C. cost., sent. 9 marzo 2023 (dep. 8 maggio 2023), n. 88, Pres. Sciarra, Red. San Giorgio
*Il presente contributo è destinato alla pubblicazione sul fascicolo n. 6/2023.
1. Con la sentenza in commento, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 3 e 117, primo comma Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), il combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (“Testo Unico Immigrazione”, “TUI”), nella parte in cui ricomprende, tra le ipotesi di condanna automaticamente ostative al rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro, anche quelle – pur non definitive – per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti “TUS”) e le ipotesi di condanna definitive per il reato di cui all’art. 474, secondo comma, del codice penale.
2. Più in particolare, con due ordinanze di contenuto analogo il Consiglio di Stato ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 comma 3, del Testo Unico Immigrazione (in seguito la questione di legittimità costituzionale è stata estesa al combinato disposto degli artt. 4, comma terzo e 5 comma quinto del TUI[1]). Nella prima ordinanza[2] il TUI viene censurato in relazione al reato di cui all’art. 73 comma 5 TUS in quanto – richiamando tutti i “reati inerenti agli stupefacenti” – annovera anche tale fattispecie di reato (meglio nota come “spaccio di lieve entità”) tra quelle automaticamente ostative al rilascio ovvero al rinnovo del permesso di soggiorno. Analogamente, la stessa disposizione del TUI è stata censurata dalla seconda ordinanza[3] nella parte in cui prevede che il reato di cui all’art. 474 (rubricato “Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi”) sia automaticamente ostativo al rilascio ovvero al rinnovo del permesso di soggiorno. In entrambe le ordinanze di rimessione si precisa che il titolare del permesso di soggiorno da rinnovare non ha legami familiari sul territorio nazionale, risultando quindi non applicabile la previsione di cui all’art. 5, comma 5, secondo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, che “mitiga” l’automatismo censurato.
La questione viene sollevata in quanto il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale del descritto automatismo per violazione degli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, censurando, in particolare, il contrasto con i canoni di proporzionalità e di ragionevolezza. Secondo il giudice rimettente infatti il legislatore, con una scelta «troppo pregiudizievole della sfera del privato», avrebbe equiparato, quanto all’effetto ostativo al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, fattispecie di minore entità (pur penalmente rilevanti) «con reati gravi, quali, ad esempio, l’omicidio e la violenza sessuale», e avrebbe così determinato un sacrificio della posizione giuridica dello straniero «che non risponde a necessità e può risultare, in taluni casi, ingiustificatamente discriminatorio» ovvero «eminentemente sproporzionato».
3. Prima di procedere alla disamina della pronuncia, pare utile illustrare al lettore alcuni istituti di diritto dell’immigrazione rilevanti nel caso di specie.
a) La normativa rilevante per un soggetto straniero che vuole soggiornare nello stato italiano (per motivi non turistici) è inserita nel Testo unico immigrazione e il suo regolamento di attuazione (d.P.R. 394/1999). Ai sensi dell’art. 4 TUI, con il termine “permesso di soggiorno” si intende un documento che viene rilasciato dallo Stato – nel caso in cui lo straniero sia in possesso di determinati requisiti – che permette ad un soggetto di soggiornare legalmente nel territorio nazionale. Il TUI prevede e regolamenta diversi tipi di permesso di soggiorno in base alla tipologia di visti di ingresso previsti dal nostro ordinamento (ad esempio permesso di soggiorno per motivi familiari, per protezione speciale, per lavoro subordinato, per lavoro autonomo). Il permesso ha una durata predeterminata, al termine del quale esso va rinnovato.
b) La disciplina relativa al rinnovo è contenuta nell’art. 5 TUI. La procedura per il rinnovo richiede all’amministrazione di esaminare (nuovamente) se il soggetto interessato risulti in possesso dei requisiti per il rilascio di un determinato permesso. Ne consegue quindi che il rinnovo potrà essere rifiutato ove tali requisiti siano mancanti. È altresì importante sottolineare che, nel caso in cui un soggetto si trovi con un permesso di soggiorno scaduto o non rinnovato, tale posizione viene considerata dall’ordinamento equivalente a quella di un soggetto privo di permesso di soggiorno (ossia irregolare sul territorio).
c) Tra i requisiti richiesti dal legislatore vi è anche l’assenza di condanne o procedimenti penali per alcuni tipi di reato: vi sono infatti reati che il legislatore ha individuato come connotati di gravità tale da costituire un ostacolo al rinnovo o al rilascio di un permesso di soggiorno (c.d. “reati ostativi”, indicati all’art. 4 comma 3 TUI). Si tratta di reati comuni (come, ad esempio, alcuni reati contro il patrimonio, reati inerenti alla libertà sessuale o reati inerenti allo spaccio e alla detenzione di sostanze stupefacenti) che se commessi dallo straniero sarebbero però – secondo la logica del legislatore – sintomatici di una pericolosità sociale del soggetto tale da poter escludere a priori un rilascio/rinnovo di qualsiasi tipo di permesso di soggiorno.
d) Sempre nel TUI sono previste, per alcune categorie di soggetti, alcune “mitigazioni” che permettono, anche in assenza di requisiti, il rilascio/rinnovo del permesso. Ad esempio, all’art. 5 comma 5 del TUI è disciplinata la possibilità da parte della pubblica amministrazione di effettuare un vaglio sulla situazione concreta dello straniero (e, conseguentemente, di rilasciare comunque il permesso) nel caso in cui l’individuo sia nelle condizioni di poter richiedere il visto per motivi di ricongiungimento familiare.
Un ulteriore correttivo alla disciplina era previsto all’art. 19 TUI che indica le situazioni in cui l’espulsione e il respingimento dello straniero sono vietati. Il terzo e quarto periodo del comma 1.1. dell’art. 19 infatti vietavano l’allontanamento “qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare”.
È rilevante tuttavia menzionare – così come fa la Corte nel caso di specie – che una recente novella legislativa (d.l. n. 20/2023, convertito con modificazioni in l. 5 maggio 2023, n.50, il c.d.“d.l. “Cutro”) restringe l’ambito di applicazione di tale norma, predisponendo che nel caso di domanda per il rilascio del permesso di soggiorno (i) non debba più essere considerato quale parametro quello della tutela della vita privata e familiare dello straniero e che (ii) il permesso di soggiorno per protezione speciale non potrà più essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro (abrogazione art. 6 co. 1 bis lett. a TUI).
e) Come menzionato precedentemente, per poter ottenere il permesso di soggiorno è necessario essere in possesso di determinate caratteristiche. Il soggetto che, per l’assenza dei requisiti previsti dalla legge o per il mancato rinnovo, si trova sprovvisto di permesso di soggiorno, sta soggiornando illegalmente nel territorio italiano ed è passibile di espulsione ossia di allontanamento dal territorio italiano (c.d. espulsione, di natura amministrativa o penale).
4. Con la sentenza in esame la Consulta torna a pronunciarsi in materia di diritto dell’immigrazione (in particolare nell’ambito del c.d. fenomeno della “crimmigration”[4]), censurando disposizioni legislative che introducono automatismi tali da incidere in modo sproporzionato e irragionevole sui diritti fondamentali degli stranieri.
Prima di argomentare nel merito, la Corte costituzionale ha proceduto a delimitare il thema decidendum relativamente ad entrambi i reati (le fattispecie all’esame della Corte hanno ad oggetto istanze di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro) sia nello specifico relativamente alla fattispecie dell’art. 474 c. p. in quanto la pronuncia è relativa unicamente al reato previsto e punito dal secondo comma di tale disposizione che incrimina il commercio di prodotti con segni contraffatti.
5. Quanto al merito, come anticipato, la Corte costituzionale ha ritenuto le questioni fondate.
Più in particolare, la Corte si sofferma sulla compatibilità del diniego automatico al rilascio/rinnovo del permesso per una condanna relativa al c.d. “spaccio di lieve entità”, estendendo le valutazioni anche in riferimento all’art. 474 comma 2.
In primis, viene ricostruita la genesi e lo scopo della norma, in particolare dell’automatismo incluso. La Corte sottolinea infatti che è solo a seguito della riforma del 2002 (l. 30 luglio 2002 n. 189, c.d. legge “Bossi-Fini”) che la commissione di alcuni tipi di reato viene ricollegata al diniego del rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno. La modifica normativa del 2002 costruisce un sistema “bipartito” per l’individuazione delle fattispecie ostative, basato sulla enucleazione di due criteri concorrenti: l’uno di carattere misto (quantitativo-qualitativo) che, mediante il richiamo all’art. 380 commi 1 e 2 c.p.p., include tra i reati ostativi tutti quelli che prevedono l’arresto in flagranza obbligatorio[5]; l’altro, di natura solo qualitativa, fa rientrare tra i reati ostativi anche quelli specificamente individuati dalla norma (come ad esempio tutti i reati inerenti agli stupefacenti). Tra i reati considerati ostativi attraverso questo meccanismo rientra quindi sia il c.d. “piccolo spaccio” (in quanto il legislatore del 2002 richiama in generale i “reati inerenti gli stupefacenti”), sia quello previsto all’art. 474 c.p., il quale – spiega la Corte – tuttavia è stato originariamente previsto per il rilascio di un’unica tipologia di permesso di soggiorno ossia quello per motivi di lavoro autonomo. Solo nel 2009[6] infatti l’art. 474 c.p. è stato incluso nella previsione generale dell’art. 4 TUI.
La Corte, quindi, sottolinea come è stato con la novella del 2002 che gli effetti penali dei reati individuati all’art. 4 TUI sono stati poi collegati alla misura dell’espulsione amministrativa e al venir meno del permesso di soggiorno sul territorio nazionale (13, comma 2, lettera b TUI).
I giudici si soffermano poi sul possibile contrasto tra la norma censurata e il parametro della ragionevolezza e della proporzionalità di cui all’art. 3 Cost., in riferimento anche all’art. 8 CEDU (evocato come parametro interposto rispetto alla denunciata violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.) in relazione a quelle fattispecie, incluse nell’elenco dei reati ostativi, che sono caratterizzate da un minor grado di offensività.
Relativamente al principio di proporzionalità, la Corte – come spesso affermato nella propria giurisprudenza[7] – ribadisce che, in presenza di una questione concernente il bilanciamento di due diritti, il giudizio di ragionevolezza sulle scelte legislative si avvale del c.d. test di proporzionalità che richiede di valutare «se la norma censurata, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi».
La Corte evidenzia, in particolar modo, di essersi già soffermata[8] sul bilanciamento tra diritti fondamentali e allontanamento dallo stato italiano. Di recente infatti la Consulta ha sostenuto che, relativamente a previsioni che implicano l’allontanamento dal territorio nazionale di uno straniero, vi è necessità di un “conveniente bilanciamento” tra le ragioni che giustificano la misura di volta in volta prescelta dal legislatore (come ad esempio la commissione di reati da parte dello straniero) e, dall’altra parte, le confliggenti ragioni di tutela del diritto dell’interessato – così come valorizzate dall’art. 8 CEDU – a non essere sradicato dal luogo in cui intrattenga la parte più significativa dei propri rapporti sociali, lavorativi, familiari, affettivi[9].
La Corte risponde inoltre alle argomentazioni presentate dall’Avvocatura dello Stato – che sottolinea il potere discrezionale del legislatore nelle scelte relative alla tutela dell’ordine pubblico, sicurezza e regolamentazione dei flussi migratori – evidenziando come sia sì riconosciuto un esercizio di discrezionalità nel prevedere casi di automatica revoca o negazione del permesso di soggiorno di fronte alla commissione di reati di una certa gravità; ma come tale scelta debba essere – conformemente al principio di proporzionalità – il risultato di un bilanciamento ragionevole e proporzionato ai sensi dell’art. 3 Cost. [10]. E come, tenuto conto dell’importanza del rispetto dei diritti di ciascun essere umano, la Corte aveva già in passato dichiarato costituzionalmente illegittime disposizioni legislative che, nella materia dell’immigrazione, introducevano automatismi tali da incidere in modo sproporzionato e irragionevole sui diritti fondamentali[11].
La necessità di bilanciare correttamente le scelte del legislatore nazionale e i diritti riconosciuti a ciascun individuo – sempre secondo i giudici – risulta coerente con le direttive giurisprudenziali dettate dalla Corte Edu[12] che, inoltre, ha individuato i criteri che consentono di individuare se la misura dell’allontanamento di uno straniero possa considerarsi “necessaria”, in una società democratica, e “proporzionata” allo scopo legittimo perseguito: criteri quali natura e serietà del reato commesso dallo straniero; lunghezza del suo soggiorno sul territorio nazionale; tempo trascorso dalla commissione del reato (considerando anche la condotta tenuta dallo straniero in tale frangente temporale); nazionalità delle persone coinvolte; situazione familiare dello straniero che dovrebbe essere allontanato[13].
Successivamente, la Corte affronta il problema delle presunzioni correlate all’utilizzo di automatismi da parte del legislatore. Le presunzioni compatibili con il nostro ordinamento sono solo quelle che rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit (ex plurimis, sentenze n. 253 del 2019, n. 268 del 2016, n. 213 e 57 del 2013). Nella sentenza si evidenzia come spesso le presunzioni assolute sono state soggette a censure costituzionali, in specie quando limitano un diritto fondamentale della persona: tali strumenti infatti possono minare il principio di uguaglianza nel caso in cui, secondo la giurisprudenza costituzionale, siano arbitrarie e irrazionali (e quindi contrarie ad un giudizio secondo la formula dell’id quod prelumque accidit).
Riepilogata la propria giurisprudenza sui nodi salienti della questione, la Corte ha applicato i principi enunciati al caso concreto.
Relativamente al reato di cui all’art. 73 comma 5 del d.P.R. n. 309 del 1990, la Corte osserva che rientra sì nell’elenco dei reati ostativi di cui all’art. 4 comma 3 TUI ma, d’altra parte, è anche una previsione espressamente esclusa dal legislatore dal novero dei reati che consentono l’arresto obbligatorio in flagranza, rientrando invece al regime dell’arresto facoltativo. La Consulta segnala inoltre che si era già espressa sui reati per la quale è previsto l’arresto facoltativo quando, nell’ambito della disciplina dell’emersione degli stranieri dal lavoro irregolare[14], aveva giudicato manifestamente irragionevole che il provvedimento amministrativo automatico di diniego scaturente da una condanna per reati previsti all’art. 381 c.p.p. potesse avere ricadute sulla regolarità del soggiorno dello straniero sul territorio nazionale. Ciò in quanto tali reati «non sono necessariamente sintomatici della pericolosità di colui che li ha commessi»[15].
Alla luce di tale precedente e, tenuto conto del principio di ragionevolezza, risulta quindi irragionevole che un giudizio sui medesimi reati porti a soluzioni diverse nelle due materie: davanti ad una condanna per il c.d. “piccolo spaccio”, l’amministrazione, nel caso di procedimento di emersione del lavoro irregolare (procedimento che permette poi il rilascio del permesso di soggiorno) può effettuare una valutazione in concreto sull’individuo; dall’altra parte nel caso in cui sia in atto un procedimento per il solo rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, la condanna comporta il diniego automatico di tale rilascio o rinnovo senza possibilità dell’amministrazione di operare alcuna valutazione discrezionale[16].
Secondo la Corte, proprio per la natura “unitaria” del complessivo procedimento per l’ottenimento del permesso, si richiede che i due sub-procedimenti siano uniformati, a livello di disciplina, verso un unico e coerente modello[17].
Relativamente alla presunzione di pericolosità tale da comportare un diniego del permesso di soggiorno dell’individuo condannato per il reato previsto all’art. 73 comma 5 TUS, la Consulta ritiene tale presunzione illegittima in quanto arbitraria e irrazionale. Se infatti, secondo il ragionamento espresso dalla giurisprudenza della Corte, le presunzioni assolute possono trovare spazio nel nostro ordinamento solo se non vi è la possibilità concreta di accadimenti contrari alla presunzione introdotta dalla norma censurata, nel caso di specie tali presunzioni sono superabili: è infatti razionalmente possibile ritenere che un giudizio di pericolosità correlato ad uno straniero che commetta il reato di cui all’art. 73 comma 5 TUS possa dare esito negativo; ciò in quanto, ad esempio, lo straniero potrà non essere ritenuto socialmente pericoloso sulla base di un giudizio che tenga conto di diversi parametri quali il fatto per la sua lieve entità, per le circostanze, per il tempo trascorso dalla commissione o per il percorso rieducativo eventualmente seguito dalla condanna. La presunzione quindi, tenuto conto del principio di proporzionalità, risulta una misura sproporzionata rispetto all’intento del legislatore che potrebbe essere attuato con strumenti meno afflittivi per lo straniero.
La Corte prosegue poi nella sua argomentazione affrontando la compatibilità delle norme censurate del TUI con la normativa sovranazionale. Il principio di proporzionalità, letto anche alla luce dell’art. 8 CEDU (v. sopra), risulta violato in quanto non vi è possibilità per l’amministrazione di valutare la situazione concreta dello straniero e il suo percorso di reinserimento nella società. Per una lettura costituzionalmente conforme della disposizione la Corte ritiene necessario che l’amministrazione possa effettuare un giudizio in concreto in sede di disamina della domanda di rinnovo del permesso, al fine di evitare che tale valutazione si traduca in un giudizio astratto e quindi lesivo dell’art. 8 CEDU[18].
Da ultimo la Corte sottolinea che le argomentazioni riferite all’art. 73 comma 5 del TUS sono estendibili alla fattispecie di cui all’art. 474 secondo comma c.p., alla quale in base alla cornice edittale (che arriva nel massimo a due anni di reclusione) non è applicabile nemmeno la figura dell’arresto in flagranza ex 381 c.p.p.
[1] Ciò in quanto è il combinato disposto delle due norme che associa la commissione di reati ostativi (e la conseguente condanna) alla impossibilità di rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno e della conseguente possibilità di espulsione c.d. “amministrativa” (come conseguenza del mancato possesso del permesso).
[2] Relativamente alla prima ordinanza, il giudice de quo ha riferito di dover decidere su un appello presentato al TAR della Lombardia (nel caso della ordinanza iscritta al n. 97 reg. ord. 2022) in cui si era rigettato il ricorso di uno straniero la cui istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro era stata respinta dal Questore per l’esistenza di una condanna del richiedente alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione per il reato di cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990. Il ricorso presentato al TAR era stato respinto ai sensi dell’art. 4 comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 a causa della condanna per un “reato ostativo, pertanto automaticamente preclusivo al rilascio del rinnovo”.
[3] Relativamente alla seconda ordinanza (n. 99 reg. ord. 2022), il Consiglio di Stato riferisce di dover decidere sull’appello promosso contro una sentenza del TAR Liguria che ha respinto il ricorso di uno straniero al quale l’amministrazione aveva negato il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro in considerazione della condanna pronunciata con decreto penale per i reati di cui agli artt. 474 e 648 c.p. per vendita di merci con marchio contraffatto, sempre ai sensi dell’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286/1998. Di questi due reati, solo il primo ha portata ostativa ai sensi del citato art. 4 TUI.
[4] Con il termine “crimmigration” si intende descrivere la sovrapposizione tra strumenti penalistici e strumenti di diritto amministrativo nella gestione del fenomeno migratorio. Si segnala come approfondimento G. L. Gatta, La pena nell'era della "crimmigration": tra Europa e Stati Uniti, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura penale, 2018; G.L. Gatta, V. Mitsilegas, S. Zirulia (eds.), Controlling Immigration Through Criminal Law. European and Comparative Perspectives on ‘Crimmigration’, Hart Publishing, Oxford, 2021; G. Mentasti, The criminalisation of migration in Italy: Current tendencies in the light of EU law, in New Journal of European Criminal Law, 2022, Vol. 13(4), p. 502–525.
[5] Nell’articolo 380 c.p.p. le fattispecie di reato sono a loro volta individuate in base non solo al quantum di pena stabilito dalla legge (comma 1), ma anche alla classificazione per “tipologia” (comma 2).
[6] L’art. 474 è stato introdotto quale reato ostativo nel TUI per mezzo dell’art. 1, comma 22, lettera a), numero 2), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica).
[7] Ex plurimis, sentenze n. 260 del 2021, n. 20 del 2019 e n. 137 del 2018.
[8] In tema di mandato di arresto europeo: ordinanza n. 217 del 2021, di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE. (notizia su Sistema Penale).
[9] Il giudice rimettente infatti ha portato all’attenzione della Corte l’evoluzione della giurisprudenza – nazionale e sovranazionale – in tema di principio di proporzionalità e in particolare dell’utilizzo del principio come parametro di bilanciamento tra la sicurezza pubblica e i diritti del singolo, in particolare della sua “vita privata” (principio valorizzato molto dall’art. 8 CEDU) che, nella giurisprudenza della Corte EDU, attiene «all’identità fisica e sociale della persona umana e non è suscettibile di una definizione esaustiva [finendo per tutelare] il diritto allo sviluppo personale, inteso come personalità o autonomia personale, comprendendo il diritto ad una vita sociale privata e, in via più generale, il diritto a partecipare alla crescita della società» - cfr. sent. 88/2023, p. 5.
[10] Sentenza 3 luglio 2013, n. 202 (che richiama sentenza 2 luglio 2012, n. 172).
[11] Sentenze n. 245 del 2011, n. 299 e n. 249 del 2010.
[12] Cfr. giurisprudenza C. Edu: Üner c. Olanda, 46410/99, 18 ottobre 2006.
[13] Cfr. da ultimo: Otite c. Regno Unito, 18339/19, 27 dicembre 2022.
[14] Sentenza 2 luglio 2012, n. 172.
[15] Infatti, fisiologicamente, l’arresto per tali reati presuppone una valutazione in concreto circa la gravità del fatto commesso o la personalità del soggetto (art. 381, comma 4, c.p.p.), risultando la scelta quindi subordinata «ad una specifica valutazione di elementi ulteriori rispetto a quelli consistenti nella mera prova della commissione del fatto» (sent. n. 172/2012).
[16] È utile segnalare che la Corte nel 2017 era stata chiamata a valutare la legittimità del combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del TUI, (in relazione ad un caso in cui non era stato rilasciato un permesso di soggiorno sempre per una condanna al c.d. “piccolo spaccio” sebbene il procedimento di emersione del lavoro irregolare avesse avuto esito positivo) ma in tale ambito la Corte aveva rigettato la questione, ritenendo l’ordinanza inammissibile per contraddittorietà e lacunosità della motivazione dell’ordinanza di rimessione - sent. 8 febbraio 2017 n. 45.
[17] Tale affermazione risulta già espressa dalla Corte nella sentenza sopra citata (sent. 45/2017).
[18] La Corte segnala anche che tale meccanismo risulta già presente nel nostro ordinamento e conforme al diritto UE: per le fattispecie di rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, a norma dell’art. 9 comma 4 del d.lgs. 286 del 1998, tale permesso non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, con la precisazione che, ai fini di valutare la pericolosità «si tiene conto» anche di eventuali condanne «per i reati previsti dall’articolo 380 c.p.p., nonché, limitatamente ai delitti non colposi, dall’articolo 381 c.p.p.». Da ciò la necessità che l’amministrazione sia chiamata a compiere, caso per caso, un proprio apprezzamento, in quanto la pericolosità non è fatta discendere dalla mera sussistenza di una sentenza di condanna penale. Correlativamente a ciò la Consulta ha anche già avuto modo di precisare che, nel giudizio di legittimità costituzionale di norme che limitano, nei confronti degli stranieri, il godimento di diritti fondamentali della persona, non può ammettersi una differenziazione tra la situazione di coloro che godono dello status di soggiornanti di lungo periodo rispetto a quella di coloro che, comunque, sono legalmente residenti sul territorio nazionale, sia pure in forza dell’ordinario permesso di soggiorno (sentenza 11 gennaio 2022, n. 54).