Cass. Sez. Un., sent. 26 ottobre 2023 (dep. 11 aprile 2024), n. 15069, Pres. Petruzzellis, est. Centonze
1. Con la sentenza che si annota, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto il contrasto interpretativo sorto in merito alla validità dell’ordinanza cautelare non tradotta, entro un termine congruo, in lingua nota all’imputato alloglotta.
Accogliendo l’indirizzo volto ad assicurare un ampliamento degli spazi di tutela delle prerogative difensive dell’imputato che non conosce la lingua italiana, la Corte ha ritenuto sussistente, nel caso di specie, una nullità a regime intermedio. Al contempo, i Giudici di legittimità hanno sottoposto a serrata critica l’opposto orientamento secondo cui l’omessa o tardiva traduzione di un’ordinanza cautelare comporta unicamente il differimento del termine per impugnare.
La questione era stata rimessa al vaglio dei Giudici di legittimità nei seguenti termini: «se la mancata traduzione, entro un termine congruo, in lingua nota all’imputato che non conosca la lingua italiana, dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale determini la nullità di detto provvedimento ovvero la perdita di efficacia della misura oppure comporti solo il differimento del termine per proporre impugnazione». Interrogativo tutt’altro che banale, se si considera che nell’ultimo decennio le esortazioni di matrice europea[1] nel senso di una necessaria «tutela assai avanzata del diritto all’assistenza linguistica nel processo penale»[2] sono rimaste praticamente inascoltate, senza tradursi in espresse previsioni sanzionatorie in caso di violazione del diritto all’interprete e alla traduzione degli atti destinati all’imputato straniero.
In ragione dell’«indeterminatezza prescrittiva»[3] dello scenario normativo interno, parte della giurisprudenza di legittimità aveva affermato che l’omessa o tardiva traduzione dell’ordinanza dispositiva di una misura cautelare personale nei confronti di un imputato alloglotta dovesse determinare un mero slittamento dei termini per l’eventuale ricorso per Cassazione, con individuazione del dies a quo nel momento in cui l’indagato abbia effettiva conoscenza del contenuto dell’ordinanza[4].
A conforto di siffatta impostazione si è valorizzata la circostanza che l’art. 143, comma 2, c.p.p. non prevede alcun meccanismo sanzionatorio per le ipotesi di omessa o tardiva traduzione. E ciò, anche a seguito della modifica intervenuta con il d.lgs. 32/2014[5], il quale ha interpolato nel testo dell’art. 143 c.p.p. l’obbligo di traduzione di taluni atti fondamentali[6] per l’esercizio dei diritti e delle facoltà difensive. Dunque, il diritto all’interprete e alla traduzione di atti fondamentali, così come disciplinato dall’art. 143 c.p.p., troverebbe adeguata tutela nella mera possibilità di restituzione nel termine per impugnare il provvedimento.
Come esattamente evidenziato dai giudici di legittimità nella sentenza in commento, tuttavia, una simile ricostruzione appare distonica rispetto alla effettiva tutela delle garanzie costituzionali e convenzionali. Invero, l’inviolabilità delle prerogative che vengono in rilievo – la libertà personale, ex art. 13 Cost. il diritto alla difesa, ex art. 24, comma 2, Cost., nonché il diritto a un giusto processo ex art. 6, CEDU – impone di rimarcare la cogenza del diritto di traduzione degli atti e la necessità della sua piena attuazione[7]. In quest’ottica, la mancanza di un opportuno compendio sanzionatorio non può avallare storture alla piena partecipazione dello straniero al procedimento. Se così fosse, difatti, si giungerebbe a ritenere gli innesti del d.lgs. 32/2014, tamquam non essent. Il che striderebbe con la necessità di «implementare […] a livello interpretativo, gli strumenti posti a presidio del più alto livello di tutela di tali diritti prescritto a livello sovranazionale»[8].
Sulla base di queste premesse, si è affermato, allora, un diverso indirizzo giurisprudenziale, secondo cui sussiste un vero e proprio vizio genetico dell’atto che dispone l’applicazione di una misura cautelare personale senza essere accompagnato dalla relativa traduzione[9]. Evidente il fine: presidiare, quanto più possibile, l’effettività del sistema di garanzie predisposto in ambito processuale, in ossequio agli artt. 24 comma 2 e 111 comma 3 Cost.[10], e 6, par. 3, lett. a), CEDU[11].
2. Come premesso, l’organo della nomofilachia ha risolto il contrasto giurisprudenziale prediligendo l’indirizzo che ritiene sussistente, nei casi di ordinanza cautelare non accompagnata da traduzione, una nullità di ordine generale, ascrivibile a quelle disciplinate dall’art. 178, comma 1, lett. c) c.p.p. Nondimeno, i giudici di legittimità hanno operato un distinguo a seconda del momento in cui emerge la mancata conoscenza della lingua italiana.
Allorché il giudice si avveda che il soggetto non comprende la lingua italiana al momento dell’emanazione dell’ordinanza cautelare, ne deriverà un difetto congenito dell’atto inquadrabile nell’ipotesi patologica della nullità, giacché l’atto è inidoneo a far comprendere al destinatario le ragioni che giustificano la privazione della sua libertà[12]. Del resto, è indubbio che la piena comprensione da parte dell’accusato degli addebiti a lui mossi sia imprescindibile per garantire effettività alle prerogative difensive. Ciò si desume dall’art. 292, comma 2, c.p.p., il quale enuclea il paradigma dell’addebito cautelare: seppur caratterizzato da una certa fluidità dovuta alla fase investigativa in cui interviene[13], tale addebito deve presentare un contenuto enunciativo “minimo” indispensabile per l’effettivo esercizio del diritto di difesa, non potendo un’adeguata strategia difensiva prescindere da una chiara e completa conoscenza dell’accusa[14].
Allo stesso epilogo si giunge qualora la mancata conoscenza della lingua italiana emerga solo successivamente all’adozione del provvedimento cautelare[15]. Ma in tal caso, a parere della Suprema Corte l’ordinanza sarebbe da ritenersi ab origine valida, non potendo ragionevolmente imporsi alcun dovere “anticipato” di traduzione. La validità del provvedimento cautelare risulterebbe, tuttavia, solo provvisoria, in quanto il provvedimento cautelare è da ritenersi valido fino a quando non si palesi la mancata conoscenza della lingua italiana. Tale circostanza determinerebbe, infatti, l'obbligo di traduzione del provvedimento entro un «termine congruo», secondo quanto disposto dall’art. 143, comma 2, c.p.p. Solo nel caso in cui la traduzione non dovesse svolgersi entro il predetto “congruo” termine, il provvedimento cautelare dovrebbe ritenersi nullo.
Anche in questo caso, come nell’ipotesi precedente, la Suprema Corte ritiene compromessa una «partecipazione attiva e cosciente»[16] alle dinamiche processuali, dal momento che l’interessato non è in grado di comprendere, sin dall’inizio, i presupposti applicativi dell’ordinanza, quand’anche questa sia formalmente valida[17].
Per tale via, l’organo nomofilattico depone a favore della nullità, ex art. 178, comma 1, lett. c) c.p.p., del provvedimento, in ragione della sua inidoneità ad assicurare adeguatamente l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e, di conseguenza, il pieno godimento dell’essenziale prerogativa difensiva.
3. La soluzione offerta dalla Corte appare coerente con l’intenzione di rafforzare la tutela dei diritti individuali ponendo rimedio «a comportamenti lesivi che altrimenti resterebbero privi di risposta»[18].
In questa prospettiva, si comprende la “scelta obbligata” di ricorrere a un’interpretazione conforme dell’art. 178, comma 1, lett. c) c.p.p., la cui formulazione permette di ricomprendere diversificate condotte, nel novero delle quali ascrivere anche le violazioni del diritto di difesa rilevanti a livello europeo.
Tuttavia, la sentenza si presta a qualche rilievo critico laddove, per scongiurare l’eccessiva estensione dell’ambito di operatività del meccanismo sanzionatorio sotteso all’art. 178, comma 1, lett. c) c.p.p. – in tensione con il principio di tassatività ex 177 c.p.p. – afferma che le disposizioni concernenti l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato possono essere invocate solo nel caso in cui l’imputato evidenzi «il concreto e reale pregiudizio alle sue prerogative difensive derivante dalla mancata traduzione»[19].
Dunque, i giudici di legittimità sembrano avallare la distinzione tra «lesioni innocue, o puramente formali, e lesioni nocive, sostanziali dell’interesse protetto dalla norma»[20].
In questi termini, troverebbe spazio una declinazione in chiave processuale del principio di offensività[21] che – affrancando la declaratoria di nullità da un giudizio di conformità dell’atto al tipo[22] – richiede un’effettiva menomazione delle garanzie presidiate dalla norma[23]. Di tal ché, l’interprete viene gravato non solo da un giudizio di mera sussunzione ma, in seconda battuta, risulta onerato anche di una ben più pregnante valutazione tarata sul raggiungimento dello scopo.
In tal senso si spiega il ragionamento della Suprema Corte secondo cui grava sull’imputato l’onere di indicare, in prospettiva utilitaristica[24], l’esistenza di un interesse a ricorrere, concreto, attuale e verificabile, non essendo sufficiente la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale[25].
Facendo leva su tali rilievi, nel caso di specie[26], pur a fronte di una deviazione dall’archetipo legale, la Corte ha, dunque, omesso di dichiarare la nullità perché l’atto avrebbe comunque reso possibile l’esercizio delle prerogative al quale risultava preordinato[27].
Su posizioni analoghe si era già attestata parte della giurisprudenza di legittimità, secondo cui «la traduzione scritta dell’ordinanza applicativa di misura cautelare personale, emessa all’esito di udienza di convalida alla quale lo straniero alloglotta in stato di fermo o arresto abbia partecipato con la regolare assistenza di un interprete, non è necessaria in quanto l’indagato è stato reso edotto degli elementi di accusa a suo carico ed è posto in grado di proporre ricorso al tribunale del riesame»[28].
Tuttavia, le condivisibili esigenze di buon andamento processuale, in questo modo, rischiano di tradursi in una «disaffezione verso la fonte normativa»[29] in grado di neutralizzare di fatto le conseguenze sanzionatorie connesse alle illegittimità formali[30].
Dalla sentenza in commento pare, infatti, ricavarsi il tentativo di subordinare la tutela del diritto alla difesa ad un giudizio eccessivamente discrezionale, specialmente laddove verta sulla “congruità” del termine entro cui disporre la traduzione dell’atto, ex art. 143, comma 2 c.p.p.[31].
L’evidente elasticità del concetto di “congruità” consente di cogliere l’ampio spettro di discrezionalità che permea l’individuazione dei parametri alla stregua dei quali rapportare l’operazione valutativa del giudicante, anche tenuto conto della complessità degli elementi che possono venire in rilievo caso per caso, come la complessità del provvedimento da tradurre, l’elevato numero di soggetti coinvolti nelle traduzioni o la difficoltà di reperire un traduttore che comprenda la lingua del soggetto alloglotta[32].
Nella ricostruzione prospettata dagli estensori della pronuncia in commento, la presenza di un termine “incongruo” per la traduzione del provvedimento impugnato non sarebbe idonea, di per sé, a determinare un pregiudizio per l’imputato, essendo al contrario richiesta la prova del nocumento effettivamente patito dallo stesso. Ciò che sfugge, tuttavia, è che in realtà il semplice ritardo con cui si è reso edotto il soggetto alloglotta delle motivazioni che hanno determinato la restrizione della propria libertà personale è di per sé idoneo a costituire l’indice di un pregiudizio effettivo.
Muovendo da simili considerazioni appare evidente come la semplice rimessione nei termini per impugnare il provvedimento cautelare non possa, allora, ritenersi soluzione idonea a rimediare alla maturata compromissione delle facoltà difensive e dei diritti lato sensu informativi che l’ordinamento riconosce al soggetto destinatario di provvedimenti restrittivi della libertà personale.
Come correttamente rilevato in sede esegetica, seppure finalizzata a ridurre lo scarto tra lesività in concreto ed astratta, la scelta di ancorare la declaratoria della nullità all’accertamento, caso per caso, della lesione dell’interesse protetto finisce per aggiungere alla fattispecie nulla un «disvalore di risultato»[33] che si sostituisce al giudizio di immeritevolezza di effetti già incorporato nel paradigma dell’atto nullo. Con buona pace del principio di tassatività che presiede alla disciplina delle invalidità e con il conseguente rischio di arbitrarie elusioni dei diritti e delle garanzie alla cui tutela queste ultime sono destinate.
[1] Ci si riferisce alla Direttiva 2010/64/UE sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali; Direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali; Direttiva 2014/43/UE, sul diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari. Sul tema, v. C. Amalfitano, Le prime Direttive europee sul ravvicinamento “processuale”: il diritto all’interpretazione, alla traduzione e all’informazione nei procedimenti penali, in R. Del Coco, E. Pistoia (a cura di), Stranieri e giustizia penale. Problemi di perseguibilità e di garanzie nella normativa nazionale ed europea, Bari, 2014; M. Caianiello, Dal Terzo Pilastro ai nuovi strumenti: diritti fondamentali, “Road Map” e l’impatto delle nuove Direttive, in Dir. pen. cont. - Riv. Trim., 4/2015, p. 70 ss.; T. Rafaraci, Diritti fondamentali, giusto processo e primato del diritto UE, in Proc. pen. e giust., 3/2014, p. 1 ss.
Per importanti indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia in relazione alle Direttive sui diritti dell’imputato, v. C. Giust. UE, 15 ottobre 2015, causa C-216/14, Covaci, in Dir. pen. cont. - Riv. Trim., 11 novembre 2015, con nota di M. Gialuz, Dalla Corte di Giustizia importanti indicazioni esegetiche in relazione alle prime due Direttive sui diritti dell’imputato.
[2] M. Gialuz, Il diritto all’assistenza linguistica nel processo penale. Direttive europee e ritardi italiani, in Riv. dir. proc., 9/2012, p. 1194 ss. V., inoltre, dello stesso autore, La lingua come diritto: il diritto all’interpretazione e alla traduzione nel processo penale, Padova, p. 229.
[3] L’espressione è di R. Del Coco, Ordine europeo di indagine e poteri sanzionatori del giudice, in Diritto Penale Contemporaneo, 21 dicembre 2015, p. 9 «ad accentuare [...] le criticità che si frappongono ad un percorso di omologazione delle sanzioni processuali a livello europeo contribuisce anche “l’indeterminatezza prescrittiva” che connota le norme delle Direttive in materia processuale penale le quali, lungi dal tipizzare in modo chiaro le fattispecie processuali, si limitano a stabilire principi di soft law, suscettibili di essere declinati, da parte dei singoli legislatori nazionali, in altrettante regole codificate».
[4] Cass., Sez. V, 6 luglio 2020, n. 22065, Bhiari in CED Cass. 279947-01; Cass., Sez. V, 5 dicembre 2019, n. 10993, Chanaa, in CED Cass. 183200-01; Cass., Sez. VI, 17 ottobre 2017, n. 51951, Minte, in CED Cass. 271655-01; Cass., Sez. V, 12 marzo 2013, n. 18023, F., in CED Cass. 255510-01; Cass., Sez. IV, 12 novembre 2004, n. 6684, Hachimini, in CED Cass. 233360 – 01.
[5] In attuazione della direttiva 2010/64/UE, concernente il diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali.
[6] Il novellato comma 2 dell’art. 143 c.p.p. stabilisce, infatti, che «l'autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l'esercizio dei diritti e della facoltà della difesa, dell'informazione di garanzia, dell'informazione sul diritto di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, dei decreti che dispongono l'udienza preliminare e la citazione a giudizio, delle sentenze e dei decreti penali di condanna».
[7] Cfr. § 5 dei “considerato in diritto” della sentenza in commento.
[8] In tal senso v. R. Del Coco, Ordine europeo di indagine e poteri sanzionatori del giudice, cit., p. 11, nonché D. Perugia, Processo penale allo straniero: alcune osservazioni sul diritto all’interprete e alla traduzione degli atti, in Diritto penale contemporaneo, 7-8/2018, p. 129.
[9] Tra le altre, Cass., Sez. IV, 18 maggio 2017, n. 33802, Ojeareghan, in CED Cass. 270610-01; Cass., Sez. III, 18 febbraio 2015, n. 14990, Vervaeren, in CED Cass. 263236-01; Cass., Sez. VI, 12 novembre 2014, n. 50766, Awoh, in CED Cass. 261537-01; Cass., Sez. V, 6 ottobre 2004, n. 16185, Fusha, in CED Cass. 263642-01; Cass., Sez. III, 29 aprile 2004, n. 26846, Ionascu, in CED Cass. 229295-01.
[10] In dottrina si è osservato, criticamente, che l’art. 111 co. 3 Cost. non accenna alla gratuità dell’assistenza linguistica, sancendo semplicemente il diritto della persona accusata di un reato ad essere «assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo», così M. Chiavario, voce Giusto processo – II) Processo penale, in Enc. giur., vol. XV, Agg., Istituto della Enciclopedia italiana, Roma, 2001, p. 14; M. Bargis, L’assistenza linguistica per l’imputato: dalla direttiva europea 64/2010 nuovi inputs alla tutela fra teoria e prassi, in M. Bargis (a cura di), Studi in ricordo di Maria Gabriella Aimonetto, Giuffrè, Milano, 2013, p. 117; Id. Studi di diritto processuale penale, vol. I, Giappichelli, Torino, 2002, p. 44 ss.
[11] Il panorama normativo era stato così ricostruito, altresì, dalla Corte costituzionale, che già con la pronuncia n. 10 del 1993 aveva osservato che «la forza cogente dei vincoli normativi richiamati, pertanto, impone di ridefinire l’ambito applicativo dell’art. 143 c.p.p. e la figura processuale dell’interprete, che, laddove si proceda nei confronti di uno straniero che non conosce la lingua italiana, devono reputarsi funzionali alla tutela del diritto di difesa, inducendo a ritenere la traduzione degli atti uno «strumento di reale partecipazione dell’imputato al processo attraverso l’effettiva comprensione dei distinti atti e dei singoli momenti di svolgimento dello stesso [...]», cfr. § 4 dei “Considerato in diritto” della sentenza in commento.
[12] Cfr. § 6.1 dei “Considerato in diritto” della sentenza in commento.
[13] Per un’analisi sulla fluidità dell’addebito penale si rimanda a R. Del Coco, Addebito penale preliminare e consapevolezza difensiva, Giappichelli, Torino, 2008.
[14] In tal senso, la sentenza si pone in linea con Cass., Sez. IV, 13 giugno 2001, n. 27347, Sharp, in CED Cass. 220040-01; Cass., Sez. III, 12 dicembre 998, n. 882, Daraij, in CED Cass. 213068-01; Cass., Sez. I, 10 aprile 1995, n. 2228, Polisi, in CED Cass. 201461-01; Cass., Sez. I, 2 ottobre 1994, n. 4179, Kourami, in CED Cass. 199465-01. In questi termini anche Cass., Sez. Un., 24 settembre 2003, n. 5052, Zalagaitis, in CED Cass. 226717-01 in cui, pur richiamandosi la previsione dell’art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. e non quella dell’art. 292 c.p.p., si evidenziava che la patologia processuale in esame doveva annoverarsi tra le nullità a regime intermedio, in «difetto di una specifica previsione della norma dell’art. 143 c.p.p. [...]», nonché Cass., Sez. Un., 31 maggio 2000, n.12, Jakani, in CED Cass. 216259-01; cfr. § 6.1. dei “Considerato in diritto” della sentenza in commento.
[15] Cfr. § 6.2 dei “Considerato in diritto” della sentenza in commento.
[16] Cfr. sentenza in commento, la quale fa riferimento a Cass., Sez. V, 28 aprile 2021, n. 20885, H., in CED Cass. 281152-01.
[17] Cfr. § 6.2 dei “Considerato in diritto” della sentenza in commento.
[18] G. Illuminati, Abuso del processo, legalità processuale e pregiudizio effettivo, in Cass. pen., 2012, p. 3593.
[19] Cfr. § 11 dei “Considerato in diritto” della sentenza in commento.
[20] M. Caianiello, Premesse per una teoria del pregiudizio effettivo nelle invalidità processuali penali, Bononia University Press, 2012.
[21] In senso critico, F. Caprioli, Abuso del diritto e nullità inoffensive, in Cass. Pen., 2012, p. 2410 ss.
[22] C. Conti, Nullità e inutilizzabilità: problemi attuali e prospettive di riforma, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2008, p. 1657.
[23] Cfr. Cass., Sez. Un., 24 novembre 2016, n. 7697, con nota di I. Guerini, Repetita iuvant: le Sezioni Unite si pronunciano (di nuovo) sull’omessa notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, in Diritto Penale Contemporaneo, 3 aprile 2017.
[24] Così anche Cass., Sez. Un., 27 ottobre 2011, n. 6624, Marinaj, in CED Cass. 251693-01.
[25] Cfr. § 7 dei “considerato in diritto” della sentenza in commento, che a sua volta richiama, ex multis, Cass., Sez. II, 20 aprile 2023, n. 33455, Mortellaro, in CED Cass. 285186-01; Cass., Sez. IV, 19 febbraio 1992, n. 4789, Sità, in CED Cass. 189947-01. Cfr. § 11 dei “considerato in diritto” della sentenza in commento.
[26] Ovvero all’appello proposto dall’indagato, con cui si censurava il ritardo con cui il giudice si era pronunciato sulle istanze presentate ex art. 306 c.p.p. e si deduceva che il provvedimento genetico tradotto era stato notificato in carcere all'indagato l'11 ottobre 2022, oltre quello che poteva ritenersi “un termine congruo”.
[27] La sentenza, pur ritenendo l’invalidità dell’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti del ricorrente, fa notare come l’appello cautelare fosse stato proposto dopo aver ricevuto la traduzione del provvedimento genetico. Ne consegue che il ricorrente, avendo già avuto conoscenza della traduzione del provvedimento restrittivo al momento della proposizione dell’appello cautelare, avrebbe dovuto dimostrare in che modo, rispetto al contenuto motivazionale dell’ordinanza, la mancata tempestiva conoscenza dello stesso avrebbe influito sulle proprie strategie difensive, cfr. § 11 dei “considerato in diritto” della sentenza in commento.
[28] V. Cass., Sez. I, 20 novembre 2014, n. 48299, in CED Cass. 261162-01 e conformemente Cass., Sez. II, 5 aprile 2017, n. 27988, in Diritto & Giustizia, 7 giugno 2017.
[29] Così, R. Del Coco, La regressione degli atti nel processo penale, Giappichelli, Torino, 2020, p. 62.
[30] Cfr. E. M. Catalano, Manipolazioni concettuali della nozione di abuso del processo, in Proc. pen. giust., 4/2012, p. 91 che sottolinea come «la repressione dell’abuso del diritto di difesa non può passare attraverso lo svuotamento del contenuto di garanzie fondamentali e la espressa violazione delle norme processuali che di tali garanzie costituiscono espressione».
[31] Cfr. § 8 dei “considerato in diritto” della sentenza in commento.
[32] Ibidem.
[33] Cfr. R. Del Coco, La regressione degli atti nel processo penale, op. loc. cit.