G.U.P. Trib. Roma, sentenza 10 dicembre 2019 (dep. 23 dicembre 2019), n. 2422, Giud. Di Nicola
1. La sentenza annotata, con la quale un individuo è stato condannato dal Tribunale di Roma per i maltrattamenti e le violenze perpetrate alla moglie e ai figli minori, si segnala per avere affrontato con ampiezza il tema della c.d. "vittimizzazione secondaria", cioè delle conseguenze negative, ulteriori rispetto alla commissione del reato, che la vittima può subire quale conseguenza indiretta della commissione del reato nei suoi confronti [1]. Nel caso di specie la vittimizzazione secondaria riguarda una donna che, decisasi a denunciare il marito violento, ha per questo perso l’affidamento dei figli minori.
La vicenda giudiziaria che fa da premessa e da sfondo della questione anzidetta è particolarmente triste. Un uomo, ubriaco, picchia i figli di due e tre anni, procurando loro "contusioni al collo", con prognosi di 10 giorni, e "contusioni multiple alle gambe, natiche, orecchio e testa", con prognosi di 22 giorni. Emerge immediatamente un contesto di violenze e minacce perpetrate dall’uomo ai danni dei figli e della moglie: schiaffi, calci, manate e spintoni e ingiurie a carico della donna sono quotidiani e sono spesso accompagnati dalla minaccia di farle “togliere i bambini”. Intimorita, la donna non denuncia le violenze, che continua a subire finché le stesse non emergono, a seguito di un intervento delle forze dell’ordine.
2. Con la sentenza qui segnalata, il g.i.p. del Tribunale di Roma afferma la penale responsabilità dell’uomo per lesioni e maltrattamenti a danno della moglie e dei figli, ritenendo peraltro il delitto di cui all’art. 572 c.p. aggravato ex art. 61, c. 1, n. 11-quinquies c.p. per l’essere stati i fatti commessi in presenza dei figli stessi. Il g.i.p. applica inoltre nei confronti del condannato la pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale per un periodo di 5 anni (art. 34 c.p.).
Nelle more del procedimento penale, il Tribunale dei Minorenni aveva peraltro disposto, ai sensi dell’art. 330 c.c., la sospensione della responsabilità genitoriale non solo dell'imputato, ma anche della persona offesa, ritenendo che la madre, avendo inizialmente tenuto un atteggiamento volto a coprire le violenze subite, avesse omesso di tutelare i figli.
Tale circostanza è oggetto di ampie considerazioni nella sentenza annotata, che attraverso un insolito tentativo di dialogo tra giudice penale e giudice civile prova a persuadere quest’ultimo a revocare il provvedimento di sospensione della responsabilità genitoriale nei confronti della madre-vittima del reato.
3. Lo strumento utilizzato dal Tribunale di Roma per interloquire con il Tribunale per i minorenni è rappresentato dagli artt. 609-decies c.p. e 64-bis disp. att. c.p.p.
La prima disposizione pone a carico del pubblico ministero un obbligo di comunicare al tribunale per i minorenni l’avvio del procedimento per il reato di cui all’art. 572 c.p. commesso a danno di minori, o di un genitore di un minore a danno dell’altro; obbligo funzionale all’emissione, da parte del giudice minorile, i provvedimenti previsti dalla legge civile a tutela dei minori, compreso l’allontanamento dalla casa familiare, ai sensi dell’art. 330 c.c.
La seconda disposizione, inserita dalla legge sul ‘codice rosso’ (l. 19 luglio 2019, n. 69), prevede ora, allo stesso fine, che sia inviata al giudice civile competente copia dell’ordinanza che applica misure cautelari personali o ne disponga la sostituzione o la revoca, copia dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, ovvero del provvedimento con il quale è disposta l'archiviazione e, per l’appunto, copia della sentenza emessa nei confronti dei genitori per alcuni reati, tra i quali i maltrattamenti contro familiari e conviventi.
Il giudice penale, nel caso che ci occupa, non si è tuttavia limitato a trasmettere la sentenza di condanna al giudice civile competente per le decisioni sulla tutela dei figli minori. Il g.i.p. di Roma, infatti, ha utilizzato la sentenza stessa come veicolo per un’insolita interlocuzione con il giudice civile minorile; interlocuzione che si segnala per l’appassionato sforzo di tematizzare il problema della c.d. vittimizzazione secondaria e per l’interessante prospettiva di un dialogo tra soggetti istituzionalmente deputati alla tutela di soggetti diversi. Ad animare la penna del giudice penale è in particolare il disagio – il senso di ingiustizia – percepito nel vedere la vittima del reato oggetto di una vittimizzazione secondaria, ad opera della giustizia minorile. La sentenza annotata rappresenta una frontiera insolita e avanzata della prassi in materia di tutela penale della vittima della violenza domestica e di genere.
4. Il g.i.p. di Roma passa anzitutto in rassegna le principali fonti di diritto internazionale ed eurounitario che si pongono come obiettivi il contrasto delle discriminazioni e della violenza di genere: la Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione delle donne (CEDAW), adottata dall'assemblea delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979 e ratificata dall'Italia con legge 132 del 14 marzo 1985 (e il suo Protocollo addizionale) e la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione della lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), approvata nel 2011 e ratificata dall'Italia con legge 77 del 27 giugno 2013.
Si tratta di strumenti che evidenziano uno "stretto rapporto tra discriminazione contro le donne, violenza di genere, violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali" (p. 36 della Convenzione CEDAW): in considerazione della "natura strutturale" della violenza contro le donne, utilizzata come mezzo sociale per mantenerle in una posizione subordinata rispetto all'uomo (p. 71 della Convenzione di Istanbul), le Convenzioni internazionali raccomandano alle organizzazioni e alle autorità l'adozione di un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne (p. 72 della Convenzione di Istanbul), che non si limiti alla repressione in sede penale, ma si avvalga di tutti gli strumenti disponibili per combattere gli stereotipi discriminatori che nei diversi settori della vita sociale collocano le donne in una posizione di inferiorità. La sentenza cita anche gli art. 2 e 3 del TUE, l'art. 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, l'art. 8 del TFUE, nonché la Direttiva 2012/29 UE del 25 ottobre 2012, recepita con il d.lgs. 212 del 15 dicembre 2015. A quest'ultimo strumento, in particolare, la dottrina riconduce l'introduzione nel nostro ordinamento del concetto di vulnerabilità[2]: si sottolinea come, ai fini dell'accertamento della condizione di vulnerabilità, si richieda oggi una valutazione individualizzata, che si basi non solo sul tipo di reato commesso, ma anche sulle caratteristiche personali della vittima e sulle condizioni concrete di commissione del reato [3]. In particolare, come espressamente enunciato all'articolo 90-quater c.p.p., si dovrà dare rilievo al fatto che ricorra una situazione di dipendenza affettiva, psicologica o economica tra vittima e autore[4]: emerge qui - come sottolinea il Tribunale - il significato relazionale della vulnerabilità, che non dipende dalle caratteristiche della persona, ma dalla sua posizione rispetto all'autore.
Il g.i.p. di Roma sottolinea che al riconoscimento dello stato di vulnerabilità della vittima consegue, alla luce della Direttiva 2012/19 UE, e della legge 19 luglio 2019, n. 69 (meglio nota come "Codice rosso"), l'attribuzione di diritti di partecipazione al processo, nonché il riconoscimento di tutele volte ad evitare un impatto negativo con lo stesso, consistenti, in particolare, nel consentire alla vittima di non ripetere in dibattimento le dichiarazioni già rese in sede di sommarie informazioni e nel risparmiarle il confronto con l'indagato/imputato[5]. Le cautele appena illustrate - sottolinea ancora il g.i.p. - sono volte precisamente ad evitare quell'impatto negativo della vittima con le istituzioni (servizi socio-sanitari, avvocati, magistrati, polizia...), che in qualche modo finiscono per colpevolizzare la vittima per il reato subito [6].
L'emarginazione della vittima e la svalutazione del danno subito - "victim blaming" - dipendono, secondo la dottrina criminologica, dalla convinzione che questo sia stato in qualche modo meritato[7]. Questo tipo di vittimizzazione – definita "processuale" dalla sentenza[8], semplicemente "secondaria" da altre fonti[9] – si distingue da quella "sostanziale"[10], o "ripetuta"[11], che consiste nella messa in atto di comportamenti intimidatori o ritorsivi da parte dell'autore del reato a danno della vittima.
5. Secondo la sentenza annotata, nel caso di specie le istituzioni avrebbero assunto negli anni un atteggiamento colpevolizzante nei confronti della donna, pur vittima di reato, ponendo in essere forme di vittimizzazione secondaria: in passato, infatti, i servizi sociali avevano vagliato il corretto esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti della sola madre, senza minimamente prendere in considerazione la condotta paterna (che pure appariva, già a prima vista, inadeguata), in particolare non tenendo conto della denuncia sporta dalla donna in seguito alla prima aggressione del marito. Nell'immediatezza dei fatti oggetto della sentenza qui in commento, poi, i carabinieri sopraggiunti sul posto, avrebbero rivolto alla donna le seguenti parole: «non crede fosse il caso che lei avesse denunciato prima i fatti per tutelare sé stessa e i bambini?»: una frase che, ad avviso del giudice, avrebbe operato «un'invisibile e inconsapevole oggettiva inversione dei ruoli, perché si sono attribuiti alla vittima sia un'indiretta responsabilità nella condotta illecita di altri (consistente nel consentire la reiterazione del reato), sia l'omesso onere di sottrarsi alla violenza»[12]. Lo stesso atteggiamento discriminatorio e ingiustamente severo avrebbe condotto poi, sempre ad avviso del giudice, all'adozione del provvedimento di sospensione della responsabilità genitoriale (anche) nei confronti della madre da parte del Tribunale dei Minorenni di Roma, il quale aveva ritenuto che, a fronte delle reiterate violenze fisiche e verbali esercitate dal padre, l'atteggiamento della madre fosse stato non tutelante nei confronti dei figli, in quanto volto a coprire per anni il marito violento.
6. La decisione del Tribunale dei Minorenni di sospendere la responsabilità genitoriale della madre è fortemente criticata dal g.i.p. di Roma, che la ritiene frutto delle informazioni fuorvianti fornite dalle autorità in precedenza intervenute, a loro volta inavvertitamente condizionate da pregiudizi, con la conseguenza che essa trascura la vulnerabilità della vittima, data dalla dipendenza dal partner, e dalla reiterata minaccia di sottrarle i figli. Quella decisione esprimerebbe una visione stereotipata del rapporto tra i generi, pretendendo dalla vittima un comportamento inesigibile nella situazione concreta: la donna, giovanissima e sostanzialmente abbandonata dalla famiglia d'origine, si trovava inserita in un contesto culturale che la costringeva a tollerare violenze fisiche e psicologiche, ritenute normale espressione di un altrettanto normale potere attribuito al marito, indiscusso capo-famiglia, sulle persone degli altri componenti il nucleo famigliare; nucleo famigliare la cui conservazione rappresentava obiettivo irrinunciabile per la vittima, depositaria di una concezione tribale della famiglia, che sarebbe tale non in quanto basata sull'eguaglianza e sulla solidarietà, ma in quanto riunita sotto un unico tetto. Ritenere che una donna vittima di violenza, incapace di denunciare il compagno maltrattante a causa del (purtroppo, fondato) timore di perdere i figli, nonché di una distorta percezione delle relazioni affettive, sia inadatta dal punto di vista genitoriale, integra oggettivamente, a parere del giudice, una forma di vittimizzazione secondaria, in quanto responsabilizza la donna per i maltrattamenti subiti, proprio nel momento in cui ella, attraverso la denuncia, spezza la catena di violenza che la costringeva a una vita sottomessa, riprendendo finalmente la parola.
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7. Resta da sottolineare, come anticipato, che per quanto condivisibile nel merito e lodevole nell’intento di tutela della vittima, la sentenza in commento sembra andare ben oltre i limiti di quanto di competenza del giudice penale: la legge prevede infatti la mera trasmissione della sentenza al Tribunale per i Minorenni. Spetta a quest’ultimo giudice specializzato (dotato, tra l'altro, di personale non togato esperto di questioni relative all'età evolutiva) effettuare la valutazione delle condizioni famigliari, ai fini dell'eventuale adozione dei provvedimenti di cui agli articoli 330 e 333 c.c.; provvedimenti che non hanno natura sanzionatoria, essendo volti esclusivamente alla tutela dei minori.
[1] Si tratta di un tema spesso giunto all'attenzione della giurisprudenza, la quale se ne è occupata in occasione dell'applicazione degli articoli 408 e 299 c.p.p., in tema di obblighi di comunicazione alla persona offesa delle richieste di archiviazione o delle richieste di revoca o sostituzione delle misure cautelari. A titolo di esempio si vedano, tra le ultime, Cass. pen. sez. I, 17.01.2020, n. 5552, Pres. Rocchi, Rel. Talerico, Cass. sez. II, 22.05.19, n. 26150, Pres. Gallo, Rel. Recchione, Cass. sez. II, 28.03.19, n. 17336, Pres. Gallo, Rel. Recchione (tutte aventi ad oggetto casi di estorsione), Cass. sez. IV, 12.03.19, n. 18816, Pres. Ciampi, Rel. Bellini (che riguarda la commissione di reati di stampo mafioso, di estorsione e di sequestro di persona) e Corte cost., sent. 21 febbraio 2018 (dep. 27 aprile 2018), n. 92, che definisce il fenomeno della c.d. vittimizzazione secondaria come quel meccanismo per il quale la vittima di reato è portata a rivivere i sentimenti di paura, di ansia e di dolore provati al momento della commissione del fatto.
[2] Cfr., da ultimo, M. Bouchard, Sulla vulnerabilità nel processo penale. Breve giuda giuridico- filosofica sulla vulnerabilità della vittima di reato, in Diritto penale uomo, fasc. 12/2019, p. 2.
[3] F. Di Muzio, La testimonianza della vittima "vulnerabile" nel sistema delle garanzie processuali, in Giurisprudenza penale, 25 aprile 2015, p. 5 e F. Trapella, La tutela del vulnerabile. Regole europee, prassi devianti, possibili rimedi, in Archivio penale, n. 3/2019, p. 11.
[4] S. Recchione, Le vittime da reato e l'attuazione della Direttiva 2012/29 UE: le avanguardie, i problemi, le prospettive, in Diritto penale contemporaneo, 25 febbraio 2015, p. 10.
[5] M. Cagossi, Nuove prospettive per le vittime di reato nel procedimento penale italiano, in Diritto penale contemporaneo, 19 gennaio 2016 e S. Recchione, La vittima cambia il volto del processo penale: le tre parti "eventuali", la testimonianza dell'offeso vulnerabile, la mutazione del principio di oralità, in Diritto penale contemporaneo, fasc. 1/2017, p. 69 ss. Più nello specifico sulla possibilità di ascoltare la vittima vulnerabile in incidente probatorio si vedano L. Luparia, Vittime vulnerabili e incidente probatorio: la normativa italiana supera il vaglio della Corte UE, in Diritto penale contemporaneo, 21 dicembre 2011 e C. Ardigò, L'incidente probatorio per l'ascolto della vittima vulnerabile: automatismi ed eccessi di tutela, in Sistema penale, 8 gennaio 2020. Ci sembrano intuitivi, ma non è questa la sede per approfondire il tema, i rischi di affievolimento delle garanzie per l'imputato. Sul punto v. M. Venturoli, La tutela della vittima nelle fonti europee, in Diritto penale contemporaneo, fasc. 3-4/2012, p. 101.
[6] Per un'utile descrizione della violenza nel contesto delle relazioni affettive, e per la mancata comprensione di essa da parte delle agenzie di controllo, si veda E. Corn, Non parlarmi, non ti sento. Il perdurante disallineamento tra i bisogni delle donne maltrattate e le tutele offerte dalle norme penali, in Rivista italiana di medicina legale (e del diritto in campo sanitario), fasc. 2/2018, p. 601 ss.
[7] G. Fanci, La vittimizzazione secondaria: ambiti di ricerca, teorizzazioni e scenari, in Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, vol. V, n. 3, settembre-dicembre 2011, p. 57.
[8] P. 17.
[9] M. Bouchard, Sulla vulnerabilità nel processo penale. Breve giuda giuridico- filosofica sulla vulnerabilità della vittima di reato, in Diritto penale uomo, fasc. 12/2019, p. 12.
[10] P.17 della sentenza in commento.
[11] M. Bouchard, Sulla vulnerabilità nel processo penale. Breve giuda giuridico- filosofica sulla vulnerabilità della vittima di reato, in Diritto penale uomo, fasc. 12/2019, p. 12.
[12] P. 21 della sentenza in commento.