Proponiamo di seguito cinque brevi inviti alla lettura di opere letterarie che affrontano temi di rilevanza penalistica.
Altri suggerimenti si trovano qui e qui.
1) Michela Murgia, Accabadora
In un paesino della Sardegna degli anni ’50, la piccola Maria viene adottata da Bonaria, una donna senza figli circondata da un alone di mistero e rispetto. Bonaria è una “accabadora”: il personaggio, tradizionalmente femminile, che nel folclore sardo si fa carico di portare a una morte pietosa chi si trova prossimo alla fine.
Maria rimarrà sconvolta dalla scoperta del segreto di Bonaria e solo dopo molti anni, grazie a un improvviso ribaltamento di piani, potrà comprendere le motivazioni e i valori che stanno dietro la figura dell’“ultima madre”.
Un mondo arcaico e quasi fiabesco fa da sfondo a un dilemma morale che emerge prepotentemente in tutta la sua dimensione pre-giuridica.
2) Georges Simenon, Lettera al mio giudice
Un monologo epistolare in cui un uomo imputato per l’omicidio dell’amante ripercorre il tormentato rapporto con le donne della sua vita per ottenere la comprensione di chi dovrà giudicarlo.
Lo sforzo di autoanalisi fa emergere presto agli occhi del lettore la contraddizione tra il vano tentativo di rintracciare una spiegazione razionale dietro il folle gesto e i segni di un irresistibile impulso autodistruttivo.
Un racconto anche formalmente incentrato sul colpevole che mostra quanto sia sottile il confine tra il desiderio di evadere dalla normalità, l’ossessione e la perdita di controllo.
3) Carlo Fruttero, Donne informate sui fatti
Un “comune” omicidio irrisolto è al centro di un romanzo in cui a descrivere i fatti e lo sviluppo delle indagini si alternano le voci di otto donne diverse per carattere, professione ed estrazione sociale.
In realtà la trama gialla è solo il pretesto per una gustosa sperimentazione dell’alternanza di stili e registri, che nasconde anche una critica alla “antilingua” fittizia dei verbali e di certa letteratura di maniera.
Le variazioni di forma coincidono, inevitabilmente, con una molteplicità irriducibile di punti di vista, ciascuno connotato da pregiudizi e stereotipi, ma ciascuno portatore di un frammento di verità.
4) Henrik Stangerup, L’uomo che voleva essere colpevole
In una società immaginaria del prossimo futuro, lo Stato garantisce a tutti i cittadini felicità e sicurezza sociale. In questo mondo non c’è spazio per la responsabilità personale, perché il crimine è sempre considerato il frutto di fattori esterni.
Così, quando il protagonista commette un omicidio e come unica conseguenza lo Stato lo obbliga a un percorso terapeutico, lui si impegna nel tentativo velleitario di provare la propria colpa e il bisogno di essere punito.
Ambientata in una distopica degenerazione del welfare state, la vicenda – definita come un “processo kafkiano alla rovescia” – vuole testimoniare, prima ancora che il valore del libero arbitrio, il legame inscindibile tra colpevolezza e individualità.
5) Stephen King, Il miglio verde
John Coffey, un nero accusato di aver violentato e ucciso due bambine, è incarcerato nel penitenziario di Cold Mountain in attesa di percorrere il corridoio dal pavimento di linoleum color lime che conduce alla sedia elettrica.
È dubbia la colpevolezza dell’uomo, meno il suo infausto destino. La storia, raccontata da un secondino del carcere, è allora un’antologia delle molte meschinità e dei rari gesti di umanità di un mondo di personaggi disperati, nella desolazione degli Stati Uniti al tempo della grande depressione.
Un invito a superare ogni pregiudizio e un indelebile atto di condanna della pena capitale, che con la sua definitività travolge ogni speranza e possibilità di riscatto che solo la vita offre, tanto agli innocenti che ai più malvagi.
(a cura di Francesco Lazzeri)