G.i.p. Trieste, ord. 18 maggio 2020, giud. Nicoli
1. La questione. – Con l’ordinanza in commento, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trieste ha rigettato l’istanza con cui il difensore dell’indagato, sottoposto alla custodia cautelare in carcere in data 21 febbraio 2020, misura successivamente sostituita con quella degli arresti domiciliari, ha chiesto la declaratoria di cessazione degli effetti del provvedimento coercitivo per decorrenza del termine di tre mesi previsto dall’art. 303, comma 1, lett. a, n. 1, c.p.p. per i delitti sanzionati con la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni.
La questione è sorta in quanto, nelle more dell’esecuzione della misura, è stato emanato il d.l. 17 marzo 2020, n. 18[1], convertito con modificazioni dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, che, all’art. 83, comma 2, nell’ottica di contrastare l’emergenza sanitaria da COVID-19, ha sospeso i termini per il compimento di qualsivoglia atto nei procedimenti penali per il periodo tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020[2].
In applicazione di tale prescrizione normativa, il giudice ha sospeso i termini di custodia cautelare per il lasso di tempo suddetto, con il corollario che la data di scadenza della misura, originariamente fissata al 18 maggio 2020, è stata spostata al 20 luglio 2020. Scaduti tre mesi dall’esecuzione del provvedimento custodiale, la difesa ne ha fatto valere l’intervenuta estinzione.
Il giudice, ritenendo che ai limiti temporali ordinari individuati dal codice di rito andassero aggiunti i sessantaquattro giorni intercorsi tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020, non ha rimesso in stato di libertà l’indagato.
Tale soluzione, tutt’altro che scontata, merita di essere sottoposta a un’analisi approfondita.
2. La rapida evoluzione del quadro normativo di riferimento… – Districarsi nella trama dei numerosi provvedimenti – ora di rango primario, ora secondario – adottati durante l’emergenza pandemica non è compito affatto agevole per l’interprete, che ha dovuto fare i conti con un caotico affastellamento di interventi normativi quasi senza precedenti[3], fenomeno che ha coinvolto anche la materia cautelare che, data la sua delicatezza, non avrebbe certo potuto essere dimenticata[4].
Pertanto, prima di scendere nell’analisi delle conclusioni cui è pervenuto il giudice con l’ordinanza in esame, pare opportuno cercare di mettere un po’ di ordine nella materia[5].
Com’è noto, l’art. 83, comma 2, d.l. n. 18 del 2020 ha sancito la sospensione di ogni attività procedimentale e, dopo aver elencato una serie di ipotesi interessate da questo regime, ha esteso il proprio campo di azione, in generale, «a tutti i termini procedurali»[6]. Inoltre, il quarto comma dello stesso art. 83 ha previsto che, nei procedimenti interrotti a norma del secondo comma, si sarebbe cristallizzato il corso della prescrizione[7] e delle misure cautelari.
In base al terzo comma, detta regola avrebbe dovuto cedere il passo in alcuni casi, tra i quali quelli individuati dall’art. 83, comma 3, lett. b, che, almeno nella sua prima formulazione, faceva riferimento, tra l’altro, ai «procedimenti nei quali nel periodo di sospensione scadono i termini di cui all’art. 304 del codice di procedura penale», nonché, previa espressa richiesta di prosecuzione presentata dal detenuto, dall’imputato o dal suo difensore[8], ai procedimenti in cui sono applicate misure cautelari o di sicurezza[9].
Quest’ultima ipotesi derogatoria – basata sul consenso del soggetto in vinculis, al quale, in virtù del principio della presunzione di non colpevolezza, doveva necessariamente essere attribuita la facoltà di dare impulso al procedimento – non poteva che “uscire indenne” dalle modifiche a più riprese apportate alla disposizione in oggetto.
La prima, invece, ha avuto una sorte diversa, data la difficoltà di comprenderne l’esatta portata. Difatti, il rinvio operato tout court nei confronti dell’art. 304 c.p.p. era stato oggetto di differenti interpretazioni dottrinali.
Secondo la tesi minoritaria[10], ma almeno a prima vista più aderente al tenore letterale del dato normativo che, appunto, rinviava all’art. 304 c.p.p. nella sua interezza, i procedimenti penali che avrebbero dovuto avanzare in costanza di pandemia erano non soltanto quelli in cui fosse stata imminente la scadenza del periodo massimo di durata della custodia cautelare individuato dall’art. 304, comma 6, c.p.p., ma anche quelli in cui il giudice avesse disposto, ai sensi dei commi precedenti al sesto, la sospensione dei termini di cui all’art. 303. Tuttavia, un siffatto approdo ermeneutico, oltre a scontrarsi con lo spirito di evidente favor del Governo per la paralisi dei procedimenti penali, era suscettibile di dar luogo ad un’indebita discriminazione nella misura in cui ancorava l’applicazione della normativa emergenziale alla condizione che si verificasse una delle variabili prese in considerazione dai primi commi dell’art. 304 c.p.p.[11].
L’opinione maggioritaria, invece, circoscriveva l’area di operatività dell’eccezione in esame alla sola ipotesi contemplata dall’art. 304, comma 6, c.p.p.: poiché l’art. 83, comma 3, lett. b, parlava (e parla tutt’ora) di scadenza dei «termini» e l’unico comma dell’art. 304 che si riferiva alla durata delle misure cautelari era proprio il sesto, allora l’eccezione alla regola della stasi processuale non poteva riguardare anche i casi considerati dai commi precedenti, che attenevano a ulteriori ipotesi di sospensione[12]. Pertanto, in accordo con questa impostazione, l’intento perseguito con il d.l. n. 18 del 2020 era meramente quello di evitare che, per effetto della normativa di contrasto al COVID-19, potesse essere ingiustificatamente oltrepassata la linea al di là della quale le misure cautelari non si possono mai estendere[13].
Tale ultimo assunto è stato recepito dal legislatore che, con d.l. 30 aprile 2020, n. 28, ha interpolato l’art. 83, comma 3, lett. b, mediante la precisazione che la sospensione non viene in gioco allorché, nel periodo di inattività, scadano «i termini di cui all’art. 304, comma 6, del codice di procedura penale»[14].
Inoltre, il d.l. n. 28 del 2020 ha ampliato il novero dei procedimenti che possono proseguire il proprio corso, andando a comprendere altresì quelli nei quali, tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020 o anche «nei sei mesi successivi», spirino i predetti limiti massimi[15].
3. …e i riflessi sulla vicenda in esame. – Le argomentazioni sottese all’istanza presentata dall’indagato si concentrano proprio sulle novità apportate dal d.l. n. 28 del 2020, che assumono quindi un notevole rilievo nell’economia del caso di specie.
Come visto, dopo l’emanazione della normativa emergenziale, il g.i.p. ha prolungato la scadenza dei termini cautelari di cui all’art. 303 c.p.p.
Tale decisione non è stata condivisa dalla difesa, che ne ha rilevato la contrarietà rispetto al combinato disposto dei commi 3, lett. b, e 4 dell’art. 83, ai sensi del quale la sospensione sarebbe sempre esclusa qualora il superamento dei limiti fissati dall’art. 304, comma 6, si verifichi nel lasso temporale tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020 o nei sei mesi seguenti.
Infatti, nel caso in esame, la misura cautelare è stata adottata in relazione a un reato punito con la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni, al quale, in base all’art. 303, comma 1, lett. a, n. 1, corrisponde un termine di fase pari a tre mesi. Pertanto, la scadenza del termine massimo di sei mesi, ottenuto moltiplicando per due quello di fase ex art. 304, comma 6, si sarebbe verificata entro il semestre successivo alla conclusione del periodo di “sosta” delle attività giudiziarie, cioè prima dell’11 novembre 2020.
Il giudice ha ritenuto che la riflessione appena esposta non abbia colto nel segno.
In particolare, ad avviso del g.i.p., l’eccezione di cui all’art. 83, comma 3, lett. b, non riguarderebbe i procedimenti fermi in fase di indagini, ma soltanto quelli approdati al giudizio. Ciò in quanto l’art. 304 c.p.p., al cui sesto comma appunto rimanda l’art. 83, si riferisce ad ipotesi di sospensione che possono verificarsi esclusivamente in dibattimento.
Ne deriva che anche il riferimento ai «sei mesi successivi», introdotto dal d.l. n. 28 del 2020, concerne unicamente i processi in relazione ai quali sia in corso il dibattimento e non, invece, le indagini. Pertanto, osserva il g.i.p., occorre rifuggire dall’interpretazione, proposta dalla difesa, secondo cui il legislatore avrebbe «escluso la sospensione dei termini di custodia cautelare, per i reati puniti fino a 6 anni di reclusione ancora in fase di indagini (per i quali tutti, l’eventuale termine di fase raddoppiato, scade matematicamente entro 6 mesi)».
A prescindere dal significato da attribuire al richiamo operato nei confronti dell’art. 304, comma 6, il giudice ha comunque evidenziato l’impossibilità che, in un procedimento in fase di indagini, «uno dei termini cautelari della fase, raddoppiati ex art. 304, comma 6, c.p.p., potesse scadere durante il periodo di sospensione», che ha avuto una durata inferiore a tre mesi. La conclusione sarebbe stata diversa – prosegue il g.i.p. – «se il legislatore avesse ulteriormente prolungato, superando i tre mesi, la sospensione dovuta all’emergenza Covid-19». In questo caso, aggiungendo al termine di fase i giorni di inattività, sarebbero stati superati i limiti massimi contemplati dall’art. 304, comma 6, c.p.p.
In sintesi, quindi, la richiesta dell’indagato è stata rigettata per un duplice ordine di motivi: l’uno riguardante l’impossibilità che, a causa dell’interruzione delle attività giudiziarie dovuta al decreto “cura Italia”, in un procedimento pendente in fase di indagini si possano superare i limiti temporali individuati dall’art. 304, comma 6, c.p.p.; l’altro basato sul contenuto dell’art. 304, che contempla soltanto ipotesi di sospensione dei termini cautelari relative al giudizio.
Entrambi i profili devono essere esaminati con attenzione.
Dal primo punto di vista, occorre rilevare come soltanto sulla base della formulazione originaria dell’art. 83, comma 2, lett. b, nei procedimenti che si trovavano in fase di indagini non sarebbe stato possibile superare la soglia, fissata dall’art. 304, comma 6, c.p.p., del doppio dei termini di cui all’art. 303, comma 1. Difatti, se ai limiti di fase posti da quest’ultima disposizione si fossero sommati i sessantaquattro giorni di inattività, sarebbe stato aritmeticamente impossibile eccedere quel confine[16]. Questa certezza, frutto di un semplice calcolo matematico, è stata incrinata dall’emanazione del d.l. n. 28 del 2020, che ha ampliato la portata derogatoria del secondo comma dell’art. 83 ai procedimenti in cui le misure custodiali scadono nei sei mesi successivi all’11 maggio 2020, deadline dell’efficacia del regime emergenziale: se ai sessantaquattro giorni suddetti aggiungiamo un semestre, si ottiene un risultato due volte superiore al termine trimestrale indicato dall’art. 303, comma 1, lett. a, n. 1.
Sotto il secondo angolo visuale, sebbene anteriormente alla diffusione del COVID-19 l’art. 304 non contemplasse (e non contempli ancora oggi) ipotesi di sospensione delle misure cautelari riferite alle indagini preliminari, ciò non impediva l’applicabilità della regola, espressa dal sesto comma, del divieto di superamento di un termine pari al doppio di quello codificato all’art. 303, comma 1, lett. a, n. 1, c.p.p., cioè quello relativo al primo step procedimentale.
Del resto, la barriera delineata dall’art. 304, comma 6, opera in maniera generalizzata, a prescindere dal verificarsi di una delle cause sospensive tipizzate dall’art. 304, che riguardano soltanto il giudizio. Così, con riferimento alla fase di inchiesta, tale ostacolo può ad esempio essere aggirato qualora, in ragione della declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio da parte del giudice del dibattimento, il procedimento sia costretto a retrocedere[17].
A tale proposito, è opportuno rammentare un’ormai datata sentenza della Corte costituzionale, con cui è stato puntualizzato che «il superamento di un periodo di custodia pari al doppio del termine stabilito per la fase presa in considerazione, determina la perdita di efficacia della custodia, anche se quei termini sono stati sospesi, prorogati o […] sono cominciati a decorrere nuovamente a seguito della regressione del processo»[18].
D’altro canto, le soglie previste dall’art. 304, comma 6, – che rappresenta una «norma di chiusura del sistema»[19] – assolvono alla fondamentale funzione di garantire il diritto alla ragionevole durata della custodia cautelare, sancito dall’art. 5.3 CEDU, l’inviolabilità della libertà personale, riconosciuta dall’art. 13 Cost., il cui quinto comma impone al legislatore di stabilire i limiti massimi della carcerazione, e, infine, la presunzione di non colpevolezza, contemplata dall’art. 27, comma 2, Cost.
Ne deriva che il dettato dell’art. 304, comma 6, deve sempre essere rispettato, indipendentemente dalla circostanza che sia stata integrata una delle ipotesi di sospensione descritte ai commi precedenti[20]. Pertanto, nemmeno la parentesi aperta dal d.l. n. 18 del 2020 può consentire di bypassare i rigidi paletti fissati dalla previsione in esame, principio che deve essere seguito a maggior ragione dopo la modifica, apportata dal d.l. n. 28 del 2020, all’art. 83, comma 3, lett. b, che non richiama più l’art. 304 in modo integrale, ma soltanto il comma 6, il cui contenuto deve essere considerato inderogabile[21].
Le riflessioni svolte con riguardo alla centralità del ruolo ricoperto dalla disciplina dei termini massimi delle misure cautelari ci conducono dinanzi a un bivio, che attiene all’esatto significato da attribuire alla menzione dell’art. 304, comma 6, c.p.p. all’interno del tessuto dell’art. 83, comma 3, lett. b, d.l. n. 18 del 2020.
Con questo richiamo, infatti, il legislatore può avere inteso, da una parte, che non sono interessati dalla sospensione i procedimenti in cui, in concreto, il provvedimento cautelare scede nel periodo dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020 o nei sei mesi successivi; oppure, dall’altra, che non sono “paralizzati” quei procedimenti in cui, in astratto, i termini delle misure cautelari possano spirare nello spazio temporale appena ricordato.
Se si aderisce alla prima interpretazione, nel caso in commento non si può asserire che la misura cautelare abbia esaurito i propri effetti, atteso che non si è verificato alcun evento in virtù del quale il termine di fase delle indagini può avere ecceduto il tetto, stabilito dall’art. 304, comma 6, pari al doppio dei termini di cui all’art. 303, comma 1, lett. a, n. 1, c.p.p. Infatti, a condizioni normali, risulta impossibile che durante le indagini questa linea venga oltrepassata[22]. E allora, se questa è l’effettiva ratio dell’art. 83, comma 3, lett. b, si deve concludere che il giudice, nel sospendere i termini cautelari e nel rigettare l’istanza, ha agito correttamente.
Viceversa, sposando la seconda soluzione sopra illustrata, il riferimento all’art. 304, comma 6, c.p.p. operato dall’art. 83, comma 1, lett. b, imporrebbe la trattazione di tutti i procedimenti, pendenti in fase di indagini, nei quali pure potrebbero essere astrattamente travalicati i confini temporali in discorso.
E poiché, da un lato, la durata delle misure cautelari nel contesto delle indagini corrisponde a tre mesi se si procede per un delitto punito con la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni e, dall’altro, come anticipato, il lasso di tempo tra l’entrata in vigore del regime emergenziale e i sei mesi successivi alla ripartenza è superiore al doppio di novanta giorni, allora, traendo le fila di questo ragionamento, i procedimenti relativi a quelle fattispecie rientrano a pieno titolo tra le ipotesi derogatorie di cui all’art. 83, comma 3, lett. b.
Di conseguenza, se durante la sospensione del procedimento sono trascorsi i tre mesi indicati dall’art. 303, comma 1, lett. a, n.1, l’efficacia della misura cautelare deve ritenersi cessata, con diritto dell’indagato ad essere rimesso in libertà per decorrenza dei termini[23].
Ad ogni buon conto, tra le due letture proposte, quella “in astratto”, anche se forse più conforme al dettato normativo, sembra poggiare su fondamenta meno solide rispetto alla tesi “in concreto”. Infatti, tale impostazione, nel postulare la trattazione di tutti i procedimenti pendenti in fase di indagini nei confronti di un soggetto destinatario di una misura cautelare per un delitto punito con la pena più bassa tra quelle considerate dall’art. 303, comma 1, lett. a, mal si concilia con la dichiarata volontà di prevedere una generalizzata sospensione delle attività giudiziarie.
Peraltro, rimane oscura la ragione per la quale si sarebbe inteso far proseguire soltanto questo tipo di procedimenti, con esclusione di quelli – a loro volta fermi in indagini e caratterizzati dall’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale – concernenti fattispecie sanzionate con la reclusione superiore nel massimo a sei anni, rispetto ai quali non trovano applicazione le previsioni derogatorie di cui all’art. 83, comma 3, lett. b.
Certamente, il legislatore, benché chiamato a fronteggiare in modo celere una crisi tanto grave quanto inedita, avrebbe dovuto muoversi con maggiore chiarezza e attenzione dinanzi ai delicati profili coinvolti in materia di termini cautelari.
[1] Per una ricognizione dei vari ambiti della giustizia penale su cui è intervenuto il decreto, meglio noto come “cura Italia”, si vedano, tra gli altri, E. Dolcini – G.L. Gatta, Carcere, coronavirus, decreto ‘cura Italia’: a mali estremi, timidi rimedi, in questa Rivista, 20 marzo 2020; G. Giostra, Disinnescare in modo sano la bomba-virus nelle carceri, ivi, 22 marzo 2020; E. Marzaduri, Le sorti dei detenuti sottoposti a custodia carceraria ai tempi del coronavirus, in Leg. pen., 24 marzo 2020; O. Mazza, Distopia del processo a distanza, in Arch. pen. (web), 2020, n. 1; G. Spangher, Covid-19: emergenza vs diritti, in ilpenalista.it, 21 aprile 2020.
[2] Invero, in un primo momento, cioè fino all’entrata in vigore dell’art. 36, comma 1, d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla l. 5 giugno 2020, n. 40, l’interruzione delle attività procedimentali era stata fissata sino al 15 aprile 2020. Per un commento al decreto in questione, v. B. Petralia, Emergenza COVID-19, processo penale e proroga dei termini all’11 maggio 2020: note sparse sull’art. 36 del d.l. n. 23 dell’8 aprile 2020, in questa Rivista, 15 aprile 2020.
[3] Tanto da essere accostato, pur con le dovute differenze, al fenomeno terroristico, soprattutto internazionale, contraddistinto da una «singolare corrispondenza con il carattere “pandemico”» della diffusione del COVID-19. Così, G. De Francesco, Dimensioni giuridiche ed implicazioni sociali nel quadro della vicenda epidemica, in Leg. pen., 23 aprile 2020, p. 2.
[4] Per un’efficace ricostruzione delle novelle che hanno interessato la giustizia penale durante la pandemia, F. Ruggieri, Il processo penale al tempo del COVID-19: modelli alternativi di gestione della crisi, in Aa.Vv., Sistema delle fonti ed emergenza sanitaria, in Leg. pen., 18 maggio 2020, p. 1 ss., la quale offre una tripartizione degli interventi in materia.
[5] Per un’analisi dei problemi di diritto intertemporale sottesi al susseguirsi, nel periodo emergenziale, di interventi legislativi volti a regolare la materia cautelare, si vedano O. Mazza, Sospensioni di primavera: prescrizione e custodia cautelare al tempo della pandemia, in Arch. pen. (web), 2020, n. 1, p. 8 ss.; Id., Postilla di diritto intertemporale, ivi, 2020, n. 2, p. 1 ss.; A. Scalfati, La custodia cautelare durante l’emergenza sanitaria: leggi confuse e illiberali, ivi, 2020, n. 2, p. 1 ss.; Id., Ulteriori rilievi sul diritto intertemporale, ivi, 2020, n. 2, p. 1 ss.
[6] Così da determinare uno stato di quiescenza tale da indurre E. Amodio – E.M. Catalano, La resa della giustizia penale di fronte alla bufera del contagio, in questa Rivista, 5/2020, p. 267, a parlare di «una bandiera bianca issata su tutti i palazzi di giustizia della Penisola».
[7] Sulla sospensione della prescrizione, peraltro, è già stata sollevata questione di costituzionalità (Trib. Siena, ord. 21 maggio 2020, in questa Rivista, 27 maggio 2020, con commento di G.L. Gatta, Sospensione della prescrizione ex art. 83, co. 4 d.l. n. 18/2020: sollevata questione di legittimità costituzionale; Trib. Spoleto, ord. 27 maggio 2020, ivi, 2 giugno 2020). Sul tema, G.L. Gatta, “Lockdown” della giustizia penale, sospensione della prescrizione del reato e principio di irretroattività: un cortocircuito, ivi, 4 maggio 2020.
[8] Iniziativa in relazione alla quale non si è mancato di sollevare dubbi: il documento del Direttivo della Associazione tra gli studiosi del processo penale “G. D. Pisapia”, del 13 aprile 2020 Osservazioni sulle disposizioni eccezionali per la giustizia penale nell’emergenza COVID-19, disponibile in questa Rivista, 14 aprile 2020, evidenzia come «l’indagato o l’imputato che vuole evitare una maggiore durata della misura cautelare personale [sia] costretto ad accettare uno sviluppo procedimentale nel quale si inseriscono forti compressioni del diritto di difesa, alla luce degli spazi che sono stati riconosciuti ad inedite forme di partecipazione a distanza e di formazione del materiale probatorio, per non parlare delle preoccupanti sequenze che possono svilupparsi nelle camere di consiglio a distanza». Al riguardo, S. Lorusso, Il cigno nero del processo penale, in questa Rivista, 11 maggio 2020.
[9] Per un esame approfondito di tutte le ipotesi derogatorie istituite dall’art. 83, comma 3, lett. b, v. indurre E. Amodio – E.M. Catalano, La resa della giustizia penale di fronte alla bufera del contagio, cit., p. 267 ss.; V. Bove, I tribunali penali davanti alla fase 2: una prima lettura del nuovo art. 83 d.l. 18/2020, tra legge di conversione e decreto legge 28/2020, in ilpenalista.it, 5 maggio 2020; G. Gaeta, Relazione sulle novità processuali relative alla gestione dell’emergenza sanitaria da Coronavirus, in Arch. pen. (web), 2020, n. 1; L.G. Velani, Gestione dell’emergenza COVID-19 e processo penale: un prodotto discutibile destinato a imporsi stabilmente?, in Leg. pen., 7 maggio 2020, p. 6 ss.
[10] Di cui danno conto, pur criticandola, L. Fidelio – A. Natale, Emergenza COVID-19 e giudizio penale di merito: un catalogo (incompleto) dei problemi, in Quest. giust., 16 aprile 2020.
[11] In questo senso, G. Castiglia, Udienze e termini processuali penali in regime di pandemia di Covid-19, in questa Rivista, 5/2020, p. 347, nota 33.
[12] Cfr., La relazione dell’Ufficio del Massimario sulle ricadute del decreto “cura Italia” sui giudizi penali in Cassazione, p. 6.
[13] In questi termini, L. Fidelio – A. Natale, Emergenza COVID-19 e giudizio penale di merito, cit., nonché G. Picaro, Il virus nel processo penale. Tutela della salute, garanzie processuali ed efficienza dell’attività giudiziaria nel d.l. n. 18 e 23 del 2020, in questa Rivista, 17 aprile 2020.
[14] Per un commento al decreto-legge, si veda M. Gialuz, L’emergenza nell’emergenza: il decreto-legge n. 28 del 2020, tra ennesima proroga delle intercettazioni, norme manifestato e “terzo tempo” parlamentare, in questa Rivista, 1 maggio 2020.
[15] Invero, tale estensione era già stata disposta dall’art. 36, comma 2, d.l. 8 aprile 2020, n. 23, per cui il d.l. n. 28 del 2020 non ha fatto altro che riprodurre il contenuto di quest’ultima previsione all’interno dell’art. 83, comma 3, lett. b, d.l. n. 18 del 2020.
[16] Così come, prima del prolungamento della sospensione dal 15 aprile all’11 maggio, non si correva «il rischio di un superamento complessivo della durata della custodia cautelare come fissata nel comma 4 dell’art. 303 cpp e neppure del parametro di cui al comma 6 dell’art. 304 cpp, norma di chiusura e limite invalicabile nel regime di sospensione dei termini di fase». Testualmente, G. Mazzotta, La giustizia penale alla prova dell’urgenza, in Quest. giust., 28 marzo 2020.
[17] La Corte Costituzionale ha infatti dichiarato l’illegittimità dell’art. 303, comma 2, c.p.p. nella parte in cui non consente di computare, ai fini dei termini massimi di fase previsti dall’art. 304, comma 6, c.p.p., i periodi di custodia cautelare sofferti in fasi o in gradi diversi da quelli in cui il procedimento è regredito (Corte Cost., 22 luglio 2005, n. 299, in Giur. cost., 2005, p. 2917, con nota di M. Ceresa-Gastaldo, Sull’operatività del termine massimo di fase ex art. 304 comma 6 c.p.p. in caso di regressione del procedimento: è costituzionalmente illegittimo l’art. 303 comma 2 c.p.p. nella parte in cui non consente il computo della custodia cautelare sofferta nelle fasi diverse).
[18] Cfr., Corte Cost., 18 luglio 1998, n. 292, in Cass. pen., 1998, p. 3202, con nota di M. Ceresa-Gastaldo, Regresso del procedimento e durata della custodia cautelare: la Corte Costituzionale interviene sull’applicazione dell’art. 304 comma 6 c.p.p.
[19] Testualmente, F. Costantini, voce Custodia cautelare (termini), in Dig. disc. pen., Agg. ***, tomo I, Torino, 2005, p. 324.
[20] Rileva l’invalicabilità di questi limiti, G. Santalucia, L’impatto sulla giustizia penale dell’emergenza da COVID-19: affinamenti delle contromisure legislative, in www.giustiziainsieme.it, 18 marzo 2020.
[21] La cogenza dei termini fissati dal sesto comma dell’art. 304 è stata posta alla base di una recente decisione del Tribunale di Palermo in funzione di giudice d’appello de libertate, di cui dà conto L. Parlato, Termini custodiali invalicabili ed “emergenza giudiziaria” da Covid-19: note a margine di una decisione del Tribunale di Palermo, in www.giustiziainsieme.it, 16 giugno 2020. Interessatosi dei riflessi dell’emergenza sanitaria sulla durata della custodia in carcere, il Tribunale ha accolto l’impugnazione della persona in vinculis, già imputata e condannata in primo grado, che ha fatto valere l’avvenuto superamento di quei termini.
[22] Suggerisce questa chiave di lettura, B. Petralia, Emergenza COVID-19, processo penale e proroga dei termini all’11 maggio 2020, cit., ad opinione del quale la disciplina astratta dell’art. 83 deve essere applicata alla luce del singolo caso concreto: in presenza di uno o più casi di sospensione occorrerà calcolare «il termine di ciascun procedimento onde individuare l’esatta data di scadenza di ogni rispettivo termine cautelare».
[23] Sono di questo avviso L. Fidelio – A. Natale, Emergenza COVID-19 e giudizio penale di merito, cit., i quali hanno appunto sottolineato come, sulla base dell’art. 83, devono essere considerati «sottratti alla sospensione ex lege tutti i procedimenti in cui sono state emesse misure custodiali per reati puniti con pena non superiore nel massimo a sei anni di reclusione, aventi il termine di tre mesi come termine massimo relativo alla fase delle indagini preliminari».