ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Scheda  
05 Maggio 2023


Nuovo art. 4 bis ord. penit.: il Protocollo operativo della DNAA e i risvolti applicativi del “regime probatorio rafforzato” per i condannati non collaboranti


*Contributo pubblicato nel fascicolo n. 5/2023.

 

1. Pubblichiamo in allegato, per l'interesse, il Protocollo d’Intesa del 29 dicembre 2022 con cui il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ed i Procuratori distrettuali della Repubblica adottano linee guida e misure organizzative resesi necessarie a seguito delle modifiche apportate all’art. 4-bis ord. pen. dal decreto-legge n. 162 del 31 ottobre 2022, convertito con modificazioni in legge 30 dicembre 2022, n. 199.

 

2. Al fine di una più puntuale comprensione delle ragioni sottese all’adozione del Protocollo, ci pare possa essere di qualche utilità per il lettore offrire una ricognizione cronologica e sintetica delle vicende che hanno interessato la norma in esame. A venire in rilievo, come è noto, è la disciplina dell’accesso ai benefici penitenziari per gli autori di reati c.d. ostativi “di prima fascia”, cioè di delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti violenti; delitti di stampo mafioso; delitti relativi a nuove forme di schiavitù; delitti riferibili al rapporto tra minori, prostituzione e pornografia; delitti in materia di stupefacenti e contrabbando; delitti afferenti alla violenza sessuale e delitti in materia di immigrazione[1].

 

2.1. Come noto, l’introduzione dell’art. 4-bis nell’ordinamento penitenziario (l. 26 luglio 1975, n. 354) si deve al d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. in l. 12 luglio 1991, n. 203, il quale ha gettato le basi del “sistema differenziato” di accesso ai benefici penitenziari, che ancora oggi distingue il regime ordinario da quello riservato ai condannati per delitti di criminalità organizzata[2]. La disciplina, come originariamente pensata, già prevedeva per detti gravi reati un differente regime probatorio per l’accesso ai summenzionati benefici, richiedendo, in particolare, che fossero acquisiti “elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata[3]. Nondimeno, la norma - ad un anno dalla sua introduzione - è stata oggetto di un nuovo intervento riformatore, volto ad inasprirne le previsioni, quale reazione all’ondata di allarme sociale innescata dalle tragicamente note stragi di mafia del ’92: con il d.l. 8 giugno 1992, n. 306, infatti, il legislatore introduce una presunzione assoluta di pericolosità sociale del condannato per reati ostativi di prima fascia che non collabori utilmente con la giustizia, ai sensi dell’art. 58-ter o.p.. La rigidità della disciplina viene, tuttavia, attenuata già in sede di conversione del decreto-legge, prevedendo la l. di conv. 356/1992 la possibilità di superare la preclusione qualora la collaborazione richiesta risulti “oggettivamente irrilevante[4]. Ancora nel senso di mitigare il più severo trattamento di cui si è detto, la Corte costituzionale con le sentenze 27 luglio 1994, n. 357, e 1 marzo 1995, n. 68, ha esteso l’equiparazione tra collaborazione utile e collaborazione irrilevante alle ulteriori ipotesi di collaborazione inesigibile (per limitata partecipazione del condannato al fatto di reato) e di collaborazione impossibile (per intervenuto accertamento con sentenza irrevocabile dei fatti e delle responsabilità). Sulla base di queste ultime indicazioni della Giudice delle leggi, il legislatore è intervenuto nel 2002 dando forma al comma 1-bis, che, nella versione vigente fino al 30 ottobre 2022[5], definiva normativamente i casi in cui i benefici penitenziari potevano essere concessi anche in assenza di un’utile collaborazione del condannato, previa acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica od eversiva.

 

2.2. Non essendo questa la sede per una cronologia più approfondita e dettagliata delle vicende giurisprudenziali e normative che hanno seguito i fondamentali passaggi di cui si è poc’anzi detto[6], veniamo ora alle più recenti modifiche che hanno interessato l’art. 4-bis o.p.. Il d.l. 162/2022 segna l’ultima tappa dell’iter avviato con la rivoluzionaria sentenza costituzionale n. 253 del 2019[7], nel corso del quale abbiamo visto delinearsi il nuovo volto della disciplina concernente il divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati per reati c.d. “ostativi” che non collaborano con la giustizia[8]. Come noto, la Corte costituzionale, pronunciandosi con l’anzidetta sentenza additiva, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, o.p., nella parte in cui non prevedeva la possibilità per i condannati c.d. “ostativi” non collaboranti di accedere al beneficio dei permessi premio, qualora fossero stati acquisiti “elementi tali da escludere sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti[9]. Dando seguito alle pronunce che, in quegli anni, avevano portato al riconoscimento dei principi di progressività trattamentale e di flessibilità della pena quali essenziali corollari del principio di rieducazione[10], pertanto, la presunzione di pericolosità dell’autore di reato ostativo che non collabori utilmente con la giustizia da assoluta è divenuta relativa.

Prestando il fianco a censure di incostituzionalità in relazione agli articoli 3 e 27, comma 3, della Costituzione[11] l’art. 4-bis, comma 1, o.p. risulta così integrato – seppur con riferimento ai soli permessi premio - dalla previsione di un regime probatorio rafforzato per il condannato ostativo non collaborante (“silente per sua scelta”[12]) che voglia accedere ai permessi premio. La necessarietà di un tale differenziato regime viene motivata dalla Corte in virtù delle “specifiche connotazioni criminologiche” che caratterizzano le fattispecie di affiliazione ad associazioni mafiose, le quali richiedono, perché possa superarsi la presunzione di attualità di collegamenti con le associazioni stesse, standard probatori di particolare rigore, “proporzionati alla forza del vincolo imposto dal sodalizio criminale del quale si esige l’abbandono definitivo”. Pertanto, pur non essendo più assoluta la presunzione di pericolosità sociale del detenuto che non collabora, questa sarà superabile non per mezzo della sola regolare condotta carceraria o per la mera partecipazione al percorso rieducativo, ma “soprattutto in forza dell’acquisizione di altri, congrui e specifici elementi”. In particolare, l’acquisizione di stringenti informazioni relative all’eventuale attualità di collegamenti con la criminalità organizzata (a partire da quelli di natura economico-patrimoniale) si dimostra criterio essenziale per sostituire la caducata presunzione assoluta, in accordo con l’esigenza di prevenzione della commissione di nuovi reati che è sottesa ad ogni limite posto all’ottenimento di benefici penitenziari.

Detta acquisizione è imprescindibile e, tuttavia, insufficiente. Il regime probatorio rafforzato cui si fa riferimento richiede, infatti, che siano acquisiti “elementi che escludono non solo la permanenza di collegamenti con la criminalità organizzata, ma altresì il pericolo di un loro ripristino, tenuto conto delle concrete circostanze personali e ambientali”[13]. Peraltro, l’onere di fare specifica allegazione, in ordine all’esclusione sia dell’attualità che del pericolo di ripristino dei collegamenti, graverà sullo stesso condannato.

Non si è fatto attendere un chiarimento dalla giurisprudenza di legittimità sulla portata dello specifico onere di allegazione che, con il regime probatorio rafforzato richiesto dalla Consulta, gravava sulla parte istante e dal cui assolvimento dipendeva il potere della magistratura di sorveglianza di valutare il merito delle istanze di permesso premio sottopostele. La Corte di cassazione - rifacendosi a quanto sancito dalla Consulta nel par. 9 della succitata sentenza[14] - ha fondato la ricostruzione dei necessari adempimenti su un parallelismo con gli oneri già posti a carico dell’istante nelle ipotesi di collaborazione inesigibile o impossibile[15], stabilendo, in particolare, che il non collaborante “è tenuto ad illustrare gli elementi fattuali che abbiano concreta portata «antagonista» sul piano logico rispetto al fondamento della presunzione relativa di pericolosità”[16]. Quanto, invece, agli elementi in grado di escludere il pericolo del ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata, a fronte di chi avanzava timori sulla portata di tale presupposto[17], si è rilevato come, a ben vedere, si trattasse della “concreta declinazione, per gli autori di reati della criminalità organizzata, del requisito dell’assenza di pericolosità sociale, che deve essere valutato ai sensi dell’art. 30-ter per la concessione dei permessi premio”. Pertanto, si sostanzia quest’ultimo in un giudizio prognostico finalizzato a valutare la probabilità che il soggetto non commetta nuovi reati e, con particolare riferimento agli autori di reati di criminalità organizzata, tale requisito si traduce in una “valutazione probabilistica circa la futura commissione di reati legati alla criminalità organizzata stessa e dunque, nella sostanza, in una valutazione probabilistica circa l’avvenuto distacco dall’associazione di appartenenza”[18]. Allora, in effetti, la valutazione circa l’eventuale pericolo di rispristino dei collegamenti era - già prima della sentenza 253/2019 - oggetto di accertamento del magistrato di sorveglianza per la concessione dei permessi premio, nelle ipotesi di cui all’art. 4-bis co. 1-bis o.p., ossia nei confronti dei condannati per reati ostativi nel caso di collaborazione impossibile o irrilevante.

 

3. In questo contesto si inserisce la modifica apportata dal d.l. 162/2022, come risultante dalla legge di conversione, alla disciplina del sistema di ostatività all’accesso ai benefici penitenziari. Il legislatore interviene codificando la presunzione relativa elaborata dalla Corte costituzionale, con riferimento a tutti i benefici penitenziari. Il rinnovato regime di accesso ai benefici per i detenuti non collaboranti ne risulta configurato sulla base di una distinzione interna ai reati ostativi “di prima fascia”, tra delitti ascrivibili alla criminalità organizzata (per i quali è richiesta l’allegazione di elementi che escludano sia l’attualità che il pericolo di ripristino dei collegamenti con l’associazione mafiosa di appartenenza) ed altri gravi delitti (per i quali, invece, si richiede l’allegazione dei soli elementi necessari ad escluderne l’attualità)[19].

Inoltre, il comma 2 del nuovo art. 4-bis o.p. ridefinisce i contorni della procedura informativa cui il giudice di sorveglianza deve attenersi per la valutazione e la decisione sull’istanza di concessione dei benefici. Il legislatore, anzitutto, integra la disposizione prevedendo che, nelle ipotesi disciplinate dai commi 1-bis[20] e 1-bis.1[21], il giudice debba acquisire:

 

“… anche al fine di verificare la fondatezza degli elementi offerti dall’istante, dettagliate informazioni in merito al perdurare dell’operatività del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale nel quale il reato è stato consumato, al profilo criminale del detenuto o dell’internato e alla sua posizione all’interno dell’associazione, alle eventuali nuove imputazioni o misure cautelari o di prevenzione sopravvenute a suo carico e, ove significative, alle infrazioni disciplinari commesse durante la detenzione …”.

Il novellato comma 2 soggiunge poi:

“… Il giudice chiede altresì il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i delitti indicati all’articolo 51, commi 3 bis e 3 quater, del codice di procedura penale, del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, acquisisce informazioni dalla direzione dell’istituto ove l’istante è detenuto o internato e dispone, nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali. I pareri, le informazioni e gli esiti degli accertamenti di cui al quinto periodo sono trasmessi entro sessanta giorni dalla richiesta. Il termine può essere prorogato di ulteriori trenta giorni in ragione della complessità degli accertamenti …”.

La necessaria acquisizione di pareri da parte del pubblico ministero (o, in alternativa, del Procuratore distrettuale) e della Procura nazionale antimafia non è priva di aspetti in relazione ai quali, in dottrina, sono state rilevate criticità. Se, per un verso, le informazioni dettagliate - che il giudice della sorveglianza è comunque tenuto ad acquisire tramite il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente, nonché il direttore dell’istituto penitenziario in cui si trova il detenuto - sono semplicemente volte a supportare una decisione ponderata e consapevole da parte del giudicante, non pare possa dirsi altrettanto dei pareri delle Procure. La discrezionalità della magistratura di sorveglianza in ordine al giudizio di accoglimento o rigetto dell’istanza, infatti, ne risulta necessariamente limitata, a meno che detti pareri non si riducano anch’essi, nei fatti, a mere informazioni[22]. Diversamente, del resto, oltre all’appesantimento di un’istruttoria già onerosa, l’acquisizione del parere si rivela, a ben vedere, “inconferente rispetto alla complessa decisione da assumere”[23].  Senza poi contare che tali pareri, potenzialmente in grado di “influire ab externo” sulle scelte del giudice di sorveglianza relative alla concessione del beneficio, sono richiesti al pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado: quest’ultimo elemento, pertanto, apre rischiosamente all’intervento di un organo investigatore il cui ruolo si è svolto a distanza presumibilmente notevole di tempo rispetto al momento in cui si valutano i presupposti per il superamento dell’ostatività e in una prospettiva divergente da quella ispirata al principio rieducativo del condannato[24].

 

4. Tutto ciò premesso, può giungersi ora ad una più compiuta comprensione del Protocollo presentato in apertura e pubblicato in allegato, il quale si instaura sul presupposto del rafforzato ruolo che la novella attribuisce all’intervento requirente nell’ambito delle summenzionate procedure di ammissione ai benefici penitenziari di detenuti e internati per delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p.. Ci sembra qui utile menzionare alcuni dei passaggi più rilevanti che hanno portato all’adozione dell’intesa in commento. Anzitutto, era esigenza già unanimemente avvertita ed emersa nelle riunioni dei Procuratori distrettuali Antimafia – tenutesi tra i mesi di luglio e settembre 2022 – quella di misure organizzative volte ad agevolare l’ordinata formazione e la compiuta condivisione delle informazioni necessarie alla valutazione giudiziale circa la sussistenza dei presupposti per l’accesso ai benefici penitenziari. Inoltre, con provvedimento prot. 46982/22 del 28 novembre 2022 è stata disposta la creazione, nell’ambito del sistema S.I.D.N.A.[25], di unaArea sicura di condivisione informativa (ASCI), denominataProcedure ex art. 4-bis ord. pen., accessibile a tutti gli utenti del sistema abilitati presso la DNAA e le Procure distrettuali e strutturata – sulla base di un’architettura informatica uniforme a livello nazionale in cartelle nominative corrispondenti alle persone detenute in esecuzione di pene o internate per delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., necessarie alla raccolta degli atti e delle informazioni concernenti le procedure originate dalle loro istanze.

 

5. Allo scopo di affinare ulteriormente i meccanismi di condivisione delle informazioni rilevanti, dunque, si adottano modelli uniformi e semplificati nella gestione delle procedure finalizzate alla acquisizione degli elementi informativi imprescindibili per la formulazione di pareri esaustivi ed aggiornati. In considerazione dell’appesantimento del carico di adempimenti connessi ad un – prevedibilmente – assai rilevante afflusso delle istanze relative alle procedure di cui all’art. 4-bis ord. pen., la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e le Procure distrettuali, tramite il Protocollo d’Intesa qui sinteticamente contestualizzato, procedono alla ripartizione delle acquisizioni da realizzarsi.

In particolare, al fine di svolgere le verifiche ed esprimere i pareri necessari per la successiva valutazione di merito del giudice della sorveglianza sulla sussistenza dei presupposti per accedere ai benefici penitenziari, si stabilisce che la DNAA proceda al reperimento dei dati relativi ai detenuti interessati dal 4-bis o.p. tramite il DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), mentre le informazioni concernenti i componenti effettivi del loro nucleo familiare e delle persone ad esso collegate devono essere oggetto di comunicazione da parte di ciascuna Procura distrettuale della Repubblica ai GICO (Gruppi d’investigazione sulla criminalità organizzata della Guardia di Finanza) ed alla DIA (Direzione investigativa antimafia). Sulla base di tutti i dati acquisiti, la DNAA è tenuta a disporre gli accertamenti patrimoniali di cui all’art. 4-bis, comma 2, da eseguirsi per mezzo dello SCICO (Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata della Guardia di Finanza), nonché ad avvalersi della DIA per acquisire ogni elemento, notizia ed informazione risultante dall’accesso telematico a fonti aperte utile alla valutazione relativa all’attualità o al pericolo di ripristino dei collegamenti criminosi. Ciascuna Procura distrettuale, invece, eventualmente delegando la Polizia Giudiziaria, procederà ad ogni ulteriore acquisizione finalizzata a verificare l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria derivanti dal reato (o l’effettiva impossibilità di procedervi)[26], alla verifica di eventuali disponibilità economiche sintomatiche dell’attualità dei collegamenti criminosi del detenuto e, da ultimo, agli accertamenti relativi alle circostanze ambientali e personali sintomatiche del pericolo di ripristino dei collegamenti con i sodalizi di riferimento.

Gli esiti delle attività di accertamento svolte ed i pareri conseguentemente espressi dovranno essere oggetto di immediata condivisione tra Direzione Nazionale e Procure distrettuali, assicurata anche dal corretto riversamento della documentazione nelle cartelle nominative del sistema SIDNA, infine di trasmissione al Tribunale di Sorveglianza ed al Procuratore generale presso la Corte d’appello di riferimento (ai fini della sua partecipazione all’udienza[27]).

 

 

 

[1] Cfr. art. 4-bis, comma 1, ord. pen., dal cui testo, a seguito della conversione in legge del d.l. 162/2022, vengono espunti i delitti contro la pubblica amministrazione (introdotti dalla legge c.d. “Spazzacorrotti”, n. 3 del 2019) ed aggiunti – indirettamente, tramite l’espressa estensione dell’applicabilità della disciplina in discorso – tutti i reati, pur diversi da quelli ivi specificamente elencati, che si caratterizzino comunque per la presenza di un nesso teleologico con un reato c.d. “ostativo”. Per un’analisi dei profili di novità della disciplina di cui all’art. 4-bis ord. pen., come risultante a seguito dell’intervento normativo in discorso, si veda S. Bernardi, Il “regime ostativo” ex art. 4-bis ord. pen. dopo la conversione del d.l. 162/2022: il testo risultante dalla versione approvata dal Senato il 13 dicembre 2022, in questa Rivista, 22 dicembre 2022.

[2] Non si trattava, peraltro, del primo intervento normativo volto all’irrigidimento della disciplina del trattamento penitenziario con riferimento agli autori di reati di criminalità organizzata: dopo la stagione inaugurata dalla legge n. 663 del 1986, c.d. legge Gozzini, ispirata ad ideali rieducativi, una prima svolta di segno opposto si era avuta con la limitazione dell’ambito applicativo dei permessi premio, ad opera dell’art. 13 della l. n. 55 del 1990. In quell’occasione era stato aggiunto un comma 1-bis all’art. 30-ter o.p. - successivamente abrogato - che così sanciva: “per i condannati per reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, di criminalità organizzata, nonché per il reato indicato nell’articolo 630 del codice penale, devono essere acquisiti elementi tali da escludere la attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata”. Si veda in proposito, ex multis, F. Della Casa, Le recenti modificazioni dell’ordinamento penitenziario: dagli ideali smarriti della “scommessa” anticustodialistica agli insidiosi pragmatismi del “doppio binario”, in V. Grevi (a cura di), L’ordinamento penitenziario tra riforma ed emergenza, CEDAM, Padova, 1994, 3), citato in L. Pace, L’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario tra presunzioni di pericolosità e «governo dell’insicurezza sociale», in Costituzionalismo.it, Fascicolo 2 I diritti dei detenuti, 2015.

[3] In questa sua versione originaria, la disciplina di cui all’art. 4-bis o.p. si profilava quale guida all’esercizio della discrezionalità rimessa alla magistratura di sorveglianza, con l’imposizione di obblighi istruttori più stringenti e quote di pena da espiare più elevate per l’accesso ai benefici penitenziari degli autori di gravi reati riconducibili, essenzialmente, alla criminalità organizzata di stampo mafioso; cfr. F. Gianfilippi, Intorno al 4-bis: un viaggio nella complessità, che non perde mai di vista le persone, in Questione giustizia, 31 ottobre 2020.

[4] Si tratta delle ipotesi in cui siano state applicate nella sentenza di condanna definitiva le attenuanti di cui agli artt. 62 n. 6, 114, 116 n. 2 c.p. Cfr. A. Della Bella, La Cassazione dopo la sentenza 253 della Corte costituzionale: il destino della collaborazione impossibile e lo standard probatorio richiesto per il superamento della presunzione assoluta di pericolosità, in questa Rivista, 16 aprile 2020.

[5] Per un confronto immediatamente fruibile tra le diverse versioni della norma, può consultarsi la tabella allegata al contributo S. Bernardi, Il “regime ostativo” ex art. 4-bis ord. pen. dopo la conversione del d.l. 162/2022, cit..

[6] Per uno storico ed un’accurata analisi della disciplina della collaborazione irrilevante ed impossibile in A. Della Bella, La Cassazione dopo la sentenza 253 della Corte costituzionale: il destino della collaborazione impossibile e lo standard probatorio richiesto per il superamento della presunzione assoluta di pericolosità, cit., si rinvia a L. Caraceni, sub art. 4-bis, in AA.VV., Ordinamento penitenziario commentato, a cura di F. Della Casa, G. Giostra, Milano, 2019, p. 67 ss.. Volendo, si veda il volume di V. Manca, Regime ostativo ai benefici penitenziari, Giuffré, 2020, recensito in F. Gianfilippi, Intorno al 4-bis: un viaggio nella complessità, che non perde mai di vista le persone, cit., che così ne scrive: “costituisce occasione per fare il punto della situazione sulla giurisprudenza nazionale e sovranazionale e sull’attività del legislatore”.

[7] È cosa nota come, con tale pronuncia, la Corte costituzionale mini le fondamenta del sistema dell’ostatività, accogliendo le denunciate censure di incostituzionalità relative all’art. 4-bis o.p., nella parte in cui non consentiva ai condannati per reati c.d. “ostativi” che non prestassero utile collaborazione con la giustizia l’accesso ai permessi premio, laddove fossero stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con l’organizzazione criminale di appartenenza, nonché  il pericolo di un loro eventuale ripristino. Le aspettative ingenerate dalla svolta che la Corte ha impresso in materia con la citata sentenza, tuttavia, vengono sostanzialmente deluse nel momento in cui la Corte stessa si pronuncia, con l’ordinanza 11 maggio 2021, n. 97, accertando eppur non dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’ergastolo ostativo, con particolare riferimento alla disciplina che preclude a chi non abbia collaborato utilmente con la giustizia la possibilità di chiedere la liberazione condizionale. Tale considerazione può rinvenirsi in E. Dolcini, L’ergastolo ostativo riformato in articulo mortis, in questa Rivista, 07 novembre 2022. Si veda poi, ex multis, a proposito di detta ordinanza, Id., L’ordinanza della Corte costituzionale n. 97 del 2021: eufonie, dissonanze, prospettive inquietanti, in questa Rivista, 25 maggio 2021. Disponendo il rinvio della trattazione del merito della questione sottopostale - motivato dal fine di scongiurare il rischio che un intervento demolitorio potesse comportare “effetti disarmonici sulla complessiva disciplina in esame” (cfr. par. 10 del Considerato in diritto dell’ordinanza), nonché da quello di conformarsi ad “esigenze di collaborazione istituzionale” (cfr. ib., par. 11) - la Giudice delle leggi rimette al Parlamento l’onere di affrontare la materia entro il termine del 10 maggio 2022, termine che, ancora una volta, non viene rispettato e che porta la Corte a rinviare nuovamente, con l’ordinanza n. 122 del 2022, all’8 novembre, in considerazione dello “stato di avanzamento dell’iter di formazione della legge”. Sennonché, il decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, interviene ex abrupto modificando la disciplina – nel senso di una disperata missione di salvataggio dell’ergastolo ostativo dalla sua preannunciata, nefasta sorte - relegando il monito della Corte costituzionale a mera causa fondante il requisito di “necessità ed urgenza” richiesto per la legittimità della decretazione governativa.

[10] Cfr. S. Bernardi, Per la Consulta la presunzione di pericolosità dei condannati per reati ostativi che non collaborano con la giustizia è legittima solo se relativa: cade la preclusione assoluta all’accesso ai permessi premio ex art. 4-bis comma 1 ord. pen., cit., in cui si fa riferimento, in particolare, alle sentenze n. 239 del 2014 e n. 76 del 2017, con cui si è aperta la possibilità anche per i detenuti “ostativi” non collaboranti di accesso alle forme particolari di detenzione domiciliare previste nell’interesse dei figli minori; e, soprattutto, alla sentenza 21 giugno 2018, n. 149, con la quale è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 58-quater, comma 4, o.p., nella parte in cui precludeva ai soggetti condannati all’ergastolo per i delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione ovvero di terrorismo o eversione da cui fosse derivata la morte del sequestrato l’accesso ai benefici penitenziari, se non prima avessero effettivamente espiato almeno ventisei anni di pena (può in proposito vedersi E. Dolcini, Dalla Corte costituzionale una coraggiosa sentenza in tema di ergastolo (e di rieducazione del condannato), in Diritto penale contemporaneo, 18 luglio 2018); nonché alla sentenza 9 ottobre 2019, n. 229, con cui la Corte ha dichiarato illegittima l’anzidetta norma altresì nella parte in cui precludeva l’accesso ai benefici penitenziari ai condannati ad una pena temporanea per i reati poc’anzi menzionati prima che avessero effettivamente espiato almeno due terzi della pena irrogata (si veda S. Bernardi, Dalla Consulta un’ulteriore affermazione dei principi di flessibilità e progressività nell’esecuzione della pena detentiva: definitivamente smantellata la disciplina dell’art. 58-quater, co. 4 ord. penit., in questa Rivista, 21 novembre 2019.

[11] La Corte argomenta, infatti, ritenendo che la presunzione assoluta - senza possibilità di prova contraria - della perduranza dei collegamenti del detenuto non collaborante con l’organizzazione criminale sia contraria al canone di ragionevolezza richiesto dall’art. 3 Cost., poiché, in particolare, non è ragionevole pensare che non possano aversi ipotesi eccezionali rispetto a quanto presunto dal legislatore. Si consideri, infatti, che ben può darsi che il contesto criminale di provenienza così come la personalità del condannato mutino durante l’esecuzione della pena; nonché la concreta possibilità che l’assenza di collaborazione sia da attribuirsi a motivazioni delle più svariate (prima fra tutte quella del timore di ritorsioni verso i familiari o sé stessi) e non necessariamente al mantenimento del vincolo con l’associazione criminale. Per quanto attiene al canone rieducativo che deve sempre guidare l’esecuzione delle pene, ai sensi dell’art. 27, comma 3, Cost. - seppur non richiamato dalla Corte in seno alla pronuncia in discorso - grande enfasi gli era stata rivolta dalla Corte di Strasburgo nella sent. Viola c. Italia del 13 giugno 2019: “la mancanza di collaborazione non può essere sempre imputata ad una scelta libera e volontaria, né giustificata soltanto dalla persistenza dell’adesione ai “valori criminali” e al mantenimento di legami con il gruppo di appartenenza”, pertanto, “se altre circostanze o altre considerazioni possono spingere il condannato a rifiutarsi di collaborare, o se la collaborazione può eventualmente essere proposta a uno scopo meramente opportunistico, l’immediata equivalenza tra l’assenza di collaborazione e la presunzione inconfutabile di pericolosità sociale finisce per non corrispondere al percorso reale di rieducazione…”. Si veda S. Bernardi, Per la Consulta la presunzione di pericolosità dei condannati per reati ostativi che non collaborano con la giustizia è legittima solo se relativa: cade la preclusione assoluta all’accesso ai permessi premio ex art. 4-bis comma 1 ord. pen., cit.; nonché A. Della Bella, La Cassazione dopo la sentenza 253 della Corte costituzionale: il destino della collaborazione impossibile e lo standard probatorio richiesto per il superamento della presunzione assoluta di pericolosità, cit.: “Su questo piano, del resto, si coglie la portata rivoluzionaria della sentenza 253/2019 della Corte costituzionale che, trasformando in relativa la presunzione assoluta di permanenza del vincolo associativo in caso di mancata collaborazione, ha rimosso un’illegittima compressione ai principi di individualizzazione, proporzionalità e quindi umanità e rieducazione della pena”.

[12] A proposito della “percepibile differenza ontologica” tra chi “oggettivamente può, ma soggettivamente non vuole (silente per sua scelta)” e chi “soggettivamente vuole, ma oggettivamente non può (silente suo malgrado)”, a giustificazione del c.d. doppio binario probatorio e della “portata precettiva concreta” della disciplina di cui al comma 1-bis ante riforma, si veda S. Bernardi, La disciplina della collaborazione impossibile supera il vaglio della Consulta: legittima la previsione di uno standard probatorio diverso da quello richiesto per chi non collabori “per scelta”, in questa Rivista, 02 febbraio 2022, a commento della sent. cost. 25 gennaio 2022, n. 20. O, volendo, per una critica alla suddetta differenziazione può vedersi A. Della Bella, La Cassazione dopo la sentenza 253 della Corte costituzionale: il destino della collaborazione impossibile e lo standard probatorio richiesto per il superamento della presunzione assoluta di pericolosità, cit..

[13] Sentenza costituzionale n. 253 del 2019, par. 9 del Considerato in diritto: “La magistratura di sorveglianza deciderà, sia sulla base di tali elementi, sia delle specifiche informazioni necessariamente ricevute in materia dalle autorità competenti, prima ricordate; con la precisazione che - fermo restando l’essenziale rilievo della dettagliata e motivata segnalazione del Procuratore nazionale antimafia o del Procuratore distrettuale - se le informazioni pervenute dal comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica depongono in senso negativo, incombe sullo stesso detenuto non il solo onere di allegazione degli elementi a favore, ma anche quello di fornire veri e propri elementi di prova a sostegno”.

 

[14] Sentenza costituzionale n. 253 del 2019, cit..

[15] Cfr. F. Gianfilippi, Dopo la sentenza n. 253/2019 della Corte costituzionale: oneri di allegazione e istanze di permesso premio dell’ergastolano non collaborante, in questa Rivista, 20 settembre 2021, a commento di Cass., Sez. I, sent. 14 luglio 2021, n. 33743.

[16] Cass., Sez. I, sent. 14 luglio 2021, n. 33743.

[19] Si veda, ancora, S. Bernardi, Il “regime ostativo” ex art. 4-bis ord. pen. dopo la conversione del d.l. 162/2022, cit.. Il sistema così delineato va a sostituire integralmente l’art. 4-bis, comma 1-bis, o.p. (che, nella versione previgente, disciplinava le ipotesi di collaborazione impossibile, inesigibile o irrilevante) e vi aggiunge la possibilità per il giudice di adottare prescrizioni atte ad impedire il ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva o che impediscano ai condannati di svolgere attività o intrattenere rapporti personali che possano indurre o facilitare il compimento di altri reati o il ripristino di detti collegamenti (tra le prescrizioni adottabili vi sono il divieto di soggiorno in uno o più comuni e l’obbligo di soggiorno in un comune determinato).

[20] Si tratta dell’ipotesi in cui detenuti ed internati per reati – tra i c.d. ostativi “di prima fascia” – propriamente riconducibili alla criminalità organizzata non collaborino con la giustizia, ai sensi dell’art. 58-ter ord. pen..

[21] È il caso di assenza di collaborazione con la giustizia, ai sensi dell’art. 58-ter ord. pen., con riferimento a detenuti o internati per reati ostativi “di prima fascia” che non siano inquadrabili nella criminalità organizzata.

[22] Si veda, a tal proposito, E. Dolcini, L’ergastolo ostativo riformato in articulo mortis, cit., p. 7.

[25] Dalla voce introduttiva del Sistema informativo SIDDA (sistema informativo direzione distrettuale antimafia)-SIDNA (sistema informativo direzione nazionale antimafia) sul sito del Ministero della Giustizia, in cui si legge che, in applicazione della disposizione di cui all’art. 371-bis, comma 3, lett. c) c.p.p., che assegna al Procuratore Nazionale lo specifico compito di provvedere all’acquisizione ed elaborazione di notizie, informazioni e dati attinenti alla criminalità organizzata, “Il sistema SIDDA/SIDNA è finalizzato alla gestione di tutte le attività investigative, e più in generale conoscitive, che riguardano le indagini nei confronti della criminalità organizzata. Presso la Direzione Nazionale Antimafia, in Roma, è presente una banca dati basata sulle informazioni che vengono ottenute da investigazioni condotte sul territorio nazionale da parte delle Direzioni Distrettuali Antimafia. Queste ultime, in numero di 26, sono strutture presenti presso le Procure della Repubblica delle città sedi di Corti di Appello. La banca dati centrale gestita dalla Direzione Nazionale può essere consultata dai magistrati che operano presso le Direzioni Distrettuali per ottenere informazioni indispensabili alle indagini da svolgere e viene continuamente arricchita da contributi provenienti dalle stesse Direzioni Distrettuali. Essa consente, inoltre, al Procuratore Nazionale di disporre dei necessari costanti riferimenti sulla evoluzione dei fenomeni criminosi e di esercitare, laddove necessario, attività di coordinamento per le operazioni condotte sul territorio dalle diverse Procure”.

[26] Cfr. testo come da ultimo novellato dell’art. 4-bis, commi 1-bis e 1-bis.1, o.p.: si tratta di adempimenti richiesti per l’accesso ai benefici penitenziari dei detenuti o internati per i reati c.d. ostativi “di prima fascia”, ove manchi la collaborazione con la giustizia ai sensi dell’art. 58-ter o.p..

[27] Il riferimento è qui alla possibilità – prevista dal nuovo comma 2-ter dell’art. 4-bis ord. pen. – che, nelle udienze del Tribunale di sorveglianza che abbiano ad oggetto la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per reati di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., le funzioni di pubblico ministero siano svolte dal pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di primo grado.