Consigilo di Stato, sent. 22 marzo 2024 n. 2791
*Contributo pubblicato nel fascicolo 6/2024.
1. In un intreccio di giudizi civili, penali, amministrativi ed eurounitari, con la sentenza del Consiglio di Stato[1] sembra concludersi sfavorevolmente, salvo ricorsi straordinari, il noto caso definito dalla stampa come Dieselgate che ha visto accusata a vario titolo la casa automobilistica Volkswagen (VW Group Italia - VW GI e VW AG con sede in Germania), per vendita, commercializzazione e promozione di auto sulle quali era stato installato un software idoneo ad alterare la rilevazione dei livelli di emissione di inquinanti[2].
Premesso che in ambito di class actions promosse da associazioni di consumatori si sono contrapposte pronunce di riconoscimento del solo danno morale o anche patrimoniale, e sul piano penale vari procedimenti hanno riguardato le condotte di soggetti apicali e non, le società si sono trovate coinvolte, oltre che sul piano risarcitorio, in ambito amministrativo[3].
In sede antitrust, con il provvedimento dell’AGCOM del 2016 veniva irrogata in solido a VWGI e a VWAG una sanzione pecuniaria di 5 milioni di euro per aver posto in essere pratiche commerciali scorrette, ai sensi dell’articolo 20, secondo comma, dell’articolo 21, primo comma, lettera b), e dell’articolo 23, primo comma, lettera d), del codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005). L’impugnazione del provvedimento aveva sortito un esito negativo: il Tar Lazio rigettava il ricorso nel 2019 con sentenza che veniva impugnata davanti al Consiglio di Stato. Per poter pervenire alla decisione il Consiglio di Stato si era rivolto alla Corte di Giustizia alla luce del novum costituito da un provvedimento della Procura tedesca di Braunschweig che, già nel 2018, in corso di giudizio di primo grado, aveva condannato la VWAG alla sanzione di un miliardo di euro e che il “Tar non aveva ritenuto di valutare ai fini del ne bis in idem europeo”.
La Procura tedesca con decisione del 13 giugno 2018 aveva infatti irrogato alla VWAG una sanzione pecuniaria di 1 miliardo di euro, all’esito di un procedimento avente ad oggetto la manipolazione dei gas di scarico di taluni motori diesel del gruppo Volkswagen, rispetto ai quali dalle indagini era emerso che le norme in materia di emissioni erano state aggirate. La decisione precisava che una parte dell’importo, corrispondente alla somma di 5 milioni di euro, sanzionava la condotta oggetto della decisione e che il resto dell’importo era destinato a privare la VWAG dei benefici economici che aveva tratto dall’installazione del software. La decisione acquisiva la definitività per mancata impugnazione della società che effettuava il pagamento della sanzione. Non avendo il Tar inteso recepire gli effetti del provvedimento sul piano del ne bis in idem, veniva adito il Consiglio di Stato il quale, al quesito sulla sussistenza del ne bis in idem, decideva di rivolgersi alla Corte di giustizia con questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE in punto di trattamento del doppio binario sanzionatorio[4].
Le questioni poste alla CG riguardavano in particolare: «a) se le sanzioni irrogate in tema di pratiche commerciali scorrette, ai sensi della normativa interna attuativa della direttiva 2005/29/Ce, siano qualificabili alla stregua di sanzioni amministrative di natura penale; b) se l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea vada interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che consente di confermare in sede processuale e rendere definitiva una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona giuridica per condotte illecite che integrano pratiche commerciali scorrette, per le quali nel frattempo è stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico in uno stato membro diverso, laddove la seconda condanna sia divenuta definitiva anteriormente al passaggio in giudicato dell’impugnativa giurisdizionale della prima sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale».
La risposta ai quesiti da parte della Corte di Giustizia (CG 14.9.2023, C-27/22)[5] ha nel contempo offerto i criteri al Giudice del rinvio per la valutazione della natura penale dei procedimenti e delle sanzioni, richiamando l’interpretazione giurisprudenziale in punto di qualificazione giuridica dell’illecito, di natura medesima dell’illecito e di grado di severità della sanzione[6]. La Corte ha poi precisato l’applicabilità dell’art. 50 CDFUE a procedimenti e sanzioni «che debbano considerarsi come aventi natura penale», ritenendo che la sanzione di 5 milioni di euro «presenti un elevato grado di severità che può corroborare l’analisi secondo cui tale sanzione è di natura penale ai sensi dell’art.50».[7]
La Corte ha ammesso inoltre che, «se è vero che l’applicazione del principio del ne bis in idem presuppone l’esistenza di una precedente decisione definitiva, da ciò non consegue necessariamente che le decisioni successive alle quali osta detto principio possano essere solo quelle adottate dopo tale precedente decisione definitiva. Infatti, tale principio esclude che, qualora esista una decisione definitiva, possa essere avviato o proseguito un procedimento penale per gli stessi fatti… » (punto 59). Inoltre, «il principio del ne bis in idem sancito dall’articolo 50 della Carta si applica dal momento in cui una decisione di natura penale è divenuta definitiva, indipendentemente dal modo in cui tale decisione abbia acquisito carattere definitivo» (punto 61).
Circa l’identità dei fatti, la Corte ha affermato di poter fornire precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua interpretazione [8].
Al riguardo, senza voler approfondire gli specifici profili affrontati, sembra che la Corte dubiti dell’idem factum in relazione, da un lato, «alla negligenza nella supervisione delle attività organizzative in Germania, oggetto della decisione tedesca, distinta dalla commercializzazione in Italia dei veicoli muniti di un impianto di manipolazione vietato». Inoltre, viene evocato un precedente giurisprudenziale con riguardo a condotte che – come si riterrebbe avvenuto nel caso di specie – vengano soltanto richiamate da una delle pronunce, ma non espressamente sanzionate (CG 22marzo 2022, Nordzucker C-151/20)[9].
Gli spunti per il Giudice del rinvio si evidenziano poi sui rilievi circa la ammissibilità del cumulo di sanzioni in relazione al fatto di non costituire un onere eccessivo per l’interessato, di essere prevedibile sulla base di norme chiare e precise e di essere i procedimenti stati condotti in modo sufficientemente coordinato e ravvicinato nel tempo. La sentenza si chiude dunque nei termini consueti [10].
2. Il Consiglio di Stato, prendendo atto delle affermazioni relative all’art. 50 e al grado di severità riconosciuto alla sanzione applicata, accetta l’interpretazione della ‘definitività anticipata’ del provvedimento tedesco pur osservando «come sia innegabile che nella sistematica della Corte di Giustizia, l’individuazione di quale decisione possa essere (o diventare) ‘bis’, finisce per essere una variabile ogni volta dipendente, in qualche misura, anche dalla scelte processuali di parte» (punto 16.3).
La sentenza nega poi l’identità sul piano soggettivo osservando come il procedimento svoltosi in Germania abbia coinvolto solo VWA.G. «e non anche Volkswagen Group Italia spa”, “soggetto giuridicamente distinto dalla controllante». Allo stesso modo, sul piano oggettivo, la sentenza nega l’identità di oggetto dell’accertamento della Procura tedesca con i fatti verificati da AGCM.[11].
Tralasciando il punto, peraltro di rilievo, che sembra ravvisare la non riconducibilità della violazione del diritto tedesco (art. 130.1 OWiG) al diritto dell’Unione (punto 24.4), una parte non marginale, anzi a suo modo centrale, della pronuncia, riguarda l’analisi dei poteri sanzionatori in sede di public enforcement. Esaminando le disposizioni del Codice del consumo applicate nel caso di specie, viene rilevato come dall’elenco dei singoli possibili interventi dell’Autorità in sede di accertamento delle pratiche commerciali scorrette, emerge che «tali poteri non sfociano in un provvedimento di natura ‘sostanzialmente penale’ e, quindi, risultano estranei all’ambito di applicazione del diritto sanzionatorio europeo, ivi compreso il principio del ne bis in idem» (punto 18.4). Così che, secondo il Consiglio di Stato, le parti del provvedimento «che costituiscono esercizio dei poteri sopra indicati»[12] non potranno essere invalidate dalla applicazione del ne bis in idem soprattutto a fronte di un provvedimento – l’ordinanza della Procura tedesca – che divenga definitivo prima del provvedimento dell’Autorità interna [13].
Il Consiglio si riferisce ovviamente alla parte del provvedimento del 2016 in cui l’Autorità antitrust, nel riconoscere la pratica commerciale scorretta sanzionata in solido alle società per la somma di 5 milioni «(e) ne vieta la diffusione o la continuazione» secondo quanto prevede l’art. 27 comma 8 Codice consumo[14].
Al di là della condivisibilità o meno della tesi circa il carattere non sanzionatorio del divieto a integrazione della sanzione pecuniaria [15], non risulta chiara nell’immediato l’affermazione per cui il procedimento avviato dalla Autorità «non è soltanto sanzionatorio, ma eventualmente sanzionatorio, con la conseguenza che la preclusione derivante dal divieto non potrà interessare procedimenti che non sono (più) finalizzati alla applicazione di una sanzione proprio perché preclusa» (punto 18.4.1). In sostanza, l’azzeramento del cumulo di sanzioni per effetto del ne bis in idem priverebbe l’Autorità dei poteri di veto rientranti tra le attribuzioni in sede di accertamento/istruttoria
La particolarità della vicenda segnata dalla distonia temporale dei provvedimenti e dei procedimenti, italiano e tedesco, ha sicuramente segnato gli esiti interpretativi. Ciò non toglie tuttavia che in un’ottica europea di esegesi delle potenzialità del principio si potesse approfondire la natura della previsione sul divieto di diffusione e continuazione (art. 27 comma 9 Codice consumo). La stessa Corte di giustizia nel richiamare «il divieto di proseguire o ripetere le pratiche in questione» di cui all’art. 27 c. 9, lo correla alla sanzione pecuniaria, affermando che quest’ultima si «aggiunge obbligatoriamente alle altre misure», tra cui il divieto menzionato, in una sorta di unicum. Da qui sembrerebbe emergere una valutazione circa la omologia sanzionatoria delle misure. Inoltre, la Corte di Giustizia riconduce di fatto al concetto di sanzione la misura che persegua una finalità repressiva contestualmente a una finalità preventiva: «infatti fa parte della natura stessa delle sanzioni penali l’essere volte tanto alla prevenzione quanto alla repressione di condotte illecite»[16].
Il Consiglio di stato, in una sottolineata e ribadita logica, imposta dai principi unionali e costituzionali in ordine alla massima tutela dovuta al consumatore, ritiene di escludere la valenza sanzionatoria/penale dei divieti imposti in sede di pratiche scorrette, temendo di pregiudicarne la ‘estensione eventuale’. Che potrebbe essere intesa nel senso che a fronte di una violazione del divieto di diffusione o continuazione imposto nel provvedimento, l’Autorità non potrebbe comunque intervenire essendo bloccata da un ne bis in idem che potrebbe coprire o limitare un potere sanzionatorio eventuale/successivo. Il che peraltro toglie effettività al principio di fondo e ammette una duplicazione in idem nonostante la caratterizzazione in senso penale della sanzione pecuniaria.
In realtà ammettere la operatività del ne bis in idem nel caso di specie considerando la centralità del valore dissuasivo della sanzione pecuniaria nel suo elevato ammontare, consentirebbe di non sacrificare il principio e nel contempo di non impedire l’operare di poteri eventuali, correlati magari a violazioni dei divieti correlati alla sanzione primaria. Si tratterebbe ad esempio di condotte riconducibili a fattispecie distinte e diverse, sanzionabili separatamente, come del resto può accadere in caso di inottemperanza alle sanzioni accessorie penali (art. 389 c.p.) o alle sanzioni interdittive per gli enti (art. 23 d.lgs. n.231/2001) [17]. Del resto, quando la Corte costituzionale ha sancito la illegittimità del doppio processo in materia di diritto d’autore, ha affermato che «il ne bis in idem non si oppone…alla possibilità che l’imputato sia sottoposto, in esito a un medesimo procedimento, a due o più sanzioni distinte per il medesimo fatto (ad esempio, a pene detentive, pecuniarie e interdittive), ferma la diversa garanzia rappresentata dalla proporzionalità della pena»[18], ha sottinteso che nel diverso procedimento in idem questa stessa garanzia deve operare in quanto, fondata su basi giuridiche fondamentali sancite dagli artt. 3 e 27 Cost. a livello interno, e dall’art. 49, paragrafo 3, CDFUE a livello unionale.
In sostanza, il cumulo sanzionatorio dovrebbe ugualmente essere oggetto del vaglio di proporzionalità quali che siano al suo interno le singole componenti, se pure di vario segno[19], tenuto conto non solo delle specifiche finalità repressive e preventive in ambito antitrust e dei relativi effetti dell’accertamento, ma in particolare della valenza penale che lo stesso procedimento ‘ricevente’ assume quando la sanzione viene ricondotta alla matière pénale [20]. A fronte di casi in cui la dissuasività della misura non penale ne ha segnato la caratterizzazione in termini penalistici estesi alla sede processuale della sua applicazione, così da rendere operativi criteri tipici quali ad esempio ‘lo standard probatorio del ragionevole dubbio’ [21] o l’ammissibilità dell’archiviazione [22] o almeno il richiamo alle categorie processualpenalistiche del giudicato [23], la negazione del ne bis in idem solo in ragione di un potere sanzionatorio ‘eventuale’, sembra contrastare con la logica, non solo europea, della tutela di un diritto fondamentale.
[1] Consiglio di Stato 22 marzo 2024 n. 2791/2024.
[2] Si tratta di uno dei primi casi «in cui l’algoritmo costituisce di per sé stesso una fonte di prova, come è accaduto – ad esempio – nel cosiddetto “Dieselgate”» (da AA.VV., Intelligenza artificiale e processo penale. Indagini, prove, giudizio, a cura di G. Di Paolo e L. Pressacco, che richiama F. Palmiotto, The Black Box on Trial: The Impact of Algorithmic Opacity on Fair Trial Rights in Criminal Proceedings, in M. Ebers, M. Cantero Gamito (a cura di), Algorithmic Governance and Governanceof Algorithms. Legal and Ethical Challenges, Cham, 2021, p. 52. L’accusa mossa nei confronti di alcuni dirigenti del gruppo Volkswagen era proprio quella di aver installato illegalmente negli autoveicoli un software progettato per aggirare le normative ambientali sulle emissioni inquinanti da gasolio.
[3] Per una sintesi della vicenda prima della sentenza del Consiglio di Stato, C. Bovino, Dieselgate, No alla multa dell’Antistrust italiana: viola il principio del ne bis in idem, in Altalex.com, 2 ottobre 2023.
[4] Per la analitica e approfondita analisi del tema, A. Tripodi, Ne bis in idem e doppi binari sanzionatori, Torino, 2022, passim. V., inoltre, A. Procaccino, I bis in idem tra diritti individuali e discrezionalità dell’apparato, Il doppio processo come pena, Padova, 2022, p. 264 ss.,
[5] Per un primo commento, M. Baldari, La CGUE ribadisce la necessità del “coordinamento” tra i procedimenti ai fini della deroga al ne bis in idem anche per le sanzioni sostanzialmente penali (Nota a CGUE, sentenza 14 settembre 2023, causa C-27/22), in giustiziainsieme.it, 10 gennaio 2024
[6] CG 4/5/2023, MV C-97/21.
[7] Sulla natura sostanzialmente penale della responsabilità per violazioni delle norme sulla concorrenza, cfr. Corte EDU, sent. 27 settembre 2011, Menarini-Diagnostics s.r.l. c. Italia.
[8] Sul vincolo discendente da una pronuncia della Corte di Giustizia, Cons. Stato, sez. IV, 20 novembre 2023, n. 9933: qualora la Corte di Giustizia, nel decidere le questioni pregiudiziali prospettate dal giudice a quo, formuli un determinato principio di diritto, spetta pur sempre al giudice a quo stesso l’applicazione di tale principio al caso concreto, se necessario considerando e valorizzando aspetti non presi in considerazione dalla Corte di giustizia; sicché la decisione di quest’ultima non determina, automaticamente, l’esito del giudizio a quo”. In tema, A. Bernardi, Il rinvio pregiudiziale in ambito penale e i problemi posti dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia, in Dir. pen. cont. - Riv. Trim., n.1/2023, p. 172.
[9] Secondo la Corte, «in secondo luogo, nei limiti in cui la decisione tedesca riguarda la commercializzazione di veicoli muniti di un siffatto impianto di manipolazione vietato, anche in Italia, nonché la diffusione di messaggi pubblicitari scorretti relativi alle vendite di tali veicoli, occorre ricordare che la mera circostanza che un’autorità di uno Stato membro menzioni, in una decisione che constata un’infrazione al diritto dell’Unione nonché alle corrispondenti disposizioni del diritto di tale Stato membro, un elemento di fatto che riguarda il territorio di un altro Stato membro non può essere sufficiente per ritenere che tale elemento di fatto sia all’origine del procedimento o sia stato considerato da tale autorità tra gli elementi costitutivi di tale infrazione. Occorre ancora verificare se detta autorità si sia effettivamente pronunciata su detto elemento di fatto al fine di accertare l’infrazione, dimostrare la responsabilità della persona perseguita per tale infrazione e, se del caso, infliggerle una sanzione, di modo che detta infrazione debba essere considerata come estesa al territorio di tale altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 22 marzo 2022, Nordzucker e C-151/20, EU:C:2022:203, punto 44)». In tema, P. Van Cleynenbreugel, Bpost and Nordzucker: searching for the essence of ne bis in idem in European Union Law, in Eur.Const.L.Rev. 2022, 357; M. Cappai e G. Colangelo, La Grande Sezione della Corte di giustizia elabora (5nalmente) un test unico per il ne bis in idem, in Giustiziainsieme.it, 13 aprile 2022; M. Messina, Il ne bis in idem nel diritto europeo della concorrenza: segnali di uniformità applicativa nell’Unione?, in Ne bis in idem: origini ed evoluzione del principio a livello interno e internazionale, www.rivistaoidu.net, suppl. a n. 3/2023 .
[10]«1. L’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che una sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla normativa nazionale, irrogata a una società dall’autorità nazionale competente in materia di tutela dei consumatori per pratiche commerciali sleali, benché sia qualificata come sanzione amministrativa dalla normativa nazionale, costituisce una sanzione penale, ai sensi di tale disposizione, quando persegue una finalità repressiva e presenta un elevato grado di severità. 2. Il principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che consente il mantenimento di una sanzione pecuniaria di natura penale irrogata a una persona giuridica per pratiche commerciali sleali nel caso in cui tale persona abbia riportato una condanna penale per gli stessi fatti in un altro Stato membro, anche se detta condanna è successiva alla data della decisione che irroga tale sanzione pecuniaria ma è divenuta definitiva prima che la sentenza sul ricorso giurisdizionale proposto avverso tale decisione sia passata in giudicato. 3. L’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso autorizza la limitazione dell’applicazione del principio del ne bis in idem, sancito all’articolo 50 di tale Carta, in modo da consentire un cumulo di procedimenti o di sanzioni per gli stessi fatti, purché le condizioni previste all’articolo 52, paragrafo 1, di detta Carta, come precisate dalla giurisprudenza, siano soddisfatte, vale a dire qualora, in primo luogo, tale cumulo non rappresenti un onere eccessivo per l’interessato, in secondo luogo, esistano norme chiare e precise che consentano di prevedere quali atti e omissioni possano essere oggetto di cumulo e, in terzo luogo, i procedimenti di cui trattasi siano stati condotti in modo sufficientemente coordinato e ravvicinato nel tempo».
[11] Sul ruolo del Consiglio di Stato, F. Goisis, Il concetto di full jurisdiction e il sindacato giurisdizionale sulle sanzioni amministrative nella giurisprudenza della Corte EDU e della Corte Europea di giustizia. Recenti conferme e sviluppi, in giustiziainsieme.it, 14 luglio 2023.
[12] Si tratta dei ‘poteri’ di cui all’art. 27 Codice consumo tra i quali: i) l’accertamento (che è l’attività conoscitiva necessaria per ogni misura prevista da tale disposizione); ii) l’inibizione e la rimozione degli effetti (comma 2), iii) la sospensione provvisoria della pratica commerciale scorretta (comma 3); iv) l’ordine, anche in via cautelare, ai fornitori di servizi di connettività alle reti internet, ai gestori di altre reti telematiche o di telecomunicazione nonché agli operatori che in relazione ad esse forniscono servizi telematici o di telecomunicazione di rimuovere di iniziative o attività destinate ai consumatori italiani e diffuse attraverso le reti telematiche o di tele-comunicazione che integrano gli estremi di una pratica commerciale scorretta (comma 3-bis); v) l’ordine di fornire prove sull’esattezza dei dati di fatto; vi) l’ottenimento di un impegno a porre fine all’infrazione, cessando la diffusione della stessa o modificandola in modo da eliminare i profili di illegittimità (comma 7); vii) il divieto di diffusione o continuazione (comma 9) (punto 18.3). Sulla natura dei poteri di AGCM, G. Pallotta, La natura quasi-giudiziale della funzione sanzionatoria dell’AGCM, in ildirittoamministrativo.it, n.5, maggio 2024
[13] Per una sintesi, G. Pernice, Estranei al principio i provvedimenti derivanti da azioni non sanzionatorie, in NT+Diritto n. 18, 2 maggio 2024.
[14] Il testo della Delibera, liberamente consultabile nel sito AGCM, è il seguente: «L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, 4 agosto 2016, delibera: a) che la pratica commerciale descritta al punto II, lettera A), del presente provvedimento, posta in essere dalle società Volkswagen Group Italia S.p.A. e Volkswagen AG, costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, comma 2, 21 comma 1, lettera b), e 23, comma 1, lettera d), del Codice del Consumo, e ne vieta la diffusione o continuazione; b) di irrogare in solido alle società Volkswagen Group Italia S.p.A. e Volkswagen AG una sanzione amministrativa pecuniaria di 5.000.000 € (cinquemilioni di euro)».
[15] Per il caso in cui a un contribuente vengano inflitte, per una medesima violazione di un obbligo fiscale e al termine di procedimenti distinti e autonomi, una misura sanzionatoria pecuniaria e una misura di apposizione di sigilli a un locale commerciale, misure, queste, impugnabili dinanzi a organi giurisdizionali diversi, CG 4 maggio 2023, C-97/21 secondo cui l’art. 50 Carta va interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale a un contribuente possono essere inflitte, per una medesima violazione di un obbligo fiscale e al termine di procedimenti distinti e autonomi, una misura sanzionatoria pecuniaria e una misura di apposizione di sigilli a un locale commerciale, misure, queste, impugnabili dinanzi a organi giurisdizionali diversi, nei limiti in cui detta normativa non garantisce un coordinamento dei procedimenti che consenta di ridurre a quanto strettamente necessario l’onere supplementare che il cumulo di dette misure comporta e non consente di garantire che la severità del complesso delle sanzioni inflitte corrisponda alla gravità della violazione interessata.
[16] Le stesse affermazioni si rinvengono nelle Conclusioni dell’Avvocato generale del 30 marzo 2023 (Causa C-27/22) che richiama in particolare, CG Garlsson Real Estate del 20 marzo 2018, C‑537/16 (punto 49).
[17] Per quanto riguarda nello specifico l’eventuale violazione del divieto di diffusione o continuazione, v. il raccordo tra l’art. 27 comma 8 («L’Autorità, se ritiene la pratica commerciale scorretta, vieta la diffusione, qualora non ancora portata a conoscenza del pubblico, o la continuazione, qualora la pratica sia già iniziata) e l’art. 27 comma 12 2. In caso di inottemperanza ai provvedimenti d'urgenza e a quelli inibitori o di rimozione degli effetti di cui ai commi 3, 8 e 10 ed in caso di mancato rispetto degli impegni assunti ai sensi del comma 7, l'Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 10.000.000 euro, anche tenuto conto delle condizioni economiche e patrimoniali del professionista. Nei casi di reiterata inottemperanza l'Autorità può disporre la sospensione dell'attività d'impresa per un periodo non superiore a trenta giorni”) e l’art. 27 comma 12 (“In caso di inottemperanza ai provvedimenti d'urgenza e a quelli inibitori o di rimozione degli effetti di cui ai commi 3, 8 e 10 ed in caso di mancato rispetto degli impegni assunti ai sensi del comma 7, l'Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 10.000.000 euro, anche tenuto conto delle condizioni economiche e patrimoniali del professionista. Nei casi di reiterata inottemperanza l'Autorità può disporre la sospensione dell’attività d'impresa per un periodo non superiore a trenta giorni»).
[18] Corte cost. n. 149 del 2022, su cui M. Scoletta, Uno più uno anche a Roma può fare due: la illegittimità del doppio binario punitivo in materia di diritto d’autore, in questa Rivista, 23 maggio 2022; N. Recchia, L’ennesima stagione del ne bis in idem nel costituzionalismo multilivello: la riaffermazione del suo ubi consistam processuale contro ogni riduzionismo sostanziale, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 4, 2022.
Sul tema della proporzionalità, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia 8 marzo 2022, C-205/20, NE, gli approfonditi rilievi di F. Viganò, La proporzionalità della pena tra diritto costituzionale italiano e diritto dell’Unione europea: sull’effetto diretto dell’art. 49, paragrafo 3, della Carta alla luce di una recentissima sentenza della Corte di giustizia, in questa Rivista, 26 aprile 2022.
[19] Per un caso francese di interpretazione dell’art. 50 CDFUE in materia di reati tributaria puniti con pene eterogenee, CG 5 maggio 2022, C-570/20.
[20] Si richiama il ‘trittico’ di sentenze della Corte di Giustizia (CG, Grande Sezione, 20.3.2028, C-524/15, Menci; C-537/16, Garlsson Real Estate c. Consob e C-597/16, Di puma e Zecca c. Consob, su cui A. F. Tripodi, Ne bis in idem, cit. Inoltre, CG, Grande Sezione, 22 marzo 2022, C-151/20, Nordzucker, secondo cui l’art. 50 2comprende…procedimenti e sanzioni che devono essere ritenuti di natura penale.
[21] Corte App. Milano, Sezione I civile, 6 luglio 2023, n.2776/2022, su cui T. Politi e R. Cucci, Insider trading e sanzioni Consob: ne bis in idem anche in caso di archiviazione e standard probatorio del ragionevole dubbio, in Giurisprudenza penale web, n. 9/2023. V., inoltre Consiglio Stato, Curatela fallimentare K. Srl c. AGCM, n. 3570/2022.
[22] Procura Trib. di Milano, 9 novembre 2022, su cui A.F. Tripodi, Archiviazione 231 per ne bis in idem. Quando la disciplina della responsabilità da reato degli enti ‘incrocia’ la garanzia europea, in Cass. pen., 2023, p. 981; M. Scoletta, Condotte riparatorie e ne bis in idem nella responsabilità delle persone giuridiche per illeciti tributari, in questa Rivista, 28 novembre 2022; G. Angiolini, Un’applicazione del ne bis in idem al procedimento ex d.lgs. n. 231 del 2001.Cambia ancora la fisionomia del principio?, in Arch.pen.web, n. 3/2023.
[23] Corte di Giustizia dell’Unione cause riunite Di Puma c. Consob e Zecca c. Consob (C-596/16 e C-597/16): la Corte di giustizia afferma che «l’obbligo, prescritto agli Stati membri dall'articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2003/6, di prevedere sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive ... non potrebbe portare a escludere l’autorità di cosa giudicata che una sentenza penale di assoluzione possiede in forza di una disposizione nazionale quale l'articolo 654 del CPP, nei confronti di un procedimento inteso all'irrogazione di una sanzione amministrativa vertente sui medesimi fatti di cui detta sentenza ha statuito che non risultano provati». Per il successivo passaggio, Corte di cassazione Sezione II civile, 6 dicembre 2018, n. 31632: in caso di sentenza penale di assoluzione divenuta irrevocabile prima della conclusione del giudizio amministrativo, sussiste il conseguente “pieno dispiegarsi del divieto di perseguire, che è logicamente anteriore al divieto di sanzionare”.