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20 Dicembre 2021


La disciplina francese in materia di geolocalizzazione: una decisione del Conseil constitutionnel dopo la sentenza HK della Corte di giustizia UE

Decisione n. 2021-930 QPC del 23 settembre 2021



Per leggere il provvedimento, in lingua francese, clicca qui.

 

1. Premessa

In Francia l’utilizzo delle tecniche di geolocalizzazione[1] in ambito penale è attualmente disciplinato dagli artt. 230-32 a 230-44 del Codice di procedura penale (c.p.p.)[2]. Dette disposizioni sono state introdotte ad opera della legge n. 2014-372 del 28 marzo 2014, approvata nell’intento di conformare la legislazione interna ai dettami della Corte europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) e della Cour de cassation riguardanti la tutela della vita privata (v. par. 2).

Punto cardine delle problematiche inerenti la disciplina francese sulla geolocalizzazione è la possibilità, per il pubblico ministero, di mettere in atto questa tecnica di indagine senza il preventivo controllo di un giudice. Malgrado le tensioni sollevate da tale aspetto, sulle quali la Cour de cassation si è espressa più volte, la disciplina sulla geolocalizzazione, giunta al vaglio del Conseil constitutionnel nell’ambito di due ricorsi pregiudiziali sollevati nel 2014 e nel 2019, non è mai stata censurata (v. par. 3). I giudici della rue Montpensier hanno sancito la legittimità costituzionale delle tecniche di geolocalizzazione considerando, in sostanza, che il legislatore aveva bilanciato in maniera equilibrata le necessità collegate alla tutela dell’ordine pubblico e la protezione dei diritti fondamentali interessati.

Ciononostante, si tratta di una disciplina che suscita ancora interrogativi, come si evince dal ricorso in via incidentale (c.d. questione prioritaria di costituzionalità) sollevato in data 9 giugno 2021 dalla Cour de cassation, in merito alle disposizioni che disciplinano l’attuazione del c.d. pedinamento elettronico da parte del pubblico ministero senza autorizzazione preventiva del giudice. Con la decisione n. 2021-930 QPC del 21 settembre 2021, il Conseil constitutionnel si è, quindi, espresso di nuovo sulla legittimità costituzionale delle disposizioni sottoposte al suo giudizio (v. par. 4). Emanata dieci anni dopo la prima sentenza della Cour de cassation in materia di geolocalizzazione[3], la pronuncia ci offre lo spunto per presentare, seppur in maniera sintetica, la disciplina e gli aspetti più salienti delle criticità riscontrate oltralpe in relazione all’utilizzo di tale strumento di indagine penale[4].

 

2. La disciplina sulla geolocalizzazione prima dell’entrata in vigore della legge n. 2014-372 del 28 marzo 2014.

Fino al 2014, l’utilizzo delle tecniche di geolocalizzazione in ambito penale era privo di un’apposita disciplina. Il ricorso a tale strumento poteva essere autorizzato, per un verso, dal procuratore della Repubblica, nell’ambito di inchieste preliminari e di flagranza, in base all’art. 41 del Codice di procedura penale, che gli consentiva di procedere, o di delegare “tutti gli atti necessari alla ricerca e al perseguimento delle infrazioni alla legge penale” e, per l’altro verso, dal giudice istruttore, nell’ambito delle c.d. informations judiciaires, in applicazione dell’art. 81, comma 1 del c.p.p., secondo cui “il giudice istruttore procede, in conformità con la legge, a tutti gli atti di informazione che ritiene utili alla manifestazione della verità”. La genericità di tali disposizioni diede luogo a un contenzioso giunto fino alla Cour de cassation che, in sostanza, fu chiamata a pronunciarsi sulle lacune normative in materia di geolocalizzazione, ossia a bilanciare il necessario rispetto della vita privata dei soggetti sottoposti a operazioni di pedinamento tecnologico con le esigenze collegate alla ricerca degli autori dei reati.

La prima sentenza della Cour de cassation relativa all’utilizzo della geolocalizzazione nelle inchieste penali è stata emanata nel 2011,  sulla scorta della decisione della Corte EDU n. 35623/05, Uzun c/ Germania, del 2 settembre 2010[5]. Nel caso affrontato dai giudici francesi, un giudice istruttore aveva disposto una misura di geolocalizzazione mediante l’installazione di uno strumento tecnologico (c.d. balise) su un veicolo. Sollevata una richiesta di annullamento della procedura per l’asserita violazione dell’art. 8 della CEDU, la chambre de l’instruction aveva rigettato la doglianza in quanto la misura attuata era prevista dall’art. 81 del Codice di procedura penale ed era proporzionata alla finalità perseguita. Con la decisione del 22 novembre 2011 n. 11-84.308[6], la Cour de cassation confermò la decisione della chambre de l’instruction e validò la procedura di geolocalizzazione, bilanciando la violazione del diritto al rispetto della vita privata con il principio che autorizza il giudice istruttore ad attuare qualunque tipo di indagine. Decisivo, per la Corte, era il fatto che la misura si fondasse su una norma di legge (l’art. 81 del c.p.p.) e che fosse attuata sotto il controllo di un giudice. La sentenza aveva così posto le basi del regime giuridico delle operazioni di geolocalizzazione, specificando che era necessaria l’autorizzazione di un giudice. Dovevano, quindi, dichiararsi illegittime le procedure di geolocalizzazione adottate con la sola autorizzazione del pubblico ministero[7].

La sentenza rimase però inattuata e la prassi non subì alterazioni[8] finché la Cour de cassation non si pronunciò di nuovo sulla questione nel 2013. Quell’anno, la Suprema corte esaminò la conformità della procedura penale francese in materia di pedinamento elettronico alle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in particolare all’articolo 8 della Convenzione. Con le sentenze del 22 ottobre 2013 nn. 13-81.945 e 13-81.949[9], la chambre criminelle de la Cour de cassation riaffermò quanto espresso in precedenza, dichiarando claris  verbis che la geolocalizzazione costituiva “una ingerenza nella vita privata la cui gravità necessita[va] che [fosse] attuata previo controllo di un giudice[10]. Ciò posto, ribadì che si doveva giungere a conseguenze diverse a seconda del tipo di procedimento in corso. Le operazioni di geolocalizzazione condotte nell’ambito di una c.d. information judiciaire, previo controllo del juge d’instruction (ex art. 81 del c.p.p.), furono, quindi, dichiarate legittime, conformemente a quanto previamente stabilito con la sentenza del 22 novembre 2011. A contrario, la geolocalizzazione mediante il tracciamento di un telefono cellulare, realizzata nell’ambito di una inchiesta preliminare diretta dal procuratore della Repubblica, fu ritenuta eccessivamente invasiva e lesiva dell’art. 8 della Convenzione EDU[11]. A parere della Suprema corte, sia la gravità dell’intrusione nella vita privata degli indagati sia il particolare statuto del pubblico ministero francese[12] ostacolavano l’attuazione del pedinamento elettronico da parte di tale magistrato. Di conseguenza, la Cour de cassation annullò la procedura di geolocalizzazione effettuata nell’inchiesta preliminare (dec. n. 13-81.945) e, allo stesso tempo, dichiarò la validità di una medesima procedura realizzata su decisione di un giudice istruttore (dec. n. 13-81.945). La Cour d’appel di Parigi non seguì, tuttavia, quanto stabilito dalla Suprema corte e validò le misure di geolocalizzazione ordinate in due inchieste preliminari, concludendo, nella sentenza del 17 febbraio 2014, che la “tecnica di geolocalizzazione, nata dall’evoluzione delle tecnologie, altro non è che una modalità tecnica di sorveglianza, mezzo che non è coercitivo e poco intrusivo e, in ogni caso, non viola la vita privata in maniera più forte che il pedinamento fisico realizzato dai poliziotti[13].

È in tale contesto che il Ministero della giustizia presentò un progetto di legge, diventato la legge n. 2014-372 del 28 marzo 2014, volto a disciplinare l’utilizzo della geolocalizzazione in ambito penale.

 

3. La legge n. 2014-372 del 28 marzo 2014 sulla geolocalizzazione e successive modificazioni.

La legge n. 2014-372 del 28 marzo, inserì nel titolo IV del libro 1° del c.p.p. un capitolo V intitolato “Della geolocalizzazione”, introducendo gli artt. 230-32 à 230-44 nel codice di rito[14]. Contrariamente alle attese, il legislatore scelse di allontanarsi da una interpretazione ad litteram della giurisprudenza della Suprema corte, autorizzando l’attuazione delle misure di geolocalizzazione anche da parte del parquet. In particolare, l’art. 230-33, prevede che il procuratore della Repubblica possa disporre l’operazione per una durata massima di quindici giorni consecutivi. Passato questo termine, solo il giudice delle libertà e della detenzione (c.d. JLD) può autorizzare il proseguimento della misura per una durata massima di un mese, rinnovabile alle stesse condizioni di forma e per gli stessi periodi di tempo. Nell’ambito, invece, di un’inchiesta riguardante la ricerca di cause di morte o di scomparsa, il giudice di istruzione ha il potere di ordinare la geolocalizzazione per una durata massima di quattro mesi, la misura essendo rinnovabile alle stesse condizioni di forma e per gli stessi periodi di tempo.

Purché discussa, la scelta del legislatore non fu censurata a livello costituzionale. Oltre sessanta deputati[15] adirono in via preventiva il Conseil constitutionnel che però, con la decisione n. 2014-693 DC del 25 marzo 2014[16], sancì la legittimità delle disposizioni denunciate, ritenendo che il legislatore avesse predisposto misure adeguate a garantire che le limitazioni ai diritti fondamentali fossero solo quelle necessarie alla manifestazione della verità e che non fossero sproporzionate rispetto alla gravità e alla complessità dei reati commessi[17].

Qualche anno dopo tale pronuncia, la Francia fu condannata dalla Corte EDU, con la sentenza Ben faiza c/ France del 18 maggio 2018, non a causa delle disposizioni legislative introdotte nel 2014, bensì per l’incompatibilità con la Convenzione delle misure adottate prima dell’entrata in vigore della legge sulla geolocalizzazione[18]. La sentenza della Corte EDU spinse il legislatore a rafforzare la tutela del diritto al rispetto della vita privata dei soggetti sottoposti a misure di pedinamento elettronico. A tal fine, la legge n. 2019-222 del 23 marzo 2019 di programmazione 2018-2022 e di riforma della giustizia, aggiunse un nuovo comma all’articolo preliminare, III, del c.p.p. secondo cui “nel corso della procedura penale, la misure che violano la vita privata di una persona possono essere adottate, su decisione o sotto il controllo effettivo dell’autorità giudiziaria, solo se sono, in considerazione del caso di specie, necessarie alla manifestazione della verità e proporzionate alla gravità del reato[19]. Riferendosi all’“autorità giudiziaria”, ovvero sia ai magistrati del siège che a quelli del parquet, il legislatore confermò comunque, ancora una volta, la possibilità per il pubblico ministero di disporre e gestire le misure di geolocalizzazione.

Altra novità apportata dalla novella del 2019 è stata l’introduzione della possibilità di ricorrere alla geolocalizzazione per tutte le inchieste riguardanti un crimine o un reato punito con almeno tre anni di reclusione (a fronte dei cinque anni nella norma previgente), limitando, al contempo, a otto giorni (contro i quindici giorni precedentemente previsti) il termine di attuazione della misura emessa con la sola autorizzazione del parquet. Spirato questo termine, il prosieguo della misura richiede necessariamente l’intervento di un giudice, ad eccezione dei casi in cui si tratti di inchieste concernenti la ricerca di cause di morte, di lesioni gravi, di scomparse, di persone in fuga o di inchieste per un reato di criminalità organizzata; in queste ipotesi la misura può essere attuata dal pubblico ministero per quindici giorni consecutivi.

Anche in questo caso, il Conseil constitutionnel si è pronunciato nell’ambito di un ricorso pregiudiziale sollevato avverso alcune disposizioni introdotte dalla legge di programmazione per il 2018-2022 e di riforma della giustizia. Nello specifico, i deputati ricorrenti denunciarono la modifica dell’art. 230-32 del c.p.p. che, come detto, aveva abbassato il limite entro il quale poter utilizzare tali strumenti investigativi. A loro avviso, il limite di tre anni così introdotto avrebbe potenziato le prerogative del procuratore della Repubblica, consentendogli di ricorrere a tali misure nell’ambito delle inchieste avviate per i reati di minore gravità, violando il diritto al rispetto della vita privata e l’indipendenza dell’autorità giudiziaria. Con la decisione n. 2019-778 DC del 21 marzo 2019[20], il Conseil constitutionnel rigettò le doglianze dei ricorrenti dichiarando conformi alla Costituzione le norme sottoposte al suo esame. Il Conseil operò una distinzione tra le tecniche speciali di captazione di suoni e immagini e la geolocalizzazione, legittimando l’utilizzo di quest’ultima anche quando i fatti non riguardino reati gravi[21] sull’assunto che, contrariamente a quanto accade quando si ricorre alle altre tecniche, tali misure non implicano atti di costrizione sull’interessato né violano la sua integrità corporea. A sostegno della sua decisione, il Conseil constitutionnel evidenziò, altresì, il ruolo del giudice nel dirigere e controllare l’attuazione delle misure di geolocalizzazione nonché i diversi limiti temporali applicabili nei casi in cui siano adottate dal Procuratore. La Corte concluse dichiarando che, nell’adottare le disposizioni contestate, il legislatore aveva operato una conciliazione equilibrata tra le esigenze costituzionali relative alla ricerca degli autori dei reati e quelle riguardanti la tutela della vita privata.

 

4. La decisione del Conseil constitutionnel n. 2021-930 QPC del 21 settembre 2021

La normativa sulla geolocalizzazione è giunta nuovamente al vaglio del Conseil constitutionnel in seguito alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 2 marzo 2021, H.K. c/ Prokuratuur[22]. In tale pronuncia, resa nell’ambito di un rinvio pregiudiziale sollevato dalla Suprema corte estone, la Corte di giustizia ha affermato che l’accesso, per fini penali, ad un insieme di dati di comunicazioni elettroniche relativi al traffico o all’ubicazione, che permettano di trarre precise conclusioni sulla vita privata, è autorizzato soltanto allo scopo di lottare contro gravi forme di criminalità o di prevenire gravi minacce alla sicurezza pubblica. Soprattutto, la Corte ha stabilito che il diritto dell’Unione osta ad una normativa nazionale che attribuisca al pubblico ministero la competenza ad autorizzare l’accesso di un’autorità pubblica ai dati suddetti al fine di condurre un’istruttoria penale[23].

Considerando che tale pronuncia fosse suscettibile di creare un c.d. changement de circonstances, in data 9 giugno 2021, la Cour de cassation ha valutato che fossero maturate le condizioni per differire al Conseil constitutionnel una questione prioritaria di costituzionalità avente ad oggetto gli artt. 230-32 e 230-33 del Codice di procedura penale, nella parte in cui consentono al procuratore della Repubblica di autorizzare l’utilizzo di tale strumento nell’ambito delle inchieste riguardanti la flagranza di reato, delle inchieste preliminari o di una delle procedure sancite agli artt. 74 a 74-2 del c.p.p., concernenti i casi di morte o di scomparsa. Il ricorrente nel giudizio a quo sosteneva che tali disposizioni violassero il diritto alla privacy, il diritto di difesa e il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo poiché consentivano al procuratore della Repubblica di autorizzare, a determinate condizioni, l’utilizzo della geolocalizzazione dei beni e delle persone a loro insaputa e senza l’intervento preventivo da parte di un giudice indipendente.

Nella decisione n. 2021-930 QPC del 21 settembre 2021[24], il Conseil constitutionnel ha tuttavia mantenuto la sua giurisprudenza, discostandosi da quanto stabilito dalla Corte di giustizia. Pur avendo riconosciuto che l’attuazione della geolocalizzazione in ambito giudiziario costituisce, effettivamente, una violazione della privacy, il giudice delle leggi ha sottolineato, ancora una volta, che tale strumento non produce una costrizione sul soggetto, né tantomeno una violazione della sua integrità fisica, né dà luogo a sequestri, intercettazioni di corrispondenza o registrazioni di immagine o di suoni. Ciò posto, il Conseil ha ricordato che il procuratore della Repubblica può autorizzare l’attuazione di tale misura solo in determinate situazioni e qualora sussistano specifiche condizioni, riguardanti, in particolare, la durata della stessa.

Sulla scorta di queste considerazioni, il Conseil constitutionnel ha ribadito che il legislatore francese ha disciplinato l’attuazione delle misure di geolocalizzazione in modo tale da garantire una conciliazione equilibrata tra l’obiettivo di valore costituzionale di ricerca degli autori dei reati e il diritto al rispetto della privacy. Il Conseil constitutionnel ha, quindi, concluso per la legittimità costituzionale delle disposizioni sottoposte al suo esame[25].

 

 

[1] La geolocalizzazione è definita all’art. 230-32 del c.p.p. come “qualunque tecnica destinata alla localizzazione in tempo reale, su tutto il territorio nazionale, di una persona, a sua insaputa, di un veicolo o di qualunque altro oggetto, senza il consenso del suo proprietario o del possessore”.

[3] Cour de cassation, dec. n. 11-84.308 del 22 novembre 2011, https://www.legifrance.gouv.fr/juri/id/JURITEXT000024855509.

[4] Per un approfondimento dottrinale v. E. Vergès, Construire la norme en procédure pénale: une étude des techniques juridiques à travers un cas symptomatique, la géolocalisation, in Revue de Science Criminelle et de Droit Pénal Comparé, Dalloz, 2014, 599 ss; P. Collet, Le renforcement progressif des garanties applicables à deux mesures intrusives : la géolocalisation et la sonorisation, in Revue de science criminelle et de droit pénal comparé, 2021/1, Dalloz, 29 ss.

[5] Con la quale la CEDU ha riconosciuto la violazione della vita privata degli individui cui si applicano le misure di geolocalizzazione considerando, tuttavia, che tale ingerenza fosse meno grave di quella attuata con altre tecniche di sorveglianza messe in atto con dispositivi visivi o acustici (§52, 66), https://hudoc.echr.coe.int/fre?i=001-106025.

[6] V. supra nota 3.

[7] Per un approfondimento v. E. Vergès, La géolocalisation : une preuve pénale licite au regard de l’article 8 de la Convention EDH ? Analyse comparée des positions adoptées par la Cour de cassation et la Cour EDH  (Cass. crim. 22 nov. 2011 ; CEDH, 2 sept. 2010, n° 35623/05, Uzun c/ Allemagne), in Revue des droits et libertés fondamentaux, chron. n. 4, 2012, http://www.revuedlf.com/droit-penal/preuve-penale-la-geolocalisation-face-a-l’article-8-de-la-cedh/

[8] Nel 2012, la polizia utilizzò 5.500 balises e, nel 2013,  fece richiesta per 20.000 geolocalizzazioni di telefoni cellulari. I dati sono stati presentati dal Ministro della Giustizia durante i dibattiti al Senato sull’esame del progetto di legge relativo alla geolocalizzazione, nella seduta del 20 gennaio 2014, https://www.senat.fr/cra/s20140120/s20140120_5.html. Citato da E. Vergès, Construire la norme en procédure pénale: une étude des techniques juridiques à travers un cas symptomatique, la géolocalisation, in Revue de Science Criminelle et de Droit Pénal Comparé, Dalloz, 2014, nota 27, 605.

[10] La stessa affermazione è stata poi riproposta nella sentenza n. 13-84909 del 14 gennaio 2014, https://www.legifrance.gouv.fr/juri/id/JURITEXT000028481531/

[11] Tale distinzione non era stata avanzata dalla la Corte EDU che, nella sentenza Uzun c/ Germania, non aveva contestato la possibilità, per un pubblico ministero, di adottare una misura di geolocalizzazione. Nel caso di specie, non era, in effetti, contestato l’art. 5, §3 della Convenzione; basandosi su questa disposizione la Corte EDU aveva stabilito in precedenza che il pubblico ministero francese non è una autorità giudiziaria indipendente.

[12] Sul punto v., CEDU, dec. n. 37104/06 del 23 novembre 2010, Moulin c/France, §55 ss. secondo cui “il procuratore aggiunto (…), membro del pubblico ministero, non presentava, secondo quanto stabilito dall’art. 5 § 3 della Convenzione, le garanzie di indipendenza richieste dalla giurisprudenza per essere qualificato, ai sensi di tale disposizione, di giudice (…) o di altro magistrato abilitato dalla legge a esercitare funzioni giudiziari”, in Actualité juridique du droit administratif, 2011, 889, chron. L. Burgorgue-Larsen, citato da P. Collet, Le renforcement progressif des garanties applicables à deux mesures intrusives : la géolocalisation et la sonorisation, in Revue de science criminelle et de droit pénal comparé, 2021/1, Dalloz, 22.

[13] V. Géolocalisation: la cour d’appel de Paris résiste à la Cour de cassation, in Le Nouvel observateur, 20 febbraio 2014, https://www.nouvelobs.com/societe/20140220.AFP0572/geolocalisation-la-cour-d-appel-de-paris-resiste-a-la-cour-de-cassation.html

[14] Tali disposizioni erano ispirate dagli artt. 706-96 ss. del c.p.p. sulle intercettazioni di suoni e sulla cattura di immagini di luoghi o veicoli e dagli artt. 706-102-1 ss. sulla captazione dei dati informatici. Il dossier legislativo è reperibile on line alla pagina http://www.senat.fr/dossier-legislatif/pjl13-257.html.

[15] Per la prima volta si trattava  di sessanta deputati appartenenti alla maggioranza che aveva votato il testo.

[16] La sentenza in lingua francese è reperibile on line alla pagina https://www.conseil-constitutionnel.fr/decision/2014/2014693DC.htm e, in lingua inglese, alla pagina https://www.conseil-constitutionnel.fr/en/decision/2014/2014693DC.htm. Per un approfondimento v. i commenti predisposti dal Servizio studi del Conseil constitutionnel, reperibili on line alla pagina https://www.conseil-constitutionnel.fr/sites/default/files/as/root/bank_mm/decisions/2014693dc/ccc_693dc.pdf e alla pagina https://www.conseil-constitutionnel.fr/sites/default/files/as/root/bank_mm/decisions/2014693dc/doccompl1_693dc.pdf

[17] V. E. Dupic, La géolocalisation judiciaire : nouveau statut et perspectives, in La Gazette du Palais, 4 e 5 aprile 2014, n. 94-95, 14-21 ; C. Fonteix, Le régime juridique de la géolocalisation à l'épreuve des exigences constitutionnelles, in Lettre Actualités Droits-Libertés du CREDOF, 9 maggio 2014, https://journals.openedition.org/revdh/655?lang=en, C. Lazerges, L’encadrement du Parlement dans la fabrication de la loi pénale. La part du Conseil constitutionnel dans la fabrication de la loi sur la géolocalisation, in Revue de science criminelle et de droit pénal comparé, luglio-settembre 2014, n. 3, 669-678.

[18] V. CEDU, dec. del 18 maggio 2018, n. 31446/12, Ben faiza c. France, https://hudoc.echr.coe.int/fre?i=001-180657, riguardante la convenzionalità delle misure di geolocalizzazione adottate prima dell’entrata in vigore della disciplina del 2014.

[20] La sentenza è reperibile on line alla pagina https://www.conseil-constitutionnel.fr/decision/2019/2019778DC.htm

[21] Sul punto v. P. Collet, cit., 34.

[23] V. Corte di giustizia dell’Unione europea, Comunicato stampa n. 29/21, Lussemburgo, 2marzo 2021, https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2021-03/cp210029it.pdf

[24] La sentenza è reperibile on line alla pagina https://www.conseil-constitutionnel.fr/decision/2021/2021930QPC.htm.  

[25] Per un approfondimento v. P. Collet, La constitutionnalité de la géolocalisation autorisée par le parquet, in Leclubdesjuristes.com, 27 ottobre 2001, https://blog.leclubdesjuristes.com/la-constitutionnalite-de-la-geolocalisation-autorisee-par-le-parquet/.