1. Introduzione: ragionevoli correttivi frutto del monitoraggio. – Nelle Commissioni Giustizia di Camera e Senato si sta esaminando l’atto del Governo n. 102, contenente lo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134.
Sul piano metodologico, va considerato con favore che il Governo abbia adottato dei correttivi al d.lgs. n. 150/2022, così come previsto dall’art. 1, comma 4, della stessa l. 134/2021: in effetti, si tratta di uno schema di decreto che tiene conto dell’esperienza applicativa maturata e, in particolare, come riconosce la stessa relazione di accompagnamento, «dei contributi provenienti dal mondo accademico, dall’avvocatura e dalla magistratura, che hanno segnalato profili problematici emersi in sede di applicazione della normativa»[1].
In effetti, si interviene anzitutto su norme che hanno generato problemi applicativi: un esempio paradigmatico è quello della rettifica del nuovo art. 420-quater c.p.p. in relazione all’udienza fissa di prosecuzione del giudizio in assenza. Il riferimento al primo giorno non festivo del mese di settembre ha generato perplessità nella prassi, posto che si tratta di una giornata che ricade nel periodo di sospensione feriale; opportunamente, dunque, l’art. 2, comma 1, lett. f) dello schema di decreto in esame prevede la prosecuzione nel primo giorno non festivo del mese di ottobre.
Analogo tenore ha l’intervento sull’art. 656 c.p.p.: nella prassi, la possibilità per il giudice dell’esecuzione di applicare d’ufficio la nuova attenuante prevista dall’art. 442, comma 2-bis, c.p.p. aveva suscitato (comprensibilmente) alcune perplessità alla luce dei principi generali. A ragione, dunque, l’art. 2, comma 1, lett. dd) del testo in esame introduce un comma 3-bis, che prevede espressamente che il giudice dell’esecuzione «procede d’ufficio prima della trasmissione dell’estratto del provvedimento divenuto irrevocabile».
Infine, vi erano norme frutto di refusi dettati evidentemente dalla fretta del legislatore delegato: si pensi alla previsione – contenuta nell’art. 408 c.p.p. – dell’avvertimento all’indagato circa la facoltà di accedere alla giustizia riparativa in sede di archiviazione. Sin dalla lettura a caldo[2] avevamo rilevato che – siccome, come noto, non è previsto alcun avviso all’indagato in caso di archiviazione – la norma fosse frutto di un vero e proprio refuso: ciò che è stato riconosciuto dalla stessa relazione di accompagnamento[3] e, quindi, assai ragionevolmente lo schema di decreto correttivo ha espunto il riferimento all’indagato dall’art. 408, comma 3, c.p.p. lasciando il solo onere informativo a favore della persona offesa.
Si tratta solo di alcuni tra i tantissimi esempi di modifiche, magari di dettaglio, ma opportune per risolvere aporie o difficoltà interpretative. È un metodo corretto basato sul monitoraggio che avrebbe dovuto essere applicato anche in altre circostanze: insomma, si sarebbe dovuto attendere i risultati dell’applicazione pratica anche di altri istituti prima di intervenire per abrogarli (penso in particolare all’improcedibilità, che stava dando risultati eccezionali per quel che riguarda l’abbattimento del disposition time in appello[4]). In questo caso, non si può che salutare positivamente questo schema di decreto legislativo, che ha davvero natura correttiva: l’impianto della riforma operata con il d.lgs. 150/2022 viene rispettato – e, d’altra parte, i criteri direttivi sono i medesimi – e si introducono modifiche a molte disposizioni, ma dall’impatto tendenzialmente limitato.
2. Alcuni profili critici nelle proposte di correttivi. – A fronte delle tantissime disposizioni toccate, si svolgeranno alcune considerazioni principalmente sulle modifiche che interessano le norme processuali e sollevano alcuni profili critici.
2.1. Un’occasione perduta: la riscrittura dei meccanismi di sblocco della stasi. – Uno degli interventi più significativi rispetto all’impianto del d.lgs. 150/2022 è rappresentato dalla modifica del sistema di sblocco della stasi al termine delle indagini preliminari[5]. Va riconosciuto che si tratta senza alcun dubbio di uno dei meccanismi riusciti peggio dell’intera riforma[6]. Com’è stato efficacemente scritto, la disciplina introdotta con la riforma Cartabia appare «verbosa, kitsch, complicatissima, ricca d’adempimenti oziosi, ingolfata da termini d’ogni lunghezza, tutti ordinatori, votata all’ineffettività ed anzi destinata a produrre ulteriori rallentamenti; per finire, dissonante dalla legge delega: quest’ultima puntava, assai chiaramente, sul giudice per le indagini preliminari (art. 1 comma 9 lettera g l. 27 settembre 2021, n. 134); il decreto lgs. N. 150 puntava, altrettanto chiaramente, sul procuratore generale (artt. 412, 415 bis, commi 5 bis e 5 ter, 415 ter comma 2 e 4, 127 disp. att.): due idee inconciliabili»[7].
Alla luce di tale valutazione appare certamente positiva la riscrittura che semplifica, almeno apparentemente, la disciplina: in particolare, risulta condivisibile l’alleggerimento dell’art. 415-bis c.p.p.[8], che era divenuto una sorta di norma omnibus. Se a tale disposizione viene affidata la disciplina della fisiologia della chiusura delle indagini, le ipotesi patologiche trovano regolamentazione e rimedi nel solo art. 415-ter, che viene integralmente riscritto. Giova anticipare che anche l’attribuzione al giudice per le indagini preliminari, in luogo del procuratore generale, dell’autorizzazione alla proroga del deposito degli atti va salutata positivamente.
A fronte di queste novità positive residuano però problemi e aporie.
a) Il primo è rappresentato dal richiamo contenuto nel secondo comma del nuovo art. 415-ter ai termini di cui all’art. 407-bis, comma 2. Non si comprende la ratio di questo richiamo posto che, nella fisiologia del sistema, il pubblico ministero deve disporre la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari entro il termine delle indagini preliminari (art. 415-bis, comma 1, c.p.p.). Il che ha un senso posto che, una volta concluse le indagini, per un verso, la difesa ha diritto alla discovery e, per altro verso, è interesse del sistema che la riflessione sulla scelta effettiva di esercitare l’azione penale avvenga anche alla luce del contributo offerto dall’indagato ed eventualmente dalla persona offesa. Per di più, il risultato concreto del rinvio all’art. 407-bis, comma 2, c.p.p. in luogo dell’art. 405, comma 2, c.p.p. è quello di ingenerare un ulteriore ritardo della discovery pari a 9 mesi: se in forza dell’attuale art. 415-bis, comma 5-bis, c.p.p. il pubblico ministero è onerato di richiedere al procuratore generale il differimento entro la scadenza del termine delle indagini, secondo la nuova formulazione la richiesta andrebbe avanzata al giudice per le indagini preliminari soltanto alla scadenza del periodo di riflessione. Il che non ha alcun senso in un’ottica di ragionevole durata del procedimento penale: si finisce per aggiungere un ulteriore tempo morto – non si potranno infatti svolgere indagini visto che l’art. 407, comma 3, c.p.p. rimane invariato – che non ha alcuna giustificazione. In forza di questa modifica, almeno per i reati di cui all’art. 407, comma 2, si potrebbe arrivare all’abnormità di un’arcata temporale di 33 mesi prima che il pubblico ministero sia costretto a scoprire le sue carte: 24 mesi di indagini (artt. 407, comma 2, e 415-bis, comma 1, c.p.p.), più 9 mesi di riflessione (art. 407-bis, comma 2, c.p.p.). Poi, in caso di differimento, questo periodo già abnorme si allungherebbe ancora di 12 mesi, per giungere a una gittata temporale di ben 45 mesi: un periodo di tutta evidenza irragionevole se si considera che è superiore al limite di 36 mesi posto dalla legge Pinto come metro per la durata dell’intero processo di primo grado.
Si propone allora di introdurre, nell’art. 415-ter, c.p.p. un richiamo non al termine di cui all’art. 407-bis, ma a quello dell’art. 405, comma 2, c.p.p.: insomma, la richiesta di differimento dovrebbe essere avanzata dal pubblico ministero prima della scadenza del termine delle indagini e non di quello di riflessione.
b) Il secondo problema è costituito da un potenziale eccesso di delega: nel nuovo art. 415-ter, comma 2, viene inserita una nuova ipotesi di differimento (lett. c) quando taluna delle circostanze indicate alle lettere a) e b) ricorre in relazione a reati connessi ai sensi dell’articolo 12 o collegati ai sensi dell’articolo 371, comma 2, per i quali non sia ancora decorso il termine previsto dall’articolo 407-bis, comma 2. Non mi pare vi sia alcuna copertura normativa di tale fattispecie nell’art. 1, comma 9, lett. f) della legge-delega.
c) Il terzo profilo problematico riguarda specificamente quello che si può definire rimedio alla stasi in senso stretto o stasi propulsiva. A leggere il testo del comma 4 dell’art. 415-ter viene in mente il proposito di Ugo Foscolo che, incaricato di redigere il codice penale militare della Repubblica Cisalpina, aveva dichiarato l’intenzione di utilizzare «uno stile rapido, calzante, conciso, che non lasci pretesto all’interpretazione delle parole, osservando che assai giureconsulti grandi anni e assai tomi spesero per commentare leggi confusamente scritte. Si baderà ancora a una religiosa esattezza della lingua italiana»[9]. Nonostante le buone intenzioni del legislatore delegato, nel nuovo comma 4 si fa davvero fatica a riscontrare questa “religiosa esattezza”. La disposizione appare una sorta di manifesto all’illeggibilità posto che vi sono ben cinque periodi in un unico comma; ma, quel che più conta, sono giustapposte due frasi contraddittorie: nella prima parte si consente al giudice per le indagini preliminari di valutare le ragioni del ritardo e, nel caso in cui non siano giustificate, si prevede che ordini al pubblico ministero di assumere le determinazioni inerenti all’esercizio dell'azione penale; nella seconda parte si richiama invece i casi di differimento del comma 2. Ora, viene da chiedersi quando le ragioni del ritardo siano o meno giustificate; ciò si verifica solo quando sussistono le esigenze indicate nel comma 2? E, ancora, se effettivamente le ragioni sono giustificate, cosa fa il giudice? Verrebbe da credere che differisce il deposito ai sensi del comma 2. Se così fosse, per quanto tempo? La norma non lo dice, con il rischio – paradossale – di venirsi a determinare una nuova stasi, di durata non pronosticabile, nel corso della quale non è neppure possibile svolgere attività d’indagine, stante la natura invariata dell’art. 407, comma 3, c.p.p.
d) Il quarto problema riguarda il quinto comma del nuovo art. 415-ter: viene da chiedersi che senso abbia mantenere in capo al Procuratore generale il potere di intimare al pubblico ministero di attivarsi; si è infatti conservato il potere di avocazione ed è quello il rimedio di cui dispone; una volta chiamato in causa per rimediare alla stasi il giudice per le indagini preliminari – in linea con quanto previsto dalla legge-delega – non pare abbia molto senso mantenere anche l’iniziativa del procuratore generale.
e) L’ultimo profilo problematico riguarda il rapporto tra discovery patologica dell’art. 415-ter e avviso di cui all’art. 415-bis: ovviamente, laddove il pubblico ministero non opti per l’archiviazione sarà indispensabile far precedere l’azione penale dall’avviso di conclusione (arg. ex art. 416 c.p.p.). Ha senso allora moltiplicare gli avvisi e le conseguenti notificazioni? Non sarebbe stato meglio coordinare i due istituti prevedendone l’equipollenza?
Insomma, per quel che riguarda lo sblocco della stasi, il correttivo si configura come una vera occasione mancata. Si sarebbe potuto, in attuazione della stessa delega, plasmare una serie di rimedi diversi rispetto a patologie che sono differenti: da un canto, si colloca infatti l’inerzia nella discovery e, dall’altro, la stasi decisionale.
La prima avrebbe potuto essere disciplinata in un’apposita disposizione (l’art. 415-ter), contenente la disciplina della discovery coatta patologica e la regolamentazione del differimento: in questa previsione sarebbe stato preferibile prevedere che l’avviso di deposito notificato a causa dell’inerzia venga corredato da una sommaria enunciazione del fatto per cui si sono svolte le indagini, delle norme che si assumono violate, della data e del luogo del fatto e che ad esso si applichino (quanto meno) le norme previste dai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 415-bis c.p.p. (con la naturale esclusione dell’obbligo per il pubblico ministero di assumere informazioni dalla persona offesa). E, a valle di tutto ciò, si sarebbe potuto sancire la piena equiparazione del nuovo avviso a quello dell’art. 415-bis ai fini dell’esercizio dell’azione penale, intervenendo con un’interpolazione nell’art. 416, comma 1, c.p.p. e nell’art. 552, comma 2, c.p.p.[10] oppure con una specificazione nello stesso art. 415-ter, c.p.p.[11].
La stasi in senso stretto avrebbe potuto trovare regolamentazione in una disposizione a parte (art. 415-quater), diretta a disciplinare in modo più puntuale l’intervento di chiusura del giudice, sia su richiesta di parte che d’ufficio.
Invero, tanto nel d.lgs. n. 150, quanto nello schema di correttivo, il giudice per le indagini preliminari interviene solo ed esclusivamente su istanza della persona sottoposta alle indagini e della persona offesa, mentre la direttiva di cui all’art. 1, comma 9, lett. g) – che prescrive di prevedere “in ogni caso” rimedi alla stasi mediante il coinvolgimento del g.i.p. – avrebbe richiesto un intervento più coraggioso, con una norma di chiusura che preveda un intervento ufficioso del giudice. Non pare che vi siano rischi di snaturare il ruolo del g.i.p., posto che già si danno ipotesi di chiusura nelle quali – a tutela dell’obbligatorietà dell’azione penale – questi è chiamato a prescrivere un facere al pubblico ministero. Nel caso concreto verrebbe contemplato un intervento in via residuale a tutela della ragionevole durata. Sul piano pratico, il meccanismo appare sostenibile sfruttando la tecnologia: nel momento in cui partirà effettivamente il processo penale telematico, non dovrebbe essere troppo complicato prevedere un alert per il giudice se, dopo un certo periodo dalla scadenza del termine di riflessione (diciotto mesi?), il fascicolo giace ancora nell’armadio; in questo caso potrebbe attivarsi un rimedio di chiusura del sistema. Siccome oggi appare ancora più complicato prevedere (come si era invece ipotizzato durante i lavori preparatori) una forma di improcedibilità – visto che la si vuole espungere dal sistema come fosse un corpo estraneo (anche) sulla scorta di una visione feticistica e vetusta dell’obbligatorietà dell’azione penale – o quanto meno di archiviazione per superamento dei termini, sembra che l’unica possibilità per assicurare effettività al canone di ragionevole durata delle indagini passi per un controllo molto penetrante del giudice.
2.2. Il ridimensionamento (assai inopportuno e intempestivo) dell’udienza di sentencing. – La seconda modifica rilevante introdotta dallo schema di correttivo è contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. v) e riguarda il ripensamento dell’udienza di sentencing disciplinata dall’art. 545-bis c.p.p. Come è stato autorevolmente riconosciuto, quella relativa alle pene sostitutive – insieme con quella sulla giustizia riparativa – è la parte della riforma Cartabia che «possiede maggior carica valoriale sul sistema penale dal punto di vista ideale e culturale» ed è fondata sulla «convinzione del legislatore di poter intervenire su di un piano sanzionatorio alternativo rispetto a quello delle pene tipiche, disincentivando l’esecuzione delle pene detentive brevi»[12]. Degno di nota l’aver inventato uno spazio nuovo per l’applicazione delle pene sostitutive nell’art. 545-bis, che introduce nell’ordinamento italiano un germe inedito di processo bi-fasico[13].
Ebbene, la completa riscrittura del primo comma della disposizione appena richiamata desta più di qualche perplessità, per la semplice ragione che i dubbi interpretativi sorti nella prassi erano in fase di risoluzione e il meccanismo stava iniziando a dare i suoi frutti, anche sul piano statistico. Secondo l’ultima rilevazione del Ministero della Giustizia di metà gennaio 2024 risultavano applicate quasi 2.000 pene sostitutive[14]: un numero non enorme ma assai significativo se si analizza il dato di partenza e il trend. Alla fine di maggio 2023 le pene sostitutive applicate erano soltanto 98[15] e a metà novembre già 1472[16]: ciò significa che, soltanto negli ultimi due mesi dell’anno, si è registrato un incremento del 34% rispetto al dato di novembre.
Nonostante questi dati molto promettenti[17], il Governo ha inteso metter mano alla disciplina dell’art. 545-bis c.p.p. Con una serie di modifiche che destano perplessità.
a) Anzitutto, suscita riserve il superamento dell’obbligatorietà dell’avviso alle parti della sospendibilità della pena: nella versione attualmente vigente esso era subordinato a un mero vaglio astratto di ammissibilità (si doveva in sostanza valutare solo l’assenza delle condizioni soggettive ostative alla sostituzione, di cui all’art. 59 legge n. 689/1981) e, quindi, con una pena sotto i quattro anni si doveva necessariamente aprire questa fase di discussione sulla possibilità di sostituirla. La modifica del comma 1 prevede invece che il dibattito sul punto si apra solo se il giudice ritiene concretamente applicabile la pena sostitutiva. Il rischio evidente è che il giudice, per risparmiare sui suoi tempi effettui un vaglio implicito negativo; con la conseguente riduzione sensibile del tasso di applicazione della pena sostitutiva in primo grado e (magari) il recupero in grado di appello. Con buona pace dell’efficienza complessiva del sistema.
b) In secondo luogo, risulta inopportuna la cancellazione del riferimento alla non sospendibilità della pena irrogata: questo aveva infatti una funzione pedagogica e chiariva il rapporto tra due istituti (sospensione condizionale e pene sostitutive) da sempre controverso[18].
c) Infine, l’eliminazione dell’avviso e della conseguente manifestazione del consenso, fa sorgere il problema pratico di quando verrà dato il consenso. Nel nuovo sistema questo viene inserito tra i presupposti delle pene sostitutive diverse da quella pecuniaria (con una modifica dell’art. 58 l. 689/1981), ma il problema è tutto processuale: quando viene manifestato il consenso? La risposta non viene dalla norma ma dalla prassi: si potrebbe esprimerlo nelle conclusioni in dibattimento; ma si tratta di una soluzione che sembra stridere con il diritto di difesa, perché si costringe l’avvocato ad anticipare nella fase di discussione sulla responsabilità una volontà che attiene alla tipologia di pena. Anche qui il rischio è che il difensore non lo faccia e poi, per non precludersi la sostituzione, la chieda mediante apposito atto di appello. In fondo, la stessa modifica dell’art. 598-bis che disciplina specificamente l’applicazione della pena sostitutiva in appello va in tale direzione: una direzione irragionevole perché si finisce per incentivare l’operatività in appello di una pena che andrebbe invece applicata in primo grado.
In definitiva, la modifica relativa all’udienza di sentencing appare frutto di una diffusa ritrosia, da parte dei giudici di merito, di riappropriarsi di un compito che dovrebbe invece spettare loro, ossia quello della commisurazione della pena. Siccome nella prassi si è diffusa la sensazione che l’avviso dell’art. 545-bis farebbe perdere tempo inutilmente, si scardina il meccanismo. In realtà, così non è: l’efficienza va valutata non con riguardo alla singola fase (in una sorta di monadismo giudiziario), ma estendendo l’analisi all’intero sistema. Non esclusa la fase dell’esecuzione: è del tutto evidente che l’implementazione delle pene sostitutive aveva l’obiettivo di ridurre il fenomeno patologico dei liberi sospesi[19] e, in definitiva, il ricorso alla pena carceraria. Non appare allora lungimirante indebolire il meccanismo dell’art. 545-bis c.p.p. proprio all’esito di un anno, il 2023, in cui – secondo uno studio recentissimo del Garante delle persone detenute[20] – si è registrato un aumento della popolazione detenuta di 3.985 persone (con un tasso quasi raddoppiato rispetto agli anni precedenti.
2.3. L’erronea giustapposizione della nuova regola di giudizio alla vecchia nell’udienza preliminare del processo agli enti. – Un terzo profilo di dubbia ragionevolezza concerne l’art. 7, comma 1, lett. b), che mira a estendere la nuova regola di giudizio prevista per la sentenza di non luogo a procedere di cui all’articolo 425, comma 3, al procedimento agli enti. Se l’obiettivo è più che meritevole (anche se la giurisprudenza ha già risolto il problema, stabilendo che si applica in effetti la nuova regola anche agli enti[21]), la modifica proposta non è affatto condivisibile. Secondo il nuovo art. 61 del d.lgs. 231 «il giudice dell’udienza preliminare pronuncia sentenza di non luogo a procedere nei casi di estinzione o di improcedibilità della sanzione amministrativa, ovvero quando l’illecito stesso non sussiste o gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere in giudizio la responsabilità dell’ente, ovvero quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna». Non pare abbia alcun senso aggiungere la nuova regola di giudizio alla vecchia, con il rischio di creare confusione. Si suggerisce invece di sostituire la nuova regola – «ovvero quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna» – alla vecchia («o gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere in giudizio la responsabilità dell’ente»).
3. Proposta di integrazione relativa al potere di revoca delle pene sostitutive. – Infine, merita sollevare una questione che appare di estrema importanza per salvaguardare il sistema delle pene sostitutive. L’art. 62 della legge n. 689 del 1981, come sostituito dall’art. 71, comma 1, lettera m) del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, disciplina l’esecuzione delle pene sostitutive della semilibertà e della detenzione domiciliare. Il primo comma prevede che il magistrato di sorveglianza competente verifichi l’attualità delle prescrizioni relative alla pena sostitutiva, imposte con la sentenza di condanna. Così, ad esempio, verificherà l’attuale disponibilità del domicilio indicato come luogo di esecuzione della detenzione domiciliare, ovvero la necessità di mantenere la previsione del controllo con braccialetto elettronico. Tale verifica precede l’esecuzione della pena e può concludersi, ai sensi del primo comma dell’art. 62 l. n. 689/1981, con un duplice e alternativo esito: la conferma delle prescrizioni imposte con la sentenza oppure, ove necessario, la modifica delle modalità di esecuzione e delle prescrizioni della pena. Non è tuttavia disciplinata una diversa ipotesi, già presentatasi nella prassi: quella in cui nel periodo intercorrente tra la pronuncia della sentenza di condanna e la valutazione del magistrato di sorveglianza in sede di avvio dell’esecuzione della pena sostitutiva siano intervenuti fatti nuovi che siano indici di una sopravvenuta maggiore pericolosità sociale, tale da non poter essere neutralizzata attraverso una mera modifica di modalità esecutive o prescrizioni relative alla pena sostitutiva. Ai sensi dell’articolo 58, comma 1 della l. n. 689/1981, in attuazione della legge delega, l’imposizione di prescrizioni è un presupposto necessario per «assicurare la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati». Le pene sostitutive non possono essere applicate dal giudice di cognizione quando tale pericolo non può essere fronteggiato attraverso opportune prescrizioni.
Ebbene, l’attuale formulazione dell’articolo 62 della legge 689 del 1981 consente al magistrato di sorveglianza, in caso di sopravvenienza di fatti nuovi espressivi di una maggiore pericolosità sociale, di modificare le prescrizioni e le modalità esecutive, aggravandole, ma non di revocare la pena stessa, come ragionevolmente deve accadere quando non sia sufficiente modificare modalità esecutive e prescrizioni. Per tale ragione, si propone di aggiungere un periodo al primo comma dell’art. 62, che consente in tale ipotesi di revocare la pena sostitutiva attraverso la procedura prevista dall’art. 66[22].
[1] Così, Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, in questa Rivista, 16 gennaio 2024, p. 3.
[2] Sia consentito rinviare a M. Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia (profili processuali), in questa Rivista, 2 novembre 2022, p. 16.
[3] Così, la Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, cit. p. 40.
[4] Cfr. G.L. Gatta – M. Gialuz, Riforma Cartabia e durata media del processo penale: - 29% nel primo semestre del 2023. Raggiunto (al momento) il target del PNRR. I dati del monitoraggio statistico del Ministero della Giustizia, in questa Rivista, 6 novembre 2023.
[5] Su tale sistema cfr., ex multis, R. Aprati, Le nuove indagini preliminari fra obiettivi deflattivi ed esigenze di legalità, in Giustizia insieme, 20 dicembre 2022; A. Cabiale, Le rinnovate dinamiche dell’attività investigativa: iscrizione della notizia di reato, tempi delle indagini e rimedi ‘anti-stasi’, in Leg. pen., 3 dicembre 2023, pp. 31 ss.; F. Cassibba – E.M. Mancuso, Le indagini preliminari fra innovazione e continuità, in Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, a cura di D. Castronuovo – M. Donini – E.M. Mancuso – G. Varraso, Milano, 2023, pp. 623 ss.; L. Pistorelli, Termini di indagini, valutazione su stasi del procedimento e archiviazione, in La riforma del sistema penale, a cura di A. Bassi – C. Parodi, Milano, 2022, pp. 122 ss.; A. Sanna, I rimedi alla stasi delle indagini nella riforma Cartabia tra tutela della legalità e gigantismo delle Procure, in Discrimen, 21 dicembre 2023; D. Vicoli, Nuovi equilibri delle indagini preliminari, in Riassetti della penalità, razionalizzazione del procedimento di primo grado, giustizia riparativa, a cura di E.M. Catalano – R.E. Kostoris – R. Orlandi, Torino, 2023, pp. 93 ss.
[6] V., in chiave critica, G.M. Baccari, I nuovi meccanismi per superare le stasi procedimentali dovute all’inerzia del pubblico ministero, in La riforma Cartabia. Codice penale – Codice di procedura penale – Giustizia riparativa, a cura di G. Spangher, Pisa, 2022, p. 269; C. Valentini, Grandi speranze: una possibilità di riforma della riforma, in Il giusto processo penale dopo la riforma Cartabia, a cura di A. Gaito, Pisa, 2023, p. 14.
[7] Così, A. Camon, Registrazione della notizia di reato e tempi dell’indagine, in Arch. pen., 2023, p. 3.
[8] V. i rilievi di E.M. Mancuso, I rimedi alla stasi del procedimento: aspettando Godot?, in Proc. pen. giust., 2023, p. 794.
[9] Il passo è riportato da B. Mortara Garavelli, Le parole e la giustizia, Torino, 2001, p. 99.
[10] Semplicemente inserendo nell’art. 416 c.p.p., dopo «previsto dall’articolo 415-bis», «oppure dell’avviso previsto dall’art. 415-ter».
[11] Ad esempio: «ai fini di cui agli articoli 416, comma 1, secondo periodo e 552, comma 2, secondo periodo, l’avviso del deposito equivale all’avviso di cui all’articolo 415-bis».
[12] Testualmente, M. Cassano, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2023, https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/Relazione_Cassazione_2024.pdf, p. 69. Sul tema, cfr., ex plurimis, F. Alvino, Pene sostitutive delle pene detentive brevi, in La riforma del sistema, cit., pp. 345 ss.; G. Amarelli, L’ampliamento delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi: luci e ombre, in Proc. pen. giust., 2022, pp. 234 ss.; M. Bortolato, Percorsi alternativi alla pena detentiva nel giudizio di sorveglianza. I “liberi sospesi” e gli effetti della riforma Cartabia, in questa Rivista, 28 febbraio 2023; A. Gargani, La riforma in materia di sanzioni sostitutive, in Leg. pen., 20 gennaio 2022; G. Nicolò, Pene sostitutive: disallineamenti e ingerenze tra cognizione ed esecuzione, in Cass. pen., 2023, pp. 4359 ss.; M. Pelissero, Una riforma tra obiettivi ambiziosi e resistenze di sistema, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, pp. 708 ss.
[13] V. D. Bianchi, Le modifiche in materia di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, in Riforma Cartabia, cit., p. 106.
[14] V. Ministero della Giustizia, Adulti in area penale esterna Analisi statistica dei dati, 15 gennaio 2024, in https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/Adulti_in_area_penale_esterna_15.01.2024_G.pdf, p. 5.
[15] V. Ministero della Giustizia, Adulti in area penale esterna Analisi statistica dei dati, 31 maggio 2023, in https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/Adulti_in_area_penale_esterna_31.05.2023__Corretta_G_da_sosstituire.pdf, p. 6.
[16] V. Ministero della Giustizia, Adulti in area penale esterna Analisi statistica dei dati, 15 novembre 2023, in https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/Adulti_in_area_penale_esterna_15.11.2023_G.pdf, p. 5.
[17] Risultati riconosciuti dalla stessa Presidente della Cassazione M. Cassano, Relazione sull’amministrazione della giustizia, cit., p. 71.
[18] Da più parti è stata salutata con favore la liberazione delle «pene sostitutive dal mortale abbraccio della sospensione condizionale della pena»: così, E. Dolcini, Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive. Note a margine dello schema di d.lgs. approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 agosto 2022, in questa Rivista, 30 agosto 2022, p. 5. Analogamente, in senso favorevole, D. Bianchi, Il rilancio delle pene sostitutive nella legge-delega “Cartabia”: una grande occasione non priva di rischi, in Dir. pen. cont., Riv. trim., 2021, n. 4, pp. 35-36; G.L. Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della ‘legge Cartabia’, in questa Rivista, 15 ottobre 2021.
[19] V. Relazione illustrativa al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, p. 8. Cfr., inoltre, V. Alberta – S. Amato – E. Losco – M. Straini, Pene sostitutive delle pene detentive brevi: una riforma culturale, in La riforma Cartabia, cit., pp. 9-10.
[20] Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale – Unità organizzativa “Privazione della libertà in ambito penale”, Analisi storica 2020-2024 sul sovraffollamento negli Istituti penitenziari, a cura di Emanuele Cappelli e Giovanni Suriano, in questa Rivista, 22 gennaio 2024, p. 4.
[21] V. Trib. Milano, Sezione GIP/GUP, 15 febbraio 2023, consultabile in Giur. pen., 16 marzo 2023.
[22] La formulazione potrebbe essere la seguente: «All’articolo 62, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 dopo il terzo periodo è aggiunto il seguente: Quando, per fatti sopravvenuti alla sentenza di condanna, la modifica delle modalità di esecuzione e delle prescrizioni della pena non assicura la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati, il magistrato di sorveglianza può revocare la pena sostitutiva, che si converte nella pena detentiva sostituita. Si applica il terzo comma dell’articolo 66».