Cass., Sez. VI, 9 novembre 2021 (dep. 16 febbraio 2022), n. 5551, Pres. Mogini, est. Giordano
1. L’ordinanza in commento ha ad oggetto un procedimento per i reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali, per i quali risulta indagato il marito della persona offesa.
Quest’ultima, in particolare, ha proposto ricorso per Cassazione avverso il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti, su richiesta del Pubblico Ministero, ha sostituito la misura degli arresti domiciliari applicata all’indagato con quella del divieto di avvicinamento alla persona offesa, a tal fine valorizzando il tempo trascorso dall’applicazione della misura e la relativa incidenza sul giudizio di pericolosità dell’indagato, soggetto ancora incensurato.
Per l’esattezza, la ricorrente adduce la violazione dell’art. 299, co. 3, c.p.p., per non essere stato rispettato il termine di due giorni successivi alla notifica della richiesta di sostituzione o revoca della misura, assegnato alla persona offesa e al suo difensore per depositare memorie, prima della decisione del giudice.
Nel dettaglio, il suddetto termine dilatorio, cadendo in un giorno festivo, sarebbe dovuto essere di diritto prorogato al giorno seguente; giorno nel quale, invece, il giudice aveva adottato l’ordinanza di sostituzione della misura.
Peraltro, la persona offesa, poco prima che il suo difensore avesse ricevuto la notifica di tale provvedimento di sostituzione, aveva depositato la propria memoria, allegando altresì circostanze rilevanti per la valutazione del perdurante rischio di reiterazione di condotte illecite in suo danno.
Il giudice, tuttavia, non ne ha tenuto conto, ed ha anzi dichiarato, nell’ordinanza impugnata, che non vi fosse stato alcun deposito al riguardo.
2. Il ricorso è stato assegnato alla Sezione Sesta della Corte di Cassazione, la quale, dopo aver preliminarmente affermato la fondatezza in fatto dei rilievi della persona offesa, passa alla disamina della questione di diritto.
Il quesito, più specificamente, concerne la legittimazione in capo alla persona offesa, nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, a proporre ricorso in cassazione avverso l’ordinanza con cui sia stata disposta la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva (diversa dal divieto di espatrio o dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), per violazione del diritto al contraddittorio, ad essa riconosciuto dall’art. 299, co. 3, c.p.p.
A tale riguardo, per maggiore chiarezza espositiva, è opportuno accennare alla disciplina prevista da tale disposizione.
Anzitutto, va evidenziato che il comma 2-bis dell’articolo in parola è stato inserito dall’art. 2, co. 1, lett. b), n. 2 del d.l. 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, convertito dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119[1], e ulteriormente modificato dall’art. 15, co. 4, della l. 19 luglio 2019, n. 69.
La novellata disciplina contenuta nell’art. 299 c.p.p. è stata ispirata ad un disegno di contrasto alla violenza di genere e domestica[2], nel rispetto delle indicazioni provenienti dalle fonti sovranazionali, quali la Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011[3], sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica[4], ratificata dall’Italia con l. 27 giugno 2013, n. 77, e la direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012[5], in materia di vittima del reato, attuata con d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212.
In questo quadro legislativo, il coinvolgimento della persona offesa nella dinamica cautelare è finalizzato alla riduzione del rischio di vittimizzazione ripetuta[6], la quale consiste nella messa in atto di comportamenti intimidatori o ritorsivi da parte dell'autore del reato a danno della vittima.
In siffatta ottica preventiva, al soggetto richiedente - Pubblico Ministero o indagato/imputato - sono imposti, a pena di inammissibilità della richiesta, precisi obblighi di informazione della persona offesa, alla quale sono attribuite precise facoltà di contraddittorio cartolare. Tale contradditorio, peraltro, se effettivamente realizzato, condiziona le cadenze cronologiche della decisione cautelare e configura la struttura e il perimetro della motivazione del provvedimento.
Pertanto, è possibile affermare che la riforma dell’art. 299 c.p.p. delinei un’inedita informazione dell’offeso, secondo uno schema bipartito[7].
Invero, da un lato, il comma 2-bis della disposizione appena richiamata impone la comunicazione alla persona offesa della revoca, sostituzione o applicazione con modalità meno gravose delle misure coercitive diverse dal divieto di espatrio e dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria[8]. Dall’altro, il successivo comma 3 prevede che, qualora la richiesta di revoca o sostituzione della misura non sia stata proposta in sede di interrogatorio di garanzia, essa debba venire notificata, a pena di inammissibilità, alla persona offesa[9], per permetterle, entro due giorni, di presentare memorie dirette a comprovare la persistenza dei presupposti applicativi della cautela[10].
A seguire, anche il comma 4-bis dell’articolo in discorso sancisce un analogo obbligo di notifica, sempre a pena di inammissibilità, relativamente alle richieste di revoca o sostituzione formulate dall’imputato dopo la chiusura delle indagini preliminari, onde consentire ulteriormente alla persona offesa la presentazione di memorie[11].
Da sottolineare, tuttavia, che l’ambito di applicazione di tali doveri informativi, aggiuntivi rispetto agli obblighi previsti nella normativa europea di riferimento[12], è riservato solo ai procedimenti per “delitti commessi con violenza alla persona”, seppur discusso sia il significato da attribuire a questa locuzione[13].
3. Tracciati i contorni della disciplina di cui all’art. 229 c.p.p., è doveroso, però, specificare che essa non chiarisce se, in caso di mancata notifica dell’ordinanza con cui sia stata disposta la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva (diversa dal divieto di espatrio o dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), il soggetto passivo del reato sia legittimato a proporre ricorso in cassazione, per violazione del diritto al contraddittorio.
Ed infatti, i giudici di legittimità, rilevata tale lacuna, segnalano la presenza di diversi indirizzi giurisprudenziali sul punto.
3.1. In particolare, un primo orientamento ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto per saltum dalla persona offesa, adducendo che, avverso i provvedimenti di sostituzione o modifica delle misure cautelari, è ammesso esclusivamente il rimedio dell’appello, di cui all’art. 310 c.p.p., mentre il ricorso immediato per cassazione può essere proposto, ex art. 311, co. 2, c.p.p., contro i provvedimenti concernenti lo status libertatis non altrimenti impugnabili[14].
3.2. Altro orientamento[15], invece, ha sostenuto che l’inammissibilità dell’istanza di revoca o sostituzione delle misure cautelari coercitive (diverse dal divieto di espatrio e dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), applicate nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, sia eccepibile anche mediante impugnazione dalla persona offesa, nei cui confronti il richiedente non abbia provveduto a contestuale notifica.
Tale inammissibilità costituisce una sanzione che risponde alla necessità di garantire alla vittima un’adeguata informazione sull’evoluzione del regime cautelare in corso, anche dopo la chiusura delle indagini preliminari, e che tiene altresì in considerazione la possibilità che ella possa fornire eventuali elementi ulteriori al giudice procedente, attivando un contraddittorio cartolare con la presentazione di una memoria nei due giorni successivi alla notifica.
Questa tesi è stata peraltro ribadita da una successiva pronuncia[16], con la quale si è più puntualmente affermato che, sempre nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, l’offeso possa dedurre, con ricorso per cassazione, l’inammissibilità dell’istanza di revoca o sostituzione di misure cautelari coercitive (diverse dal divieto di espatrio e dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) applicate all’imputato, qualora questi non abbia provveduto contestualmente a notificargli l’istanza di revoca, di modifica o anche solo di applicazione della misura con modalità meno gravose, ai sensi dell’art. 299, co. 4-bis, c.p.p.
Una simile soluzione, secondo i giudici di legittimità, si pone, infatti, in linea con la maggiore tutela dei diritti delle vittime dei reati e con il più rilevante ruolo assunto dalla parte lesa nel contesto processuale di reati che esprimano violenza sulle donne, in seguito al recepimento della citata Convenzione di Istanbul del 2011 e della direttiva 2012/29/UE, in tema di diritti, assistenza e protezione delle vittime dei reati. D’altronde, come si legge nella motivazione della sentenza in parola, le modifiche apportate all’art. 299, co. 3, c.p.p. dalla l. 119 del 2013 sono finalizzate «ad assicurare alla persona offesa la concreta facoltà di interlocuzione, mediante la presentazione di memorie nei due giorni successivi» alla notifica della richiesta di revoca o sostituzione della misura e «a garantire alle vittime di reati caratterizzati da violenza alla persona, in relazione alla possibilità che il soggetto, cui i reati sono attribuiti, si renda ancora pericoloso, l’opportunità di apprestare preventivamente le proprie difese, fornendo elementi idonei a rappresentare situazioni che sconsiglino la revoca o la sostituzione richieste».
Peraltro, sempre in quest’ultima pronuncia[17], il Supremo Consesso riconosce la presenza di un vulnus alle prerogative specificamente riconosciute a tutela della persona offesa, in caso di mancata notifica della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare. Per tale motivo, esso ritiene opportuno integrare la previsione di cui all’art. 311 c.p.p. con le norme che riconoscono il diritto della persona offesa al contraddittorio cartolare, così da ammettere la possibilità di eccepirne il mancato rispetto.
Nel solco di questo orientamento giurisprudenziale, si è inserita un’ulteriore sentenza a Sezioni semplici della Corte[18], la quale ha ribadito che, nei procedimenti per reati con violenza alla persona, è ammesso il ricorso per cassazione della persona offesa avverso l’ordinanza con cui si dispone la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva in atto, al fine di far valere la violazione del disposto di cui all’art. 299, co. 4-bis, c.p.p. e la mancata declaratoria di inammissibilità dell’istanza di modifica cautelare di cui sia stata omessa la notifica.
In tale occasione, però, i giudici di legittimità hanno avuto modo di chiarire che i rimedi del ricorso per saltum e dell’appello non possano ritenersi esperibili dalla persona offesa, essendo le ipotesi del primo tassativamente previste dall’art. 311, co. 2, c.p.p., ed essendo il secondo espressamente riservato alle parti processuali ivi indicate, tra cui appunto non figura la persona offesa[19]. Pertanto, in mancanza di una specifica disposizione normativa, la Corte ha ritenuto la persona offesa «legittimata ad esperire il rimedio del ricorso per cassazione sulla base della prescrizione di carattere generale di cui all’art. 111 Cost.[20], comma 7, secondo cui contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso il ricorso per cassazione, nonché della previsione di cui all’art. 568 c.p.p.[21], comma 2, secondo cui sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale»[22].
3.3. Opposte risultano, invece, le conclusioni formulate da una successiva pronuncia[23], secondo la quale, nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, è inammissibile il ricorso per cassazione della persona offesa avverso l’ordinanza con cui si sia disposta la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva (diversa dal divieto di espatrio o dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), in atto nei confronti dell’indagato, senza procedere alla notifica alla stessa persona offesa dell’istanza, ai sensi dell’art. 299, co. 3, c.p.p.
Con la richiamata sentenza, infatti, la Corte di cassazione, ribadisce che né l’art. 310, né l’art. 311 c.p.p. menzionano la persona offesa tra i soggetti legittimati ad impugnare i provvedimenti de libertate e tali disposizioni non possono essere applicate oltre i casi tassativamente previsti. A ciò si aggiunge, poi, che anche l’art. 111 Cost. costituisce una norma di stretta interpretazione, sicché lo stesso impone che il soggetto legittimato all’impugnazione sia solo «colui che soffre la limitazione della propria libertà (ovvero il suo difensore) e l’organo chiamato a tutelare le ragioni - pubbliche - sottese all’esigenza eccezionale di limitare la libertà altrui».
Inoltre, a parere dei giudici di legittimità, la possibilità di esperire ricorso per cassazione in casi analoghi non sarebbe ricavabile neppure dalla disciplina di altri istituti[24], come avvenuto con l’art. 409 c.p.p., in tema di omessa notifica della richiesta di archiviazione alla persona offesa.
Con particolare riferimento a tale ipotesi, è pur vero, infatti, che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 353 del 1991[25], ha riconosciuto alla persona offesa il diritto ad impugnare il decreto di archiviazione nell’ipotesi di omesso avviso, oltre i limiti previsti dal comma 6 dell’art. 409 c.p.p. È altrettanto vero, però, che l’ordinamento processualpenalistico già riconosceva espressamente alla parte offesa, proponente opposizione, la legittimazione a ricorrere per cassazione contro l’ordinanza di archiviazione pronunciata dal Gip ad esito dell’udienza in camera di consiglio celebrata senza averle dato la possibilità di parteciparvi.
Dunque, nell’ipotesi più grave in cui la persona offesa fosse stata privata “a monte” dell’avviso della richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero, nonostante la sua espressa richiesta, era ricavabile già dal sistema la sussistenza di un rimedio analogo per consentirle di eccepire la violazione del diritto al contraddittorio.
In altri termini, è stato possibile introdurre un’ulteriore ipotesi di ricorso per cassazione a tutela delle ragioni della persona offesa, giacché, in materia di archiviazione, quel rimedio già esisteva.
Non a caso, in quell’occasione, è stata la stessa Consulta a definire la conclusione raggiunta come la più adeguata alla ratio dell’art. 409, co. 6, c.p.p. e la più conforme alla necessità di disciplinare unitariamente l’istituto dell’archiviazione, senza pregiudizi per il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione.
Pertanto, il Supremo Consesso, sempre nella medesima pronuncia[26], ha ritenuto che l’unico istituto adatto a coniugare l’effettività del diritto al contraddittorio riconosciuto alla persona offesa con il rispetto delle regole generali poste a presidio delle garanzie di tutela della libertà personale, non soggetta a limitazione se non su iniziativa del Pubblico Ministero, fosse quello previsto dall’art. 572 c.p.p., che individua proprio in quest’ultimo soggetto «l’organo preposto a mediare le richieste di impugnazione della parte offesa, in tutti i casi in cui la legge non attribuisce a quest’ultima un potere di impugnazione diretta».
A parere della Corte, quindi, la persona offesa avrebbe dovuto sollecitare il Pubblico Ministero ad impugnare l’ordinanza, soggetta ad appello, con successiva ricorribilità per cassazione del provvedimento emesso dall’organo giurisdizionale adito.
4. Dopo aver descritto i diversi orientamenti giurisprudenziali succedutisi sulla controversa questione di diritto, il Collegio si sofferma poi sulla ratio dell’obbligo di informazione della persona offesa, imposto alla parte che ha richiesto la revoca o sostituzione della misura coercitiva, ai sensi dell’art. 299, co. 3, c.p.p. (e, per le fasi diverse dalle indagini preliminari, dal co. 4-bis).
In particolare, i giudici di legittimità sottolineano come l’assolvimento di tale obbligo/onere informativo, previsto a pena di inammissibilità della richiesta, rappresenti il fondamentale prodromo all’apertura del contraddittorio cautelare alla persona offesa.
La decisione del giudice, infatti, qualora tale contraddittorio cartolare si realizzi, può intervenire solo all’esito di questa sequenza procedimentale, che, per le richieste di revoca o sostituzione delle misure cautelari coercitive (diverse dal divieto di espatrio o dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), applicate per reati commessi con violenza alla persona, costituisce un unitario e complesso sub-procedimento cautelare.
In altri termini, il novellato art. 299, co. 3, c.p.p., contrariamente alla normativa previgente, introduce il diritto della persona offesa di partecipare al procedimento incidentale, attraverso un’interlocuzione cartolare sulla permanenza dei presupposti della misura coercitiva, prima della decisione del giudice sull’istanza di revoca o di sostituzione della misura stessa.
Il fondamento di tale modifica legislativa si rinviene, quindi, nella volontà del legislatore di garantire alla vittima del reato commesso con violenza alla persona un insieme di diritti e facoltà processuali, finalizzato alla protezione della persona offesa attraverso la sua informazione e la sua consapevole e attiva partecipazione al procedimento penale, anche tramite il suo fondamentale apporto conoscitivo, ogniqualvolta si discuta della perdurante adeguatezza delle misure coercitive applicate all’indagato rispetto alle esigenze cautelari sussistenti nel caso concreto[27].
D’altronde, tali finalità sono identiche a quelle previste dalla menzionata direttiva 2012/29/UE, il cui scopo precipuo è «garantire che le vittime di reato ricevano informazione, assistenza e protezione adeguate e possano partecipare ai procedimenti penali»[28].
Più precisamente, è l’art. 6, parr. 1 e 2, della direttiva in parola a disciplinare il diritto della vittima ad ottenere informazioni sul proprio procedimento, estendendone l’applicazione non solo all’eventuale sentenza definitiva del processo, ma a tutte le informazioni che le permettano di essere al corrente sullo stato del procedimento, purché ciò non ne pregiudichi il corretto svolgimento.
I successivi parr. 5 e 6 riconoscono, poi, alla vittima il diritto di essere informata, senza ritardo, sulla scarcerazione o sull’evasione della persona posta in stato di custodia cautelare, processata o condannata, nonché sulla possibilità di attivare eventuali misure di protezione in caso di scarcerazione o evasione dell’autore del reato, a meno che tale informazione non comporti un rischio concreto di danno per quest’ultimo.
Se ne deduce, quindi, che tale sub-procedimento cautelare costituisce uno strumento finalizzato non solo alla formale attribuzione, in capo all’imputato o al Pubblico Ministero, di un obbligo di informazione alla persona offesa circa la presentazione di una richiesta di revoca o sostituzione della misura coercitiva in atto, ma soprattutto al riconoscimento di un vero e proprio diritto dell’offeso di offrire al giudice procedente ulteriori elementi utili ai fini della relativa decisione sull’adeguatezza della misura coercitiva applicata rispetto alle esigenze cautelari sussistenti nel caso concreto.
In questa prospettiva, ad avviso del Collegio, il mancato riconoscimento alla persona offesa della legittimazione a impugnare l’ordinanza di revoca o sostituzione della misura coercitiva, richiesta dal Pubblico Ministero ed emessa dal giudice in violazione del diritto al contraddittorio, così sancito in favore della stessa persona offesa dall’art. 299, co. 3, c.p.p., non troverebbe idonea soddisfazione nella disciplina di cui all’art. 572 c.p.p.
Invero, applicando tale ultima disposizione, la tutela dei diritti della persona offesa sarebbe affidata all’iniziativa del soggetto che aveva richiesto l’adozione dell’atto ipoteticamente lesivo di quegli stessi diritti ed il ricorso sarebbe pertanto probabilmente ritenuto non sorretto da concreto interesse. Dunque, simili garanzie procedurali, seppur previste a pena di inammissibilità della richiesta[29] o di nullità di ordine generale[30] dell’ordinanza di revoca o sostituzione della misura coercitiva, qualora violate, risulterebbero meramente formali, se non fossero assistite dalla legittimazione della persona offesa ad impugnare il provvedimento viziato.
A ciò si aggiunga che la Corte di Strasburgo ha spesso ribadito che, dagli artt. 2 e 3 della Convenzione EDU, deriva, per gli Stati, l’obbligo positivo di tutelare le persone vulnerabili - tra cui, appunto, le vittime di violenze domestiche -, sia mediante misure adeguate a proteggerle da aggressioni alla propria vita e integrità fisica, sia tramite i cosiddetti “obblighi procedurali”, da cui discende il dovere, per le autorità pubbliche, di instaurare un procedimento penale effettivo e tempestivo, in grado di tutelare l’interesse della vittima a ricevere una protezione efficace, anche da eventuali ulteriori azioni criminose da parte dell’aggressore[31].
Tale protezione è peraltro il primario obiettivo perseguito anche dalla menzionata Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica del 2011.
Pertanto, rilevata l’importanza della controversa questione di diritto, la Sesta Sezione della Corte di Cassazione ha deciso di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, sottoponendo alle stesse il seguente quesito: «se nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona sia ammissibile il ricorso per cassazione della persona offesa avverso l’ordinanza con cui sia stata disposta la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva (diversa dal divieto di espatrio o dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) in violazione del diritto al contraddittorio riconosciuto alla stessa persona offesa dall’art. 299 c.p.p., comma 3».
5. In attesa del responso delle Sezioni Unite, è possibile riconoscere all’ordinanza di rimessione in commento il pregio di aver riposto l’attenzione sul grave vulnus esistente sul tema.
Invero, il legislatore, nonostante le modifiche apportate alla disciplina processuale sulla base delle indicazioni sovranazionali, non sembra aver approntato una normativa esaustiva e al contempo idonea a soddisfare gli interessi richiesti.
D’altronde, una simile carenza si riscontra anche all’atto dell’eventuale rigetto della misura eventualmente richiesta dal Pubblico Ministero, o, qualora quest’ultimo sia rimasto inerte e non abbia formulato alcuna istanza cautelare, dopo la presentazione della querela da parte della persona offesa, o, ancora, in caso di annullamento della misura da parte del tribunale di secondo grado, ex art. 310 c.p.p.[32]
Il sistema delle impugnazioni delle misure coercitive è, infatti, improntato solo all’iniziativa del Pubblico Ministero, dell’imputato e del suo difensore e l’art. 299 c.p.p. non prevede un rimedio esperibile in favore della persona offesa, cui è consentito unicamente di “interloquire” nell’ambito del procedimento cautelare. Il che, pur costituendo un novum, privo di pregresse specifiche previsioni normative, necessita, tuttavia, di un ulteriore intervento legislativo volto a correggere l’attuale deficit di tutela dell’offeso.
La lacuna della disciplina vigente, peraltro, appare difficilmente giustificabile, se si considera che la previsione di inammissibilità dell’istanza è dettata nell’interesse della persona offesa all’interlocuzione nel procedimento. Sicché, sarebbe stato necessario armonizzare l’art. 299, co. 3 e 4-bis, c.p.p. con il sistema delle impugnazioni cautelari, prevedendo, per la persona offesa medesima, la possibilità di ricorrere in cassazione avverso l’ordinanza di revoca o sostituzione della misura cautelare non preceduta dalla prescritta notifica della richiesta.
La mancanza di tale previsione ha, difatti, portato la giurisprudenza a prospettare diverse soluzioni, che accordassero comunque al soggetto passivo del reato la legittimazione a ricorrere per cassazione, ma ciò ha inevitabilmente condotto ad indebite forzature del principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione[33].
In mancanza di un intervento legislativo, si attende allora il responso delle Sezioni Unite, al fine di colmare il vulnus sul tema, contemperando i diritti della persona offesa con i principi generali in materia di impugnazioni.
[1] Sul tema, in dottrina, si veda H. BELLUTA, Revoca o sostituzione di misura cautelare e limiti al coinvolgimento della vittima, in www.penalecontemporaneo.it, 28 novembre 2013, p. 1 ss.; D. CERTOSINO, Violenza di genere e tutela della persona offesa nei procedimenti de libertate, in Cass. pen., fasc. 10, 2016, p. 3753 ss.; A. DIDDI, Chiaroscuri nella nuova disciplina sulla violenza di genere, in Proc. pen. giust., fasc. 2, 2014, p. 98 ss.; M. BONTEMPELLI, Novità nelle procedure di revoca e sostituzione, in A. DIDDI - R.M. GERACI (a cura di), Misure cautelari ad personam in un triennio di riforme, Giappichelli, 2015, p. 143 ss.; D. POTETTI, Il nuovo art. 299 c.p.p. dopo il decreto legge n. 93 del 2013, in Cass. pen., fasc. 3, 2014, p. 975 ss.; A. PROCACCINO, L’avvento della persona offesa nelle dinamiche custodiali, in A. DIDDI - R.M. GERACI (a cura di), Misure cautelari ad personam in un triennio di riforme, cit., p. 88 ss.; F. ZACCHÉ, Le cautele fra prerogative dell’imputato e tutela della vittima di reati violenti, in Riv. it. dir. e proc. pen., fasc. 2, 2015, p. 675 ss.; ancora F. ZACCHÉ, Il sistema cautelare a protezione della vittima, in M. BARGIS - H. BELLUTA (a cura di), Vittime di reato e sistema penale. La ricerca di nuovi equilibri, Giappichelli, 2017, p. 434 ss.
[2] V. art. 1 d.l. n. 93 del 2013.
[3] Il testo della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne e della violenza domestica, dell’11 maggio 2011, è reperibile sul sito ufficiale del Consiglio d’Europa al seguente link: https://www.coe.int/en/web/conventions/full-list?module=treaty-detail&treatynum=210.
[4] Secondo la Convenzione, per “violenza nei confronti delle donne” si intende «una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata» (art. 3 lett. a). Per “violenza domestica”, invece, sono da intendersi «tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima» (art. 3 lett. b). Infine, la Convenzione specifica che «l’espressione “violenza contro le donne basata sul genere” designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato» (art. 3 lett. d).
[5] Il testo della Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI, è reperibile sul sito ufficiale dell’Unione europea, al seguente link: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=celex:32012L0029. Secondo tale direttiva, la violenza di genere è «la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere. Può provocare un danno fisico, sessuale, emotivo o psicologico, o una perdita economica alla vittima...» (cons. 17). Come sotto-categoria della violenza di genere, vi è la violenza nelle relazioni strette, definita come «quella commessa da una persona che è l’attuale o l’ex coniuge o partner della vittima ovvero da un altro membro della sua famiglia, a prescindere dal fatto che l’autore del reato conviva o abbia convissuto con la vittima. Questo tipo di violenza potrebbe includere la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica e provocare un danno fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche...» (cons. 18).
[6] Al riguardo, si veda l’art. 18 della Convenzione di Istanbul del 2011 e, nella direttiva 2012/29/UE, i cons. 9, 53, 54, 55, 57, 58, e gli artt. 9, 12, 18, 22, 24.
[7] Cfr. S. CIAMPI, Il diritto di difesa e all’informazione, in M. BARGIS - H. BELLUTA (a cura di), Vittime di reato e sistema penale. La ricerca di nuovi equilibri, cit., p. 291.
[8] Cfr. B. ROMANELLI, Omessa notifica alla persona offesa della richiesta di revoca o sostituzione di misura cautelare coercitiva: problemi definitori e rimedi in sede di impugnazione, in Cass. pen., fasc. 12, 2017, p. 4429 ss.
[9] L’onere di previa notifica dovrebbe quindi ritenersi non necessario in caso di richiesta di applicazione della misura con modalità meno gravose: di tale avviso, in dottrina, M. BONTEMPELLI, Novità nelle procedure di revoca e sostituzione, cit., p. 162-163; D. POTETTI, Il nuovo art. 299 c.p.p. dopo il decreto legge n. 93 del 2013, cit., p. 975. Di opposta opinione, in giurisprudenza, v. Cass., Sez. V, 8 gennaio 2016, n. 18565; Cass., Sez. VI, 5 febbraio 2015, n. 6717.
[10] Cfr. M. BONTEMPELLI, Novità nelle procedure di revoca e sostituzione, cit., p. 149; R.A. RUGGIERO, La tutela processuale della violenza di genere, in Cass. pen., fasc. 6, 2014, p. 2356; C. TRABACE, Brevi note in tema di «delitti commessi con violenza alla persona», in Cass. pen., fasc. 11, 2016, p. 4159.
[11] Di tale opinione, in giurisprudenza, Cass., Sez. VI, 5 febbraio 2015, n. 6717, cit. In dottrina, invece, A. DIDDI, Chiaroscuri nella nuova disciplina sulla violenza di genere, cit., p. 99; A. PROCACCINO, L’avvento della persona offesa nelle dinamiche custodiali, cit., p. 98; C. TRABACE, Brevi note in tema di «delitti commessi con violenza alla persona», cit., p. 4159. Di diverso avviso, D. POTETTI, Il nuovo art. 299 c.p.p. dopo il decreto legge n. 93 del 2013, cit., p. 985.
[12] Sul tema, si veda, in dottrina, S. ALLEGREZZA - S. MARTELLI, Vittime di violenza domestica e sistema penale italiano, in L. LUPARIA (a cura di), Lo statuto europeo delle vittime di reato. Modelli di tutela tra diritto dell’Unione e buone pratiche nazionali, Cedam, 2015, p. 217; F. ZACCHÉ, Il sistema cautelare a protezione della vittima, cit., p. 434-435. Nella medesima direzione vanno anche le indicazioni provenienti dalla Commissione europea sulle modalità di attuazione della direttiva, secondo le quali quest’ultima non attribuisce alla vittima il diritto ad essere sentita nel corso della procedura di scarcerazione, o ad appellare la relativa decisione: v. DG Justice Document related to the transposition and implementation of the Directive 2012/29/EU establishing minimum standards on the rights, support and protection of victims of crime, in www.e-justice.europa.eu, p. 19.
[13] Al riguardo, v. M.C. AMOROSO, La nozione di delitti commessi con violenza alla persona: il primo passo delle Sezioni unite verso un lungo viaggio, in Cass. pen., fasc. 10, 2016, p. 3726. Nello specifico, si è affermata di recente la necessità di delimitare la nozione di “delitti commessi con violenza alla persona”, alla luce dei canoni interpretativi emersi dalla direttiva 2012/29/UE, che richiedono di tener conto, in via gradata, delle caratteristiche soggettive della persona offesa (soprattutto laddove trattasi di minorenni e vittime di delitti di tratta, di terrorismo, di criminalità organizzata, di violenza o sfruttamento sessuale e di crimini di odio) e della riconducibilità del reato al genus della violenza di genere o nelle relazioni strette. Al di fuori di queste ipotesi, l’interlocuzione della persona offesa andrebbe riservata ai casi in cui alla natura violenta del reato si affianchi un concreto pericolo di intimidazione, ritorsioni o vittimizzazione secondaria o ripetuta. Al contrario, l’onere di previa notifica andrebbe escluso in caso di reati minori, o qualora vi sia comunque un rischio ridotto di danno per la vittima (v. Cass., Sez. II, 4 maggio 2017, n. 36680, e Cass., Sez. II, 3 maggio 2017, n. 36167).
[14] Cass., Sez. V, 31 marzo 2015, n. 35735.
[15] Cass., Sez. VI, 5 febbraio 2015, n. 6717.
[16] Cass., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n. 6864.
[17] Cass., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n. 6864, cit.
[18] Cass., Sez. V, 20 settembre 2016, n. 7404, annotata, in dottrina, da B. ROMANELLI, Omessa notifica alla persona offesa della richiesta di revoca o sostituzione di misura cautelare coercitiva: problemi definitori e rimedi in sede di impugnazione, cit., p. 4429 ss.
[19] La legittimazione della persona offesa a proporre appello cautelare è esclusa anche dall’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione, a p. 11 della Rel. n. III/03/2013, Roma, 16 ottobre 2013, Novità legislative: L. 15 ottobre 2013, n. 119, ‘‘Conversione in legge del d.l. 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province, consultabile sul sito ufficiale della Corte di Cassazione, al seguente link: https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Relazione_III_03_2013.pdf.
[20] Al riguardo, V. GREVI, Libertà personale dell’imputato e Costituzione, Giuffrè, 1976, p. 234, afferma che il più rilevante significato dell’(allora) art. 111, co. 2, Cost. consiste nel «sancire la necessità che in ordine a tutti i provvedimenti restrittivi della libertà personale dell’imputato venga quantomeno assicurata, accanto alle garanzie della riserva di legge e della riserva di giurisdizione fissate dall’art. 13 Cost., la garanzia del successivo controllo di legittimità in cassazione». L’articolo, quindi, considerato il riferimento ampio ai provvedimenti “sulla” libertà personale, fornisce copertura costituzionale anche al ricorso per cassazione del Pubblico Ministero: sul punto, v., ex multis, V. DENTI, sub art. 111, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, vol. IV, La magistratura, Zanichelli, 1987, p. 31.
[21] In merito, v. G. SANTALUCIA, sub art. 568 c.p.p., in G. LATTANZI - E. LUPO (a cura di), Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, vol. VIII, t. I, Giuffrè, 2013, p. 3 ss.; G. TRANCHINA, voce Impugnazione (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Agg. II, Giuffrè, 1998, p. 393 ss.; C. VALENTINI, I profili generali della facoltà di impugnare, in A. GAITO (a cura di), Le impugnazioni penali, I, Utet, 1998, p. 191 ss.
[22] Cass., Sez. V, 20 settembre 2016, n. 7404, cit.
[23] Cass., Sez. V, 17 maggio 2017, n. 54319, annotata, in dottrina, da A. MARANDOLA, Sui possibili rimedi in caso di revoca o sostituzione della misura cautelare e mancato avviso alla persona offesa, in Ilpenalista.it, 5 febbraio 2018.
[24] Sul punto, v. le considerazioni dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione, Rel. n. 05/2017, Omessa notifica alla persona offesa delle richieste de libertate: le prime pronunce della Corte di cassazione, in www.cortedicassazione.it, p. 4-5.
[25] Corte cost., 16 luglio 1991, n. 353.
[26] Cass., Sez. V, 17 maggio 2017, n. 54319, cit.
[27] Così, in motivazione, Cass., Sez. VI, 14 novembre 2017, n. 8691.
[28] Cfr. considerando 19 della direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012.
[29] Deducibile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento cautelare, anche in deroga al principio devolutivo, in caso di appello, secondo Cass., Sez. II, 14 luglio 2016, n. 33576 e Cass., Sez. II, 20 giugno 2014, n. 29045.
[30] Cass., Sez. V, 12 giugno 2017, n. 43103 riconduce a tale categoria, ai sensi dell’art. 178, co. 1, lett. c), c.p.p., la mancata notifica dell’istanza alla persona offesa.
[31] Cfr. Corte EDU, Grande Camera, sent. 28 aprile 1998, Osman c. Regno Unito; Corte EDU, Grande Camera, sent. 10 maggio 2001, Z. e altri, c. Regno Unito; Corte EDU, Sez. III, sent. 9 giugno 2009, Opuz c. Turchia; Corte EDU, Sez. I, sent. 2 marzo 2017, Talpis c. Italia.
[32] V. A. MARANDOLA, Sui possibili rimedi in caso di revoca o sostituzione della misura cautelare e mancato avviso alla persona offesa, cit., p. 4-5.
[33] Cfr. B. ROMANELLI, Omessa notifica alla persona offesa della richiesta di revoca o sostituzione di misura cautelare coercitiva: problemi definitori e rimedi in sede di impugnazione, cit., p. 4429 ss.