Decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 (Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19); d.p.c.m. 17 maggio 2020
1. L’ingresso nella “fase 2” dell’emergenza COVID-19 è segnato dall’emanazione del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, cui ha subito fatto seguito il d.p.c.m. 17 maggio 2020 (entrambi i provvedimenti possono leggersi in allegato). Attraverso una fonte primaria il Governo – nella sua veste di legislatore dell’emergenza – adegua le misure di contenimento del virus – e le correlate limitazioni a diritti e libertà fondamentali – all’evolversi della situazione epidemiologica, in via di miglioramento. Al tempo stesso, il nuovo decreto-legge introduce una disciplina sanzionatoria dell’inosservanza delle misure stesse autonoma rispetto a quella introdotta dal d.l. n. 19/2020 in relazione alla “fase 1” dell’emergenza.
Come si sottolinea già nelle premesse del decreto-legge, le misure di contenimento dell’epidemia rispondono infatti a criteri di adeguatezza e proporzione. Ne consegue che alla flessione della curva dei contagi corrisponde un graduale allentamento delle misure limitative, i cui costi economici, sociali e psicologici sarebbero d’altra parte difficilmente ancora a lungo sostenibili.
Come ha annunciato il Presidente Conte, la strada tracciata dall’ultimo decreto-legge è dunque quella di un ritorno alla “normalità”, per quanto indubbiamente graduale e cauto; un ritorno alla normalità che – ci ricordano epidemiologi e virologi – significherà una ripresa delle relazioni sociali e di buona parte delle ordinarie attività convivendo con il virus, che ancora circolerà per i prossimi mesi nel nostro come in altri paesi. Dalla fase dei divieti più o meno assoluti – che ci ha chiusi in casa – si passa ora alla fase della graduale ripresa delle attività, improntata tanto al rispetto di regole preventive ormai interiorizzate (dal lavaggio continuo delle mani, all’uso della mascherina, al distanziamento sociale, alla rinuncia a vecchie abitudini, quali la stretta di mano), quanto a nuove regole cautelari che prefigurano, per alcune attività, il ritorno a una difficile normalità (il pensiero corre alle regole per l’accesso distanziato a ristoranti, palestre, luoghi di culto, biblioteche, ecc.; regole che il penalista guarda con interesse, per il possibile rilievo nel giudizio di colpa, e che il lettore può trovare nel d.p.c.m. del 17 maggio 2020 e nelle oltre cento pagine di documenti ad esso allegati). Si prefigura, inoltre, una maggiore libertà di circolazione, allo stato all’interno della regione di residenza e, dal mese di giugno, sul territorio nazionale e all’estero. Il tutto, naturalmente, a condizione che la situazione epidemiologica non peggiori, rendendo inevitabile un passo indietro.
2. Va subito precisato che il nuovo decreto-legge non sostituisce ma si affianca al d.l. n. 19/2020, cioè alla fonte primaria del diritto dell’emergenza COVID-19 nella “fase 1” (preceduta, nella primissima fase dell’emergenza, limitata ad alcune zone ‘rosse’ del territorio nazionale, dall’abrogato d.l. n. 6/2020). Il d.l. n. 19/2020, attualmente in fase di conversione in legge al Senato, continua non solo a rappresentare il quadro normativo di riferimento per la “fase 1” dell’emergenza, ma conserva validità, per plurimi aspetti, anche “nella fase 2”.
L’art. 1 del d.l. n. 19/2020, infatti, prevedeva e prevede che le relative misure possano essere adottate fino al 31 luglio 2020, tanto è vero che il d.p.c.m. 17 maggio 2020, come si legge nella premessa, è adottato “visto”, tra l’altro, il d.l. n. 19/2020 e, in particolare, l’art. 1 – che elenca, per tipologia, le misure di contenimento – e l’art. 2, co. 1 – che disciplina l’attuazione di quelle misure, attraverso i d.p.c.m.
Il d.l. n. 33/2020 in più parti richiama il d.l. n. 19/2020: le disposizioni dei due decreti-legge, in combinato disposto, sono destinate a disciplinare le misure di contenimento – e le sanzioni per la relativa inosservanza – nel periodo (“fase 2”) che va dal 18 maggio 2020 al 31 luglio 2020 (cfr. art. 3, co. 1).
I due testi normativi devono pertanto essere coordinati: in assenza di un’espressa previsione, deve ritenersi che le misure di cui al d.l. n. 19/2020 – elencate nell’art. 1 – possono essere adottate, nella “fase 2”, solo se e in quanto compatibili con il d.l. n. 33/2020. La logica di quest’ultimo decreto-legge, infatti, è quella di introdurre una disciplina relativa a svariate attività, volta a consentirne lo svolgimento – impedendo pertanto che formino oggetto di misure limitative adottate con d.p.c.m. (o con ordinanza del Ministero della Salute) ai sensi dell’art. 2 d.l. n. 19/2020 – o, viceversa, a vietarle – facendole oggetto di quelle misure, da adottarsi secondo la citata procedura. Il precipitato di questa complessa disciplina è rappresentato oggi dal d.p.c.m. 17 maggio 2020, destinato nei prossimi giorni a regolare la nostra quotidianità, consentendo tra l’altro la ripresa delle attività produttive.
3. Trova conferma, anche nell’impianto del nuovo decreto-legge, il ruolo centrale del Governo e, quale fonte, dei d.p.c.m., ai quali continua ad essere demandata l’adozione delle misure di contenimento tipizzate dal d.l. n. 19/2020 e ora, in parte, disciplinate dal d.l. n. 33/2020. Il ruolo del Parlamento – che ancora non ha convertito in legge il d.l. n. 19/2020 – continua ad essere in secondo piano, per quanto la Camera dei deputati il 14 maggio, approvando il disegno di legge di conversione del d.l. n. 19/2020 (C. n. 2447; S. n. 1811), abbia previsto che il Presidente del Consiglio dei Ministri debba illustrare previamente il contenuto dei d.p.c.m. alle Camere, per tenere conto di eventuali indirizzi. In caso di impossibilità l’informativa al Parlamento dovrà essere data dal Presidente del Consiglio dei Ministri – come già prevede il testo del decreto-legge n. 19/2020 – entro quindici giorni dall’adozione del d.p.c.m.
Trova altresì conferma, come già nel d.l. n. 19/2020, il ruolo sussidiario delle regioni, che ai sensi dell’art. 1, co. 16 d.l. n. 33/2020, nelle more dell’adozione dei d.p.c.m., possono introdurre “misure derogatorie, ampliative o restrittive”. Il ruolo delle regioni è peraltro valorizzato nel quadro di una disciplina (art. 1, co. 14-16) che, consapevole del diverso grado di incidenza del rischio epidemiologico sul territorio nazionale, affida alle regioni stesse l’adozione di protocolli e linee guida idonei a prevenire il rischio di contagio nelle attività economiche, produttive e sociali; protocolli e linee guida che devono rispettare principi contenuti in analoghi documenti a carattere nazionale. Negli allegati al d.p.c.m. del 17 maggio 2020 possono leggersi (allegato 17) le “Linee guida per la riapertura delle attività economiche e produttive della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome del 16 maggio 2020”. Alle regioni è affidato inoltre – “per garantire lo svolgimento in condizioni di sicurezza delle attività economiche produttive e sociali” –, e al fine dell’adozione delle predette misure, il compito di monitorare giornalmente l’andamento della situazione epidemiologica e dell’adeguatezza del sistema sanitario regionale.
4. La nuova disciplina delle misure di contenimento è contenuta nell’art. 1 del d.l. n. 33/2020 e riguarda: a) la circolazione nel territorio regionale e nazionale, nonché all’estero; b) la quarantena; c) le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli; d) gli assembramenti e le riunioni in pubblico; e) le funzioni religiose; f) le attività didattiche; g) le attività economiche, produttive e sociali.
4.1. Circolazione all’interno del territorio regionale
L’art. 1, co. 1 del d.l. n. 33/2020 stabilisce che “a decorrere dal 18 maggio 2020, cessano di avere effetto tutte le misure limitative della circolazione all'interno del territorio regionale di cui agli articoli 2 e 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19”. Si prevede tuttavia che “tali misure possono essere adottate o reiterate, ai sensi degli stessi articoli 2 e 3” – cioè con d.p.c.m. o, nelle more della loro adozione, con provvedimenti regionali – “solo con riferimento a specifiche aree del territorio medesimo interessate da particolare aggravamento della situazione epidemiologica”.
4.2. Spostamenti interregionali
L’art. 1, co. 2 del d.l. n. 33/2020 stabilisce che “fino al 2 giugno 2020 sono vietati gli spostamenti, con mezzi di trasporto pubblici e privati, in una regione diversa rispetto a quella in cui attualmente ci si trova, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute; resta in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”. Ai sensi del successivo co. 3, “a decorrere dal 3 giugno 2020, gli spostamenti interregionali possono essere limitati solo con provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020” – cioè con d.p.c.m. – “in relazione specifiche aree del territorio nazionale, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio epidemiologico effettivamente presente in dette aree”.
4.3. Spostamenti da e per l’estero.
L’art. 1, co. 4 stabilisce che “fino al 2 giugno 2020, sono vietati gli spostamenti da e per l'estero, con mezzi di trasporto pubblici e privati, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute o negli ulteriori casi individuati” con d.p.c.m.; resta “in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”. “A decorrere dal 3 giugno 2020, gli spostamenti da e per l'estero possono essere limitati solo con” d.p.c.m., “anche in relazione a specifici Stati e territori, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio epidemiologico e nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea e degli obblighi internazionali”. Una disciplina speciale riguarda infine i territori stranieri interclusi in quello italiano (art. 1, co. 5): “gli spostamenti tra lo Stato della Città del Vaticano o la Repubblica di San Marino e le regioni con essi rispettivamente confinanti non sono soggetti ad alcuna limitazione”.
5. Misura della quarantena
Importanti novità si registrano in relazione alla disciplina della quarantena. Il d.l. n. 33/2020 si preoccupa di fornire alla misura una più completa (ma non ancora sufficiente) base legale precisandone tempi e modi di applicazione. Resta confermata la scelta di distinguere due forme di quarantena: quella che interessa i soggetti risultati positivi al virus – la cui inosservanza continua a integrare un reato –, e quella c.d. precauzionale, che interessa invece quanti abbiano avuti contatti stretti con soggetti positivi al virus – la cui inosservanza è sempre sanzionata in via amministrativa.
5.1. Quarantena dei positivi
Quanto alla quarantena dei positivi, l’art. 1, co. 2 lett. e) del d.l. n. 19/2020 individua la misura in termini di “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus”. L’art. 1, co. 6 del d.l. n. 33/2020 è così formulato: “E’ fatto divieto di mobilità dalla propria abitazione o dimora alle persone sottoposte alla misura della quarantena per provvedimento dell'autorità sanitaria in quanto risultate positive al virus COVID-19, fino all'accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata”. La prima disposizione, non abrogata, continua a disciplinare le misure già adottate; la nuova disposizione rappresenterà la base legale per l’adozione delle nuove misure. Ciò spiega la coesistenza di due diverse norme incriminatrici destinate a sanzionare l’inosservanza della misura.
E’ rimasto infatti invariato il contenuto della misura, che nel prescrivere il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora – come abbiamo sostenuto in altra sede – limita a nostro avviso, più che la libertà di circolazione, la libertà personale, chiamando in causa la riserva di giurisdizione di cui all’art. 13 Cost., rispetto alla quale la legge nulla continua a disporre.
E’ altresì rimasto invariato il presupposto di fatto che legittima l’adozione della misura, rappresentato dalla positività al virus COVID-19.
Un’importante novità è invece rappresentata dal fatto che – come auspicavamo in un contributo apparso su questa Rivista – per la prima volta si stabilisce ora espressamente, in un atto avente forza di legge, che la “misura” della quarantena – già definita come tale dal d.l. n. 19/2020 – deve essere disposta con “provvedimento dell’autorità sanitaria”, cioè con un provvedimento amministrativo individuale e concreto, adottato per motivi di salute pubblica. La necessità di un provvedimento individuale era stata esclusa da autorevoli commentatori rilevando come nel d.l. n. 19/2020 “è direttamente la legge, e non l’autorità amministrativa, a disporre la quarantena” sulla base di una situazione di fatto – la positività al virus – (M. Bignami; analogamente, M. Luciani), concludendo nel senso che “nelle normative dell’emergenza è in gioco non la libertà da coercizione in concreto, ma la libertà da restrizioni normativamente previste in via generale” (D. Pulitanò): una conclusione (v. anche M. Luciani) che metteva fuori gioco i problemi di costituzionalità relativi alla riserva di giurisdizione ex art. 13 Cost. Orbene, detto che la necessità di un provvedimento amministrativo, per l’applicazione della quarantena, era comunque desumibile dalla normativa secondaria – e confermata dalla giurisprudenza amministrativa chiamata nelle scorse settimane a pronunciarsi sull’impugnazione di provvedimenti individuali – l’espressa previsione di un “provvedimento dell’autorità sanitaria”, nel d.l. n. 33/2020, cambia i termini del dibattito in corso sulla quarantena, ponendo il problema della garanzia del controllo giurisdizionale del provvedimento stesso, allo stato assicurato dalla possibilità del ricorso alla giustizia amministrativa, senza però la previsione di una procedura di convalida, nei tempi e con le modalità dell’art. 13 Cost.
Un’altra rilevante novità è rappresentata dal termine di durata della misura. Il d.l. n. 19/2020 nulla disponeva in merito, ed era solo la normativa secondaria a stabilire la durata della quarantena in quattordici giorni. Il d.l. n. 33/2020 individua ora un termine indeterminato, facendo riferimento, quale momento finale della misura e del relativo divieto, all'accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata.
La nuova disciplina della durata della misura pone alcuni problemi. Il carattere indeterminato della durata espone chi vi è sottoposto al rischio di subire una limitazione della propria libertà a tempo, per l’appunto indeterminato: la legge infatti non disciplina tempi e modi dell’accertamento della guarigione, così come le procedure per il ricovero. Una disciplina a riguardo – come abbiamo sottolineato in un precedente contributo – si rinviene faticosamente nel dedalo quasi inestricabile della normativa secondaria dell’emergenza COVID-19. Senonché il carattere invasivo della misura – a fronte della consapevolezza di come vi siano casi accertati di positività al virus per periodi di molte settimane – richiederebbe di disciplinare in una fonte di rango primario tempi e modi degli accertamenti sanitari e della decisione sul ricovero del paziente. E’ auspicabile che, sul punto, intervenga il Parlamento in sede di conversione del decreto-legge. L’incertezza sul momento del riesame della positività al virus, d’altra parte, espone, in caso di allontanamento dall’abitazione o dalla dimora, al rischio di condannare una persona non più positiva, la cui negatività non sia stata accertata per cause a lui non imputabili (si pensi al caso paradossale di chi, stufo di attendere il medico per il controllo, esca di casa per recarsi presso una struttura sanitaria).
L’avere individuato poi il momento finale della misura, alternativamente all’accertamento della guarigione (rectius, negatività al virus), nel ricovero presso una struttura sanitaria o affine pone il problema dell’irrilevanza penale della condotta di chi, essendo stato ricoverato – e non essendo più ex lege sottoposto alla misura della quarantena – si allontani dal luogo di cura.
5.2. Quarantena precauzionale
Rilevanti novità hanno interessato anche la misura della quarantena c.d. precauzionale. Rispetto alla previsione dell’art. 1, co. 2 lett. e) d.l. n. 19/2020, è confermata dall’art. 1, co. 7 d.l. n. 33/2020, quanto ai destinatari della misura, l’indicazione dei “soggetti che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di soggetti positivi al virus COVID-19”. Non si fa più invece riferimento ai “soggetti che rientrano da aree, ubicate al di fuori del territorio italiano” bensì a non meglio individuati “altri soggetti indicati con i provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020”, cioè con d.p.c.m. La circostanza che il decreto-legge demandi a una fonte sublegislativa l’individuazione degli “altri” destinatari della misura, limitativa di libertà fondamentali, sembra in contrasto con la riserva di legge prevista dagli artt. 13 e 16 Cost.
Il d.p.c.m. 17 maggio 2020 (art. 4, co. 3 e co. 5) ha previsto la quarantena per il periodo di quattordici giorni, con sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario, per quanti, anche asintomatici, fanno rientro in Italia dall’estero. Lo stesso d.p.c.m. prevede (art. 4, co. 8), solo in relazione a questa forma di quarantena, una dettagliata disciplina degli obblighi di comunicazione da parte dell’autorità sanitaria e dei controlli che, in ossequio agli artt. 13 e 16 Cost., dovrebbe a nostro parere essere prevista dalla legge di conversione del d.l. n. 33/2020 (cioè da una fonte di rango primario) ed estesa, in quanto compatibile e con eventuali modifiche e integrazioni, a tutte le forme di quarantena.
La fonte primaria (il d.l. n. 33/2020) continua d’altra parte a non individuare una durata della misura – diversamente da quanto, pur in modo indeterminato, avviene ora per la quarantena dei soggetti positivi. Sotto questo profilo, la disparità di trattamento tra le due forme di quarantena sembra irragionevole e di dubbia compatibilità con l’art. 3 Cost. In sede di conversione del decreto-legge – lo ribadiamo – il Parlamento dovrebbe opportunamente prevedere tempi e modi per la verifica dell’eventuale positività al virus del soggetto sottoposto alla misura e, di conseguenza, per la revoca del provvedimento che l’ha imposta.
Anche la quarantena precauzionale infatti – ed è un’altra importante novità apportata dal d.l. n. 33/2020 – “è applicata con provvedimento dell’autorità sanitaria”.
5.3. Va segnalato, a proposito dell’autorità competente a disporre la quarantena, un possibile problema di coordinamento con il disegno di legge di conversione del d.l. n. 19/2020, attualmente all’esame del Senato. Il 14 maggio scorso la Camera, modificando l’art. 1, co. 2, lett. e) d.l. n. 19/2020, ha individuato nel sindaco l’autorità sanitaria locale competente ad applicare la quarantena ai positivi al virus. Se questa scelta dovesse essere confermata, bisognerebbe domandarsi se non fosse il caso – come sembra – di estenderla alla quarantena, anche, precauzionale, come disciplinata dal d.l. n. 33/2020.
La scelta di individuare il sindaco quale autorità sanitaria locale competente ad applicare la misura della quarantena dovrebbe a nostro parere essere valutata, in sede di conversione del d.l. n. 33/2020, prendendo a modello la disciplina del trattamento sanitario obbligatorio, di cui alla l. 23 dicembre 1978, n. 833. Quella legge individua il sindaco – nella sua qualità di autorità sanitaria – quale soggetto competente a disporre il TSO “su proposta motivata di un medico” (art. 33, co. 3) e, soprattutto, delinea un’articolata disciplina che prevede la convalida del provvedimento di degenza ospedaliera da parte dell’autorità giudiziaria, in conformità all’art. 13 Cost. In relazione alla quarantena, misura che non contempla un trattamento sanitario obbligatorio ma che incide, al pari della degenza in TSO, sulla libertà personale, la legge nulla di simile prevede, sollevando come si è detto notevoli perplessità in rapporto alla compatibilità con l’art. 13 Cost.; perplessità che il Parlamento, in sede di conversione del decreto-legge, dovrebbe auspicabilmente considerare, anche confrontando la legislazione di altri paesi coinvolti dalla pandemia (il pensiero corre ad esempio al Coronavirus Act inglese, del quale abbiamo dato conto in un nostro precedente contributo pubblicato su questa Rivista, nel quale si prevede la possibilità di un ricorso giurisdizionale, affidato a una magistrates’ court che può confermare o annullare la misura, ed eventualmente modificarla).
6. Manifestazioni pubbliche, riunioni, attività didattiche, funzioni religiose.
L’art. 1, co. 8-13 del d.l. n. 33/2020 detta la disciplina relativa volta ad assicurare il c.d. distanziamento sociale nei luoghi pubblici. Al divieto di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico si accompagna la previsione della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro come condizione per lo svolgimento di riunioni e il rinvio a d.p.c.m., sulla base dell’andamento dei dati epidemiologici, per la disciplina delle modalità di svolgimento di manifestazioni, eventi e spettacoli con la presenza di pubblico e attività didattiche, nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università. Quanto alle funzioni religiose, il rinvio è operato, oltre che a futuri d.p.c.m., ai protocolli sottoscritti dal Governo e dalle confessioni religiose. La disciplina attuativa è ora prevista dal d.p.c.m. 17 maggio 2020, che può leggersi in allegato.
7. Attività economiche, produttive e sociali.
Già si è detto che, per lo svolgimento delle attività economiche, produttive e sociali, il d.l. n. 33/2020 stabilisce, all’art. 1, co. 14, che queste debbano svolgersi – a pena di sospensione fino al ripristino delle condizioni di sicurezza (art. 1, co. 15) – “nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali”. Si prevede che “le misure limitative delle attività economiche, produttive e sociali possono essere adottate, nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità” con d.p.c.m. ovvero, nelle more, con provvedimenti regionali. Anche in questo caso la disciplina attuativa è ora prevista dal d.p.c.m. 17 maggio 2020, che può leggersi in allegato.
8. Sanzioni
L’art. 2 d.l. n. 33/2020 introduce una disciplina sanzionatoria modellata su quella prevista dall’art. 4 d.l. n. 19/2020, per la “fase 1”, ma rispetto ad essa autonoma perché destinata a riguardare le misure adottate sulla base della disciplina introdotta con il d.l. n. 33/2020. La scelta di fondo, come si è detto, viene ribadita: sanzioni amministrative per la generalità delle violazioni; sanzioni penali per l’inosservanza della sola misura della quarantena applicata al soggetto positivo al virus.
8.1. L’illecito amministrativo (art. 2, co. 1 d.l. n. 33/2020)
Le violazioni delle disposizioni del d.l. n. 33/2020, ovvero delle disposizioni dei d.p.c.m., delle ordinanze del Ministero della Salute e delle ordinanze regionali, emanate in attuazione del d.l. n. 33/2020, “sono punite con la sanzione amministrativa di cui” all’art. 4, co. 1 d.l. n. 19/2020, cioè con il pagamento di una somma da 400 a 3000 euro. Nei casi in cui la violazione sia commessa nell'esercizio di un'attività di impresa, si applica altresì la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell'esercizio o dell'attività da 5 a 30 giorni.
Si noti che mentre l’art. 4, co. 1 d.l. n. 19/2020 sanziona l’inosservanza di misure tipizzate dall’art. 1, co. 2 dello stesso d.l., l’art. 2, co. 1 d.l. n. 33/2020 sanziona da una parte le “violazioni delle disposizioni del presente decreto” e, dall’altra parte, opera altresì un rinvio in bianco alle violazioni “dei decreti e delle ordinanze emanati in attuazione del presente decreto”. Per tale via si apre la possibilità di sanzionare la violazione di misure prive di base legale (non comprese nel catalogo dell’art. 1 d.l. n. 19/2020 o nell’articolato del d.l. n. 33/2020), introdotte dal Governo, con d.p.c.m. o ordinanze ministeriali, ovvero dalle regioni. Ci sembra questo, se non vediamo male, il caso della prescrizione di cui all’art. 1, co. 1, lett. a) del d.p.c.m. 17 maggio 2020, di restare presso il proprio domicilio, contattando il medico curante, rivolta ai soggetti con infezione respiratoria caratterizzata da febbre maggiore di 37,5° C. Il rinvio in bianco è d’altra problematico non solo in rapporto alle garanzie costituzionali, che interessano misure limitative di libertà fondamentali, ma anche perché reca in sé il rischio che, in realtà, le disposizioni di fonte sublegislativa o regionale non rappresentino in realtà attuazioni di disposizioni di fonte primaria (sembra proprio questo, come si è detto, il caso del divieto di uscire di casa con la febbre maggiore a 37,5° C).
A proposito della sanzione amministrativa pecuniaria va segnalato che, in sede di conversione in legge del d.l. n. 19/2020, la Camera, nell’approvare lo scorso 14 maggio il disegno di legge di conversione, ora all’esame del Senato, ha abbassato da 3.000 a 1.000 euro il massimo edittale della sanzione. Dovendosi ritenere mobile il rinvio dell’art. 2, co. 1 d.l. n. 33/2020 all’art. 4, co. 1 d.l. n. 19/2020, se il Senato confermasse la modifica della sanzione pecuniaria il nuovo limite massimo di 1.000 euro riguarderebbe anche l’illecito amministrativo qui in esame. Si porrebbe peraltro – tanto in relazione all’illecito di cui all’art. 4, co. 1 d.l. n. 19/2020 quando con riferimento all’illecito di cui all’art. 2, co. 1 d.l. n. 33/2020 – il problema di stabilire se il nuovo e più favorevole limite edittale interessi anche i fatti antecedentemente commessi. La risposta affermativa sembra discendere dal recente riconoscimento, nella giurisprudenza costituzionale, della operatività, in rapporto alle sanzioni amministrative punitive, del principio di retroattività della lex mitior, fondato sugli artt. 3 e 117, co. 1 Cost., in relazione all’art. 7 Cedu (Corte cost., sent. n. 63/2019). Né d’altra parte, in assenza di una disciplina analoga a quella dell’art. 2, co. 5 c.p., valevole per l’illecito amministrativo punitivo, e, comunque, in assenza di un motivo capace di reggere a un vaglio positivo di ragionevolezza, potrebbe essere invocato il carattere eccezionale o temporaneo della disposizione modificata, onde impedirne l’applicazione retroattiva.
E’ forse il caso di precisare che l’eventuale riduzione del massimo edittale della sanzione amministrativa non porrebbe problemi di diritto intertemporale in rapporto ai fatti di inosservanza della quarantena originariamente puniti con le sanzioni previste dall’art. 650 c.p. e investiti dalla depenalizzazione operata con il d.l. n. 19/2020. L’art. 4, co. 8 del d.l. n. 19/2020, infatti, prevede per quei fatti, commessi prima della sua entrata in vigore, l’applicazione retroattiva della sanzione amministrativa pecuniaria nella misura minima, ridotta della metà. La riduzione del massimo edittale, pertanto, sarebbe irrilevante.
Per l'accertamento delle violazioni e il pagamento in misura ridotta viene operato un rinvio all’art. 4, co. 3 d.l. n. 19/2020. Si ribadisce, come già nell’art. 4 d.l. n. 19/2020, che le sanzioni per le violazioni delle misure disposte da autorità statali sono irrogate dal Prefetto, mentre le sanzioni per le violazioni delle misure disposte da autorità regionali e locali sono irrogate dalle autorità che le hanno disposte. Di identico contenuto, rispetto a quanto prevede l’art. 4 d.l. n. 19/2020, è anche la disciplina relativa alla chiusura provvisoria dell’attività o del servizio fino a 5 giorni, per impedire la prosecuzione o la reiterazione della violazione, così come la disciplina che, in caso di recidiva (“reiterata violazione della medesima disposizione”), prevede il raddoppio della sanzione pecuniaria principale e l’applicazione nella misura massima della sanzione interdittiva accessoria.
Pur con una diversa formulazione della clausola di sussidiarietà – “salvo che il fatto costituisca reato diverso da quello di cui all’articolo 650 del codice penale” –, trova conferma che anche l’illecito amministrativo di cui all’art. 2, co. 1 d.l. n. 33/2020, al pari di quello di cui all’art. 4, co. 1 d.l. n. 19/2020, esclude la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 650 c.p. mentre, al contrario, rimane assorbito in altra eventuale figura di reato integrata con il medesimo fatto (ad es., i delitti di lesioni personali, omicidio o epidemia).
8.2. La contravvenzione per l’inosservanza della quarantena da parte del soggetto positivo al virus
Ricalcando il contenuto dell’art. 4, co. 6 d.l. n. 19/2020, l’art. 2, co. 3 d.l. n. 33/2020 stabilisce infine che “salvo che il fatto costituisca violazione dell’articolo 452 del codice penale” – il riferimento è al delitto di epidemia colposa – “o comunque più grave reato” – ad es., epidemia dolosa, omicidio o lesioni personali, dolose o colpose – “la violazione della misura di cui all'articolo 1, comma 6, è punita ai sensi dell’articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265”, cioè con l’arresto da 3 a 18 mesi e con l’ammenda da 500 a 5.000 euro (pene così modificate dall’art. 4, co. 7 d.l. n. 19/2020).
Così come il nuovo illecito amministrativo convive con quello introdotto dal d.l. n. 19/2020, così anche la nuova contravvenzione si affianca a quella di cui al d.l. n. 19/2020, non abrogata. Le misure la cui inosservanza è penalmente rilevante, infatti, sono disciplinate come si è visto in modo diverso, quanto ai profili dell’autorità competente a disporre la misura e alla relativa durata: la “vecchia contravvenzione” riguarda pertanto l’inosservanza della quarantena disposta – fino a ieri – ai sensi dell’art. 1, co. 2, lett. e) d.l. n. 19/2020, mentre la “nuova contravvenzione” sanziona l’inosservanza della quarantena che sarà da ora in poi disposta ai sensi dell’art. 1, co. 6 d.l. n. 33/2020.