra le 100 e le 200 unità. Nel 2022, ad esempio, ultimo anno prima della riforma, le sanzioni sostitutive applicate sono state in tutto 109 (di cui 1 provvedimento di semidetenzione e 108 di libertà controllata). Dunque, i numeri ci dicono che le applicazioni delle pene sostitutive di cui alla l. 689/81 sono più che decuplicate: ciò significa che i giudici di cognizione – pur con la comprensibile cautela nei confronti del novum legislativo – hanno deciso di applicare una categoria di sanzioni in passato totalmente ignorate.

 

2. Considerando ora i dati relativi alle singole pene sostitutive, osserviamo che – come era del resto possibile aspettarsi – la semilibertà sostitutiva, pena che secondo quanto stabilito dall’art. 20 bis c.p. può essere applicata dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all'arresto non superiori a quattro anni, è stata sostanzialmente trascurata. Come forse già ci si poteva aspettare, l’applicazione della semilibertà in fase cognitiva non rappresenta una prospettiva allettante: è presumibile, infatti, che il condannato piuttosto che accedere subito ad una pena sostitutiva che lo costringe a fare ingresso in un istituto penitenziario preferisca richiedere l’accesso alle misure alternative dallo stato di libertà, fruendo del meccanismo di sospensione dell’ordine di esecuzione della condanna ai sensi dell’art. 656 co. 5 c.p.p., nella speranza di ottenere dal tribunale di sorveglianza l’applicazione di una misura più favorevole.

Quanto alla detenzione domiciliare sostitutiva, anch’essa applicabile, ai sensi dell’art. 20 bis c.p., per condanne alla reclusione o all’arresto fino a quattro anni, il numero di applicazioni (circa 240) sembra parlare nel senso di una sua tiepida accoglienza da parte del sistema. Anche in questo caso, la valutazione del condannato potrebbe essere quella di considerare più vantaggiosa la concessione di una misura alternativa, in particolare dell’affidamento in prova, ab initio in fase esecutiva. Come si è scritto ed evidenziato da più parti, l’assenza dell’affidamento in prova – ciò che ha rappresentato una scelta obbligata per il legislatore delegato, non essendo tale misura contemplata nel catalogo delle pene sostitutive dalla l. 134/2021 – rischia di rappresentare un freno all’utilizzo delle sanzioni sostitutive.

Se questo è senz’altro vero, occorre però anche considerare che la disciplina della detenzione domiciliare sostitutiva di cui all’art. 56 della l. 689/81 è dotata di un’elasticità tale da poter, nella sostanza, avvicinarsi di molto alla fisionomia dell’affidamento in prova. Infatti, mentre la misura alternativa della detenzione domiciliare presuppone che il condannato stia di regola nel domicilio, salva la possibilità di uscire per fare fronte a specifiche esigenze di vita, la detenzione domiciliare sostitutiva consente al condannato di uscire dall’abitazione da un minimo di 4 ore ad un massimo di 12 ore, per fare fronte – così dice la norma – ad esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato. L’estrema duttilità della disciplina consente quindi di ‘costruire’ la pena sostitutiva come una detenzione domiciliare classica, sul modello dell’art. 47 ter o.p., oppure come una misura che – per gli spazi di libertà previsti (fino a 12 ore) e per il significativo contenuto trattamentale di cui può essere dotata – assomiglia grandemente all’affidamento in prova di cui all’art. 47 o.p. Se questo aspetto della detenzione domiciliare sostitutiva saprà essere valorizzato, non è improbabile ritenere che le sue potenzialità applicative siano destinate ad aumentare. Ciò anche se si considera che, secondo quanto previsto dall’art. 47 co. 3 ter o.p., una volta espiata metà della pena in detenzione domiciliare sostitutiva, il residuo potrà essere ‘convertito’ in vero e proprio affidamento in prova.

Tra le pene sostitutive, quella che, per il numero di applicazioni (più di 1.200), sembra avere maggior successo è il lavoro di pubblica utilità: la scelta di valorizzare un’opzione sanzionatoria che già nel sistema pre-Cartabia godeva di buona salute (specie nella sua veste di sanzione sostitutiva applicata per i reati del codice della strada) è risultata vincente. Come noto questa misura, che era utilizzata nell’ordinamento come sanzione sostitutiva per specifiche fattispecie di reato, ha ora acquisito con la riforma uno spazio di operatività generalizzata come pena sostitutiva per condanne alla reclusione o all’arresto non superiori a tre anni.

La disciplina, contenuta nell’art. 56 bis l. 689/81, certamente contribuisce a rendere attraente questa opzione sanzionatoria laddove stabilisce che, in caso di decreto penale di condanna o di patteggiamento, il positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, se accompagnato dal risarcimento del danno o  dalla  eliminazione  delle conseguenze dannose del reato, comporta la revoca della confisca eventualmente disposta (su modello di quanto previsto dagli artt. 186, co. 9 bis e 187, co. 8 bis d.lgs. 285/1992, in relazione al lavoro sostitutivo per i reati del codice della strada). Allo stesso modo, può costituire un incentivo all’utilizzazione di questa sanzione la non applicabilità al condannato dell’art. 120 d.lgs. 285/1992, che prevede ipotesi di sospensione della patente: tale previsione, che riguarda tutte le pene sostitutive, è particolarmente interessante con riferimento al lavoro di pubblica utilità, posto che molto spesso il possesso della patente di guida rappresenta un requisito necessario per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Le prospettive paiono quindi essere quelle di una crescita importante del lavoro sostitutivo: tale misura è infatti certamente appetibile per condannati, la cui prospettiva, prima della Riforma, era quella di andare a ingrossare le fila della popolazione dei liberi sospesi e di rimanere per un lungo, se non lunghissimo tempo, in uno stato di incertezza, in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza sulla concessione dell’affidamento in prova o di altra misura alternativa.