C. cost., sent. 20 dicembre 2022 (dep. 12 gennaio 2023), n. 2, Pres. Sciarra, Red. Zanon
*Contributo destinato alla pubblicazione sulò fascicolo 1/2023.
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1. Pubblichiamo – in attesa di ospitare più meditati commenti sul tema – la sentenza con cui la Consulta dichiara costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 15 della Costituzione, l’art. 3, comma 4, cod. antimafia, nella parte in cui consente al questore di vietare, in tutto o in parte, il possesso e l’utilizzo del telefono cellulare.
2. Questa Rivista aveva, a suo tempo, dato conto delle due ordinanze di rimessione[1] – sollevate rispettivamente dal Tribunale di Sassari e dalla Corte di cassazione, quinta sezione penale – che censuravano, sotto plurimi profili, la possibilità per il questore di vietare l’uso del telefono nell’ambito dei divieti e degli obblighi che caratterizzano il c.d. “avviso orale rafforzato”.
Rimandando a tale contributo [2] per una più compiuta disamina delle ordinanze introduttive dell’odierno giudizio di costituzionalità, basti qui rammentare:
3. La Corte costituzionale procede innanzi tutto a riunire i giudizi e ad identificare quale oggetto delle censure, largamente coincidenti, dei giudici rimettenti unicamente il potere del questore di vietare possesso e uso di apparati di comunicazione radiotrasmittente, con esclusione dunque degli altri mezzi e strumenti elencati dall’art. 3, comma 4, cod. antimafia.
4. La Consulta si occupa, in secondo luogo, di verificare se l’interpretazione della locuzione «qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente» includa i telefoni mobili o cellulari e se tale interpretazione sia così consolidata da costituire diritto vivente, come presupposto dai ricorrenti.
La Corte evidenzia, in particolar modo, come la legge 128 del 2001, che ha introdotto la locuzione suddetta, collochi gli apparati di comunicazione radiotrasmittente in un catalogo di strumenti – radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi – di uso non comune e, anzi, quasi eccezionale. «Un’interpretazione più coerente con tale contesto normativo e con la ratio legis» – osservano i giudici costituzionali – «avrebbe potuto allora suggerire che gli specifici apparati di comunicazione radiotrasmittente oggetto di divieto del questore possono essere soltanto quelli, anch’essi di uso non comune, univocamente e abitualmente destinati ad un determinato scopo criminoso, e tali anche da evidenziare una specifica volontà di usare la tecnologia per danneggiare le indagini di polizia o sfuggire ai relativi controlli». Né pare implausibile sostenere – pur in presenza di una certa ambiguità da parte dei lavori preparatori della legge 128 del 2001 – che già al momento dell’introduzione del divieto il «significato di senso comune» evocato dall’espressione apparato di comunicazione radiotrasmittente fosse atta a evocare apparecchi ben diversi dai telefoni mobili, già dotati di una certa diffusione.
Non può negarsi, tuttavia, che la giurisprudenza di legittimità abbia percorso una strada diversa e che, almeno dal 2009[3], essa abbia prescelto una lettura della norma certamente ricomprendente il telefono cellulare. La premessa interpretativa da cui muovono le ordinanze di rimessione è, dunque, corretta e la Corte ne prende atto, vagliando la legittimità costituzionale della disposizione, nell’interpretazione fornitane dal diritto vivente.
5. Assunto che l’art. 3 comma 4, cod. antimafia, nella parte in cui si riferisce a «qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente» consenta al questore di vietare il possesso e l’uso del telefono cellulare, la Consulta ritiene che tale previsione sia costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 15 Cost., statuente – com’è noto – che «la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria».
5.1. La Corte costituzionale – dopo aver riconosciuto che la garanzia di cui all’art. 15 si estende ad ogni forma di comunicazione, potendosi applicare ai nuovi mezzi e alle nuove forme della comunicazione riservata, ulteriori rispetto alla corrispondenza, emersi nel corso del tempo – si sofferma sul rapporto esistente fra regole relative al mezzo adoperato per comunicare e disciplina del diritto fondamentale.
Se, di regola, può dirsi che le limitazioni relative all’uso di un determinato mezzo o strumento non necessariamente si convertono in restrizioni al diritto fondamentale soddisfatto tramite l’impiego dello strumento medesimo, sostiene la Corte, «esiste tuttavia un limite, superato il quale la disciplina che incide sul mezzo – in ragione del particolare rilievo che questo riveste a livello relazionale e sociale – finisce per penetrare all’interno del nucleo essenziale del diritto, determinando evidenti ricadute restrittive sulla libertà tutelata dalla Costituzione». Proprio sul particolare rilievo del telefono cellulare e sull’«universale diffusione attuale di questo strumento, in ogni ambito della vita lavorativa, familiare e personale» la Consulta si concentra, per affermare che un divieto incidente su tale mezzo si traduce, di fatto, in una incisiva limitazione della libertà di comunicare. Non ha pregio, ed anzi, «rivelerebbe […] un senso d’irrealtà» l’obiezione che tale libertà ben potrebbe essere soddisfatta con mezzi diversi, quali gli apparati di telefonia fissa.
5.2. La Consulta, insomma, riconosce senza infingimenti che il ruolo svolto dal telefono mobile è, nel contesto attuale, praticamente insostituibile e che il divieto dell’uso di tale mezzo costituisce, pertanto, una compressione del nucleo essenziale della libertà protetta dall’art. 15.
Le esigenze di prevenzione dei reati – continuano i giudici – possono ben giustificare misure restrittive della libertà di comunicazione anche incisive, ma ciò non può che avvenire nel rispetto della garanzia costituzionale, che descrive la comunicazione come inviolabile e che ammette una compressione del nucleo fondamentale di tale libertà solo a fronte della necessità di soddisfare un interesse pubblico costituzionalmente rilevante e a patto che sia osservata la duplice garanzia della riserva assoluta di legge e dell’imposizione della misura con atto motivato dell’autorità giudiziaria[4].
5.3. Tali requisiti non sono, all’evidenza, rispettati dalla disciplina oggetto di scrutinio, che deve pertanto ritenersi costituzionalmente illegittima.
L’art. 3 comma 4, cod. antimafia consente di vietare l’uso del telefono non già con atto motivato dell’autorità giudiziaria, bensì direttamente dall’autorità amministrativa. Al questore è, infatti, attribuito un potere autonomo e discrezionale, neppure assistito dalla necessità di una comunicazione successiva all’autorità giudiziaria.
La Consulta sottolinea – anche con riferimento ai precedenti in materia di misure di prevenzione restrittive della libertà personale[5] – il significato sostanziale e non meramente formale dell’intervento dell’autorità giudiziaria, in quanto «associato alla garanzia del contraddittorio, alla possibile contestazione dei presupposti applicativi della misura, della sua eccessività e sproporzione, e [che], in ultima analisi, consente il pieno dispiegarsi allo stesso diritto di difesa». Né tali fondamentali requisiti del provvedimento che dispone la misura limitativa della libertà possono essere “recuperati” nel successivo ed eventuale procedimento di opposizione alla revoca della misura di fronte al Tribunale in composizione monocratica: «quel che conta, ai fini del rispetto della riserva di giurisdizione costituzionalmente imposta» statuisce la Corte «è la titolarità del potere di decidere, direttamente e definitivamente, la misura stessa».
5.4. All’esito della pronuncia della Corte costituzionale, dunque, al questore potrà continuare a spettare il potere di proporre che a un determinato soggetto sia imposto il divieto di possedere o utilizzare un telefono cellulare – come prevede, ad esempio, l’art. 5, comma 1, cod. antimafia – ma egli non potrà autonomamente adottare il relativo provvedimento. Spetterà al legislatore, qualora lo ritenesse opportuno, intervenire a prevedere per legge un nuovo meccanismo che consenta di adottare un tale provvedimento nei confronti dei soggetti di cui all’art. 3, comma 4, cod. antimafia, nel rispetto dell’art. 15 Cost. e, dunque, con il diretto coinvolgimento dell’autorità giudiziaria.
6. Le ulteriori questioni – diverse da quelle concernenti il parametro di cui all’art. 15 Cost. – sono ritenute dalla Corte assorbite, venuto meno il potere di decisione spettante al questore.
[1] Tribunale di Sassari, ordinanza 11 marzo 2021, in Gazzetta ufficiale, prima serie speciale, n. 43 del 2021; Corte di cassazione, sez. V, ordinanza 16 dicembre 2021, in Gazzetta ufficiale, prima serie speciale, n. 26 del 2022.
[2] E. Zuffada, I divieti connessi alla misura questorile dell’avviso orale al vaglio della Corte costituzionale: verso una nuova censura del sistema ante delictum?, in questa Rivista, 3 febbraio 2022.
[3] Cfr. la ricostruzione della giurisprudenza di legittimità operata al par. 7 del Considerato in diritto.
[4] Sono citati i precedenti costituiti dalle sentenze nn. 366 del 1991e 81 del 1993.
[5] Soprattutto con riferimento alle sentenze nn. 11 del 1956, 419 del 1994 e 177 del 1980.