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18 Maggio 2020


Le Sezioni unite stabiliscono in 2 kg di principio attivo il valore oltre cui è integrata l’aggravante dell’ingente quantità di droghe “leggere”. Law in action o vulnus alla riserva di legge?

Cass., Sez. un., sent. 30 gennaio 2020 (dep. 12 maggio 2020), n. 14722, Pres. Carcano, Est. Fumu, ric. Polito



1. Con la sentenza in commento, le Sezioni unite chiariscono definitivamente, senza più lasciare adito a dubbi, quale è il parametro oggettivo cui si deve fare riferimento per l’applicazione della circostanza aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80, co., 2 del testo unico sugli stupefacenti.

La soluzione alla quale perviene la Corte è compendiata nel seguente principio di diritto: «a seguito della riforma introdotta nel sistema della legislazione in tema di stupefacenti dal d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16 [maggio] 2014, n. 79, mantengono validità i criteri fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 36258 del 24 maggio 2012, Biondi, per l’individuazione della soglia oltre la quale è configurabile la circostanza aggravante dell’ingente quantità prevista dall’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309/90; con riferimento alle c.d. droghe leggere la soglia rimane fissata in 2 kg. di principio attivo».

Il massimo organo nomofilattico fornisce dunque all’interprete un criterio inequivocabile e di non difficile accertamento per l’applicazione dell’incerta previsione normativa: l’aumento di pena dalla metà a due terzi è applicabile nei casi in cui il fatto riguardi un quantitativo di droga leggera che contenga un principio attivo non inferiore a 2 kg.

Tale soluzione, come espressamente dichiarato dalle Sezioni unite, salvaguarda il rispetto del principio di determinatezza della legge penale; tuttavia, a nostro parere, non elimina i dubbi di violazione del principio di legalità sub specie di riserva di legge e accentua la tendenza dell’ordinamento penale verso quei caratteri del diritto penale giurisprudenziale propri delle tradizioni di common law[1].

 

2. Anzitutto, però, un cenno al caso di specie.

Il ricorrente era stato condannato dalla Corte di appello di Catanzaro alla pena finale di sei anni e otto mesi di reclusione ed euro 40.000 di multa per i delitti di cui all’art. 73, commi 1 e 4, del d.P.R. 309/1990 per avere coltivato illecitamente 1.087 piante di canapa indiana nella fase di maturazione «dalle quali era possibile ricavare 71.165,4 dosi medie singole». L’aumento di pena dovuto all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 80, co. 2, d.P.R. 309/1990 era stato quantificato in un anno e otto mesi di reclusione ed euro 10.000 di multa.

La rilevanza del caso di specie rispetto alla questione sollevata alle Sezioni unite emerge dal fatto che dalle piante rinvenute si sarebbe potuta ricavare una quantità di principio attivo pari a 1,780 kg, ossia una quantità ben superiore a 1 kg ma certamente inferiore a 2 kg.

La Corte di appello di Catanzaro aveva infatti aderito a quell’orientamento giurisprudenziale che riteneva ravvisabile l’aggravante ex art. 80, co. 2, t.u. stup. quando la quantità di principio attivo non sia inferiore a 1 kg., così ponendosi in contrasto con l’indirizzo più recente secondo cui il parametro soglia cui riferirsi è invece quello dei 2 kg di principio attivo.

Rilevato il contrasto circa quale debba essere il limite soglia di quantità di principio attivo di sostanza stupefacente superato il quale si possa ritenere integrata l’aggravante dell’ingente quantità, la Quarta sezione ha però ampliato la portata del thema decidendum. Questi i quesiti a cui le Sezioni unite sono state chiamate a rispondere:

– innanzitutto, «se mantenga validità il criterio per la determinazione dell’ingente quantità fissato dalla sentenza delle Sezioni Unite Biondi, fondato sul rapporto (1 a 2000) fra quantità massima detenibile come prevista nell’“elenco” allegato al D.M. 11 aprile 2006 e quantità di principio attivo contenuto nella sostanza oggetto della condotta, ferma la discrezionalità giudiziale in caso di superamento del limite così ottenuto»;

– e, conseguentemente, «come debbano essere individuati i fattori della moltiplicazione il cui prodotto determina il confine inferiore dell’ingente quantità nell’ipotesi di reati concernenti le c.d. “droghe leggere”»[2].

 

3. Prima di ripercorrere la ricostruzione normativa e giurisprudenziale a fondamento della decisione in esame, è opportuno anticipare qui una precisazione nominalistica svolta dalle Sezioni unite al § 15 del “considerato in diritto”. Tale precisazione consente infatti di comprendere il ragionamento sviluppato dalla Corte e di fare chiarezza sulla terminologia utilizzata dalla stessa giurisprudenza di legittimità.

Si rileva in primo luogo che la figura giuridica della “dose media giornaliera” quale limite alla detenzione per uso esclusivamente personale è stata introdotta con la legge 26 giugno 1990 n. 162 – in seguito confluita nel d.P.R. 309/1990, agli artt. 75 co. 1 e 78, co. 1, lett. c) – ma è venuta meno all’esito del referendum popolare (d.P.R. 5 giugno 1993, n. 171).

L’attuale normativa in materia di stupefacenti è costruita invece su due diversi concetti ricavabili dal preambolo al D.M. 11 aprile 2006:

– la “dose media singola”, da intendersi come la quantità di principio attivo per singola assunzione idonea a produrre effetto stupefacente e psicotropo su un soggetto tollerante e dipendente;

– e la “dose-soglia”, che indica la quantità massima di sostanza stupefacente detenibile da un soggetto per uso personale. Quest’ultima quantità è determinata dall’incremento della dose media singola sulla base di un moltiplicatore, stabilito dal decreto ministeriale, variabile in relazione a ciascuna sostanza. È di conseguenza un parametro che prescinde dalla frequenza dell’assunzione di sostanza stupefacente nel corso di una giornata, e consente così di tollerare, nella destinazione ad uso personale, anche un modesto accumulo di sostanza per più giorni.

Chiarisce dunque la Corte che il concetto su cui si fonda il percorso argomentativo delle Sezioni unite Biondi è quello della “dose-soglia” e non quello della “dose media giornaliera” che, come detto, non risulta più normativamente esistente ed è dunque giuridicamente irrilevante.

In definitiva, il valore della “dose-soglia” si ricava oggi «dalla moltiplicazione del valore espresso in milligrammi della dose media singola per un fattore – di individuazione ministeriale sulla base di scelte di discrezionalità tecnica – pari a 5 per la cocaina, 10 per l’eroina, 20 per il THC, la cui determinazione già sconta la differente pericolosità o efficacia drogante dei vari tipi di stupefacente»[3].

 

4. Per dare soluzione al quesito sollevato dalla sezione rimettente, il Collegio rammenta l’evoluzione giurisprudenziale sull’aggravante di ingente quantità succedutasi sin dall’anno 2000, allorquando vi è stato un primo intervento a Sezioni unite. In quell’occasione la sentenza Primavera ha tentato di superare l’indirizzo mercantilistico che poggiava sull’idea di saturazione del mercato illecito di droga agganciando l’applicabilità dell’aggravante in questione al riconoscimento, da parte del giudice di merito, della capacità del quantitativo di droga di soddisfare le esigenze di un numero rilevante di tossicodipendenti all’interno del comprensorio territoriale in cui l’imputato operava.

Questo criterio, che sostanzialmente rimetteva alla discrezionalità del giudice e alla sua capacità argomentativa la configurabilità dell’aggravante, non è stato intaccato dalla riforma Fini-Giovanardi introdotta con il d.l. n. 272 del 30 dicembre 2005. Per quanto rileva in questa sede, l’intervento normativo ha unificato il trattamento sanzionatorio per le condotte illecite aventi a oggetto le droghe “pesanti” e quelle aventi a oggetto le droghe “leggere” e ha ristabilito il sistema della predeterminazione della quantità di sostanza detenibile per uso personale (art. 73, co. 1 bis, lett. a) t.u. stup.). Sistema concretizzato pochi mesi dopo con l’emanazione del decreto del Ministero della salute (D.M. 11 aprile 2006) che ha determinato la dose-soglia per ciascuna sostanza stupefacente.

I dubbi sui criteri da utilizzare per l’applicazione dell’art. 80, co. 2, d.P.R. 309/1990 sono però riemersi nel 2010, quando si è sviluppato un nuovo contrasto interpretativo tra due diverse sezioni della Suprema Corte: da un lato, la Sesta sezione manifestava la necessità di ancorare la nozione di ingente quantità a un parametro numerico per evitare un insanabile vulnus al principio di determinatezza; dall’altro lato, la sezione Quarta riteneva la soluzione adottata dalla sentenza Primavera idonea a superare i dubbi di determinatezza della disposizione in esame e sottolineava il rischio di intaccare le prerogative del legislatore se si fosse accolta l’impostazione proposta dall’indirizzo contrario. La predeterminazione di un indice quantitativo che segnasse il confine oggettivo tra la quantità ingente e quella non ingente avrebbe cioè creato, per via giurisprudenziale, un parametro che avrebbe di fatto assunto valenza normativa.

 

5. È allora sollecitato un nuovo intervento delle Sezioni unite[4], le quali hanno cercato di risolvere la questione attraverso l’individuazione di un parametro di natura oggettiva all’interno del sistema punitivo (allora) vigente in materia di stupefacenti.

Il ragionamento sviluppato nella sentenza Biondi ha preso le mosse dalla constatazione che il discrimine tra l’uso personale di sostanze stupefacenti e le condotte viceversa sanzionate penalmente è segnato da un dato numerico: la c.d. “dose-soglia”, ossia quel valore che, come visto poc’anzi, sancisce la rilevanza penale di una condotta ed è «ricavato – per ogni sostanza – dal prodotto della moltiplicazione del valore della dose media singola espresso in milligrammi per un fattore (“moltiplicatore” variabile in relazione alle caratteristiche di ciascuna sostanza) individuato dal ministero competente»[5].

Rilevato che un dato numerico esprime il discrimine tra condotta penalmente irrilevante e condotta sanzionata penalmente, si è ritenuto allora di dover individuare un parametro numerico anche per segnare il discrimine tra la quantità non ingente di sostanza stupefacente e quella da ritenere ingente ai fini della configurabilità dell’aggravante ex art. 80, co.2, t.u. stup.

Assumendo come riferimento la dose-soglia stabilita per ciascuna sostanza dal decreto del Ministero della salute, e analizzando i dati esperienziali relativi al traffico di sostanze stupefacenti come risultanti dai casi affluiti in Cassazione negli anni precedenti al 2012[6], le Sezioni unite hanno allora determinato il valore-soglia al di sotto del quale non potesse – tendenzialmente – configurarsi l’aggravante di ingente quantità.

Le Sezioni unite hanno cioè stabilito che non potesse di norma ritenersi “ingente” un quantitativo di sostanza stupefacente che non superasse di 2000 volte la dose-soglia espressa in milligrammi di principio attivo dal decreto ministeriale. La sentenza Biondi riportava quindi testualmente le dosi-soglia delle principali sostanze (750 mg. per la cocaina, 250 mg. per l’eroina, 1.000 mg. per l’hashish) che, moltiplicate per 2.000, avrebbero indicato il dato numerico oltre il quale poter considerare come “ingente” la quantità di stupefacente. Attenendosi dunque al testo della pronuncia Biondi, il valore oltre il quale ritenere ingente la quantità di droghe “leggere” oggetto di una condotta illecita avrebbe dovuto essere quello di 2 kg di principio attivo.

 

6. Poco più di un anno dopo il deposito della sentenza Biondi, la storica sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’intera riforma Fini-Giovanardi, così determinando il ripristino della distinzione tra il trattamento sanzionatorio delle condotte aventi a oggetto le droghe “pesanti” e quello delle condotte aventi a oggetto le droghe “leggere”.

A seguito della nuova configurazione della disciplina penale in materia di stupefacenti, numerose sentenze della Cassazione tra il 2014 e il 2015 si sono poste in contrasto rispetto ai principi elaborati dalle Sezioni unite Biondi. Hanno cioè affermato che il differente sistema scaturito dalla decisione della Corte costituzionale smentirebbe la ratio normativa vigente all’epoca dell’arresto Biondi e, di conseguenza, «tale giurisprudenza [avrebbe dovuto] essere rimeditata, in considerazione dell’accresciuto tasso di modulazione normativa, difficilmente compatibile con una interpretazione tendenzialmente soltanto aritmetica e dunque automatica dell’aggravante di ingente quantità»[7].

Questo primo tentativo di scardinare la portata della costruzione elaborata dalla sentenza Biondi è però rapidamente tramontato grazie all’emersione di un nuovo filone giurisprudenziale presto divenuto maggioritario. I sostenitori della persistente validità dei criteri enunciati dall’arresto Biondi hanno in particolare sottolineato che, subito dopo la sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale, il legislatore è prontamente intervenuto (con il d.l. n. 36/2014) a ripristinare sia la regolamentazione della sanzione amministrativa dell’uso personale di stupefacenti (art. 75 co. 1 bis t.u. stup.), sia la perdurante efficacia del D.M. 11 aprile 2006 che, nel vigore della legge “Fini-Giovanardi”, determinava la massima quantità di principio attivo detenibile per ciascuna sostanza (la c.d. dose-soglia).

 

7. La sentenza in commento condivide le ragioni e le conclusioni espresse dall’orientamento maggioritario circa la persistente validità dei criteri elaborati dalla sentenza Biondi per la configurabilità della circostanza aggravante di ingente quantità.

La Corte bolla infatti come «erroneo presupposto» il punto di partenza del ragionamento elaborato dall’indirizzo minoritario, ossia il fatto che il travolgimento del sistema tabellare stabilito dalla legge Fini-Giovanardi per mano della Corte costituzionale implicherebbe la necessità di ridefinire i criteri per l’applicazione dell’aggravante in esame. L’unica conseguenza derivante dalla distinzione tra droghe “pesanti” e droghe “leggere” – rilevano le Sezioni unite – è «quella di differenziare, a seconda della sostanza, la pena base sulla quale deve essere applicato l’aumento per la ricorrenza della circostanza aggravante e non certo quella di riscrivere i criteri per la sua configurabilità, a fronte di un dato normativo [quello dell’art. 80, co. 2, d.P.R. 309/1990] rimasto testualmente invariato»[8].

La Corte provvede inoltre a fare luce su un equivoco: la dichiarazione di illegittimità costituzionale sancita dalla sentenza n. 32/2014 ha provocato la modifica delle tabelle previste dagli articoli 13 e 14 d.P.R. n. 309/1990, ossia di quelle tabelle (allegate al medesimo t.u. stup.) che individuano quali sono le sostanze stupefacenti vietate; non ha invece intaccato l’“elenco” allegato al decreto del Ministero della salute previsto dall’art. 73, co. 1 bis, lett. a), legge Fini-Giovanardi (attuale art. 75, co. 1 bis, lett. a), t.u. stup.), ossia quell’“elenco” che indica la quantità massima di principio attivo detenibile per ciascuna sostanza.

In definitiva, sostiene la Corte, il legislatore – “recuperando” (con il d.l. 36/2014) l’efficacia del D.M. 11 aprile 2006 contenente l’indicazione dei limiti quantitativi massimi delle sostanze stupefacenti riferibili ad un uso esclusivamente personale – avrebbe fatto salvo «proprio l’atto di normazione secondaria che la sentenza “Biondi” aveva posto a base del proprio argomentare partendo dal dato testuale della specifica indicazione numerica di un limite massimo di principio attivo detenibile per giungere, come si è detto, alla fissazione di un limite minimo – pur esso coerentemente fondato su dati numerici – per il riconoscimento della circostanza aggravante dell’ingente quantità»[9].

Nel prendere definitivamente le distanze dall’indirizzo minoritario, le Sezioni unite escludono altresì che i criteri elaborati dalla sentenza Biondi producano una «interpretazione tendenzialmente soltanto aritmetica e dunque automatica dell’ingente quantità». Il superamento del limite minimo della quantità di principio attivo individuato dalla sentenza Biondi, infatti, non determina di per sé la sussistenza dell’aggravante, «dovendosi in ogni caso avere riguardo alle circostanze del caso da valutarsi con riferimento alla pericolosità della condotta ed al livello di potenziale compromissione della salute e dell’ordinamento pubblico»[10]; potendo al limite il giudice anche non applicare l’aggravante seppure sia superato il valore-soglia.

Le Sezioni unite ritengono pertanto che i criteri di individuazione della circostanza aggravante ex art. 80, co. 2, d.P.R. 309/1990 elaborati dalla sentenza Biondi del 2012 soddisfino le «ineludibili esigenze costituzionali e convenzionali di determinatezza del precetto penale e parità di trattamento»[11].

 

8. Affermata la condivisibilità del criterio “aritmetico” (temperato dalla discrezionalità del giudice) elaborato dalla sentenza Biondi al fine di valutare la configurabilità dell’aggravante di ingente quantità, le Sezioni unite si occupano di rispondere al secondo quesito posto dall’ordinanza di rimessione: quello relativo alla determinazione del moltiplicatore da utilizzare nell’operazione di calcolo del valore-soglia con riferimento alle droghe “leggere”.

Anche in relazione a tale profilo, infatti, era emerso un contrasto giurisprudenziale a seguito del deposito della sentenza Biondi del 2012. Tale pronuncia aveva testualmente stabilito che, con riferimento alle droghe leggere, il valore di dose-soglia stabilito dal decreto ministeriale fosse pari a 1.000 mg, il moltiplicatore empirico individuato dalla Corte sulla base degli arresti in materia degli anni precedenti fosse pari a 2.000 e, dunque, il livello ponderale minimo che fa scattare la possibilità di applicare l’aggravante fosse pari a 2 kg di principio attivo.

Al momento della decisione delle Sezioni unite Biondi, tuttavia, l’“elenco” allegato al decreto ministeriale prevedeva per le droghe “leggere” (THC) una dose-soglia di principio attivo di 500 mg (e non di 1.000 mg, come invece indicato nel testo della sentenza).

L’errore emerso nella sentenza Biondi è stato causato dal fatto che il D.M. 4 agosto 2006 – aumentando da 20 a 40 il moltiplicatore del valore di principio attivo della dose media singola (25 mg) da applicarsi per ottenere la quantità massima detenibile (la c.d. dose-soglia di ciascuna sostanza) – aveva portato a 1.000 mg la dose-soglia del THC originariamente prevista in 500 mg dal D.M. 11 aprile 2006; ma lo stesso D.M. 4 agosto 2006 era stato successivamente annullato (per vizi che qui non rilevano) dal TAR del Lazio con sentenza del 21 marzo 2007.

Negli anni successivi alla sentenza Biondi si sono dunque formati due distinti orientamenti.

Un primo indirizzo ha rilevato l’errore della dose-soglia di THC riportata nel testo della sentenza Biondi e – mantenendo il moltiplicatore di 2.000 dalla stessa indicato – ha determinato in 1 kg il principio attivo di droga “leggera” necessario a integrare l’aggravante di ingente quantità.

Un diverso orientamento, invece, pur rilevando l’errore nel testo della sentenza Biondi, ha ritenuto di dover «rispettare le proporzioni e rendere omogeneo il principio con essa affermato alle conseguenze dell’annullamento del D.M. 4 agosto 2006» e, pertanto, il moltiplicatore da applicare alla dose-soglia per valutare l’integrazione dell’aggravante «deve essere necessariamente pari al doppio di quello da essa (erroneamente) indicato e dunque a 4.000 (e non 2.000) volte il quantitativo di principio attivo che può essere detenuto in un giorno»[12]. Stando a questo secondo indirizzo, dunque, l’aggravante di ingente quantità è configurabile quando il principio attivo di droga “leggera” sia pari a 2 kg (il doppio rispetto a quello che sarebbe sufficiente se si aderisse alle conclusioni cui è pervenuto il primo orientamento poc’anzi esposto).

 

9. La sentenza in commento ha ritenuto corretta la soluzione del secondo orientamento perché «aderente al reale contenuto dell’analisi effettuata dalla sentenza “Biondi” del 2012».

Le Sezioni unite spiegano con queste parole la propria decisione: «nel ragionamento della Corte è venuta prima la verifica delle quantità definibili ingenti […] e poi quella dei numeri atti a rappresentarle, sicché l’evidente errore di lettura del D.M. quanto al valore-soglia di principio attivo del THC non può inficiare in alcun modo l’accertamento empirico delle quantità rilevanti effettuato dalle Sezioni Unite, ma impone solo una correzione dei fattori del calcolo per ricostruirlo secondo i principi espressi in sentenza; e che questa correzione riguardi il moltiplicatore normativo della dose media singola (20 divenuto 40 e poi tornato 20) per ottenere la dose-soglia o, in alternativa, il moltiplicatore empirico di questa (2000 o 4000) poco importa, perché il risultato aderente all’esito dell’indagine induttiva delle Sezioni Unite cristallizzato nella sentenza “Biondi” è che la soglia minima perché si possa intendere ingente una quantità di “droga leggera” è di 2 kg. di principio attivo»[13].

 

10. La quantità di principio attivo pari a 1,780 kg. ricavabile dalle piante rinvenute nel caso di specie è inferiore al valore soglia di 2 kg. Ovvie dunque le conseguenze: le Sezioni unite annullano senza rinvio la sentenza impugnata nel solo capo relativo alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80, co. 2, d.P.R. 309/1990 e, pertanto, rideterminano la pena finale eliminando l’aumento di pena applicato nel giudizio di merito per l’aggravante speciale della ingente quantità.

 

***

 

11. Come dovrebbe essere emerso dalla sintesi che precede, il principale pregio di questa sentenza è quello di aver fornito una soluzione chiara e, questa volta, inequivocabile circa il criterio da utilizzare per l’applicabilità dell’aggravante di cui all’art. 80, co. 2, t.u. stup.: il criterio “aritmetico” elaborato dalla sentenza Biondi che permette di individuare il tendenziale confine inferiore dell’ingente quantità; confine inferiore che, per i reati concernenti le droghe “leggere” è pari al valore di 2 kg di principio attivo.

Questa soluzione soddisfa indubbiamente l’esigenza di necessaria prevedibilità delle decisioni giudiziarie, ma si espone alla critica avanzata da autorevole dottrina secondo cui la giurisprudenza sulla ingente quantità costituisca un esempio di «usurpazione del ruolo del legislatore»[14].

Già in sede di commento dell’ordinanza di rimessione avevamo ritenuto improbabile che le Sezioni unite si spingessero a sollevare un incidente di costituzionalità per violazione del principio di riserva di legge ex art. 25, co. 2, Cost.[15], nondimeno non può non rilevarsi che (ancora oggi) nel nostro ordinamento sia da considerare patologico qualsiasi fattore che intacchi il rispetto di tale principio costituzionale[16]. Del resto, a tale conclusione si perviene anche ripercorrendo la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale: sin dalle storiche sentenze n. 364 del 1988 e n. 327 del 2008; ma anche in quelle degli anni più recenti, quali la pronuncia n. 230 del 2012 espressiva di un «aperto ripudio dell’idea della giurisprudenza-fonte»[17], o la c.d. sentenza Taricco 2 indicativa della necessità di riaffermare il principio di legalità in senso “forte”[18] e, da ultimo, l’arresto n. 24/2019 in cui la Corte ha avuto la cura di precisare che, almeno nella materia penale, il “diritto giurisprudenziale” non dovrebbe surrogarsi pressoché integralmente al testo legislativo[19].

D’altro canto, tuttavia, deve altresì constatarsi come sempre più il principio di riserva di legge sia interessato da una «possibile relativizzazione»[20]. Attenti osservatori di tale linea di tendenza sottolineano però che l’attività creativa dell’interpretazione giurisprudenziale può «sopperire al crescente deficit di legittimazione delle scelte legislative di criminalizzazione»[21] soltanto quando sussista un «adeguato sistema del precedente»[22].

In tale prospettiva, il nostro ordinamento penale si avvicinerebbe sempre più al concetto di legalità diffuso in ambito europeo (e risultante dall’art. 7 CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo) caratterizzato dall’«accessibilità del precetto penale e – soprattutto – [da]lla “ragionevole prevedibilità dell’esito giudiziario”»[23].

 

12. In conclusione, un’ultima postilla. Nel determinare in 2 kg di principio attivo il dato numerico che segna il confine tra la quantità non ingente di stupefacente e quella ingente ai sensi dell’art. 80, co. 2, t.u. stup., le Sezioni unite hanno espressamente affermato come «poco importa» che la correzione da attuare rispetto alla soluzione stabilita dalla sentenza Biondi riguardi «il moltiplicatore della dose media singola (20 divenuto 40 e poi tornato 20) per ottenere la dose-soglia o, in alternativa, il moltiplicatore empirico di questa (2000 o 4000)»[24].

Riteniamo che occorra però prestare maggiore attenzione su questo punto.

Le Sezioni unite hanno chiarito che la sentenza Biondi, sulla base della propria indagine empirico induttiva, intendeva determinare in 2 kg di principio attivo il valore superato il quale è tendenzialmente sussistente l’aggravante di ingente quantità; e hanno inoltre posto in luce che il valore della dose-soglia vigente al momento della pronuncia Biondi era pari a 500 mg di THC (e non di 1.000 mg, come invece indicato nel testo della sentenza del 2012).

Una volta accertato l’esatto valore numerico di questi due indici, ciò che deve effettivamente ricavarsi dal ragionamento logico elaborato dalla sentenza Biondi è che il moltiplicatore empirico da applicare alla dose-soglia per determinare l’ingente quantità di droghe leggere è pari a 4.000. È questo il parametro fondamentale cui deve farsi riferimento pro futuro, anziché focalizzarsi sul valore di 2 kg di principio attivo che costituisce il valore finale dell’operazione algebrica.

Il moltiplicatore è infatti, a nostro avviso, il parametro oggettivo che permette di rappresentare in termini numerici il maggior disvalore di una condotta concernente una ingente quantità di stupefacente, alla quale applicare il consistente aumento di pena previsto dall’art. 80, co. 2, t.u. stup.

Solo facendo riferimento al moltiplicatore è infatti possibile rispettare le proporzioni tra quantità non ingente e quantità ingente di principio attivo anche qualora dovesse mutare il valore normativo della dose media singola, ovvero anche il valore del moltiplicatore normativo che permette di ricavare la dose-soglia di ciascuna sostanza stupefacente.

In questo modo il parametro oggettivo che determina la tendenziale applicazione della circostanza aggravante di ingente quantità non sarebbe determinato in maniera fissa sulla base di una decisione giurisprudenziale intervenuta nel 2012, ma sarebbe “agganciato” a eventuali modifiche normative del D.M. 11 aprile 2006; così salvaguardando – almeno in parte – l’esercizio della discrezionalità tecnica dell’organo al quale l’art. 75, co. 1 bis, d.P.R. 309/1990 demanda l’incarico di stabilire la dose-soglia per ciascuna sostanza stupefacente.

 

 

[1] Tra i tantissimi studi sull’argomento, di cui è impossibile qui dare conto: G. Fiandaca, Il diritto penale giurisprudenziale tra orientamenti e disorientamenti, Napoli, Editoriale Scientifica, 2008; Id., La legalità penale negli equilibri del sistema politico - costituzionale, in Foro it., 2000, V, p. 137 ss.; Id., Crisi della riserva di legge e disagio della democrazia rappresentativa nell’età del protagonismo giudiziale, in Criminalia, 2011, p. 79 ss.; F. Palazzo, Legalità fra law in the books e law in action, in Dir. pen. cont.- Riv. Trim., n. 3/2016, p. 4 ss.; M. Donini, Il diritto giurisprudenziale penale. Collisioni vere e apparenti con la legalità e sanzioni dell’illecito interpretativo, ivi, p. 13 ss.; S. Milone, Legalità e ruolo creativo della giurisprudenza nei rapporti tra diritto penale e processo, ivi, n. 2/2016, p. 13 ss.; T.E. Epidendio, Prescrizione, legalità e diritto giurisprudenziale: la "crisi" del diritto penale tra le corti, in Dir. pen. cont., 28 settembre 2017, p. 29 ss.; F. Palazzo - F. Viganò, Diritto penale. Una conversazione, Bologna, il Mulino, 2018, p. 75 ss.; G. Amarelli, Legge penale e giudice: un vecchio rapporto alla ricerca di un nuovo equilibrio, in Cass. pen., 2014, p. 403 ss.; Id., Il giudice ed il rispetto della legge penale in sede interpretativa, in Osservatorio AIC, fasc. 2/2015. Inoltre, con specifico riferimento all’art. 80, co. 2, d.P.R. n. 309/1990 quale esempio paradigmatico della crisi del principio di legalita, cfr. M. Perrotti-G. Spinelli, Punizione e legalità nel diritto penale italiano. Primi appunti per un confronto in chiave storica, in Cass. pen., 2014, p. 2314 ss.

[2] § 4 del “considerato in diritto” della sentenza in commento. In questi termini avevamo scomposto la questione di diritto sottoposta alle Sezioni unite in sede di commento dell’ordinanza di rimessione; volendo, C. Bray, La sopravvivenza dell’aggravante di “ingente quantità” di sostanza stupefacente ex art. 80 co. 2 d.P.R. 309/1990 rimessa al vaglio delle Sezioni unite, in questa Rivista, 28 gennaio 2020 § 4.

[3] § 15 del “considerato in diritto”.

[4] Cass. pen., Sez. un., 24 maggio 2012 (dep. 20 settembre 2012), n. 36258, pres. Lupo, est. Fumo, imp. Biondi, in Dir. pen. cont., con nota di M. Pelazza, "Ingente quantità" di stupefacenti: le Sezioni Unite accolgono il "criterio ponderale", 23 settembre 2012.

[5] § 15 del “considerato in diritto”.

[6] Un’indagine condotta dall’Ufficio del Massimario su sessantacinque casi giunti all’attenzione della Corte di cassazione nel biennio precedente.

[7] Cfr. Cass., sez. III, 21 maggio 2014, n. 25176, Amato e, per gli ulteriori riferimenti giurisprudenziali, il § 10 della sentenza in esame.

[8] § 12.1 del “considerato in diritto”.

[9] § 12.2 del “considerato in diritto”.

[10] § 12.3 del “considerato in diritto”.

[11] § 13 del “considerato in diritto”.

[12] Cfr. Cass., sez. III, 28 settembre 2016, n. 47978, Hrim e, per gli ulteriori riferimenti giurisprudenziali, il § 14.2 della sentenza in esame.

[13] § 14.3 del “considerato in diritto”.

[14] Cfr. G. Marinucci-E. Dolcini-G.L. Gatta, Manuale di Diritto Penale – Parte Generale, VIII ed., p. 69.

[16] Cfr. V. Napoleoni, Il sindacato di legittimità costituzionale in malam partem, in V. Manes-V. Napoleoni, La legge penale illegittima, Torino, 2019, p. 519.

[17] Cfr. V. Napoleoni, Il sindacato di legittimità costituzionale in malam partem, cit., p. 519, nota n. 412.

[18] Corte cost., sent. 10 aprile 2018 (dep. 31 maggio 2018) n. 115, Pres. e Red. Lattanzi, con commento di C. Cupelli, La Corte costituzionale chiude il caso Taricco e apre a un diritto penale europeo 'certo', in Dir. pen. cont., 4 giugno 2018.

[20] O. Di Giovine, Come la legalità europea sta riscrivendo quella nazionale. Dal primato delle leggi a quello dell’interpretazione, in Dir. pen. cont.- Riv. Trim., n. 1/2013, p. 164.

[21] Ibidem, p. 165.

[22] T.E. Epidendio, Brevi impressioni e spunti a margine del dibattito su mutamento giurisprudenziale “in bonam partem” e giudicato, in Dir. pen. cont., 14 dicembre 2012, pag. 6. Alla maggiore stabilizzazione giurisprudenziale mira peraltro il nuovo comma 1 bis dell’art. 618 c.p.p. introdotto con la legge n. 103/2017 che disciplina i rapporti tra sezioni semplici e sezioni unite della Cassazione e prevede, in particolare, l’obbligo di rimessione a queste ultime in caso di dissenting opinion, cfr. G. Fidelbo, Verso il sistema del precedente? Sezioni unite e principio di diritto, in Dir. pen. cont., 29 gennaio 2018.

[23] O. Di Giovine, Come la legalità europea sta riscrivendo quella nazionale, cit., p. 175.

[24] § 14.3 della sentenza in commento.