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  Scheda  
31 Gennaio 2023


Custodia cautelare in carcere e condizioni materiali di detenzione: una Raccomandazione della Commissione europea

300 casi di rigetto o ritardo del MAE, tra il 2016 e il 2019, per il rischio della violazione di diritti fondamentali



*Contributo destinato alla pubblicazione sulò fascicolo 1/2023.

 

1. Segnaliamo – e pubblichiamo in allegato – la Raccomandazione sui diritti procedurali di indagati e imputati sottoposti a custodia cautelare e sulle condizioni materiali di detenzione, adottata lo scorso 8 dicembre dalla Commissione europea.

 

2. Nonostante la natura non vincolante dello strumento della raccomandazione, il documento assume rilevanza in quanto frutto delle sollecitazioni che da diversi anni il Parlamento europeo rivolge alla Commissione[1]. Quest’ultima interviene suggerendo agli Stati membri linee d’azione sull'impiego della custodia cautelare e sulle condizioni materiali di detenzione[2]. Come rivelano le statistiche sul MAE (mandato d’arresto europeo), si tratta di aspetti strettamente connessi all’effettiva realizzazione di un sistema di libera circolazione delle decisioni giudiziarie in materia penale nell’ambito dell’Unione. In particolare, tra il 2016 e il 2019, sono addirittura 300 i casi in cui l’esecuzione del MAE da parte degli Stati membri è stata rifiutata o ritardata per motivi riconducibili ad un reale rischio di violazione dei diritti fondamentali[3]. E' un dato, questo, estremamente significativo e che fa riflettere.

 

3. Le autorità giudiziarie nazionali e, in generale, gli operatori del settore denunciano la frammentazione e la mancanza di armonizzazione e chiarezza delle norme in materia di detenzione all’interno dei confini dell'UE. Ne deriva il profilarsi di differenze anche notevoli e non giustificabili in uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia. Tra gli Stati membri che hanno fornito alla Commissione statistiche relative alla popolazione ristretta, la metà risulta afflitta da un problema di sovraffollamento delle strutture di detenzione, con un tasso di occupazione delle carceri superiore al 100%[4]. Un problema che risente, peraltro, anche di un uso ed una durata eccessivi della misura della custodia cautelare. Rispetto a quest’ultima si riscontrano differenze significative tra gli Stati membri: anzitutto, quanto al ricorso che ad essa si fa in ultima istanza e al riesame delle relative decisioni; la durata massima della misura, che varia tra meno di un anno e più di cinque anni; la proporzione di detenuti in attesa di giudizio nella popolazione carceraria totale, che varia anch’essa notevolmente da uno Stato all’altro, con un’oscillazione da meno del 10% a più del 40%.

 

4. La stessa giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte europea dei diritti dell’uomo ha, ormai più volte, messo in luce l’importanza delle condizioni di detenzione nel contesto del riconoscimento reciproco e del funzionamento degli strumenti di cooperazione giudiziaria[5]. Sono questi ultimi, infatti, obiettivi non raggiungibili se non in virtù di un rapporto di fiducia degli Stati membri nei rispettivi sistemi di giustizia penale.

 

5. Sono già state adottate diverse misure sui diritti procedurali nei procedimenti penali[6]; nondimeno, la Commissione si pronuncia con la Raccomandazione qui presentata al fine di fornire una panoramica delle norme minime selezionate relative ai diritti di indagati ed imputati sottoposti a custodia cautelare e alle condizioni materiali di detenzione. Anzitutto, gli Stati membri dovrebbero ricorrere alla custodia cautelare solo quale extrema ratio, privilegiando sempre – ove possibile, anche in considerazione delle circostanze specifiche del singolo caso – misure alternative alla detenzione. Queste ultime devono preferirsi, soprattutto, dinnanzi alla prospettiva di una pena detentiva breve o quando l’autore del reato è un minore, in linea con il principio per il quale la detenzione deve essere gestita dagli Stati membri in modo da favorire il reinserimento sociale dei detenuti e, in tal modo, prevenire la recidiva. Pertanto, per scongiurare il rischio di un uso superfluo ed inappropriato della custodia cautelare, gli Stati membri dovrebbero mettere a disposizione un ventaglio di misure alternative il più vasto possibile[7]. Qualora, invece, sia fissata una cauzione come condizione per la liberazione, gli Stati membri dovranno garantire che l’importo stabilito sia proporzionato agli effettivi mezzi dell’indagato o dell’imputato.

 

6. Gli Stati membri dovrebbero inoltre adottare un approccio fondato su una presunzione a favore della liberazione, richiedendo alle autorità nazionali competenti di dimostrare la necessità della misura privativa della libertà personale. Ogni decisione che ne faccia applicazione dovrà essere debitamente motivata sulla base di un sospetto ragionevole della commissione del reato da parte dell’indagato, nonché della sussistenza di esigenze cautelari riconducibili a dei “tipi” definiti: rischio di fuga; rischio di recidiva; rischio che l’indagato o l’imputato interferisca con il corso della giustizia; rischio di minaccia per l’ordine pubblico. Cionondimeno, dovranno tenersi in considerazione le specifiche circostanze del singolo caso concreto: la natura e la gravità del reato contestato; la pena che si prevede sarà irrogata in caso di condanna; l’età, lo stato di salute, il carattere, le precedenti condanne e la situazione personale e sociale dell’indagato (in particolare, i suoi legami con la comunità); la condotta dell’indagato nel caso abbia adempiuto ad eventuali obblighi impostigli nel corso di procedimenti penali precedenti. Gli Stati membri dovranno in ogni caso garantire che l’autorità giudiziaria effettui un riesame periodico della permanenza dei motivi che hanno fondato la decisione applicativa della misura cautelare custodiale.

 

7. Quanto alle norme minime selezionate in relazione alle condizioni materiali di detenzione, la Raccomandazione si sofferma, anzitutto, sullo spazio minimo che gli Stati membri dovrebbero garantire a ciascun detenuto (6 m2 nelle celle a occupazione singola e 4 m2 nelle celle collettive e, comunque, uno spazio personale minimo assoluto di 3 m2 di superficie per detenuto)[8]. Nella scelta dell’assegnazione della persona all’istituto di detenzione gli Stati membri dovrebbero tener conto, nei limiti del possibile, della vicinanza alla sua abitazione o ad altri luoghi funzionali al percorso di riabilitazione sociale. Questa particolare considerazione delle circostanze caratterizzanti i singoli casi concreti è il fulcro di molte delle norme minime richiamate nella Raccomandazione. Così non solo in relazione all’assegnazione all’istituto, ma anche al tempo trascorso all’esterno per dedicarsi al lavoro, all’istruzione e a tutte le attività ricreative necessarie per garantire un’adeguata interazione sociale. Gli Stati membri dovrebbero investire nel reinserimento positivo del detenuto nella società e nel mercato del lavoro, offrendo ai detenuti lavori utili, remunerati e che, possibilmente, comportino una formazione professionale. Una speciale attenzione dovrebbe rivolgersi all’assistenza sanitaria intramuraria, con riferimento, soprattutto, ai detenuti tossicodipendenti, alla prevenzione e alla cura delle malattie infettive ed alla salute mentale, anche nell’ottica di un’efficace attività di prevenzione dei suicidi.

 

8. Una serie di misure speciali per particolari categorie di persone detenute, ritenute più vulnerabili, chiude la Raccomandazione: si stratta di donne e ragazze, stranieri, minori e giovani adulti, persone con disabilità o gravi patologie, persone appartenenti a gruppi marginalizzati e/o discriminati per razza, etnia, orientamento sessuale, religione o qualsiasi altro motivo. Si raccomandano, da ultimo, misure specifiche per contrastare il fenomeno della radicalizzazione nelle carceri: gli Stati membri dovranno effettuare delle rilevazioni periodiche del rischio, al fine di determinare il regime di detenzione più appropriato per i detenuti per reati di terrorismo ed estremismo violento. Programmi di formazione e sensibilizzazione del personale per il riconoscimento precoce di segnali di radicalizzazione dovranno accompagnarsi a programmi di riabilitazione, deradicalizzazione e disimpegno (in vista della liberazione), nonché programmi successivi alla liberazione per promuovere il reinserimento dei detenuti per reati di terrorismo ed estremismo violento.

 

 

[1] Da ultimo, la richiesta è stata ribadita nella risoluzione del Parlamento europeo sul MAE (mandato d’arresto europeo) del 20 gennaio 2021.

[2] L’Agenzia per i diritti fondamentali ha, tra l’altro, realizzato, su richiesta – e finanziamento – della Commissione, una banca dati sulle condizioni di detenzione, attivata da dicembre 2019 e di libero accesso. Lo scopo del progetto è raccogliere informazioni sulle condizioni di detenzione in tutti gli Stati membri, attingendo alle norme, alla giurisprudenza ed alle relazioni di monitoraggio nazionali, comunitarie ed internazionali. In particolare, si segnalano i dati relativi agli spazi delle celle, alle condizioni sanitarie, all’accesso all’assistenza sanitaria ed alla protezione contro la violenza.

 

[4] Per un approfondimento sugli ultimi dati relativi agli istituti penitenziari europei può vedersi G. Filocamo, Il carcere in Europa: pubblicato il rapporto SPACE I 2021, in questa Rivista, 1 luglio 2022.

[5] Fra le altre, la sentenza della Corte di giustizia del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, ECLI:EU:C:2016:198 e la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 25 marzo 2021, Bivolaru e Moldovan c. Francia, 40324/16 e 12623/17.

[6] Si tratta delle direttive 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali; 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali; 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari; 2016/343/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali; 2016/800/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2016, sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali; 2016/1919/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2016, sull’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per indagati e imputati nell’ambito di procedimenti penali e per le persone ricercate nell’ambito di procedimenti di esecuzione del mandato d’arresto europeo; nonché la Raccomandazione della Commissione, del 27 novembre 2013, sulle garanzie procedurali per le persone vulnerabili indagate o imputate in procedimenti penali.

[7] Il riferimento è qui, ad esempio, a quelle menzionate nella decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio del 23 ottobre 2009, sull’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare: l’impegno a comparire davanti all’autorità giudiziaria come e quando richiesto, a non interferire con il corso della giustizia e ad astenersi da determinate condotte, comprese quelle legate a una professione o a un impiego particolari; l’obbligo di presentarsi quotidianamente o periodicamente presso l’autorità giudiziaria o di polizia o altra autorità; l’obbligo di accettare la sorveglianza da parte di un’agenzia nominata dall’autorità giudiziaria; l’obbligo di sottoporsi a monitoraggio elettronico; l’obbligo di risiedere a un indirizzo specificato, con o senza condizioni sulle ore in cui esservi presente; il divieto di lasciare o raggiungere luoghi o zone specificati senza autorizzazione; il divieto di incontrare persone specificate senza autorizzazione; l’obbligo di consegnare il proprio passaporto o altro documento di identificazione; l’obbligo di fornire o reperire garanzie finanziarie o di altro tipo relativamente alla condotta personale nelle more del processo.

[8] Uno spazio personale inferiore ai 3 m2 fa sorgere una forte presunzione di violazione dell’articolo 3 CEDU.