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18 Febbraio 2021


La costituzione di parte civile degli enti collettivi nel procedimento per l'incidente ferroviario di Pioltello. Verso il ripristino della purezza dei ruoli processuali?

G.U.P. Milano, ord. 2 febbraio 2021, Giud. dott.ssa Magelli



1. L’azione civile in sede penale degli enti e delle associazioni, che tutelano gli interessi lesi dal reato ha conosciuto nel nostro sistema una espansione tumultuosa, in rotta di collisione con la normativa dettata dal legislatore del 1989. Con l’introduzione della figura degli enti rappresentativi degli interessi diffusi si era voluto. chiaramente delimitare e inquadrare entro lo schema dell’intervento adesivo la partecipazione degli enti[1]. Un consistente indirizzo giurisprudenziale ha continuato però a consentire, con una notevole ampiezza, la costituzione di parte civile di formazioni sociali di varia natura, anche nelle ipotesi in cui manca il danno ai sensi della legge civile[2].

La decisione che si annota assume pertanto una forte portata innovatrice laddove ripudia l’interpretazione estensiva coltivata da gran parte della giurisprudenza. Sotto un diverso profilo, la decisione in commento sviluppa e organizza in un quadro sistematico coerente gli spunti già presenti nella nota decisione delle Sezioni Unite sul caso Thyssenkrupp, al fine di definire parametri specifici e concreti cui ancorare  la legittimazione degli enti collettivi a costituirsi parte civile nel processo penale[3]. L’ordinanza del Giudice dell’udienza preliminare di Milano ha enucleato una serie di indici alla stregua dei quali verificare la configurabilità in capo agli enti collettivi della qualità di danneggiato dal reato. Si tratta di individuare il soggetto che ha subito in via immediata e diretta un danno da far valere iure proprio attraverso l’esercizio dell’azione civile in sede penale, così come prescritto dall’art. 74 c.p.p. I parametri elencati dalla ordinanza annotata rappresentano, infatti, la traduzione in concreto dei requisiti postulati in via generale dalla disciplina codicistica.

Il Gup del Tribunale di Milano ha sciolto la riserva in ordine alla richiesta di esclusione delle parti civili costituitesi nel processo sull’incidente ferroviario di Pioltello del 25 gennaio 2018, avanzata ex art. 80 c.p.p. dalle difese degli imputati e dallo stesso Pubblico Ministero.

Le richieste di esclusione vertevano, in particolare, sulla mancanza di legittimazione all’azione civile di alcuni enti asseritamente portatori di diritti soggettivi direttamente lesi dai reati oggetto del processo.

L’elenco degli enti costituiti parte civile ricomprende, fra gli altri, sindacati di rilevanza nazionale (tra i più noti CIGL Lombardia e CUB), associazioni a tutela dei consumatori come CODACONS e numerose altri ente realtà associative costituite a tutela del cittadino e dei lavoratori.

Nel caso di specie, il Gup del Tribunale di Milano è giunto ad escludere la maggior parte di essi sulla scorta di alcune considerazioni, in parte fortemente innovative, sviluppate a seguito di un’attenta revisione critica della consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto.

 

2. Il Gup milanese non manca di precisare che, nella valutazione sulla sussistenza della legittimazione ad agire, non è possibile prescindere dai principi consolidatisi nell’ambito della giurisprudenza civile.  In particolare, si rileva che secondo l’autorevole insegnamento delle Sezioni Unite civili[4]  la legittimazione ad agire spetti a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare, mentre il giudizio sull’effettiva titolarità dello stesso in capo all’attore è oggetto della decisione di merito e sfugge, dunque, al controllo preliminare sulle condizioni cui è soggetta l’azione.

La questione riveste una spiccata rilevanza nel momento in cui si tratta di valutare la sussistenza dell’interesse e della legittimazione ad agire in capo a quelle associazioni od enti cui “sono state riconosciute, in forza di legge, finalità di tutela degli interessi lesi dal reato” (art. 91 c. 1 c.p.p.). Come si è già rilevato, la sistematica del codice ritaglia un ruolo ad hoc alle associazioni che vogliano intervenire nel processo ex art. 91 c.p.p.  a fini di generica salvaguardia degli interessi indicati nello statuto. Al contrario l’ente che interviene come parte civile secondo l’assunto adottato dalla adunanza annotata, deve possedere la titolarità di “di diritti soggettivi propri, ulteriori e distinti rispetto a quelli dei singoli associati, lesi dalla condotta penalmente illecita” .

L’accertamento circa la sussistenza di una lesione dei diritti “propri” in capo all’ente passa necessariamente attraverso la verifica dell’esistenza di alcuni elementi concreti che il Gup di Milano ha esplicitato, anche sulla scorta degli orientamenti della giurisprudenza di merito.

Anzitutto, l’ente collettivo deve essersi costituito antecedentemente al reato. Occorre  poi che lo scopo dell’ente (ricavabile dallo Statuto dello stesso) coincida o, comunque, includa in maniera esplicita la tutela di un interesse riconducibile al bene giuridico leso dal reato e che, inoltre, attenga in via esclusiva e specifica al suo perseguimento.

Va poi rilevato che la giurisprudenza di merito del Tribunale di Milano è unanime nell’affermare che le finalità dell’ente non debbano essere rimaste “sulla carta”, ma occorre che si siano tradotte in una concreta e continuativa attività volta al perseguimento dello scopo prefisso. I giudici milanesi si sono spinti oltre, affermando che questo requisito non risulta integrato da una mera attività di informativa e/o di denuncia[5]. E la giurisprudenza di legittimità, ha in aggiunta precisato che l’ente deve avere un legame territoriale effettivo con il luogo in cui l’interesse tutelato è stato pregiudicato[6].

 

3. Fissate le suesposte premesse, il Gup di Milano chiarisce subito il principio posto a fondamento della decisione di escludere dal processo la quasi totalità degli enti collettivi costituiti parte civile.

Partendo dall’assunto – ineccepibile – secondo cui la partecipazione al processo penale di soggetti estranei alla compagine delle parti necessarie deve essere limitato a coloro che siano effettivamente legittimati ad esercitare l’azione civile, il Gup milanese ritiene necessario sagomare adeguatamente il vaglio preliminare di ammissibilità quando a proporre la domanda risarcitoria sia un ente o un’associazione esponenziale. Sorgerebbe, dunque, per l’ente che aspiri ad entrare in sede penale, uno specifico onere di allegazione e di prova, sin dalla fase di costituzione, volto a dimostrare il suo diritto di agire alla luce dei requisiti    suesposti, che consentono di ritenere in concreto radicata in capo all’ente collettivo la qualità di danneggiato dal reato ex art. 74 c.p.p. e 185 c.p.

Si coglie in questo orientamento l’eco della più attenta e recente giurisprudenza di legittimità, secondo la quale le associazioni che fanno riferimento  agli interessi tutelati sulla base del proprio Statuto e alle lesioni in astratto derivabili dai reati contestati, devono “supportare tali affermazioni con altri elementi di valutazione, idonei a dar conto dell'esistenza di una lesione, in concreto, del diritto tutelato e del nesso causale tra tale pregiudizio e il delitto”[7]. Così, anche la sussistenza del danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova da parte dell’associazione che ne invochi il risarcimento, con la specificazione dei “relativi elementi di valutazione come altrettante asserzioni del diritto previsto dall’art. 185 c.p. in termini generali, dai quali è dato dimostrare la lesione del suo diritto… e il nesso causale tra il danno asseritamente subito e il delitto”[8].

 

4. Uno degli aspetti più traumatici della decisione del Gup di Milano risiede nell’esclusione di buona parte dei sindacati, categoria, la cui legittimazione ad agire in sede penale, almeno nell’ambito dei reati commessi con violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro - non era mai stata messa seriamente in discussione. Anzi, come lo stesso Giudice sottolinea, lo Statuto dei Lavoratori, all’art. 9, parrebbe conferire agli stessi un vero e proprio diritto soggettivo, coincidente con il potere di controllo della corretta applicazione delle norme di prevenzione, nonché nel potere di promozione delle misure a tutela della salute dei lavoratori.

Il favor nei confronti delle organizzazioni sindacali è ampiamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità che ritiene del tutto ininfluente la circostanza che il lavoratore sia o meno iscritto al sindacato[9].

IL Giudice milanese, con una forte presa di posizione, si discosta però da tale orientamento, affermando che anche le associazioni di tipo sindacale non debbono essere ritenute esenti dagli oneri di allegazione e prova, in ordine al possesso dei requisiti che legittimano l’azione, al pari di ogni altro ente rappresentativo.

Questa visuale già presente nella nota decisione delle Sezioni Unite sul caso Thyssenkrupp, viene ora pienamente valorizzata in tutte le sue implicazioni. In particolare, con riferimento all’ORSA Ferrovie Lombardia, il Gup afferma che il sindacato avrebbe dovuto provare “l’effettiva attività...e il radicamento...nella realtà storica territoriale di riferimento”. Infatti, il sindacato in parola aveva lamentato una generica perdita di credibilità nell’ambito dell’azione di tutela delle condizioni di lavoro conseguente al grave incidente ferroviario oggetto del processo milanese. Tuttavia, nell’atto di costituzione, non veniva fornita prova alcuna dell’esistenza di una siffatta attività riconducibile alla realtà storico-territoriale di riferimento. Di conseguenza, il Giudice ha ritenuto non sussistente la legittimazione ad agire dell’ente.

Sulla scia di questo orientamento, il Gup milanese ha escluso, uno dopo l’altro la maggior parte dei sindacati costituiti parte civile: CUB (Confederazione Unitaria di Base), USB (Unione Sindacale di Base Lavoro Privato, CGIL Lombardia, Associazione Sindacale Federazione Nazionale CUB Trasporti, Associazione Sindacale CUB Trasporti Milano Lombardia. Tutte queste associazioni sindacali non avevano adempiuto all’onere di allegazione non avendo dimostrato lo svolgimento concreto di attività di prevenzione nell’ambito territoriale di riferimento, ovvero avendo posto in essere solo attività di informazione e denuncia. Unicamente FILT-CGIL Lombardia (Federazione Italiana Lavoratori Trasporti – CGIL Lombardia) ha superato il vaglio di ammissibilità rimanendo parte nel processo.

Una seconda macrocategoria di enti collettivi “esclusi” è costituita dalle associazioni che potremmo definire di tutela del cittadino e del consumatore. In questi casi, il Gup di Milano ha evidenziato l’assoluta genericità degli scopi statutari che definiscono gli obiettivi delle associazioni stesse, nonché delle domande risarcitorie contenute nell’atto di costituzione.

In effetti, la più recente giurisprudenza di legittimità prescrive che, ai fini dell’ammissibilità della costituzione dell’ente, “lo scopo statutario deve attenere in via specifica ed esclusiva alla materia in questione come interesse essenziale dell’ente”[10].

Quasi eccentrica potrebbe essere definita, sulla scia di tali premesse, la legittimazione ad agire vantata da Associazione Codici onlus – Centro per i diritti del cittadino, il cui scopo statutario è ravvisabile nella generica tutela dei diritti dei cittadini; di conseguenza, l’ente avrebbe lo scopo di tutelare anche i diritti delle persone vittime del disastro. L’associazione lamentava una lesione “agli interessi diffusi e collettivi degli utenti e consumatori” conseguente alla violazione delle norme incriminatrici di cui all’imputazione.

 

5. L’ordinanza in commento si è pronunciata anche sulla l’inammissibilità delle costituzioni di parte civile formulate nei confronti dell’ente incolpato.

La decisione si allinea all’indirizzo giurisprudenziale prevalente. In effetti, non potendosi rinvenire all’interno del D.lgs 231/2001 alcun riferimento all’istituto in parola, il nodo della questione ruota evidentemente attorno alla corretta interpretazione dell’art. 34 del medesimo decreto, ovvero all’ambito applicativo della clausola generale di rinvio alle disposizione del codice.

Il Gup di Milano afferma lapidariamente che, a mente della consolidata giurisprudenza di legittimità “non è ammissibile la costituzione di parte civile, atteso che l’istituto non è previsto dal decreto legislativo n. 231 del 2001 e l’omissione non rappresenta una lacuna normativa, ma corrisponde a una consapevole scelta del legislatore”[11].

Non è infatti condivisibile la tesi che postula una diretta applicazione nel procedimento  contro l’ente degli artt. 74 c.p.p. e 185 c.p. in virtù della clausola generale dell’art. 34. Queste norme riguardano l’esercizio in sede penale dell’azione civile risarcitoria derivante da reato e non fanno riferimento al danno causato dall’illecito amministrativo. La giurisprudenza di legittimità ha osservato che quest’ultimo “non si identifica con il reato commesso dalla persona fisica, ma semplicemente lo presuppone e ricomprende[12]. Né è ipotizzabile una applicazione in via estensiva o analogica della disciplina suddetta. Infatti, l’art. 74, nel prevedere la possibilità di esercizio in sede penale della azione risarcitoria che trova la sua sede naturale nel processo civile, racchiude una normativa eccezionale che regola la delicata materia dei rapporti tra le giurisdizioni e non è suscettibile di applicazione in via analogica anche in virtù del “rispetto del principio di stretta legalità quale criterio direttivo di tutta la disciplina del processo penale.[13]

L’inammissibilità della costituzione di parte civile nel processo de societate discende anche dal generale principio al favor separationis cui è improntato l’ordinamento, principio le cui “tracce” risultano disseminate anche all’interno del D.lgs 231/2001. Basti pensare all’art. 27 del decreto, il quale limita la responsabilità patrimoniale dell’ente al pagamento della sanzione pecuniaria senza  menzionare le obbligazioni civili. Analogamente, l’art. 54 disciplina il sequestro conservativo che, a differenza del sequestro ex art. 316 comma 2 c.p.p., può essere richiesto dal solo Pubblico Ministero per impedire che vengano disperse le garanzie patrimoniali per il pagamento della sanzione patrimoniale.

Peraltro, sussiste un ostacolo ulteriore all’ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente incolpato: non potendo un ipotetico danno da illecito amministrativo coincidere col danno cagionato dalla commissione del reato, per il quale l’ente potrebbe se mai rispondere in qualità di responsabile civile ex art. 2049 c.c., risulta impossibile concepire un danno specifico derivante dall’illecito amministrativo[14]. Il rischio è evidentemente quello di un’ingiusta duplicazione del risarcimento a carico dell’ente incolpato.

 

6. Il provvedimento in esame ha l’indiscutibile pregio di avere enucleato con precisione gli approdi della giurisprudenza in tema di costituzione di parte civile degli enti collettivi, mediante un’efficace sintesi che delinea una disciplina con assoluto rigore.

E la portata innovativa della pronuncia si spinge fino a esplicitare le conseguenze del mancato rispetto dei principi in punto di legittimazione degli enti.

Ne deriva un impatto di notevole incisività sull’orientamento giurisprudenziale che, con particolare riferimento alle associazioni sindacali, pareva aver adottato un certo lassismo nella verifica riguardante la legittimazione.

Infatti l’ordinanza del Gup di Milano afferma a chiare lettere che è necessario procedere ad una “attenta selezione dei soggetti effettivamente legittimati a costituirsi parte civile” e chiarisce che “gli enti rappresentativi degli interessi lesi dal reati …fanno [solo] eccezionalmente ingresso nel processo con la costituzione come danneggiati dal reato stesso”.  Di conseguenza riconduce implicitamente la modalità fisiologica di partecipazione degli enti collettivi al processo penale entro l’alveo naturale dell’intervento adesivo contemplato dall’art. 91 c.p.p.

Se questa svolta dovesse trovare favore e consolidamento, gli enti che aspirino ad entrare nel procedimento penale per ottenere il risarcimento del danno da reato dovrebbero adempiere a un onere di allegazione probatoria stringente, dovendo provare, almeno sul piano logico, probabilistico la titolarità di un diritto soggettivo leso dalla azione criminosa.

Come dimostra l’ordinanza annotata, l’imporsi della tesi incentrata sulla purezza del ruolo risarcitorio dell’iniziativa degli enti avrebbe l’effetto di ridurre drasticamente la partecipazione al processo penale di un indistinto numero di enti.

Un effetto che potrebbe dirsi in taluni casi auspicabile, nell’ottica di scongiurare partecipazioni di carattere pretestuoso da parte di associazioni ed enti che giungono ad assumere una funzione strumentale alla mera raccolta di “fondi”, in aperto contrasto con il carattere sussidiario dell’azione civile per il danno da reato. Si pensi inoltre all’impatto negativo che la presenza della moltitudine di “attori” assume sul canone costituzionale di durata ragionevole del processo.

 

 

[1] V. E. Amodio, sub artt. 91-92, in Commentario del nuovo codice di procedura penale, diretto da Amodio, Dominioni, vol. I, Milano, 1989, 556; G. Barone, Enti collettivi e processo penale, Milano, 1989.

[2] V., in materia, da ultimo, le considerazioni critiche di F. Morlacchini, Brevi note in tema costituzione di parte civile nel processo “Mafia Capitale”, in Arch. pen., 2016, n. 2, p. 9. V. già, A. Giarda, Riforma della procedura penale e riforme del processo penale, in Praxis criminalis. Cronache di anni inquieti, Milano, 1994, p. 94.

[3] Cfr.   Cass., sez. un., 24/04/2014, Espenhahn, n.38343, in Cass.pen., 2015, p. 49.

[4] Cass., sez. un. civ., 16 febbraio 2016, n. 2951.

[5] Cfr. Gip Tribunale di Milano ord.14.5.2015; Gip Tribunale di Milano ord. 11.5.2017; Tribunale di Milano – sez. VII penale ord. 20.7.2018; Tribunale di Milano sez. X penale ord. 17.10.2017.

[6] Cfr. Cass., sez. III, 5 ottobre 2017, n. 4562.

[7] Cass., sez. II, 8 marzo 2019, Gianlombardo, n. 10215, in CED. Cass., n. 276500.

[8] Cass., sez. V, 27 ottobre 2016, n. 1819.

[9] Cfr. da ultimo Cass., sez. IV, 27.4.2015 n. 27162 e Cass., sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 19026.

[10] Cass., sez. II, 6.11.2020, n. 37359.

[11] Cfr. Cass., sez. IV, 27.1.2015, n. 3786.

[12] Cass, sez. VI, 5 ottobre 2010, Fenu, n. 2251, in C.E.D. Cass, n. 248791

[13] Cass, sez. VI, 5 ottobre 2010, Fenu, n. 2251, cit.

[14] Cfr. sul punto Cass.,  sez. VI,  5.10.2010, Fenu, cit.: «se non è ipotizzabile l’esistenza di un danno che possa presentarsi come conseguenza immediata e diretta dell’illecito amministrativo, allora “l’ostinato silenzio” del legislatore sulla parte civile» appare «del tutto condivisibile».