ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Scheda  
13 Maggio 2021


Osservatorio Corte EDU: aprile 2021

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



A cura di Francesco Zacchè e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Edoardo Cipani (artt. 2, 3, 8 e 10 Cedu) e Francesca Ertola (artt. 6 Cedu).

 

In aprile  abbiamo selezionato pronunce relative a: interruzione del trattamento di sostegno vitale (artt. 2 e 8 Cedu); trattamenti psichiatrici in carcere (art. 3 Cedu); archiviazione del procedimento penale e licenziamento disciplinare (art. 6 Cedu); operazioni sotto copertura (art. 6 Cedu); diritto all’autodifesa processuale (art. 6 Cedu); opinioni anti-governative e favoreggiamento di attività terroristiche (art. 10 Cedu).

 

 

ART. 2 CEDU

Minore in stato vegetativo – assenza di effettivi benefici nella prosecuzione delle cure – interruzione trattamento terapeutico vitale – non violazione

C. eur. dir. uomo, sez. IV, 21 aprile 2021, Parfitt v. The United Kingdom

La ricorrente è una cittadina inglese con una figlia di cinque anni affetta da encefalopatia acuta necrotizzante, malattia che costringe la minore a vivere in permanente stato vegetativo senza alcuna prospettiva di miglioramento terapeutico. Una pronuncia del giudice nazionale, adito dall’ospedale presso il quale la minore è paziente, ha stabilito che l’interruzione del trattamento terapeutico non possa dirsi illegittima, non registrandosi alcun effettivo beneficio per la bambina nella prosecuzione di un trattamento terapeutico così invasivo e privo di prospettive di miglioramento (§ 16). Confermata in appello la decisione nazionale, la madre ha presentato ricorso dinnanzi alla C. eur. dir. uomo, ritenendo che l’eventuale decisione di interrompere il trattamento terapeutico sarebbe stata in aperto contrasto con il diritto alla vita della minore (art. 2 Cedu). Con riferimento a tale motivo di doglianza, la Corte ha ritenuto che l’ente ospedaliero avesse correttamente adito il giudice nazionale, ai fini dell’ottenimento della decisione migliore per l’interesse della paziente. Il giudice nazionale, con il supporto di dodici esperti altamente qualificati, tenendo in grande considerazione l’interesse alla vita della minore, la quale, in ragione della giovanissima età, non aveva espresso alcuna scelta consapevole circa il futuro trattamento, né appariva in grado di esprimere una preferenza attuale in ragione del suo stato di incoscienza (§ 42), è correttamente giunto alla conclusione di ritenere priva di effettivi benefici per la paziente la prosecuzione del trattamento terapeutico richiamato (§ 44). Per queste ragioni, la Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato. (Edoardo Cipani)

 

 

ART. 3 CEDU

Trattamenti inumani e degradanti – detenzione – trattamenti psichiatrici – violazione

C. eur. dir. uomo, sez. III, 6 aprile 2021, Venken and others v. Belgium

I ricorrenti, condannati alla pena detentiva con riferimento a molteplici delitti contro il patrimonio e contro la persona, in ragione del loro stato di infermità mentale erano stati internati presso i reparti psichiatrici degli istituti giudiziari ordinari, in attesa dell’individuazione di strutture più appropriate alle loro esigenze terapeutiche (§ 5 ss). Dopo anni di reclusione, hanno deciso di presentare ricorso alla C. eur. dir. uomo, dolendosi di non avere ricevuto trattamenti terapeutici adeguati al loro stato di salute e di non disporre di alcun rimedio giurisdizionale interno effettivo in grado di mutare la loro situazione. La Corte, prendendo le mosse dalla considerazione che le misure detentive nazionali fossero state disposte in ragione della pericolosità sociale dei ricorrenti e in considerazione del supporto terapeutico a loro necessario, ha accertato che le concrete condizioni detentive ostassero in particolare alla finalità di reinserimento sociale, avendo in concreto causato una profonda condizione di sofferenza e disagio, esorbitanti il livello fisiologico di sofferenza correlato alla condizione detentiva (§§ 168-169). Per queste ragioni, considerata l’assenza di un adeguato sostegno terapeutico nelle strutture richiamate, nonché l’essere trascorso un periodo di tempo idoneo a garantire l’individuazione di un istituto maggiormente conforme alle esigenze terapeutiche dei ricorrenti, la Corte ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 3 Cedu. (Edoardo Cipani)

Riferimenti bibliografici: P. Bernardoni, Detenzione e infermità psichica sopravvenuta: un problema europeo e una soluzione nazionale, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 2/2019, p. 1065.

 

 

ART. 6 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 13 aprile 2021, Istrate c. Romania

Presunzione di innocenza – licenziamento disciplinare a seguito dell’archiviazione del procedimento penale avviato per i medesimi fatti – efficacia “preclusiva” della presunzione di innocenza – autonomia degli accertamenti – non violazione

Il ricorrente, poliziotto, era stato sottoposto a procedimento, sia disciplinare che penale, per guida in stato di ebrezza. A fronte della contraddittorietà delle dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti, il procedimento penale veniva archiviato per impossibilità di stabilire se, al momento della collisione, il veicolo del ricorrente stesse effettivamente circolando su pubblica strada. Al contrario, il parallelo procedimento disciplinare avviato dall’Ispettorato di polizia per “comportamenti inappropriati” si concludeva invece con il licenziamento del ricorrente. Invero, secondo la legge nazionale, qualora l’illecito disciplinare costituisca reato, l’eventuale esclusione della responsabilità penale non preclude la possibilità di ritenere le condotte contestate lesive del prestigio dell’istituzione di appartenenza. Dopo la conferma del licenziamento dinnanzi al giudice amministrativo, il ricorrente decideva dunque di adire la Corte europea per violazione del c.d. effetto preclusivo della presunzione di innocenza in un procedimento susseguente e connesso. In proposito, i giudici di Strasburgo ricordano come l’eventuale proscioglimento/archiviazione non esclude che, in relazione alle medesime condotte, in un diverso giudizio civile e/o disciplinare, caratterizzato da “oneri probatori” e regole di giudizio diverse, si giunga a conclusioni opposte (§ 59-61). Affinché un provvedimento susseguente e connesso possa considerarsi lesivo dell’art. 6 comma 2 Cedu, occorre verificare se la decisione assunta in sede disciplinare abbia lasciato intendere la sussistenza di una responsabilità penale, precedentemente esclusa (§ 61-62). Nel caso di specie, il ricorrente è stato licenziato all’esito di un procedimento svoltosi in contraddittorio, in cui è stata garantita la possibilità di presentare elementi di prova agli organi disciplinari. La decisione degli organi amministrativi, lungi dal contestare la precedente archiviazione, interferendo così con il principio di innocenza, si è fondata su valutazioni autonome, relative ai requisiti di onorabilità richiesti a un agente di polizia. Peraltro, il provvedimento emesso dal pubblico ministero a causa dell’insufficienza e contraddittorietà degli elementi raccolti nel corso delle indagini, non escludeva in alcun modo la possibile responsabilità del ricorrente per i fatti a lui ascritti (§ 75-76). Ad avviso della Corte europea, non vi è pertanto stata alcuna violazione dell’art. 6 comma 2 Cedu. (Francesca Ertola)

 

C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 20 aprile 2021, Kuzmina e altri c. Russia

Equità processuale – agenti sotto copertura – mancanza di una normativa interna adeguata – violazione

I ricorrenti, condannati per traffico di stupefacenti, lamentano di aver commesso i reati loro contestati su istigazione di un agente sotto copertura, nelle vesti di “falsus emptor”. In particolare, le doglianze prospettate dinnanzi alla Corte europea riguardano, da una parte, l’assenza di una preventiva autorizzazione giudiziale e la mancanza di adeguati sospetti circa una pregressa attività criminosa; dall’altra, l’impossibilità, nel corso del processo, di vedere esaminata l’eccezione sollevata in ordine alla provocazione (entrapment plea) e di controesaminare gli agenti provocatori. I giudici di Strasburgo, aditi per violazione dell’art. 6 comma 1 Cedu, evidenziano come le operazioni sotto copertura costituiscano una tecnica investigativa legittima per combattere alcune tipologie di reato, purché siano previste adeguate garanzie contro il rischio di abusi, sul fronte sia sostanziale che processuale (§ 85). Nelle vicende oggetto della pronuncia de qua, la Corte ravvisa come l’attività degli agenti non sia consistita in un’attività sostanzialmente passiva volta ad acquisire elementi di prova, trasmodando in atteggiamenti provocatori. Innanzitutto, le operazioni non risultano essere state disposte in presenza di concreti indizi di commissione di reato, bensì sulla base di dichiarazioni rese da alcuni informatori privati che avevano poi agito in qualità di acquirenti (§ 99). In secondo luogo, le operazioni erano state interamente gestite dagli organi di polizia, senza alcun controllo da parte dell’autorità giudiziaria o formalità da rispettare, dal momento che la legge nazionale non individua con precisione quali siano le condotte consentite (§ 101). Data l’assenza di una normativa chiara e precisa in materia di operazioni undercover, la C.edu sottolinea come le corti nazionali avessero l’obbligo di verificare il ruolo svolto dagli agenti nella commissione del reato. Nondimeno, nei procedimenti a carico dei ricorrenti, non era stato possibile verificare l’esistenza di un pre-esistente proposito criminoso, atteso che, per non meglio specificate esigenze di segretezza, la difesa non aveva avuto potuto accedere alle informazioni in base a cui erano state disposte le operazioni, né esaminare i soggetti coinvolti (§ 102-104). Pertanto, l’assenza di una legislazione adeguata ex ante e l’impossibilità di garantire un adeguato vaglio giurisdizionale ex post, hanno irrimediabilmente compromesso l’equità dei procedimenti (§ 105). Rilevando la natura sistemica delle violazioni riscontrante, la Corte europea ha inoltre invitato lo Stato russo ad adottare misure generali ai sensi dell’art. 46 Cedu, prevedendo, inter alia, una procedura di autorizzazione giudiziale preventiva, garanzia imprescindibile per evitare comportamenti arbitrari (§ 120). (Francesca Ertola)

Riferimenti bibliografici: Stefania Basilico, L’agente sotto copertura: il confine tra tecnica investigativa legittima e istigazione a delinquere, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 1819 

 

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 22 aprile 2021, Mirčetić c. Croazia

Equità processuale – diritto di autodifesa – mancata partecipazione dell’imputato all’udienza tenutasi dinnanzi alla Corte d’appello – violazione

Il ricorrente lamenta la violazione del suo diritto di autodifesa per non aver potuto prendere parte personalmente all’udienza tenutasi dinnanzi alla Corte d’appello, competente a procedere a un nuovo esame sia in fatto sia in diritto. Ad avviso della C.edu, adita per violazione dell’art. 6 commi 1 e 3 lett. c Cedu, l’assenza di un’espressa richiesta di partecipazione da parte dell’imputato, non costituisce motivo sufficiente a escludere la garanzia convenzionale, ogniqualvolta possa risultare rilevante un suo apporto personale (§ 24). Nell’atto di impugnazione, il ricorrente aveva negato ogni sua responsabilità, contestando l’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa che avevano portato alla sua condanna per il reato di violenza sessuale. Pertanto, considerata la gravità dell’accusa e i vizi fatti valere in sede di gravame, per garantire l’equità complessiva del procedimento sarebbe stato necessario assicurare la presenza dell’imputato all’udienza, in modo da consentirgli di chiarire i fatti rilevanti (§ 27-29). (Francesca Ertola)

 

 

ART. 8 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. IV, 21 aprile 2021, Parfitt v. The United Kingdom

Minore in stato vegetativo – interruzione trattamento terapeutico vitale – proporzionalità - perseguimento del miglior interesse per la paziente - non violazione

Per la sintesi dei fatti di causa, v. sub. art. 2. La ricorrente ha presentato ricorso dinanzi alla C. eur. dir. uomo, ritenendo la decisione giudiziaria di interruzione del trattamento terapeutico in favore della figlia in contrasto, oltre che con il diritto alla vita, anche con il diritto della madre al rispetto della vita familiare. Con riferimento a quest’ultimo motivo di doglianza, la Corte anzitutto ha ritenuto che la decisione del giudice nazionale di ritenere legittima l’eventuale interruzione del trattamento terapeutico abbia effettivamente interferito con il rispetto del diritto alla vita familiare della madre. Ciò premesso, la valutazione del giudice sovranazionale si è incentrata sulla proporzionalità di tale interferenza rispetto al fine perseguito (§ 48).  In tal senso, la Corte ha ritenuto la decisione nazionale non arbitraria (§ 50), ma al contrario fondata su un solido compendio probatorio ed argomentativo, ed informata dalla necessità di perseguire il migliore interesse della minore (§ 51), nonché di evitare la prolungata inflizione di un trattamento invasivo privo di benefici reali, a prescindere dalla capacità della paziente di percepire dolore (§ 52). In virtù di quanto detto, la Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato anche con riferimento a questo secondo motivo di ricorso. (Edoardo Cipani)

Riferimenti bibliografici: M. Mariotti, L’interruzione dei trattamenti vitali per il minorenne: il caso Charlie Gard, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 4/2017, p. 1546.

 

 

ART. 10 CEDU

Giornalista di fama nazionale – critica anti-governativa – favoreggiamento associazione terroristica -  ingiusta detenzione - violazione

C. eur. dir. uomo, sez. II, 13 aprile 2021, Ahmet Husrev Altan v. Turkey

Il ricorrente, noto giornalista e scrittore di nazionalità turca, è stato condannato alla pena definitiva di dieci anni e sei mesi di reclusione per attentato all’ordine costituzionale nazionale, in particolare avendo lo stesso pubblicato articoli asseritamente sovversivi poco prima della realizzazione di un tentato colpo di Stato da parte di una associazione terroristica nazionale (§ 9), ed essendo lo stesso stato trovato in possesso di documenti ritenuti “segreti” dai giudici nazionali (§ 28). Dopo aver inutilmente adito la Corte Costituzionale turca, che ha ritenuto le sue doglianze manifestamente infondate, il giornalista ha presentato ricorso alla C. eur. dir. uomo, sostenendo che la pena detentiva comminata fosse in contrasto con il diritto di libera manifestazione di pensiero sancito dall’art. 10 Cedu, essendo esclusivamente motivata dalla sua posizione critica nei confronti del governo nazionale. I Giudici di Strasburgo, ribadendo che la libertà di espressione, in particolare nella forma della libertà di stampa, costituisce pilastro fondamentale di ogni società democratica (§ 212), e ravvisando nella pena detentiva comminata un’indebita interferenza nell’estrinsecazione della libertà di manifestazione del pensiero del detenuto (§ 218),  hanno statuito che non ci fosse alcuna evidenza probatoria che deponesse nel senso di ritenere le azioni del ricorrente parte di un piano terroristico di sovversione dell’ordine nazionale, e conseguentemente non potesse ritenersi accertato oltre ogni ragionevole dubbio il favoreggiamento dell’associazione terroristica (§ 224). Ciò detto, non potendo tale interferenza giustificarsi in base ad alcune delle finalità legittime elencate all’art. 10 § 2 Cedu (§ 226), la Corte ha ritenuto che la condanna alla detenzione fosse da ritenersi lesiva dell’art. 10 Cedu, non trovando la stessa altra ragionevole giustificazione al di fuori delle opinioni manifestamente critiche espresse dal ricorrente nei confronti delle autorità governative nazionali (§ 227). (Edoardo Cipani)