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07 Novembre 2023


La confisca senza condanna nello spazio europeo: mentre a Bruxelles è in cantiere una nuova direttiva, a Strasburgo l’Italia è sotto esame nel ricorso “Cavallotti”


*Contributo pubblicato nel fascicolo 11/2023. 

 

1. Premessa.

In Europa si sta giocando una partita importante per il futuro del contrasto patrimoniale alla criminalità economica. Contrasto che, come noto, è ormai da tempo condotto anche attraverso la predisposizione di strumenti ablatori svincolati dal processo penale (non-conviction based confiscation), rispetto ai quali la confisca di prevenzione italiana – introdotta già nel 1982 e oggi disciplinata dal d.lgs. 159/2011, c.d. codice antimafia – rappresenta certamente un esempio paradigmatico.

Quest’ultima, peraltro, è ormai affiancata da vari strumenti, per certi versi affini, previsti da altri ordinamenti – si pensi al decomiso sin sentencia spagnolo di cui all’art. 127-ter Código Penal, alla selbständige Einziehung tedesca di cui al § 76a co. 4 StGB o al civil recovery inglese di cui alla Part 5 del Proceeds of Crime Act del 2002, nonché alla civil forfeiture statunitense – e si pone oggi come possibile modello di ispirazione anche per il legislatore dell’Unione europea.

È infatti in corso da oltre un anno la procedura volta all’adozione di una nuova direttiva UE che, stando ai lavori preparatori, conterrà anche una disposizione dedicata a un’inedita forma di confisca senza condanna.

Al contempo, tuttavia, proprio la nostra confisca di prevenzione è al centro del mirino della Corte europea dei diritti dell’uomo che, nell’ambito del ricorso Cavallotti c. Italia (Appl. 29614/16), ha rivolto alle parti in causa tre quesiti, tanto perspicui quanto scomodi, circa la compatibilità con la CEDU di tale misura ablatoria: quesiti che paiono sottendere una rinnovata volontà dei giudici di Strasburgo di scrutinare la legittimità dell’istituto ben più a fondo di quanto sia stato fatto in passato.

Si tratta di due spinte contrapposte e contraddittorie? Oppure queste spinte possono convergere nell’ottica di offrire un contributo positivo all’elaborazione di un modello europeo di confisca senza condanna, efficace ma convenzionalmente legittimo?

Dopo aver analizzato i contenuti della proposta di direttiva (infra, § 2) e le questioni sottese al ricorso “Cavallotti” dinanzi alla Corte Edu (infra, § 3), proveremo a svolgere alcune riflessioni suscitate dalla significativa concomitanza di queste due situazioni in Europa (infra, § 4-6).

 

2. La proposta di direttiva dell’Unione europea.

2.1. Già nel 2014 il Consiglio e il Parlamento europeo avevano espresso la convinzione che fosse necessario analizzare la fattibilità e gli eventuali benefici dell’introduzione di ulteriori norme comuni sulla confisca dei beni derivanti da attività criminali, anche in assenza di condanna[1].

In un report del giugno 2020[2], poi, la Commissione aveva evidenziato come la ricchezza illecita generata da reati economici commessi in particolare dalla criminalità organizzata avesse assunto in Europa una portata preoccupante, stimata in circa 110 miliardi di euro[3], di cui solo l’1% viene confiscato secondo i dati di Europol[4].

Così, nel maggio 2022 la Commissione europea ha finalmente elaborato una “Proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio riguardante il recupero e la confisca dei beni”[5] (di seguito, Proposta), poi sottoposta al vaglio del Parlamento nel maggio 2023[6].

2.2. La Proposta ha quale base giuridica gli artt. 82 § 2, 83 § 1 e § 2, 87 § 2, TFUE. Le misure relative al congelamento e alla confisca sono contemplate dall’art. 83 § 1 TFUE, che consente di stabilire norme minime relative alla definizione delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale in relazione ai reati elencati in tale articolo.

Dalla relazione di accompagnamento della Proposta si evince come essa sia “intesa a rafforzare le capacità delle autorità competenti di identificare, congelare e gestire i beni e a consolidare e ampliare le possibilità di confisca in modo da tenere conto di tutte le pertinenti attività criminose intraprese dai gruppi della criminalità organizzata, consentendo in tal modo la confisca di tutti i beni interessati”. Essa ambisce altresì a “migliorare la cooperazione tra tutte le autorità coinvolte nel recupero dei beni e a promuovere un approccio più strategico al recupero dei beni attraverso un maggiore impegno di tali autorità a favore del conseguimento di obiettivi comuni in questo ambito”.

2.3. La Proposta si articola in 8 capi[7]. Al congelamento e alla confisca è dedicato segnatamente il capo III (artt. 11-18), che si apre con una disposizione dedicata al “freezing”, misura volta a ottenere un congelamento temporaneo dei beni suscettibili di successiva confisca, rispetto alla quale – come il sequestro preventivo – risulta prodromico.

Agli artt. 12-16 sono invece contemplate varie forme di confisca, che possiamo inquadrare in quattro modelli:

  1. una confisca tradizionale fondata sulla condanna, contemplata nella Proposta all’art. 12 (“Confiscation”), ma già prevista dall’art. 4 § 1 della direttiva UE/42/2014.

Si tratta della confisca – diretta e per equivalente – di beni strumentali e di proventi di reato disposta a seguito di una condanna definitiva;

  1. una confisca “estesa”, contemplata nella Proposta all’art. 14 (“Extended confiscation”), ma già prevista dall’art. 5 della direttiva UE/42/2014.

La confisca in questione è assimilabile alla confisca “allargata” italiana, oggi disciplinata dall’art. 240-bis c.p., in quanto consente, a seguito della condanna penale della persona per un reato che si ritiene lucrogenetico, di utilizzare il dato della sproporzione patrimoniale rispetto al reddito lecito quale indizio per stabilire che determinati beni derivino da condotte criminose[8];

  1. una confisca senza condanna “tradizionale”, contemplata nella Proposta all’art. 15 (“Non-conviction based confiscation”), ma già prevista dall’art. 4 § 2 della direttiva UE/42/2014.

Si tratta di una misura ablatoria non assimilabile alla confisca di prevenzione italiana, per due principali ragioni: anzitutto ha ad oggetto non solo i proventi illeciti, ma anche i beni strumentali alla commissione di reati (c.d. strumentalia); inoltre non è del tutto svincolata dal processo penale alla persona, essendo applicabile infatti nelle ipotesi in cui un processo penale sia iniziato, ma non possa continuare in ragione di una serie tassativa di ipotesi: nella direttiva 42/2014 sono ad oggi contemplate solo le ipotesi di malattia o fuga dell’indagato[9], casi dunque eccezionali, quasi “di scuola”[10]; mentre nell’attuale Proposta si aggiungerebbero le ipotesi di decesso, immunità, amnistia e – soprattutto – decorso dei termini di prescrizione “laddove tali termini non siano sufficientemente estesi da consentire un’efficace indagine ed esercizio dell’azione penale riguardo ai reati rilevanti” (locuzione, quest’ultima, particolarmente imprecisa, che infatti il Parlamento europeo ha proposto di sostituire con la previsione di un limite temporale di quindici anni). Tale confisca, inoltre, precisa il considerando n. 26 della Proposta, “dovrebbe essere consentita solo qualora l’autorità giudiziaria nazionale sia convinta che si configurino tutti gli elementi del reato”;

  1. una confisca senza condanna “innovativa” (nel senso di “nuova” rispetto a quanto ad oggi previsto nella direttiva UE/42/2014), contemplata nella Proposta all’art. 16 (“Confiscation of unexplained wealth linked to criminal activities”).

La norma mira a introdurre una nuova ipotesi di confisca senza condanna che può essere disposta in presenza delle seguenti condizioni:

i) i beni siano congelati nel contesto di un’indagine relativa a un reato commesso nel quadro di un’organizzazione criminale;

ii) tale reato possa produrre, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico considerevole;

iii) l’autorità giudiziaria nazionale sia convinta che i beni congelati derivino da reati commessi nel quadro di un’organizzazione criminale[11].

La stessa norma precisa inoltre che “nel determinare se i beni congelati derivino da reati si tiene conto di tutte le circostanze del caso, compresi i fatti specifici e gli elementi di prova disponibili, come il fatto che il valore dei beni è considerevolmente sproporzionato rispetto al reddito legittimo del loro proprietario[12].

La disposizione precisa poi che i reati-presupposto della misura (“the notion of criminal offence”), sono solo quelli elencati all’art. 2 della direttiva stessa (tra cui figurano: tratta di esseri umani, terrorismo, traffico di stupefacenti, corruzione, riciclaggio, falsificazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica, traffico di armi, criminalità ambientale,…), qualora punibili con una pena privativa della libertà di durata massima non inferiore a quattro anni.

L’ultimo paragrafo della disposizione si premura poi di stabilire che gli Stati membri devono garantire, prima che l’autorità giudiziaria emetta il provvedimento di confisca, il rispetto del diritto di difesa dell’interessato, anche accordando il diritto ad avere un difensore che abbia accesso al fascicolo e il diritto ad essere ascoltato su questioni di diritto e di fatto.

La Proposta comprende poi numerose altre disposizioni di non secondaria importanza, in punto di gestione dei beni sequestrati e confiscati (artt. 19-21), di obblighi di informazione, mezzi di ricorso giurisdizionale e altre garanzie (artt. 22-23), di recupero dei beni anche attraverso la predisposizione di registri centralizzati (artt. 24-27) e di cooperazione con gli organismi e le agenzie dell’UE e con Paesi terzi (artt. 28-29).

2.4. La principale innovazione della Proposta in materia di confisca appare comunque racchiusa nel già citato art. 16. La norma mira infatti a prevedere una forma ablazione patrimoniale ispirata (almeno in parte) ai modelli di confisca di prevenzione italiana e a quelli di civil forfeiture di matrice anglosassone.

La ragione della necessità di introdurre una simile misura viene spiegata nel considerando n. 28 con la riferita esigenza di approntare uno strumento in grado di recuperare gli arricchimenti illeciti anche quando, «data la natura intrinsecamente opaca della criminalità organizzata, non è sempre possibile collegare i beni derivanti da attività criminali a uno specifico reato e confiscare tali beni». Tale esigenza viene però contemperata con quella di garantire che la confisca «sia limitata alle attività illecite di organizzazioni criminali che sono di natura grave e che possono generare considerevoli vantaggi economici». A tal fine, sebbene non venga richiesto un accertamento diretto della commissione del reato, si esige che l’autorità giudiziaria sia «certa che il bene in questione derivi da un reato», anche avvalendosi della presunzione rappresentata dalla sproporzione tra patrimonio e reddito lecito.

Prima di tornare a svolgere alcune riflessioni su questa Proposta, però, spostiamo per un attimo l’attenzione a quanto contemporaneamente avviene nella “grande Europa” della CEDU.

 

3. I quesiti della Corte di Strasburgo al governo italiano nella causa “Cavallotti”

3.1. Mentre nell’Unione europea si cerca di addivenire a un nucleo comune e condiviso di disposizioni per l’elaborazione di un modello comune di confisca senza condanna, la Corte EDU si trova a dover decidere della compatibilità convenzionale della nostra confisca senza condanna per eccellenza, la confisca di prevenzione di cui al d.lgs. 159/2011 (c.d. codice antimafia).

È infatti pendente dinanzi alla prima sezione della Corte europea il ricorso n. 29614/16, Cavallotti e altri c. Italia introdotto da Gaetano, Vincenzo e Salvatore Vito Cavallotti (definiti dalla Corte cumulativamente come “il primo gruppo di ricorrenti”) e da Salvatore Cavallotti, Giovanni Cavallotti, Margherita Martini e Salvatore Mazzola (“secondo gruppo di ricorrenti”).

3.2. Viene qui in rilievo, in particolare, la doglianza mossa dai tre componenti del “primo gruppo di ricorrenti”. Questi – imputati per partecipazione a una associazione a delinquere di stampo mafioso ai sensi dell’art. 416-bis c.p. (oltre che, per quanto riguarda Gaetano e Vincenzo, per turbativa d’asta ex art. 353 c.p.) – erano stati assolti in primo grado, condannati in appello e infine, a seguito di pronuncia di annullamento con rinvio della Cassazione, definitivamente assolti nel merito dalla Corte d’appello di Palermo in sede di rinvio nel dicembre 2010 (mentre i reati di turbativa d’asta erano risultati estinti per prescrizione).

Parallelamente era però stato avviato un procedimento di prevenzione patrimoniale nei confronti dei medesimi soggetti in quanto indiziati di appartenenza a un’organizzazione criminale di tipo mafioso (che, come noto, costituisce fattispecie di c.d. “pericolosità qualificata” ai sensi dell’art 4 lett. a d.lgs. 159/2011, legittimante l’applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali). All’esito di tale procedimento di prevenzione, conclusosi nel 2016, sono stati confiscati a tali soggetti un gran numero di beni, tra cui diverse società intestate a loro (“primo gruppo di ricorrenti”) o ai loro familiari (“secondo gruppo di ricorrenti”). Il provvedimento di confisca si è fondato, oltre che sul fatto che il valore degli stessi risultava ingiustificatamente sproporzionato rispetto ai loro redditi lecitamente dichiarati, sugli indizi della loro “appartenenza” all’associazione mafiosa Cosa Nostra. Il decreto del giudice della prevenzione, infatti, si confronta con la pronuncia assolutoria in sede penale, rilevando come la stessa fosse dovuta alla mancanza di prova di un rapporto “sinallagmatico” tra le imprese Cavallotti e la consorteria mafiosa (p. 64 del decreto), ma osservando come più fonti di prova permettessero di assegnare al gruppo Cavallotti la natura di impresa mafiosa o collusa con la mafia[13].

3.3. Dinanzi alla Corte di Strasburgo i ricorrenti hanno sollevato molteplici doglianze, tra le quali spiccano quelle di violazione dell’art. 6 § 1 CEDU, per l’eccessivo onere della prova in merito alla proprietà e all’origine dei beni, per il ricorso a presunzioni e per il fatto che le decisioni dei tribunali si siano basate su meri sospetti; dell’art. 6 § 2 CEDU, perché sarebbe violata la presunzione di innocenza a causa della precedente assoluzione in sede penale; dell’art. 7 CEDU, perché avrebbero subito l’inflizione di una pena senza un precedente accertamento di responsabilità penale; e, infine, dell’art. 1 Prot. Add. CEDU, giacché vi sarebbe stata un’interferenza illegittima e sproporzionata nei loro diritti di proprietà.

3.4. Sulla base di tali presupposti, i giudici di Strasburgo rivolgono i seguenti tre quesiti alle parti in causa:

I) In primo luogo si chiede se l’applicazione della confisca in assenza di un accertamento formale di colpevolezza, e dopo che i destinatari della stessa erano stati assolti in sede penale dall’accusa di partecipazione all’associazione mafiosa, integri una violazione della presunzione di innocenza, garantita dall’art. 6 § 2 CEDU[14].

II) In secondo luogo, si chiede quale sia la natura giuridica della confisca in questione e, in particolare, se essa debba essere considerata una “sanzione penale” ai sensi dell’art. 7 § 1 CEDU, tenendo conto del suo scopo, del suo procedimento applicativo e della sua gravità[15], anche alla luce delle sue caratteristiche specifiche ai sensi del diritto e della giurisprudenza nazionali[16]. In caso affermativo, si chiede se vi sia stata una violazione dell’art. 7 della Convenzione in ragione del fatto che la confisca è stata disposta nonostante la pregressa assoluzione nel processo penale dall’accusa di partecipazione alla medesima associazione mafiosa.

III) Il terzo quesito attiene, invece, alla compatibilità con l’art. 1 Prot. add. CEDU. Al riguardo si chiede sia se l’interferenza nel diritto di proprietà risulti fondata su una base legale sufficientemente precisa e rispettosa del parametro della prevedibilità, sia se tale interferenza appaia anche necessaria e proporzionata, in particolare considerando i seguenti cinque aspetti:

  1. se, alla luce dell’assoluzione del primo gruppo di ricorrenti dall’accusa di partecipazione a un’organizzazione criminale di stampo mafioso, l’accertamento della particolare pericolosità e la conseguente confisca dei beni fossero giustificati;
  2. se le autorità nazionali abbiano dimostrato che i beni formalmente di proprietà del secondo gruppo di ricorrenti appartenevano in realtà al primo gruppo di ricorrenti in modo motivato, sulla base di una valutazione obiettiva delle prove fattuali, e senza basarsi su un mero sospetto;
  3. se le autorità nazionali abbiano dimostrato che i beni confiscati potessero avere un’origine illecita attraverso una motivazione adeguata, sulla base di una valutazione obiettiva delle prove fattuali e senza basarsi su un mero sospetto, tenendo altresì conto del periodo di tempo in cui quei bene sono stati acquistati;
  4. se l’inversione dell’onere della prova sull’origine lecita dei beni acquisiti molti anni prima abbia imposto un onere eccessivo ai ricorrenti;
  5. se ai ricorrenti sia stata concessa una ragionevole opportunità di esporre le proprie argomentazioni dinanzi ai giudici nazionali e se questi ultimi abbiano debitamente esaminato le prove presentate dai ricorrenti.

3.5. Si tratta di quesiti che colgono in pieno il nucleo di problemi che circonda, invero da tempo, la disciplina della confisca di prevenzione italiana. Problemi che la dottrina ha più volte denunciato, che la giurisprudenza nazionale ha solo in parte affrontato, e rispetto ai quali la Corte di Strasburgo non aveva mai mostrato una analoga sensibilità. Come noto, infatti, la Corte Edu ha di fatto sempre trattato la confisca di prevenzione italiana alla stregua di un intervento statale limitativo del diritto di proprietà privata, conforme ai requisiti dell’art. 1 Prot. add. CEDU[17], non soggetto all’applicazione delle norme proprie della “materia penale”[18].

La Corte europea, dando quasi per scontata la qualificazione in termini extra-penali della confisca in esame, in ragione della sua funzione preventiva, aveva cioè finora ritenuto non solo che fosse dotata di una idonea base legale, ma anche che fosse “proporzionatarispetto all’interesse pubblico perseguito: non quello di reprimere (punire) un’infrazione, ma quello di impedirne (prevenirne) di ulteriori in futuro[19]. Tale finalità è stata considerata indispensabile nel quadro di politiche criminali volte a combattere il fenomeno della grande criminalità organizzata[20], in particolare di stampo mafioso, rispetto alla quale la confisca è apparsa quale «effective and necessary weapon in the combat against this cancer» [21].

3.6. L’approccio dei giudici di Strasburgo, questa volta, sembra assai diverso.

Anzitutto, i primi due quesiti chiamano in causa disposizioni convenzionali che riguardano la “materia penale” e che troverebbero applicazione solamente laddove la confisca in questione fosse considerata alla stregua di una “criminal sanction”, ossia di una vera e propria “pena”. La risposta ai due quesiti non è affatto scontata, mentre scontato – mi sembra – sarebbe l’esito di accoglimento del ricorso, in particolare per violazione dell’art. 6 § 2 CEDU, laddove la Corte dovesse convincersi che la confisca in esame, per come delineata nell’assetto dell’attale diritto vivente, abbia effettivamente natura giuridica “punitiva”. In questo caso, peraltro, a venire astrattamente in rilievo sarebbe anche – ancorché non oggetto in concreto dei quesiti della Corte – una possibile violazione del divieto di bis in idem processuale ai sensi dell’art. 4 Prot. n. 7 CEDU.

Peraltro, anche laddove i giudici europei dovessero ribadire che la confisca in esame non possiede natura punitiva, rimarrebbero da affrontare gli incalzanti interrogativi racchiusi nel terzo quesito. Invero, anche qualora la confisca di prevenzione italiana fosse ancora misurata solo al metro delle garanzie poste dall’art. 1 Prot. add. CEDU, la Corte di Strasburgo potrebbe svolgere uno controllo più rigoroso e articolato che in passato. Del resto, un assaggio degli effetti deflagranti che può avere uno scrutinio operato al metro di parametri convenzionali anche non propri della materia penale si è già avuto con la nota sentenza de Tommaso[22]. In quel caso, riguardando la pronuncia solo le ipotesi di pericolosità generica riferite alle misure di prevenzione personale, le ripercussioni sulle misure patrimoniali sono state solo “indirette”; in questo caso, invece, il colpo potrebbe arrivare in modo più mirato, proprio nei confronti delle misure di prevenzione patrimoniale, mettendone peraltro in discussione non solo il rispetto dei canoni di precisione e determinatezza, ma l’intera ragionevolezza (proporzionalità) dell’impianto applicativo: le regole probatorie, i rapporti con il processo penale, le garanzie processuali e difensive, la tutela dei terzi.

 

***

4. Siamo dunque di fronte, da un lato, a un’Europa, quella dell’Unione, che spinge per una maggiore diffusione di strumenti di confisca rispetto ai quali l’Italia ha giocato un ruolo d’avanguardia; dall’altro, a un’Europa, quella della Convenzione dei diritti dell’uomo, che dopo anni di sostanziale laissez faire potrebbe restringere il proprio scrutinio e porre un freno all’impiego della confisca senza condanna.

Tuttavia, non credo si tratti di spinte contraddittorie.

Al contrario, l’elaborazione di un efficace “modello europeo” di confisca senza condanna passa inevitabilmente attraverso la predisposizione di un solido sostrato garantistico a livello convenzionale.

In altri termini, le istanze efficientistiche di law enforcement che convincono dell’estrema utilità di una lotta comune alla criminalità economica devono necessariamente essere contemperate con le esigenze garantistiche relative ai diritti fondamentali della persona su cui tali strumenti incidono. Per queste ragioni, l’occasione di riflessione che la Corte di Strasburgo ha offerto alle nostre istituzioni è quanto mai importante nell’ottica di offrire un contributo positivo all’elaborazione di un modello europeo di non-convtion based confiscation, efficace ma convenzionalmente legittimo.

 

5. Si tratta di una strada ancora in costruzione, per definire la quale l’evolversi dei lavori preparatori della Direttiva UE e le future prese di posizione della Corte di Strasburgo segneranno senza dubbio una tappa importante.

La direzione verso la quale questi sforzi dovrebbero tendere – come ho già avuto modo di sostenere[23] – credo sia quella di assegnare a tale misura funzione autenticamente ripristinatoria, non punitiva, facendo in modo che essa rimuova dal patrimonio della persona beni di valore non superiore, e quanto più possibile corrispondente, a quanto quel patrimonio si è arricchito illecitamente attraverso la commissione di condotte criminose.

5.1. In questo senso, un primo ineludibile passo sarebbe quello di una ridefinizione delle fattispecie-presupposto, in modo da: a) enumerare i tipi di delitti cui può conseguire la confisca; b) individuarli espressamente, nel rispetto dei principio di legalità; c) selezionarli in modo razionale, contemplando solamente delitti gravi e tipicamente produttivi di profitti illeciti; direzioni, queste, verso le quali sembra peraltro orientata anche la proposta di direttiva; d) porre quale ulteriore requisito che siano commessi in modo non episodico o comunque durante un arco temporale significativo, il che rappresenterebbe anche il dato di riferimento per l’accertamento del requisito della c.d. correlazione temporale, che sarebbe auspicabile facesse ingresso espresso nel corpo normativo della direttiva e della normativa italiana.

5.2. Un ulteriore necessario intervento sarebbe quello di richiedere, nel senso auspicato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2019, che le condotte delittuose assunte come presupposto della misura siano non solo tipicamente lucrogenetiche in astratto, ma siano state in concreto fonte di profitti illeciti, e lo siano stato in quantità ragionevolmente congruente rispetto al valore dei beni che s’intendono confiscare.

Il requisito di “ragionevole congruenza” limiterebbe la possibilità di una sconfinata estensione della confisca a tutto il patrimonio sproporzionato della persona (ad esempio, a una persona indiziata di aver commesso reati che le hanno verosimilmente fruttato alcune migliaia di euro, ma che possiede beni sproporzionati per milioni di euro, non potrebbero essere confiscati, solamente perché non è in grado di giustificarne la provenienza e si è dimostrata capace di delinquere, beni per milioni di euro). Impedire una manifesta incongruenza tra valore del profitto ricavabile dalla fattispecie-presupposto e valore dei beni da confiscare è evidentemente essenziale nell’ottica di assegnare alla misura una portata autenticamente ripristinatoria (che cioè elida il solo vantaggio economico illecito) e non punitiva (che cioè impoverisca la persona più di quanto si sia effettivamente arricchita).

5.3. A quest’ultimo medesimo fine, essenziale sarebbe altresì precisare la subordinazione della confisca alla mancata pregressa neutralizzazione del profitto illecito mediante l’adempimento, spontaneo o meno che sia, di prestazioni restitutorie o risarcitorie che abbiano, indirettamente, avuto l’effetto di rendere non lucrativo il fatto illecito. Una volta raggiunto tale effetto, la successiva confisca rappresenterebbe un ulteriore incisione del patrimonio personale che, anziché essere ricondotto allo status quo ante delictum (cioè ripristinato), risulterebbe impoverito, con conseguente effetto punitivo per il suo proprietario.

5.4. Questi risultati positivi in termini di ridimensionamento dell’intervento della confisca, che servono a evitare che la misura operi davvero alla stregua di una “pena”, verrebbero peraltro accompagnati dalla piena legittimazione di standard probatori diversi rispetto a quelli necessari per ottenere una condanna penale e l’inflizione di sanzioni penali; aspetto, quest’ultimo, che serve a contraddistinguere questo prezioso strumento di contrasto della criminalità economica da quelli, più strettamente penalistici, che esigono un accertamento oltre ogni ragionevole dubbio per infliggere una pena, detentiva o patrimoniale che sia, alla persona.

Del resto è proprio nell’agevolazione probatoria che caratterizza questo strumento di confisca che risiede tradizionalmente la sua spiccata efficacia nel campo del contrasto patrimoniale alla criminalità economica.

Rimane però ad oggi non sufficientemente precisato quale sia lo standard probatorio richiesto.

Di certo non lo precisa la disciplina legislativa italiana, ancora incagliata in un vetusto quanto ambiguo riferimento a non meglio precisati “indizi” o “elementi di fatto”[24].

Nemmeno sembra orientata a precisarlo la direttiva europea in corso di elaborazione: si richiede che l’autorità giudiziaria risulti «satisfied that the frozen property is derived from criminal offences committed in the framework of a criminal organisation” e si aggiunge che a tal fine “shall be taken of all the circumstances of the case, including the specific facts and available evidence, such as that the value of the property is substantially disproportionate to the lawful income of the owner of the property».

Si tratta di locuzioni che possono servire a orientare l’interprete rispetto agli elementi da soppesare ai fini della decisione, ma che ancora nulla dicono rispetto allo standard probatorio da utilizzare in quella stessa decisione. Un maggiore sforzo si scorge piuttosto nella direttiva 42/2014, ma solo in relazione alla “confisca estesa”, ove al considerando n. 21 si stabilisce che “gli Stati membri possono disporre, ad esempio, che sia sufficiente che l’autorità giudiziaria ritenga, in base ad una ponderazione delle probabilità, o possa ragionevolmente presumere, che sia molto più probabile che i beni in questione siano il frutto di condotte criminose piuttosto che di altre attività”[25]. Sembra in questo modo alludersi a uno standard probatorio che – come anche è stato detto per lo standard del clear and convincing evidence utilizzato per alcune forme di civil forfeiture statunitense[26] – si pone a un livello intermedio tra quello penalistico, retto sulla regola BARD (“beyond any r easonable doubt”), e quello civilistico del “more probable than not”.

In questo spazio potrebbe collocarsi la regola probatoria propria del modello europeo di confisca senza condanna che la nuova direttiva ambisce a delineare; regola che però sarebbe opportuno venisse esplicitata nel corpo della direttiva stessa.

Del resto, si tratta di un aspetto che permetterebbe altresì di fugare uno dei dubbi espressi nei quesiti formulati dalla Corte di Strasburgo, relativo all’adeguatezza della dimostrazione e della motivazione circa l’origine illecita dei beni oggetto di confisca (cfr. in particolare il quesito 3 lett. c): la specificazione dello standard probatorio richiesto, nei termini sopra accennati, permetterebbe infatti all’autorità giurisdizionale deputata ad applicare la misura ablatoria di motivare compiutamente circa le ragioni che inducono a ritenere sufficientemente provato che quel patrimonio rappresenta una ricchezza generatasi illecitamente, rispetto al quale il diritto di proprietà, per quanto tutelato dall’art. 1 Prot. add. CEDU, non può essere legittimamente esercitato.

 

6. Il diverso standard probatorio richiesto per applicare una pena e per applicare la confisca può spiegare anche esiti divergenti tra processo penale e di prevenzione, potendo il secondo concludersi con l’applicazione della misura anche a fronte di un’assoluzione in sede penale: situazione che – come si è visto – allarma la Corte europea.

I rapporti di autonomia tra giudizio penale e di prevenzione meritano tuttavia, pur con i limiti di sintesi che questa sede impone, di essere meglio precisati.

6.1. Con riferimento alle fattispecie di c.d. pericolosità generica di cui all’art. 1 d.lgs. 159/2011, occorre infatti dar conto di un progressivo “ridimensionamento” dell’autonomia delle due valutazioni probatorie: la Cassazione ha infatti sostenuto che in sede di prevenzione «non possono rilevare fatti rispetto ai quali sia intervenuta una sentenza di assoluzione»[27]. Non avrebbero tuttavia la medesima forza preclusiva le assoluzioni pronunciate ai sensi dell’art. 530 co. 2 c.p.p. «ove risultino delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività quei fatti che, pur ritenuti non sufficienti – nel merito o per preclusioni processuali – per una condanna penale ben possono essere posti alla base di un giudizio di pericolosità»[28].  

6.2. In relazione alla fattispecie-presupposto dell’appartenenza a un’associazione di tipo mafioso di cui all’art. 4 lett. a) d.lgs. 159/2011, invece, non si è assistito ad un analogo ridimensionamento. Ciò in quanto la possibilità di esiti diversi nel processo penale e in quello di prevenzione è fatta dipendere non solo dalle diverse regole probatorie che sorreggono i due procedimenti (il quomodo probatorio), ma anche dal diverso oggetto di prova (il quid probatorio).

Quanto al quomodo probatorio, la giurisprudenza riconosce come il giudizio di prevenzione si fondi su una “valutazione autonoma”, perché peculiare – come detto – in punto di standard probatorio: si afferma infatti che gli indizi di appartenenza mafiosa oggetto del giudizio di prevenzione possono ritenersi integrati nonostante il previo proscioglimento o l’assoluzione del soggetto in un procedimento penale dal reato di cui all’art. 416-bis c.p.[29], o per concorso esterno[30]. Ciò scaturisce, come avevano in precedenza già rilevato le Sezioni unite, dalla «diversa “grammatica probatoria” che deve sostenere i rispettivi giudizi [penale e di prevenzione]»[31].

Quanto alla diversità in punto di quid probatorio, e quindi di oggetto della prova, va osservato che – mentre ai fini dell’art. 1 devono essere dimostrate “attività delittuose”, e cioè comportamenti reiterati integranti “delitti”, che sono altresì il thema probandum del processo penale (come avviene anche per altre ipotesi di pericolosità “qualificata”, come quelle di cui all’art. 4 lett. b) – nell’art. 4 lett. a) oggetto di prova è la “appartenenza” a un’associazione mafiosa, che è concetto tradizionalmente tenuto distinto da quello di “partecipazione” impiegato nell’art. 416-bis c.p.

In dottrina, la differenza tra il concetto di “appartenenza” rilevante ai fini della misura di prevenzione e di “partecipazione”, è stata da tempo criticamente riscontrata: era già Bricola, ad esempio, a riconoscere come il concetto di appartenenza fosse più sfumato e meno tecnico di quello di partecipazione[32].

La giurisprudenza, in effetti, in una prima fase ha spesso attribuito contorni piuttosto ambigui all’appartenenza mafiosa, rilevando che, mentre la “partecipazione” richiede una presenza attiva nell’ambito del sodalizio criminoso, la “appartenenza” è comprensiva di «ogni comportamento che, pur non integrando gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa, sia funzionale agli interessi dei poteri criminali e costituisca una sorta di terreno favorevole permeato di cultura mafiosa»[33].

La giurisprudenza più recente – pur riconoscendo che nel concetto di “appartenenza” all’associazione è racchiuso anche quello di concorso esterno[34] ha tentato di assottigliare la distanza tra “partecipazione” e “appartenenza”, affermando che quest’ultima richiede pur sempre un “contributo fattivo” proveniente dal proposto alle attività e allo sviluppo del sodalizio criminale[35], e rifiutando espressamente approcci interpretativi tesi a degradarne il significato in termini di mera ‘contiguità ideologica’, comunanza di ‘cultura mafiosa’ o riconosciuta ‘frequentazione’ con soggetti coinvolti nel sodalizio[36].

Tali approdi non hanno però indotto la Cassazione a escludere in radice che sia possibile applicare la misura di prevenzione anche a fronte di un’assoluzione nel merito in sede penale per il reato di cui all’art. 416-bis c.p.[37]. Si è infatti recentemente ribadito che «il possibile spazio di ‘autonomia valutativa’ del giudice della prevenzione nelle ipotesi di soggetto indiziato di «appartenenza» ad una organizzazione mafiosa […] non deriva dalla diversa descrizione del presupposto probatorio (l’indizio inteso come probatio minor rispetto alla prova vera e propria) quanto dal diverso parametro legale di descrizione della ‘relazione’ tra l’ente criminale e il soggetto attenzionato (appartenenza è ritenuta nozione più ampia rispetto alla partecipazione di cui all’art. 416 bis cod. pen.)»[38].

6.3. Sulla scorta dell’assunta diversità tra partecipazione e appartenenza è possibile che si tenti di giustificare, nell’ambito del ricorso Cavallotti dinanzi alla Corte di Strasburgo, la non preclusività dell’esito assolutorio penale per “partecipazione” ad un’associazione mafiosa rispetto all’applicazione di una misura di prevenzione sulla base della fattispecie di “appartenenza” alla medesima associazione[39].

Eppure sembra oggi quanto mai opportuno riflettere sulla scelta di strutturare le fattispecie-presupposto della confisca di prevenzione in modo da comprendere fatti non costituenti reato.

Verso una soluzione ben diversa da quest’ultima, infatti, sembra orientato il legislatore europeo che – come si è poc’anzi osservato – riconnetterebbe la confisca, ancorché senza condanna, a specifiche “criminal offences” elencate nell’art. 2 della proposta di direttiva e porrebbe quale presupposto applicativo della misura il fatto che i beni derivino “from criminal offences”.

In altri termini, la proposta di direttiva accoglie un’idea di confisca senza condanna la cui peculiarità rispetto agli strumenti punitivi del processo penale risiederebbe sul piano del quantum e del quomodo probatorio, più che sull’oggetto della prova stessa, la quale sarebbe comunque riferita alla commissione di reati, o meglio di certe tipologie di reati gravi che tipicamente producono arricchimenti illeciti.

Non che questa divergenza preluda, di per sé, a possibili inadempimenti del nostro Paese alle nuove regole europee – la direttiva mira infatti solo a porre norme minime comuni –, ma nell’ottica, più ambiziosa, dell’elaborazione di un modello unico europeo di confisca senza condanna, con evidenti conseguenze positive anche in termini di reciproco riconoscimento e cooperazione internazionale, potrebbe essere proprio questa l’occasione per operare una rimeditazione dell’impianto delineato nel d.lgs. 159/2011.

Un’occasione per la magistratura di riconsiderare, anche attraverso uno sforzo propositivo della dottrina, alcune prassi applicative viventi nel diritto giurisprudenziale; per il legislatore di farsi carico di una rivisitazione organica della materia; per l’esecutivo di offrire risposte ponderate e convincenti a Strasburgo, assumendo al contempo un ruolo trainante a Bruxelles.

 

 

 

[1] Si tratta del documento del Consiglio n. 7329/1/14/REV 1 ADD 1, “Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on the freezing and confiscation of proceeds of crime in the European Union” (https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST%207329%202014%20REV%201%20ADD%201/EN/pdf).

[2] Report from the Commission to the European Parliament and the Council, Asset recovery and confiscation: Ensuring that crime does not pay, COM(2020) 217 final, p. 1. In precedenza, peraltro, cfr. anche Commission staff working document, Analysis of non-conviction based confiscation measures in the European Union, SWD (2019) 1050 final.

[3] Cfr. i dati forniti da Transcrime, From illegal markets to legitimate businesses: the portfolio of organised crime in Europe, 2015

[4] Europol, Does crime still pay? Criminal Asset Recovery in the EU – Survey of statistical information 2010-2014, 2016.

[5] La proposta di direttiva è consultabile a questo indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:52022PC0245

[6] Cfr. Draft European Parliament Legislative Resolution, consultabile a questo indirizzo: https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-9-2023-0199_EN.html#_section1

[7] Nello specifico, i capi sono i seguenti: 1) Disposizioni generali relative al recupero e alla confisca dei beni (artt. 1-3); 2) Disposizioni relative al reperimento e all'identificazione dei beni (artt. 4-10); 3) Disposizioni relative al congelamento e alla confisca dei beni (artt. 11-18); 4) Disposizioni relative alla gestione dei beni (artt. 19-21); 5) Disposizioni relative alle garanzie (artt. 22-24); 6) Disposizioni relative al quadro strategico per il recupero dei beni (artt. 24-27); 7) Disposizioni relative alla cooperazione tra gli uffici per il recupero dei beni, gli organismi e le agenzie dell'UE e i paesi terzi (artt. 28 e 29); 8) Disposizioni finali (artt. 30-37).

[8] Come noto, l’art. 240-bis, con cui si chiude il Libro I del codice penale, prevede che “nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti [dalla disposizione medesima] è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica”.

[9] Il considerando n. 15 della direttiva 42/2014, spiega peraltro: “Qualora la confisca in base a una condanna definitiva non sia possibile, in determinate circostanze dovrebbe essere comunque possibile confiscare beni strumentali e proventi da reato, almeno in caso di malattia o di fuga dell’indagato o dell’imputato. Tuttavia, in tali casi di malattia e di fuga, l’esistenza di un procedimento in contumacia negli Stati membri dovrebbe essere sufficiente per adempiere a tale obbligo. In caso di fuga dell’indagato o dell’imputato, gli Stati membri dovrebbero adottare ogni misura ragionevole e possono disporre affinché il soggetto in questione sia chiamato a comparire nel procedimento di confisca o sia informato di tale procedimento”.

[11] La versione inglese dell’art. 16 § 1 della Proposta è il seguente: “Member States shall take the necessary measures to enable the confiscation of property, where confiscation is not possible pursuant to Articles 12 to 15 and the following conditions are fulfilled: (a) the property is frozen in the context of an investigation into criminal offences committed in the framework of a criminal organisation; (b) the criminal offence pursuant to point (a) is liable to give rise, directly or indirectly, to substantial economic benefit; (c) the national court is satisfied that the frozen property is derived from criminal offences committed in the framework of a criminal organization”.

[12] Nella versione inglese: “When determining whether the frozen property is derived from criminal offences, account shall be taken of all the circumstances of the case, including the specific facts and available evidence, such as that the value of the property is substantially disproportionate to the lawful income of the owner of the property”.

[13] In particolare, si evidenziava la vicinanza dei Cavallotti, risalente agli anni ‘80, ai vertici di Cosa Nostra, sino al massimo esponente, Bernardo Provenzano, che, latitante, aveva "preso" i Cavallotti sotto la sua ala protettrice, sino al punto da “raccomandarli” espressamente, a mezzo dei c.d. pizzini, per l'assegnazione di appalti e commesse pubbliche. E questa realtà, oltreché documentalmente attestata dai pizzini sequestrati, era riferita, a chiare lettere, da un profluvio di propalazioni accusatorie di collaboratori di giustizia, anche di "recente" acquisizione, tutte convergenti - anche da diversa angolazione prospettica - nell'indicare i Cavallotti come impresa vicina al gotha mafioso, dalla cui vicinanza traevano fonte di enorme vantaggio, riuscendo ad aggiudicarsi gare pubbliche, per ragguardevoli importi, proprio grazie ad intercessioni mafiose od anche solo per la notorietà della protezione loro accordata dai massimi vertici di Cosa Nostra. Non solo, ma dall'esame dei c.d. pentiti storici, quali Giovanni Brusca e Angelo Siino, è venuta l'indicazione che i Cavallotti erano inseriti nel piano strategico di gestione degli appalti, che Cosa Nostra adottava e controllava, secondo una precisa turnazione, ai fini dell’assegnazione alle imprese di suo gradimento dei più lucrosi appalti nell'intera regione siciliana (c.d. tavolino). In questi termini è ricostruito dalla Cassazione (Cass., sez. V, 12 novembre 2015-2 febbraio 2016, n. 4305, Cavallotti), l’apparato argomentativo utilizzato dal giudice della prevenzione.

[14] Quali precedenti di riferimento, la Corte menziona Allen c. Regno Unito [GC], n. 25424/09, CEDH 2013, e, mutatis mutandis, Geerings c. Paesi Bassi, no. 30810/03, § 47, 1° marzo 2007.

[15] Sul punto si fa riferimento ai precedenti Arcuri c. Italia (dec.), no. 52024/99, § 2, CEDU 2001-VII, Capitani e Campanella c. Italia, no. 24920/07, § 37, 17 maggio 2011, Gogitidze e altri c. Georgia, no. 36862/05, § 121, 12 maggio 2015, e, mutatis mutandis, Balsamo c. San Marino, nn. 20319/17 e 21414/17, § 58 e seguenti, 8 ottobre 2019, e G.I.E.M. S.R.L. e altri c. Italia [GC], nn. 1828/06 e altri 2, §§ 214 e seguenti, 28 giugno 2018)

[16] La Corte si riferisce, in particolare, a Cass 3 luglio 1996, 18; Cass. 8 gennaio 2006, n. 57; Cass. 17 maggio 2013, n. 39204; Cass. 2 febbraio 2015, n. 4880; contra Cass 25 marzo 2013, n. 14044. E’ menzionata infine la sentenza della Corte costituzionale n. 21 del 2012 e 24 del 2019.

[17] Sulla giurisprudenza europea in materia di confisca e art. 1 Prot. add. Cedu si consenta il rinvio anche a Finocchiaro S., Art. 1 Prot. add. Cedu, Protezione della proprietà, in AA.VV. Corte di Strasburgo e giustizia penale, a cura di G. Ubertis, F. Viganò, Giappichelli, 2022, p. 413 ss.

[18] In dottrina questa scelta è stata spesso criticata, cfr ad esempio, V. Maiello, Confisca, Cedu e diritto dell'Unione tra questioni risolte ed altre ancora aperte, in Dir. pen. cont. – Riv. trim, fasc. 3-4/2012, p. 54.

[19] Cfr., ad esempio, C.edu, sent. 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia, § 30; C.edu, sez. II, dec. 15 giugno 1999, Prisco c. Italia, § 1-3; C.edu, sez. I, dec. 4 settembre 2001, Riela c. Italia; C.edu, sez. II, sent. 5 gennaio 2010, Bongiorno e altri c. Italia, § 45. Cfr. anche Commissione eur., 15 aprile 1991, Marandino, n. 12386/86.

[20] C.edu, sez. II, sent. 5 gennaio 2010, Bongiorno e altri c. Italia, § 40-51.

[21] C.edu, sent. 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia, § 30.

[22] C.edu, Grande Camera, sent. 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia, su cui cfr., ex multis, V. Maiello, De Tommaso c. Italia e la cattiva coscienza delle misure di prevenzione, in Dir. Pen. e Proc., 2017, 8, p. 1039 ss.; A. M. Maugeri, Misure di prevenzione e fattispecie a pericolosità generica: la Corte europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità della “legge”, ma una rondine non fa primavera, in Dir. pen. cont., 6 marzo 2017; F. Menditto, La sentenza de Tommaso c. Italia: verso la piena modernizzazione e la compatibilità convenzionale del sistema della prevenzione, in Dir. pen. cont., 26 aprile 2017; F. Viganò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali, in Dir. pen. cont., 3 marzo 2017.; e, volendo, S. Finocchiaro, Le misure di prevenzione italiane sul banco degli imputati a Strasburgo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017/2, p. 881 ss.

[23] Sia qui consentito un rinvio a quanto espresso in S. Finocchiaro, Confisca di prevenzione e civil forfeiture. Alla ricerca di un modello sostenibile di confisca senza condanna, Giuffré, Milano, 2022, p. 391 ss.

[24] Cfr. ad es. S. Furfaro, Rapporti tra processo penale e procedimento di prevenzione, in Arch. pen. (web), 2014, n. 2, p. 11. La giurisprudenza ha cercato di chiarire tali concetti, ad esempio stabilendo che sono “elementi di fatto” le «circostanze obiettivamente identificabili, controllabili, con esclusione di elementi privi di riscontri concreti, quali meri sospetti, illazioni e congetture»: Cass., sez. VI, 15 giugno (dep. 21 settembre) 2017, Cristodaro, n. 43446; conf. Cass., sez. V, 19 gennaio (dep. 6 aprile) 2018, n. 15492, Bonura.

[25] La locuzione “molto più probabile” nella versione inglese è resa come “substantially more probable”, in quella francese come “nettement plus probable”.

[26] Tale standard viene definito dal Legal International Institute della Cornell University come “a medium level of burden of proof which is a more rigorous standard to meet than the preponderance of the evidence standard, but a less rigorous standard to meet than proving evidence beyond a reasonable doubt. In order to meet the standard and prove something by clear and convincing evidence, a party must prove that it is substantially more likely than not that it is true. This standard is employed in both civil and criminal trials”.

[27] Cass., Sez. I, 24 marzo (dep. 17 luglio) 2015, n. 31209, Scagliarini; Cass., sez. II, 19 gennaio (dep. 15 marzo) 2018, n. 11846, Carnovale; Cass., sez. V, 30 novembre 2020 (dep. 5 gennaio 2021), n. 182, Zangrillo.

[28] Cass., sez. II, 6 giugno (dep. 17 luglio) 2019, n. 31549, Simply Soc. Coop. La Cassazione ha anche di recente ribadito che «il giudice, attesa l’autonomia tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, può valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità generica del proposto ex art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen., ove risultino delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività quei fatti che, pur ritenuti insufficienti - nel merito o per preclusioni processuali - per una condanna penale, ben possono essere posti alla base di un giudizio di pericolosità», così Cass., sez. II, 25 gennaio (dep. 13 aprile) 2023, n. 15704, Ruffini.

[29] Cass., sez. V, 17 dicembre 2015 (dep. 18 gennaio 2016), n. 1831, Mannina; Cass. sez. II, 29 marzo (dep. 9 maggio) 2019, n. 19880, Grillo Brancati; Cass., sez. II, 17 luglio (dep. 11 agosto) 2020, n. 23813, Greco.

[30] Cass., sez. II, 25 giugno 2021 (dep. 9 settembre 2021), n. 33533, Avorio. Questa affermazione di principio ha subito comunque alcuni correttivi, ad esempio in occasioni nelle quali la Corte è stata chiamata a esprimersi sul rapporto tra giudizio cautelare penale e giudizio di prevenzione, ha ritenuto che ai fini dell’accertamento degli indizi di appartenenza a un’associazione mafiosa, il giudice della prevenzione non può utilizzare, salvo che risultino sopraggiunti ulteriori incrementi cognitivi, i medesimi elementi indizianti che sono stati ritenuti inidonei a configurare un quadro gravemente indiziario ai fini della qualificazione della medesima condotta come concorso esterno in associazione mafiosa: cfr. ad esempio Cass. pen., sez. I, 20 febbraio 2019 (dep. 17 maggio 2019), n. 21735, Crocè, secondo cui il giudice della prevenzione “non può realizzare […] un arbitrario «superamento» di una statuizione favorevole al proposto emessa in sede penale lì dove gli elementi indizianti posti a carico siano i medesimi e la decisione intervenuta in sede penale ne abbia qualificato la piena «irrilevanza» a fini di qualificazione della condotta come «funzionale agli scopi associativi», pena la riproposizione di schemi concettuali ormai desueti e abbandonati tanto dal legislatore che dalla prevalente giurisprudenza”.

[31] Cass., sez. un., 25 marzo 2010 (dep. 9 aprile 2010), n. 13426, Cagnazzo

[32] Cfr. F. Bricola, Commenti articolo per articolo, L. 13.9.1982, n. 646, in Leg. Pen., 1983, p. 240, il quale ha paventato il rischio che, nella pratica, si faccia riferimento a meri sospetti; cfr. anche A. Cairo, C. Forte, Codice delle misure di prevenzione, in Codici del professionista, 2014; p. 76 ss.; D. Fondaroli, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale, Bologna, 2007, p. 175 ss.

[33] Cass., sez. VI, 29 gennaio (dep. 27 febbraio) 2014, n. 9747, Romeo. Ma già prima, ad esempio, Cass., sez. I, 16 gennaio (dep. 12 febbraio) 2002, n. 5649, Scamardo; Cass., sez. II, 21 febbraio (dep. 25 maggio) 2012, n. 19943, Stefano; Cass., sez. II, 16 febbraio (2 marzo) 2006, n. 7616, Catalano.

[34] Cass., sez. I, 20 febbraio (dep. 17 maggio) 2019, n. 21735, C.; Cass., sez. V, 16 maggio (dep. 22 luglio) 2014, n. 32353, Grillone; oltre alle già citate Sezioni unite Gattuso del 2018.

[35] Cass., sez. VI, 8 gennaio (dep. 29 gennaio) 2016, n. 3941, Gaglianò.

[36] Cass., sez. I, 14 giugno (dep. 30 novembre) 2017, n. 54119, Sottile; Cass., sez. un., 30 novembre 2017 (4 gennaio 2018), n. 111, Gattuso; Cass., sez. VI, 4 luglio (dep. 6 dicembre) 2019, n. 49750, Diotallevi.

[37] Cass., sez. II, 17 luglio (dep. 11 agosto) 2020, n. 23813, Greco.

[38] Cass., sez. I, 26 ottobre 2022 (dep. 2 febbraio 2023), n. 4489, Candurro. Un diverso approccio interpretativo viene invece riferito alle fattispecie di “pericolosità qualificata” che fanno riferimento a titoli reato, come nel caso dell’art. 4 lett. b), ove si compie riferimento ai reati di cui all’art. 51 comma 3-bis cod. proc. pen. o al reato di intestazione fittizia: in questi casi, secondo la Cassazione “l’assoluzione in ambito penale per una delle ipotesi di reato richiamate determina la impossibilità di applicare la misura di prevenzione personale fondata sul medesimo fatto di reato quale sintomo di pericolosità”.

[39] Del resto, proprio nella sentenza della Cassazione che ha chiuso il giudizio di prevenzione e reso definitive le misure ablatorie nei confronti dei fratelli Cavallotti, la Suprema Corte – concordando con quanto già statuito dalla Corte d’appello – aveva in motivazione osservato che: «la pronuncia assolutoria per partecipazione mafiosa non può assumere alcun automatismo applicativo nel procedimento di prevenzione, proprio perché la partecipazione "organica" è un minus rispetto all'appartenenza, sicché il giudice della prevenzione è chiamato a verificare se, per ipotesi, la pronuncia assolutoria sia fondata su fatti storici che elidano, in nuce, non solo il profilo di penale responsabilità in ordine alla contestata partecipazione, ma anche qualsivoglia ipotesi di appartenenza nel senso indicato» (Cass., sez. V, 12 novembre 2015-2 febbraio 2016, n. 4305, Cavallotti).