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29 Aprile 2021


Poteri sanzionatori delle Authorities e principi del giusto processo: punti fermi e prospettive nella giurisprudenza di Strasburgo

Corte EDU, Sez. I, 10 dicembre 2020, Edizioni Del Roma società cooperativa a.r.l. e Edizioni Del Roma s.r.l. c. Italia



Per leggere il testo della sentenza, in lingua francese, clicca qui.

 

1. Con la pronuncia in commento, la Corte europea affronta nuovamente il tema delle garanzie procedurali che devono presidiare l’applicazione delle sanzioni amministrative, con particolare riguardo a quelle irrogate dalle autorità indipendenti. Si tratta di una tematica che non è estranea al sistema penale, dato che la progressiva attribuzione di poteri sanzionatori alle authorities emersa negli ultimi decenni in diversi ordinamenti europei costituisce espressione paradigmatica di quel processo di “frammentazione” della potestà punitiva che sollecita a ridisegnare l’area di operatività delle tutele penalistiche[1]. In questo settore, peraltro, il problema risulta ancor più avvertito poiché alle stesse autorità indipendenti sono affidati altresì poteri normativi, i quali sollevano note questioni in punto di legittimazione democratica. In una prospettiva rights-based, d’altra parte, è soprattutto il tema della tutela dei destinatari delle sanzioni ad essere finito sotto la lente dei giudici di Strasburgo che, sulla scia della nota definizione ampia del concetto di matière pénale, nel tempo hanno ricostruito uno statuto garantistico che per molti versi appare consolidato ma nel quale, come si dirà, si possono anche intravedere prospettive di ulteriore sviluppo.

 

2. La sentenza trae origine dal ricorso di due società sottoposte a procedimento sanzionatorio da parte dell’AGCOM per avere richiesto contributi pubblici per l’editoria omettendo di segnalare l’esistenza di una situazione di controllo rilevante ai sensi dell’art. 2359 c.c. Per tale ragione, alla seconda società era irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria dell’importo di euro 103.300, con decisione confermata anche dagli organi della giustizia amministrativa. Le società ricorrevano quindi alla Corte europea lamentando violazioni del contraddittorio e difetti di imparzialità della procedura amministrativa cui la possibilità di impugnazione dinanzi ad un organo giurisdizionale non avrebbe posto rimedio, non essendo garantito un sindacato pieno del giudice amministrativo sulle valutazioni compiute dall’autorità indipendente, senza contare che a sua volta il Consiglio di Stato non sarebbe stato imparziale visto che il presidente onorario era stato altresì presidente dell’AGCOM.

I giudici di Strasburgo si soffermano anzitutto sulla natura della sanzione irrogata, trattandosi di questione da cui dipende l’applicabilità ratione materiae dell’art. 6 Cedu e, quindi, l’ammissibilità del ricorso. A tale proposito, richiamando la nota definizione autonoma del concetto di matière pénale elaborata nella propria giurisprudenza, la Corte afferma senza indugi il carattere “penale” di tale sanzione evidenziandone lo scopo di tutela di interessi generali, la funzione punitiva e dissuasiva ed il significativo importo. Tra i criteri citati, in effetti, è soprattutto il secondo che da tempo riveste un ruolo centrale nell’economia del giudizio di Strasburgo, con una conseguente omologazione tra pene e sanzioni amministrative che risulta oramai consolidata[2], nonché confermata proprio con specifico riguardo alle sanzioni applicate dalle autorità indipendenti, tra cui quelle istituite nell’ordinamento italiano nei settori della vigilanza dei mercati finanziari e della tutela della concorrenza[3]. In definitiva, l’affermazione della natura penale, ai fini della Convenzione, delle sanzioni applicate dall’AGCOM non rappresenta un dato di novità, costituendo nient’altro che il coerente sviluppo di indirizzi già emersi in precedenza.

La Corte procede quindi ad esaminare il merito delle doglianze, ossia la conformità del procedimento di applicazione delle predette sanzioni ai principi del giusto processo sanciti dall’art. 6 Cedu. Considerando la procedura svoltasi dinanzi all’AGCOM, quindi, viene anzitutto rilevata una violazione del diritto di difesa poiché – se è vero che le società ricorrenti hanno avuto la possibilità di presentare osservazioni durante le indagini – esse non hanno avuto accesso al rapporto finale della Guardia di finanza. Inoltre, pur ribadendo che i principi di oralità e di pubblicità delle udienze non devono necessariamente informare qualsiasi procedimento sanzionatorio, nel caso in esame la Corte giudica la natura cartolare della procedura inadeguata alla luce dell’entità della sanzione irrogata e soprattutto dell’impatto della medesima sulla reputazione della società destinataria. In terzo luogo, sul piano dell’imparzialità, pur rilevando una certa separazione nell’assetto dell’AGCOM tra organi inquirenti e organi giudicanti, la Corte osserva come essi costituiscano pur sempre rami della stessa autorità e siano soggetti alla medesima direzione, senza che siano previsti garde-fous (termine traducibile in maniera non letterale come “muraglie cinesi”) tra i vari comparti, il che denota una continuità di funzioni inquirenti e giudicanti che è contraria all’art. 6 Cedu.

D’altra parte, come in diverse precedenti decisioni, la Corte europea ribadisce che la possibilità di ricorso ad un giudice indipendente ed avente “piena giurisdizione” è sufficiente a riportare il procedimento sanzionatorio, visto nel suo complesso, sui binari di legittimità convenzionale. In particolare, si rileva che gli organi della giustizia amministrativa soddisfano i requisiti di indipendenza e imparzialità stabiliti dall’art. 6 Cedu, non essendo decisiva la circostanza che il presidente dell’AGCOM fosse stato nominato altresì presidente onorario del Consiglio di Stato. Al riguardo, infatti, la Corte osserva che tale carica non comporta l’esercizio di funzioni giurisdizionali e che, considerato altresì che la maggioranza dei componenti dell’organo di vertice della giustizia amministrativa è selezionata mediante concorso pubblico, non emergono elementi in grado di indicare una qualsiasi forma di influenza sulla decisione (§§ 84 e ss.). Infine, si rileva come il sindacato del giudice amministrativo soddisfa il requisito della “piena giurisdizione” poiché, nel quadro di una procedura pubblica ed orale (§ 89), consente una verifica sull’operato dell’AGCOM non circoscritta ai profili di legittimità, bensì estesa a qualsiasi valutazione in fatto ed in diritto compiuta dell’autorità amministrativa (§§ 92 s.).

 

3. Come si è accennato, la sentenza in esame si pone nel solco di una ricostruzione dello statuto garantistico convenzionale delle sanzioni amministrative, comprese quelle irrogate da autorità indipendenti, dettata da una loro “omologazione funzionale” rispetto a quelle penali.

Si tratta, peraltro, di un inquadramento che trova numerosi riscontri negli ordinamenti nazionali, specialmente sul terreno sostanziale, come si può osservare proprio nella giurisprudenza della Corte costituzionale italiana degli ultimi anni. La ridefinizione della sfera di operatività dell’art. 25 Cost. prospettata in maniera quasi “rivoluzionaria” nella sentenza Corte cost. n. 196/2010, risulta infatti oramai ampiamente consolidata[4], nell’ambito di un processo di estensione delle garanzie che ha interessato altresì il principio di retroattività della legge più favorevole (anche in assenza di un espresso pronunciamento della Corte europea sul punto)[5], seppur non ancora il principio di colpevolezza[6], a differenza di quanto avvenuto nella giurisprudenza di altri tribunali costituzionali europei[7].

In effetti, le principali obiezioni che sono emerse nel tempo rispetto ad una considerazione “panpenalistica” delle sanzioni amministrative sono incentrare soprattutto sulle conseguenze negative che l’estensione delle garanzie processuali potrebbe comportare rispetto all’efficienza degli apparati punitivi “minori”[8]. Ora, premesso che la nozione di matière pénale elaborata dalla Corte europea ha una natura relativa e funzionale – e che, pertanto, non impone una completa omologazione delle discipline e dei modelli di accertamento – si tratta effettivamente di comprendere quali tutele processuali siano “attratte” dalla medesima e, quindi, debbano considerarsi irrinunciabili anche nel c.d. diritto penale amministrativo. Proprio questo aspetto, come si è visto, viene affrontato nella sentenza in commento, nella quale i giudici di Strasburgo confermano l’impostazione tradizionale secondo cui, anche laddove il procedimento di irrogazione della sanzione da parte dell’autorità amministrativa non sia conforme ai canoni del giusto processo, la possibilità di un controllo giurisdizionale successivo è sufficiente ad escludere una violazione dell’art. 6 Cedu purché siano soddisfatti i fondamentali requisiti di indipendenza e di full jurisdiction[9].

Entrambi gli aspetti, in effetti, meritano una specifica considerazione rispetto al sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti delle authorities.

Con riguardo al primo profilo, infatti, non è certamente nuovo il problema della tensione tra il principio di indipendenza della magistratura amministrativa, sancito espressamente dalla Costituzione, e le norme che regolano la composizione del Consiglio di Stato[10]. Nel caso in esame, peraltro, la questione si poneva in maniera alquanto peculiare per via della singolare concentrazione nella medesima persona delle cariche di presidente dell’AGCOM (invero fino al luglio 2012, ossia prima della celebrazione del giudizio amministrativo di secondo grado) e di presidente onorario del Consiglio di Stato. Ad ogni modo, in linea con un certo restraint che caratterizza la giurisprudenza in materia, la Corte si limita a prendere atto della mancanza di qualsiasi elemento oggettivo in grado di dimostrare che, in concreto, tale circostanza abbia influito sulla decisione finale[11].

La Corte conferma altresì il proprio indirizzo secondo cui il controllo giurisdizionale sull’esercizio dei poteri sanzionatori da parte delle authorities deve considerarsi “pieno” anche nei casi in cui esso è affidato al giudice amministrativo[12]. Si tratta, invero, di un tema molto dibattuto poiché, malgrado la legge richiami espressamente il modello della giurisdizione di merito (almeno con riguardo alle sanzioni pecuniarie: v. artt. 7, comma 6, e 134, comma 1, lett. c), del codice del processo amministrativo), ci si chiede tuttora se tale sindacato debba essere “pieno” ed “intrinseco” in relazione a tutti i momenti valutativi (accertamento dei fatti, contestualizzazione della norma, sussunzione dei fatti nella norma contestualizzata, commisurazione della sanzione) ovvero “debole” ed “estrinseco” per via degli aspetti marcatamente tecnico-discrezionali che caratterizzano il giudizio di tali autorità[13], con quest’ultima soluzione che parrebbe effettivamente sul filo della legittimità convenzionale[14].

 

4. Vi sono poi garanzie processuali, tra cui in particolare l’oralità e la pubblicità delle udienze, che la Corte europea ha nel tempo riservato ad un “nucleo duro” della matière pénale, ossia all’applicazione di quelle sanzioni capaci di esprimere un “significant degree of stigma[15]. Si tratta di un approccio che, come si è visto, viene confermato nella sentenza in commento, in cui d’altra parte proprio a tale novero più ristretto viene ricondotta la sanzione inflitta dall’AGCOM, evidenziandone in particolare l’impatto sulla reputazione delle società destinatarie del provvedimento. Anche in questo caso, in effetti, emerge un’evidente continuità con quanto affermato dalla Corte nella sentenza Grande Stevens con riguardo alle sanzioni irrogate dalla Consob[16], nella cui procedura erano stati peraltro rilevati i medesimi profili di violazione dell’art. 6 Cedu (compresa la scarsa separazione tra le funzioni investigative e quelle giudicanti)[17].

Proprio dal confronto con tale noto precedente, peraltro, emerge un aspetto di interessante “ambiguità” che caratterizza la sentenza in commento, ossia la circostanza che la Corte abbia deciso di soffermarsi sulle lacune del procedimento dinanzi all’autorità indipendente pur riconoscendo la conformità del giudizio di opposizione ai canoni del giusto processo. In altri termini, mentre nella sentenza Grande Stevens il fatto che la fase giurisdizionale non fosse giudicata conforme all’art. 6 Cedu imponeva senz’altro di verificare se lo fosse almeno quella precedente, nella pronuncia in commento i giudici di Strasburgo avrebbero anche potuto ritenere il problema delle garanzie del procedimento amministrativo “assorbito” o, comunque, non meritevole di particolare approfondimento (secondo la logica della c.d. “ragione più liquida”).

In definitiva, il percorso argomentativo della Corte sembra denotare un certo “interesse” per la procedura dinanzi dall’AGCOM, indipendentemente dal rimedio offerto dalla possibilità di ricorso ad un organo di “piena giurisdizione”. Viene da chiedersi, allora, se tale posizione non possa preludere ad una futura evoluzione della giurisprudenza di Strasburgo in cui si affermi che l’art. 6 Cedu deve essere rispettato sin dalla fase amministrativa, secondo una soluzione già emersa in dottrina, specialmente con riguardo a quelle sanzioni che, per l’appunto, sono caratterizzate da una particolare invasività ed efficacia stigmatizzante[18].

 

 

[1] A questo proposito, cfr. già le acute riflessioni di M. Delmas-Marty – C. Teitgen-Colly, Punir sans juger?, Parigi, 1992.

[2] Sul punto, cfr. L. Masera, La nozione costituzionale di materia penale, Torino, 2018, 57 ss., nonché sia consentito il rinvio a Fr. Mazzacuva, Le pene nascoste, Torino, 2017, 16 ss..

[3] Cfr. in particolare le note sentenze Corte EDU, 4.3.2014, Grande Stevens e a. c. Italia, e Corte EDU, 27.12.2011, Menarini Diagnostics s.r.l. c. Italia, sulle quali ora si tornerà, e la precedente giurisprudenza ivi richiamata.

[4] Tra le varie pronunce, cfr. soprattutto la recente sentenza Corte cost. n. 223/2018, in Dir. pen. cont., 13 dicembre 2018, con nota di G.L. Gatta, Non sempre ‘depenalizzazione’ equivale a ‘mitigazione’. La Corte costituzionale sull’irretroattività delle sanzioni amministrative ‘punitive’ più sfavorevoli di quelle penali (a proposito della confisca per equivalente per l’insider trading secondario), nonché in Giur. cost., 2018, 2591 ss., con nota di Fr. Mazzacuva, Successione di leggi punitive e principi costituzionali.

[5] Cfr. Corte cost., sentenza  n. 63/2019, in Dir. pen. cont., 2 aprile 2019, con nota di M. Scoletta, Retroattività favorevole e sanzioni amministrative punitive: la svolta, finalmente, della Corte costituzionale, e da ultimo Corte cost., sentenza n. 68/2021, in questa Rivista, 20 aprile 2021, con nota di M. Scoletta, La revocabilità della sanzione amministrativa illegittima e il principio di legalità costituzionale della pena.

[6] Cfr. da ultimo Corte cost., sentenza n. 112/2019.

[7] Cfr. in particolare l’orientamento del Bundesverfassungsgericht emerso sin dalla sentenza BVerfG, 4.2.1959, 1 BvR 197/53, in BVerfGE 9, 167 ss. e in ptc. 170, nonché l’analogo indirizzo del Tribunal Constitucional spagnolo affermato nelle sentenze n. 246 del 19.12.1991 e n. 76 del 26.4.1990.

[8] Cfr. Aa. Vv., La «matière pénale» au sens de la Convention européenne, cit., 852; nella dottrina italiana, cfr. soprattutto G. Vassalli, I principii generali del diritto nell’esperienza penalistica, cit., 724, e F.C. Palazzo, I criteri di riparto, cit., 55 s..

[9] Tra le tante, cfr. già Corte EDU, 24.2.1994, Bendenoun c. Francia, §§ 46, e, più di recente, con ulteriori precisazioni circa i requisiti del sindacato giurisdizionale, Corte EDU, 4.4.2013, Kloiber Schlachthof Gmbh e a. c. Austria, § 28 ss.; Corte EDU, 27.12.2011, Menarini Diagnostics s.r.l. c. Italia, §§ 57 ss.; Corte EDU, Grande Camera, 6.11.2018, Ramos Nunes de Carvalho e Sà c. Portogallo, § 132 s..

[10] Già nella sentenza n. 177/1973 (come in precedenza nella sentenza n. 1/1967 con riguardo alla Corte dei conti), ad esempio, la Corte costituzionale doveva confrontarsi con tale questione. Il tema, d’altra parte, è ancora attuale: tra i tanti, sul punto, cfr. N. Zanon, L’autonomia e l’indipendenza delle magistrature speciali nella Costituzione, oggi, in G. Campanelli, a cura di, Indipendenza, imparzialità e responsabilità dei giudici speciali, Pisa, 2014, 26 ss., nonché, con specifico riguardo al tema della nomina dei giudici del Consiglio di Stato, G. Scarselli, La terzietà e l'indipendenza dei giudici del Consiglio di Stato, in Foro it., 2001, 269 ss., e, da ultimo, P. Tanda, Profili istituzionali, processuali e comparatistici dell'indipendenza e dell'imparzialità del giudice amministrativo, in Giur. it., 2020, 697 ss..

[11] L’imparzialità c.d. oggettiva, in effetti, è normalmente presunta dalla Corte, mentre rispetto all’imparzialità c.d. soggettiva, si afferma tradizionalmente che non è decisivo il punto di vista del ricorrente, essendo comunque necessario verificare se i suoi dubbi possano apparire giustificati anche per un osservatore esterno (v. R. Chenal – A. Tamietti, Art. 6, in S. Bartole – P. De Sena – V. Zagrebelsky, a cura di, Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Padova, 2012, 217 s.; P. Concolino, Art. 6, in G. Ubertis – F. Viganò, a cura di, Corte di Strasburgo e giustizia penale, Torino, 2016, 139 ss.).

[12] La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è infatti prevista dall’art. 133, comma 1, lett. l), del codice del processo amministrativo. Fanno eccezione le sanzioni irrogate dalla Consob e dalla Banca d’Italia per le quali la giurisdizione spetta al giudice ordinario dopo che nelle sentenze Corte cost., nn. 94/2014, e 162/2012 è stato rilevato l’eccesso di delega del “secondo correttivo” al codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010).

[13] La teoria del sindacato “debole”, almeno con riguardo alla “contestualizzazione” della norma violata ed al confronto tra caso concreto e norma contestualizzata, seppur progressivamente superata nella giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, 2.3.2004, n. 926, e Cons. Stato, 20.2.2008, n. 597), appare tuttora mostrare una certa resistenza nella giurisprudenza di legittimità (v. in particolare Cass., Sez. Un., 17.3.2008, n. 7063, in cui si evidenziano i rischi di una sostituzione della valutazione tecnica del giudice a quella dell’autorità indipendente), in cui anche di recente, nonostante alcune aperture, si esclude comunque che il sindacato nel merito possa estendersi a “valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità” (sul punto, tra i tanti commenti, cfr. M. Lipari, Il sindacato pieno del giudice amministrativo sulle sanzioni secondo i principi della CEDU e del diritto UE. Il recepimento della direttiva n. 2014/104/EU sul private enforcement (decreto legislativo n. 3/2017): le valutazioni tecniche opinabili riservate all’AGCM, in federalismi.it, 11 aprile 2018, 28 ss.).

[14] In particolare, nella Corte EDU, 27.9.2011, Menarini Diagnostics srl c. Italia, §§ 64 ss., la Corte europea ha ritenuto l’art. 6 Cedu rispettato nella misura in cui il giudice amministrativo, pur non potendosi sostituire all’autorità, possa svolgere un sindacato pieno su ogni valutazione, anche se tecnico-discrezionale, nonché sindacare la proporzionalità della sanzione ed eventualmente rimodularla (nello stesso senso, cfr. Corte EDU, 4.3.2014, Grande Stevens e a. c. Italia, § 149). D’altra parte, nell’opinione dissenziente del giudice Pinto de Albuquerque alla stessa sentenza Menarini, emerge uno sguardo critico rispetto alla conformità della teoria del sindacato “debole” all’art. 6 Cedu, osservando che essa finisce per sottrarre il “nocciolo duro” della valutazione delle authorities al controllo del giudice amministrativo (in dottrina, nello stesso senso, cfr. F. Goisis, La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative tra diritto nazionale ed europeo, Torino, 2014, 100 ss.).

[15] Cfr., in questi termini, Corte EDU, Grande Camera, 23.11.2006, Jussila c. Finlandia, § 43, con impostazione ribadita a più riprese nella giurisprudenza successiva.

[16] Cfr. Corte EDU, 4.3.2014, Grande Stevens e a. c. Italia, §§ 122 s..

[17] Cfr. ancora Corte EDU, 4.3.2014, Grande Stevens e a. c. Italia, §§ 116 ss. e 132 ss. Non essendo oggetto di ricorso, invece, tali aspetti non era stati esaminati con riguardo alle sanzioni AGCM nella già citata sentenza Corte EDU, 27.9.2011, Menarini Diagnostics srl c. Italia.

[18] Cfr. ad esempio i termini di F. Goisis, La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative, cit., 54 ss., e Id., Le sanzioni amministrative e il diritto europeo, in A. Cagnazzo-S. Toschei-F.F. Tuccari, a cura di, La sanzione amministrativa, Milano, 2016, 43 ss., il quale osserva come anche l’autorità amministrativa potrebbe essere inquadrata in una definizione autonoma di “tribunale”, atteso che indipendenza e imparzialità potrebbero essere assicurate anche da un’autorità amministrativa, così da poter applicare tutte le garanzie di cui all’art. 6 Cedu, in particolare quelle penalistiche («il procedimento amministrativo sanzionatorio è (e non può che essere) già processo penale, chiamato a conformarsi ad uno schema accusatorio, capace di porre sullo stesso piano accusa e difesa»). Nella letteratura penalistica, il dibattito si è sviluppato soprattutto con riguardo alle sanzioni irrogate dalla Consob: cfr. F. D'Alessandro, Tutela dei mercati finanziari e rispetto dei diritti umani fondamentali, in Dir. pen. proc., 2014, 624 ss.; G. Caneschi, I confini di applicazione del principio del contraddittorio in sede extrapenale, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2016, 118 ss..