Tribunale di Perugia (g.i.p.), ord. 21 settembre 2020, Giud. Brutti
1. Pubblichiamo in allegato, per il particolare rilievo, l’ordinanza, depositata in data 21 settembre 2020, con cui il giudice per le indagini preliminari di Perugia si è pronunciato, ai sensi dell’art. 268, co. VI e VII c.p.p., sulle richieste di acquisizione delle conversazioni oggetto di intercettazione avanzate dal pubblico ministero e dalle difese delle persone sottoposte alle indagini preliminari nell’ambito del procedimento ormai noto alle cronache come “caso Palamara”.
2. Il principale profilo di interesse del provvedimento in esame è rappresentato dagli snodi motivazionali, particolarmente articolati, con cui – sia pure allo stato degli atti – si afferma la legittimità delle operazioni di intercettazione svolte dagli inquirenti, ritenute rispettose della garanzia che l’art. 68, co. III, Cost. pone a tutela delle funzioni parlamentari.
Invero, nel corso del c.d. procedimento di stralcio, le stesse difese delle persone sottoposte alle indagini – e non solo il pubblico ministero – hanno richiesto l’acquisizione e la trascrizione di conversazioni alle quali avevano preso parte due membri del Parlamento. In questa fase, dunque, non è stata eccepita l’inutilizzabilità delle relative intercettazioni, le difese ritenendo opportuno affrontare tale questione nelle successive, eventuali, fasi del procedimento. Ciononostante, il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto di doversi comunque soffermare sul punto, per una duplice ragione: da un lato perché il tema della presunta violazione dell’art. 68, co. III, Cost. era in più occasioni emerso nelle argomentazioni difensive; dall’altro perché, in ogni caso, nell’assumere le determinazioni di cui all’art. 268, co. VI c.p.p., il giudice per le indagini preliminari non può non accertare, se del caso d’ufficio, eventuali violazioni di divieti di rango costituzionale[1].
3. In tema di intercettazioni nei confronti dei parlamentari, il quadro normativo di riferimento è offerto dalla legge n. 20 giugno 2003, n. 140, come interpretata e innovata da vari interventi della Corte costituzionale. In particolare, vengono qui in rilievo gli articoli 4 e 6 della legge citata, rispettivamente dedicati alle intercettazioni da eseguirsi «nei confronti di un membro del Parlamento», per le quali, in conformità al dettato costituzionale, si richiede un’autorizzazione preventiva da parte della Camera di appartenenza del parlamentare, e le c.d. intercettazioni casuali, rispetto alle quali si rende necessaria un’autorizzazione successiva solo ove le si intenda utilizzare nei confronti del parlamentare e che sono invece utilizzabili senza alcuna autorizzazione nei confronti di persone diverse. Il g.i.p. di Perugia ricorda anzitutto che, alla luce delle coordinate tracciate dalla Corte costituzionale[2], l’autorizzazione preventiva richiesta dall’art. 4 l. n. 140/2003 si applica non solo alle c.d. intercettazioni dirette, che si hanno quando sottoposti a intercettazioni sono le utenze o i luoghi appartenenti al parlamentare o comunque nella sua disponibilità, ma anche alle c.d. intercettazioni indirette o mirate, cioè all’attività di captazione che interessa utenze intestate a soggetti diversi dal parlamentare, ma che possono ritenersi suoi interlocutori abituali, o che concernono luoghi che possono presumersi dallo stesso frequentati. Svolta tale premessa, il provvedimento del g.i.p. si sofferma sulla distinzione tra intercettazione “indiretta” o “mirata”, da un lato, e intercettazione “casuale”, dall’altro, distinzione dalla quale dipende l’utilizzabilità di parte delle intercettazioni realizzate nel procedimento. La captazione delle conversazioni cui hanno preso parte i due parlamentari coinvolti non era stata infatti preceduta da alcuna autorizzazione della Camera di appartenenza, sicché, ove si ritenesse di essere in presenza di intercettazioni “indirette” o “mirate”, le stesse risulterebbero fatalmente inutilizzabili.
4. Come viene puntualmente ricordato nel provvedimento in esame[3], sul confine tra intercettazioni indirette e intercettazioni casuali è intervenuta sia la Corte costituzionale, sia la Corte di cassazione, ed entrambe si sono sforzate di individuare dei criteri oggettivi in grado di svelare la reale natura dell’atto investigativo. In proposito, un sicuro punto di riferimento è rappresentato da due pronunce della Corte costituzionale del 2010, nelle quali si è affermato che «la verifica dell’“occasionalità” delle intercettazioni deve farsi, di necessità, particolarmente stringente» in presenza di una «attività di captazione articolata e prolungata nel tempo», e in particolare quando nel corso della stessa siano emersi «indizi di reità» nei confronti del parlamentare[4], ovvero quando il parlamentare risulti già sottoposto alle indagini nello stesso procedimento in cui le intercettazioni vengono autorizzate[5]. Oltre a ciò, secondo il giudice delle leggi, per affermare o escludere la casualità di un’intercettazione non è possibile non tenere conto di elementi quali «i rapporti intercorrenti tra parlamentare e terzo sottoposto a intercettazione»; il «tipo di attività criminosa oggetto di indagine»; il «numero delle conversazioni intercorse tra il terzo e il parlamentare»; l’«arco di tempo durante il quale tale attività di captazione è avvenuta»; le eventuali «proroghe delle autorizzazioni»[6]. Criteri, questi ultimi, che in più occasioni sono stati tutti richiamati dalla giurisprudenza di legittimità[7].
5. Facendo applicazione di tali coordinate interpretative, il g.i.p. di Perugia vaglia lo sviluppo dell’attività investigativa portato alla sua attenzione e afferma la casualità delle intercettazioni telefoniche che hanno visto coinvolti i due parlamentari. Oltre a richiamare il dato formale della mancata iscrizione nel registro delle persone sottoposte ad indagini al momento dell’avvio delle intercettazioni, si evidenzia come anche successivamente i parlamentari siano rimasti estranei alle ipotesi di reato formulate dalla pubblica accusa. Si aggiunge poi che, sebbene da alcune conversazioni intercettate fosse emersa una certa «consuetudine di rapporti» tra uno degli indagati e uno dei parlamentari, i due non potevano comunque essere definiti quali interlocutori abituali[8]. Tale quadro, unitamente ai singoli elementi investigativi in forza dei quali erano state autorizzate le operazioni di intercettazione, dimostrerebbe pertanto che i parlamentari non rientrassero tra gli “obiettivi”, neppure indiretti, dell’attività di indagine[9].
Nell’argomentare tale conclusione, il giudice respinge l’accezione di intercettazione “indiretta” – considerata eccessivamente estesa – propugnata dalle difese. Nell’ordinanza in commento si afferma infatti che, affinché operi la garanzia di cui all’art. 4 l. n. 140/2003, non è sufficiente «un generico sospetto», e cioè la mera «eventualità, puramente ipotetica, che possano, per mezzo dello strumento captativo rivolto alle comunicazioni dell’indagato, concretizzarsi indizi anche nei confronti del Parlamentare, sulla base di una prospettiva investigativa indefinita, non supportata dagli atti di indagine esistenti»[10]. Ragionando diversamente, si aggiunge, si finirebbe per perdere di vista la ratio sottesa alla garanzia dell’art. 68, co. III, Cost., che mira a «preservare l’esercizio del mandato parlamentare da possibili abusi giudiziari»[11], creando un’ingiustificata disparità di trattamento tra il cittadino comune e il membro del Parlamento. Viceversa, secondo il g.i.p., può parlarsi di intercettazione indiretta solo in presenza di un «intento surrettizio di captare» le comunicazioni del parlamentare, intento che «deve essere rivelato, almeno in termini di fumus, da indicatori concreti, ricavabili dagli atti di indagine esistenti»[12].
6. Le ultime pagine del provvedimento sono dedicate alle intercettazioni di conversazioni tra presenti mediante captatore informatico, che pure si ritiene abbiano coinvolto i parlamentari in maniera del tutto casuale. Sul punto, l’ordinanza in commento si confronta in particolare con due elementi, entrambi oggetto di argomentazione in alcune memorie difensive: da un lato, una nota dell’aprile 2019 in cui la polizia giudiziaria – alla luce di alcune conversazioni intercettate – aveva definito in termini di “opacità” i rapporti intercorrenti tra un indagato e uno dei parlamentari poi coinvolto nelle intercettazioni; dall’altro lato, la registrazione di alcune conversazioni riguardanti l’organizzazione di un imminente incontro tra presenti – poi effettivamente svoltosi tra l’8 e il 9 maggio 2020 – cui avrebbero preso parte anche i parlamentari. Ad avviso del g.i.p., né l’uno né l’altro elemento valgono a escludere la casualità delle intercettazioni nei confronti dei parlamentari: non il primo, in quanto gli operatori di polizia giudiziaria, nel trovarsi di fronte a «complesse relazioni […] di non immediata comprensione e di non agevole inquadramento», si erano limitati a esprimere «considerazioni generiche, certamente non sufficienti a delineare scenari di possibile rilievo penale»; non il secondo, in quanto, dagli accessi degli operatori di polizia giudiziaria al Sistema MCR (utilizzato per le operazioni di intercettazione), risultava che le conversazioni “predittive” dell’incontro tra presenti fossero state ascoltate soltanto nei giorni successi successivi all’incontro stesso[13].
Peraltro, una volta avuta contezza dell’incontro tra presenti cui avevano preso parte i parlamentari, il pubblico ministero aveva cautelativamente impartito alla polizia giudiziaria la direttiva di non attivare il captatore informatico «in presenza di elementi certi […] indicativi della programmazione di incontri cui avrebbero preso parte Parlamentari della Repubblica»[14]. Nonostante questa indicazione, nei giorni seguenti era stata intercettata un’ulteriore conversazione tra presenti cui aveva preso parte un membro del Parlamento. Tuttavia, secondo il g.i.p. anche quest’ulteriore intercettazione deve dirsi casuale: non essendo emersi elementi da cui inferire l’organizzazione di quest’altro incontro, non si può affermare che la polizia giudiziaria avesse disatteso le direttive del pubblico ministero.
7. In conclusione, pur precisando che «soltanto gli operatori di polizia giudiziaria potranno compiutamente chiarire, in fase istruttoria, i criteri e le indicazioni seguite nella scelta degli intervalli orari di programmazione delle sessioni di registrazione», il g.i.p. afferma che, allo stato degli atti, l’intercettazione c.d. ambientale delle conversazioni tra una delle persone sottoposte alle indagini e i due parlamentari risulta avvenuta in modo casuale, non essendo emersi «indicatori concreti della direzione dell’atto di indagine verso le comunicazioni dei parlamentari»[15].
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8. La vicenda de qua presenta dei profili di indubbio interesse per gli operatori giuridici, che prescindono dalla rilevanza mediatica del caso concreto.
Alla luce degli snodi motivazionali sopra brevemente illustrati, si può a buon diritto ritenere che l’eventuale prosecuzione del procedimento penale potrebbe fornire alla giurisprudenza un’occasione per fare maggiore chiarezza sul delicato tema della distinzione tra intercettazioni “indirette” o “mirate” e intercettazioni “casuali” e sui criteri discretivi che gli interpreti sono chiamati a tenere in considerazione.
Per il momento, non si può non sottolineare che, come spesso accade, anche in questo caso le particolarità della concreta vicenda procedimentale offrono degli spunti utili per comprendere e apprezzare a pieno la ratio ispiratrice degli istituti e delle garanzie coinvolte.
Il ragionamento del giudice per le indagini preliminari, qui brevemente sintetizzato, appare interamente volto a interrogarsi sulla direzione impressa all’attività investigativa da parte del pubblico ministero e della polizia giudiziaria. Ciò emerge, in maniera particolarmente evidente, nei passaggi dell’ordinanza riguardanti la registrazione di conversazioni preparatorie rispetto a un incontro tra presenti cui avrebbero partecipato anche i parlamentari, incontro poi effettivamente oggetto di intercettazioni c.d. ambientali mediante captatore informatico (cfr. supra, §6). Secondo il g.i.p., il dato centrale per affermare l’utilizzabilità delle conversazioni intercettate cui hanno preso parte i parlamentari è rappresentato dal fatto che gli investigatori avessero effettivamente ascoltato le registrazioni “predittive” dell’incontro solo in un momento successivo all’incontro stesso. Vale a dire che l’utilizzabilità di un’intercettazione di conversazioni di parlamentari dipende non dall’oggettiva scansione e tipologia dell’attività investigativa, bensì dagli obiettivi soggettivamente avuti di mira dagli investigatori.
Secondo la difesa, questo modo di ragionare sarebbe erroneo, in quanto «farebbe dipendere il rispetto del precetto costituzionale dal comportamento più o meno diligente della polizia giudiziaria»[16].
Tuttavia, si deve osservare che l’approccio del g.i.p. sembra trovare precisi riscontri nelle fondamentali prese di posizione che, in questa materia, ha assunto la Corte costituzionale. Secondo il giudice delle leggi, infatti, la garanzia prevista dall’art. 68, co. III, Cost. mira a «impedire che l’ascolto di colloqui riservati da parte dell’autorità giudiziaria possa essere indebitamente finalizzato ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell’attività»[17]. In altri termini, l’interesse protetto dalla Costituzione si identifica con «il corretto esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri del Parlamento, e non con gli interessi sostanziali di questi ultimi (riservatezza, onore, libertà personale), in ipotesi pregiudicati dal compimento dell’atto»[18]; rispetto agli interessi sostanziali dei singoli – che indubbiamente entrano in gioco anche nella vicenda in esame – operano i normali presidi di garanzia stabiliti per la generalità dei consociati. Se si guarda alla ratio sottesa all’art. 68, co. III, Cost. con la lente fornita dalla Consulta, si comprende allora come la direzione impressa alle indagini da parte degli investigatori, i.e. la finalità investigativa dagli stessi perseguita, sia davvero un dato di cruciale importanza, da essa dipendendo l’operatività dell’art. 4 l. n. 140/2003 (v. supra, §3).
[1] Cfr. p. 10 dell’ordinanza.
[2] In particolare, cfr. Corte cost. 23 novembre 2007, n. 390, in Cass. pen. 2008, I, p. 57, con nota di G. Giostra, La disciplina delle intercettazioni fortuite del parlamentare è ormai una dead rule walking.
[3] Cfr. pp. 13 e 14 dell’ordinanza.
[4] Cfr. Corte cost. 25 marzo 2010, n. 113, §3.3 del “considerato in diritto”, da cui sono tratte le citazioni contenute in questo periodo.
[5] Cfr. Corte cost. 25 marzo 2010, n. 114, §5 del “considerato in diritto”.
[6] Per questa e le precedenti citazioni cfr. Corte cost. 25 marzo 2010, n. 114, §5 del “considerato in diritto”.
[7] Cfr., in particolare, Cass. pen., Sez. VI, 5 aprile 2017, n. 34552, nonché, più di recente, Cass. pen., Sez. III, 29 novembre 2019, n. 8795.
[8] Cfr. p. 17 dell’ordinanza, da cui è tratta anche la precedente citazione.
[9] Cfr. p. 15 dell’ordinanza.
[10] Cfr. p. 16 dell’ordinanza.
[11] Cfr. p. 16 dell’ordinanza.
[12] Cfr. p. 16 dell’ordinanza, da cui è tratta anche la precedente citazione.
[13] Cfr. p. 19 dell’ordinanza, da cui sono tratte anche le precedenti citazioni.
[14] Cfr. p. 19 dell’ordinanza.
[15] Cfr. p. 21 dell’ordinanza, anche per la precedente citazione.
[16] Cfr. p. 21 dell’ordinanza.
[17] Corte cost., 23 novembre 2007, n. 390, §5.2 del “considerato in diritto”.
[18] Corte cost., 23 novembre 2007, n. 390, §5.2 del “considerato in diritto”.