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31 Luglio 2023


Alla ricerca della via italiana ai non prosecution agreement. Il caso Esselunga

Trib. Milano, Sez. mis. prev., 25 luglio 2023, Pres. Roia, n. 54/23 RGMP, Esselunga



1. Premessa. Con un inedito provvedimento interlocutorio (che può leggersi in allegato) il Tribunale della prevenzione di Milano affina la tecnica di intervento in materia di prevenzione dei crimini economici, mettendo ancora una volta alla prova le capacità di prestazione del Codice antimafia nel contrasto allo sfruttamento del lavoro.

Nel caso di specie la Procura, nell’ambito di una più vasta indagine di criminalità organizzata, ha ricostruito che da anni un noto colosso della grande distribuzione operante in tutto il nord Italia portava avanti una politica di riduzione dei costi sul personale fondata sullo sfruttamento sistematico dei lavoratori, organizzato attraverso cooperative di comodo utilizzate come mero «serbatoio di manodopera». Si tratta di politiche di impresa ormai collaudate e diffuse in modo trasversale in vari settori produttivi, come del resto comprovato dalla stessa giurisprudenza del Tribunale ambrosiano[1]. E, come nei casi precedenti, anche nel caso di specie il meccanismo di interposizione delle cooperative non era solo  funzionale a schermare le responsabilità dell’impresa committente nei confronti dei lavoratori, ma serviva anche a frodare il fisco attraverso l’emissione fatture per operazioni giuridicamente inesistenti e la stipula di fittizi contratti di appalto per la somministrazione di manodopera, in modo da alleggerire il peso dell’imposizione fiscale con danni ingentissimi per l’erario[2].

 

2. Lo sfruttamento del lavoro come “politica di impresa”. Nel caso di specie le cooperative «serbatoio» avevano, secondo la procura, un rapporto con la criminalità organizzata. Il collegamento con l’associazione mafiosa, però, non assume alcuna valenza particolare ai fini della selezione degli strumenti normativi da mettere in campo: da tempo, infatti, il tribunale di Milano ricorre agli strumenti della prevenzione giurisdizionale per fronteggiare lo sfruttamento del lavoro in contesti aziendali anche a prescindere da qualsiasi collegamento con vicende o fatti legati alla criminalità organizzata di stampo mafioso, valorizzando l’inserimento dell’603 bis c.p. fra i reati- catalogo a cui può riconnettersi l’attivazione degli strumenti della prevenzione patrimoniale[3].

L’impiego di queste misure si è rivelato nell’esperienza ambrosiana particolarmente congeniale a fronteggiare fatti di sfruttamento di manodopera e di illecita intermediazione perché consente di ridurre al minimo l’impatto dell’intervento giudiziario sulla realtà produttiva, fornendo risposte immediate alle esigenze di tutela dei lavoratori coinvolti. Questi risultati sono resi possibili anche per via della progressiva messa a punto, nell’esperienza applicativa,  di un modulo di intervento flessibile e selettivo fondato non sulla radicale sostituzione dell’imprenditore nelle funzioni di gestione dell’impresa, ma sull’attribuzione all’amministratore giudiziario di obiettivi specifici, da realizzare quanto più possibile in collaborazione col management della società, al fine di neutralizzare le infiltrazioni criminali e di munire l’impresa di quei presìdi utili a impedire in futuro il verificarsi di condotte del tipo di quelle che hanno dato origine alla misura[4].

L’intuizione dei giudici milanesi di avvalersi delle misure di prevenzione anche per contrastare lo sfruttamento del lavoro si fonda sulla presa d’atto che questo fenomeno molto raramente costituisce la mera espressione di comportamenti individuali più o meno diffusi, ma nella maggior parte dei casi rappresenta invece la manifestazione di consolidate e diffuse politiche di impresa[5],  che difficilmente possono essere contrastate ricorrendo al tradizionale armamentario repressivo.

 

3. La soluzione approntata nel caso di specie. Se, come si è appena ricordato, anche con riferimento al caporalato il ricorso alle misure di prevenzione in chiave terapeutica risponde ormai a una prassi ben collaudata, la soluzione escogitata con il provvedimento in analisi rappresenta invece una novità assoluta.

A fronte di una seria disponibilità dell’impresa, riscontrata a seguito della proposta di applicazione dell’amministrazione giudiziaria, ad attivarsi per riorganizzare la propria attività in modo scongiurare ulteriori episodi di sfruttamento, il Tribunale «in via eccezionale» ha deciso di avviare un «contraddittorio partecipato con la società al fine di monitorare i progressi di legalizzazione», rinviando la decisione sine die, «stante anche l’assenza di ogni tipo di termine per provvedere».

A tale inedita soluzione il presidente della sezione specializzata per le misure di prevenzione giunge «in assenza di un fondamento normativo specifico applicabile alle misure di prevenzione giurisdizionali», ma mutuando disposizioni contenute in altro luogo Codice antimafia. In particolare, puntando su una «interpretazione sistematica e teleologica», il provvedimento in analisi importa l’uso del contraddittorio anticipato previsto adesso nell’ambito del procedimento di emissione dell’informazione antimafia[6] di cui all’art. 92 Cod. ant. anche nel procedimento per l’applicazione dell’amministrazione giudiziaria.

A sostegno di quest’opzione il Presidente della sezione autonoma per le misure di prevenzione, supportato anche dalle valutazioni della procura, rileva che, laddove l’azienda abbia già avviato un programma di risanamento, l’applicazione di una misura ex art. 34 Cod. ant. non farebbe che rallentare le iniziative già assunte e «svolgerebbe nei confronti della società oggetto di richiesta soltanto un’efficacia afflittiva-sanzionatoria e non già, almeno fino all’esito delle verifiche delle azioni di (ri)legalizzazione poste in essere, quella funzione preventiva» propria invece degli istituti dell’amministrazione giudiziaria e del controllo giudiziario, che «partono da una valutazione di censura nell’organizzazione societaria e che trovano nell’intervento del Tribunale della prevenzione un necessario momento di riqualificazione orientata alla prevenzione di eventi criminosi accertati al momento dell’adozione della misura medesima».

 

4. L’esperimento di una giustizia negoziata. L’obiettivo prioritario, dunque, resta quello di giungere a una collaborazione con l’impresa affinché intraprenda un percorso di self cleaning che le restituisca piena cittadinanza nel contesto dell’economia lecita. Pertanto, quando il dialogo collaborativo fra ente e Tribunale funziona, si scongiura l’applicazione di misure più invasive. Il procedimento giurisdizionale in questi casi si connota per una spiccata negozialità e una certa  tendenza all’informalità: le scelte di risanamento dell’impresa sono adottate di concerto col Tribunale, ma derivano dall’iniziativa autonoma dell’impresa medesima chiamata ad autoregolarsi.

Nonostante nel caso di specie ci si trovi di fronte a un vero e proprio atto extra ordinem mai sperimentato prima, l’ispirazione di fondo si colloca su un sentiero già solcato dal tribunale ambrosiano. Questa forma di «contraddittorio partecipato» è infatti espressione di un paradigma di intervento già collaudato nell’ambito di un procedimento analogo, in cui però al posto delle misure di prevenzione per colpire lo sfruttamento lavorativo e le frodi fiscali la Procura aveva puntato su una imputazione ex d.lgs. 231/2001[7]. Anche in quel caso l’iniziativa dell’organo di accusa si è arrestata di fronte alla disponibilità dell’azienda di rimediare alla situazione di illegalità riscontrata. In particolare, l’ente ha provveduto a versare all’Agenzia delle Entrate, mediante ravvedimento operoso, l’imposta complessivamente evasa, comprensiva di interessi e sanzioni previsti per l’illecito tributario, e, al contempo ha assicurato la stabilizzazione dei lavoratori precedentemente inquadrati come prestatori d’opera alle dipendenze delle cooperative che si erano aggiudicate gli appalti. Sicché, sfruttando la peculiarità della disciplina sulla responsabilità degli enti che riserva direttamente al pubblico ministero il potere di disporre l’archiviazione[8], con audace provvedimento[9] la Procura ha rinunciato ad esercitare l’azione penale in considerazione del conseguito risultato, oltre che del fatto che l’applicazione di ulteriori misure avrebbe comportato una duplicazione sanzionatoria nei confronti dell’ente[10].

Dall’analisi di questi due diversi provvedimenti sembra insomma che, mentre le Sezioni unite hanno di recente sbarrato la strada all’ammissione della messa alla prova degli enti[11], il Tribunale di Milano sia invece alla ricerca di soluzioni che consentano di attivare meccanismi negoziali utili a evitare di mettere in moto procedimenti giurisdizionali che, per quanto leggeri o flessibili, rischiano comunque di tradursi in un aggravio non necessario e, in ultima analisi, sproporzionato.

Certo è che la buona riuscita degli esperimenti giudiziali milanesi offre nuovi spunti a chi da tempo ragiona sulle possibilità che hanno non prosecution agreement di matrice statunitense di attecchire anche nel nostro ordinamento[12].

 

 

[1] I precedenti sono costituiti da Trib. Milano, Sez. mis. prev., decreto 7 maggio 2019, n. 59, Pres. Roia, Ceva Logistics Italia s.r.l. in Dir. pen. cont. 6/2019, 171 ss., con nota di A. Merlo, Il contrasto al “caporalato grigio” tra prevenzione e repressione; 28 maggio 2020, n. 9, Pres. Roia, Uber Italy s.r.l., in questa Rivista, 2 giugno 2020, con nota di A. Merlo, Sfruttamento dei riders: amministrazione giudiziaria ad Uber per contrastare il “caporalato digitale”; Trib. Milano, Sez. mis. prev., decreto 6 ottobre 2021, n. 17, Spreafico, commentata da A. Merlo, Contrastare lo sfruttamento del lavoro attraverso gli strumenti della prevenzione patrimoniale: “Adelante con juicio”, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim.,  1/2022, 173 ss.; Trib. Milano, Sez. mis. prev., decreto 23 marzo 2023, n. 5, Pres. Rispoli, Geodis, inedita; Trib. Milano, Sez. mis. prev., decreto 23 marzo 2023, n. 6, Pres. Rispoli, BRT, inedia.

[2] Nel decreto di sequestro preventivo si legge che questo meccanismo ha portato «all'emissione e al conseguente utilizzo di fatture inesistenti per un ammontare complessivo di oltre 221 milioni di euro, più Iva».

[3] Più in particolare, fra i diversi presupposti per l’applicazione dell’amministrazione giudiziaria l’art. 34 contempla l’agevolazione di «i persone sottoposte a procedimento penale per taluno dei delitti di cui all'articolo 4, comma 1, lettere a), b) e i-bis), del presente decreto, ovvero per i delitti di cui agli articoli 603-bis, 629,644,648-bis e 648-ter del codice penale». Più approfonditamente cfr. A.Merlo, Contrastare lo sfruttamento del lavoro, cit.

[4] C.Visconti, Il controllo giudiziario “volontario”: una moderna “messa alla prova” aziendale per una tutela recuperatoria contro le infiltrazioni mafiose, in  G. Amarelli – S. Sticchi Damiani (a cura di), Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto alla infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, Torino, 2019, p. 237 ss.

[5] Cfr., più diffusamente,  A.Merlo, Contrastare lo sfruttamento del lavoro, cit .; A. di Martino, Sfruttamento del lavoro. Il valore del contesto nella definizione del reato, Bologna, 2019;  V.Mongillo, Forced labour e sfruttamento lavorativo nella catena di for- nitura delle imprese: strategie globali di prevenzione e repressione, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2019, 630 ss. ; D.Piva, limiti dell’intervento penale sul caporalato come sistema (e non con- dotta) di produzione: brevi note a margine della L. 199/2016, in Archivio penale, 1/2017, 184 ss.

[6] Introdotto dall’art. 49 del d.l. 6 novembre 2021, n. 152, convertito con modificazioni dalla l. 29 dicembre 2021, n. 233. In argomento, cfr. G. D’Angelo-G.Varraso, Il decreto legge n. 152/2021 e le modifiche in tema di documentazione antimafia e prevenzione collaborativa, in questa Rivista, 1 agosto 2022.

[7] Procura Trib. Milano, decr. 9 novembre 2022 (dep. 11 novembre 2022), P.M. Storari, Dhl., in questa Rivista, 28 novembre 2022, con nota di M. Scoletta, Condotte riparatorie e ne bis in idem nella responsabilità delle persone giuridiche per illeciti tributari; nonché in Cass. pen., 2023, 976 ss. con nota di  A.F. Tripodi, Archiviazione 231 per ne bis in idem. Quando la disciplina della responsabilità da reato degli enti “incrocia” la garanzia europea. Si vedano inoltre le osservazioni di M. Di Lello Finuoli, La compliance riparativa: un “giunto cardanico” tra responsabilità da reato degli enti e misure di prevenzione, in Arch. Pen., 2/2023.

[8] Art. 58 d.lgs. 231/2001

[9] L’enfasi posta sui canoni del ne bis in idem  della proporzione servono in realtà a superare il vincolo del dato testuale di cui all’art.  17 del d.lgs. 231/2001 che alle condotte volte alla eliminazione delle conseguenze del reato, al risarcimento del danno e alla riorganizzazione interna si limita a riconnettere una mitigazione della risposta sanzionatoria, ma non giunge fino a prevedere la possibilità per l’accusa di rinunciare all’azione penale.

[10] Più diffusamente, sul decreto in questione si vedano i commenti citati alla nota n. 8.

[11] Cass., sez. un., ,6 aprile 2023, n. 18840, in questa Rivista, 10 maggio 2023, con nota di M. Mossa Verre, La “messa alla prova” degli enti collettivi è esclusa anche dalla Cassazione a Sezioni Unite; nonché in Foro it., 2023, II, 346 ss., con nota di E.Davì, Quel no delle sezioni unite alla «messa alla prova» per l'ente che spiana la strada ai non prosecution agreements.

[12] Si veda di recente  M. Colacurci, L'illecito "riparato" dell'ente Uno studio sulle funzioni della compliance penalistica nel d.lgs. n. 231/2001, Torino, 2022; M.Masucci, Sanzioni per l’ente collettivo, in Riv.it.dir.proc.pen., 2022, 403 ss.; D. Franzin, Meccanismi premiali e responsabilità dell'ente, ivi, 430 ss.; N. Selvaggi, Le sanzioni per l'ente collettivo: un'introduzione alle ipotesi di riforma, ivi, 401 ss.;  F. Mazzacuva, L'ente premiato. Il diritto punitivo nell'era delle negoziazioni: l'esperienza angloamericana e le prospettive di riforma, Torino, 2020, 294 ss.