ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Scheda  
05 Maggio 2021


Ancora sulle ricadute interne della sentenza della Corte di Giustizia in materia di acquisizione di tabulati telefonici: il G.i.p. di Roma dichiara il “non luogo a provvedere” sulla richiesta del p.m.


Segnaliamo ai lettori, per l’interesse che il tema sta suscitando nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale, un recente provvedimento emesso dal GIP presso il tribunale di Roma, giudice dott. Siani, in tema di data retention.

La decisione, letta insieme a un’ulteriore pronuncia della stessa sezione romana della quale è già stato dato conto in questa Rivista (cfr. J. Della Torre, L'acquisizione dei tabulati telefonici nel processo penale dopo la sentenza della Grande Camera della Corte di Giustizia UE: la svolta garantista in un primo provvedimento del g.i.p. di Roma, 29 aprile 2021), costituisce il riflesso sul panorama nazionale dell’ormai nota sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, con la quale si è stabilito che l’articolo 15, par. 1, della direttiva 2002/58/CE, osta ad una normativa nazionale che consenta l’accesso ai cd. dati esterni alle comunicazioni in relazione a reati diversi rispetto a quelli perseguiti nell’ambito di procedimenti penali volti alla repressione di «forme gravi di criminalità» o di «gravi minacce alla sicurezza pubblica», indipendentemente dalla durata del periodo per il quale l’accesso ai dati suddetti viene richiesto, nonché dalla quantità o dalla natura dei dati disponibili per tale periodo». I giudici europei, inoltre, hanno affermato che il suddetto art. 15, par. 1, osta, altresì, ad una normativa interna che renda il pubblico ministero, titolare del potere investigativo, competente ad «autorizzare l’accesso di un’autorità pubblica alle informazioni relative al traffico ed all’ubicazione ai fini di un’istruttoria penale» (cfr. CGUE, 2 marzo 2021, H.K., Grande Sezione, C-746/18).

Con il provvedimento che può leggersi in allegato, il giudice per le indagini preliminari ha dichiarato «non luogo a provvedere» sulla richiesta del pubblico ministero, pervenuta in data successiva alla pronuncia della Corte di giustizia, con la quale si richiedeva l’autorizzazione a disporre l’acquisizione dei dati esterni alle comunicazioni relativi a talune utenze specificatamente indicate nel provvedimento.

Ebbene, il giudicante, dopo aver richiamato il recente arresto della Corte di Lussemburgo, ha posto in rilievo come il consolidato orientamento della Suprema Corte in tema di acquisizione dei tabulati telefonici (cfr., da ultimo, Cass., 10 dicembre 2019, n. 5741) debba essere ritenuto, allo stato attuale, in contrasto con la giurisprudenza europea, «almeno laddove l’art. 132 cit. prevede la competenza del PM ad autorizzare (con “decreto motivato”) l’acquisizione dei tabulati relativi ai dati di traffico telefonico e telematico».

Sennonché l’estensore, a differenza di quanto statuito nella già citata pronuncia del diverso GIP romano, non ha ritenuto di dover procedere alla diretta applicazione della normativa europea, così come interpretata dalla Corte di giustizia. Nella decisione, infatti, si osserva come, pur condividendo l’assunto in base al quale alle sentenze dei giudici europei «vada attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario […] con [conseguente] efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità» (cfr. Cass., 17 maggio 2019, n. 13425), non si possa fondatamente ritenere che, nella materia in esame, la decisione della Corte di giustizia sia idonea ad escludere la sussistenza di un qualunque profilo di incertezza e discrezionalità applicativa. In particolare – afferma il GIP – la pronuncia del 2 marzo 2021 non può avere «effetti applicativi immediati e diretti» a causa dell’indeterminatezza delle espressioni ivi utilizzate al fine di legittimare l’ingerenza dell’autorità pubblica nella vita privata dei cittadini. Il riferimento alle «forme gravi di criminalità» ed alla funzione di «prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica», infatti, necessiterebbero di un intervento legislativo volto ad individuare, sulla base di «criteri oggettivi» (così come richiesto dalla stessa pronuncia della Corte europea), le categorie di reati per i quali possa ritenersi legittima l’acquisizione dei dati di traffico telefonico o telematico.

Queste premesse argomentative, perciò, hanno indotto l’estensore del provvedimento de qua a disattendere – e censurare – l’esegesi alternativa offerta nella già richiamata pronuncia romana. Nelle osservazioni conclusive, infatti, è dato leggere come l’opzione ermeneutica volta ad identificare le fattispecie delittuose legittimanti l’autorizzazione all’acquisizione dei tabulati telefonici attraverso un mero rinvio alle categorie tipizzate nell’art. 266 c.p.p., non possa essere condivisa, trattandosi di un’interpretazione «creativa», diretta a generare criteri del tutto discrezionali e privi di quella certezza applicativa richiesta dalla Corte di giustizia. Ad avviso del giudicante, infatti, sarebbe la stessa pronuncia europea ad attribuire alla legge nazionale e non, viceversa, alla elaborazione giurisprudenziale, il compito di individuare le ipotesi criminose idonee a consentire la limitazione dei diritti fondamentali sanciti agli artt. 7, 8 della Carta di Nizza.

Al di là dei differenti approdi argomentativi ai quali sono giunte le richiamate decisioni di merito, un dato appare incontrovertibile: la sentenza della Corte di giustizia è destinata a suscitare un cospicuo dibattito. La divergenza fra le due pronunce concerne esclusivamente la modalità (giurisprudenziale ovvero normativa) con la quale declinare specificatamente il contenuto dell’espressione «gravi reati», così per come individuata dai giudici europei. Questa divergenza, come osservato, conduce ad esiti interpretativi opposti in relazione alla possibilità di conferire diretta applicazione alla pronuncia dei giudici europei. Viceversa, entrambi i provvedimenti concordano nel rilevare come l’attuale sistema processuale italiano debba essere considerato in contrasto con il diritto dell’unione, nella parte in cui attribuisce al pubblico ministero il potere di autorizzare l’acquisizione dei tabulati telefonici.