Scheda  
14 Giugno 2022


Osservatorio Corte EDU: maggio 2022


Ilaria Giugni
Michele Pisati

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale


A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Ilaria Giugni (artt. 2, 3, 8, 13 e 14 Cedu) e Michele Pisati (artt. 5 e 6 Cedu).

In maggio abbiamo selezionato pronunce relative a: uso letale della forza da parte della polizia (art. 2 Cedu); obblighi sostanziali e processuali rispetto a intimidazioni di matrice omofoba (artt. 3 e 14 Cedu); prescrizione della pena e legalità della detenzione (art. 5 Cedu); ragionevole durata del procedimento penale (art. 6 Cedu); tutela della qualità della vita rispetto alle emissioni inquinanti  dell’Ilva di Taranto (art. 8 e 13 Cedu).

 

 

ART. 2 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, 19 maggio 2022, Bouras c. Francia

Diritto alla vita – ricorso alla forza da parte di agenti di law enforcement – uso letale delle armi – non violazione

I ricorrenti, genitori di un giovane cittadino francese detenuto, deceduto a causa di un colpo di pistola esploso da uno degli agenti di scorta durante un trasferimento, lamentano la violazione dell'art. 2, § 2, CEDU. A parer loro, difatti, nonostante il ricorso alle armi sia stato motivato dalla necessità di reagire all'aggressione commessa dal figlio ai danni di una collega dell'agente, non sarebbe stato né assolutamente necessario né proporzionato allo scopo di difenderne l'incolumità. Nel pronunciarsi sulla questione, la Corte chiarisce preliminarmente che occorre tenere distinto l'accertamento della responsabilità penale, di competenza delle autorità giudiziarie interne, da quello della responsabilità dello Stato per violazione della Convenzione, rimesso alla Corte; non si tratta, pertanto, di pronunciare un verdetto di colpevolezza od innocenza nei confronti dell'agente, quanto di verificare un'eventuale responsabilità dello Stato per aver violato le disposizioni della Carta a causa dell'azione delle forze dell'ordine (§ 55). A tal fine, per accertare, cioè, che, nel caso di specie, l'impiego della forza potenzialmente letale fosse giustificato, occorre esaminare se l'agente abbia agito credendo in buona fede che fosse necessario ricorrervi, saggiando, dunque, il carattere soggettivamente ragionevole di tale convinzione, tenuto conto delle circostanze in cui si sono svolti i fatti (§ 56). Sul punto, la Corte evidenzia come emerga dal compendio probatorio l'avvenuta aggressione da parte del giovane deceduto ai danni dell'altra agente di polizia al fine di appropriarsi della pistola di ordinanza, circostanza corroborata anche dagli esami tecnico-balistico, genetico e medico-legale. In secondo luogo, dalle indagini risulta anche che il colpo letale sia stato preceduto da una serie di tentativi più blandi di porre fine all'aggressione; non appare dirimente, si aggiunge, il mancato uso dei lacrimogeni contestato dai ricorrenti, dal momento che alla Corte non spetta di interrogarsi circa l'opportunità in astratto di utilizzare mezzi di difesa diversi da quelli impiegati od imporre l'uso di determinati strumenti per raggiungere gli scopi prefissi dall'art. 2 CEDU (§ 61). Infine, a parere dei giudici di Strasburgo, non può non tenersi conto che l'aggressione violenta è stata altresì imprevedibile, causando una reazione d'impulso dell'agente di scorta, volontario aggiunto privo di una preparazione paragonabile a quella di un militare di carriera (§ 62). Nel caso di specie, dunque, a parere della Corte, non vi è stata alcuna violazione dell'art. 2 CEDU: il funzionario di polizia ha agito nella convinzione onesta che la vita della collega fosse minacciata e che non vi fosse altro rimedio che ricorrere alla forza; l'uso dell'arma risulta, pertanto, giustificato e assolutamente necessario per assicurare la difesa della persona contro la violenza illegale (§§ 64 e 65) (Ilaria Giugni).

Riferimenti bibliografici: C. Mostrardini, Sull’uso letale della forza da parte degli agenti statali: tra obblighi convenzionali e prospettive nazionali, in Riv. it. dir. pen. proc., 2017, p. 1567 ss.

 

 

ARTT. 3 e 14 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. IV, 17 maggio 2022, Oganezova c. Armenia

Trattamenti inumani e degradanti – discriminazione fondata sull’orientamento sessuale – obblighi positivi e negativi – effettività delle misure di protezione contro aggressioni omofobe – ineffettività delle indagini – violazione

La ricorrente è un'attivista impegnata nella promozione dei diritti delle persone LGBT in Armenia e a livello internazionale, proprietaria di un locale ritrovo della comunità LGBT nella capitale armena. A seguito della diffusione di una intervista nella quale anticipava la propria partecipazione ad un pride, diveniva oggetto, in ragione del proprio orientamento sessuale, di una campagna di odio online, di intimidazioni e minacce, culminate nell'incendio del locale da lei gestito. All'indomani dell'attacco, la ricorrente continuava ad essere bersaglio di aggressioni continue, minacce di morte, aggressioni fisiche e discorsi d'odio, sino a decidere di chiedere asilo in Svezia come perseguitata in ragione del proprio orientamento sessuale. Nel frattempo, in Armenia, due degli autori dell'incendio doloso venivano condannati a due anni di reclusione con sospensione condizionale della pena. La ricorrente, pertanto, lamenta la violazione degli artt. 3, 8 e 14 CEDU, in ragione dell'incapacità dello Stato armeno di proteggerla dagli attacchi e dagli abusi perpetrati per motivi discriminatori, della ineffettività delle indagini svolte sull'incendio del proprio locale e della inadeguatezza della legislazione interna a reprimere i reati commessi con intento discriminatorio. La Corte EDU ritiene fondate le doglianze relative agli artt. 3 e 14 CEDU, dichiarando, invece, assorbita la questione relativa all'art. 8 CEDU. Quanto al mancato rispetto dei divieti di trattamenti inumani e di discriminazione, i giudici di Strasburgo osservano come non risulti dirimente il fatto che la ricorrente non sia stata fisicamente ferita (§ 88), dal momento che la situazione nella quale si era trovata a causa dell'incendio e della campagna intimidatoria organizzata nei suoi confronti aveva certamente suscitato in lei uno stato di paura, angoscia e insicurezza incompatibile con il rispetto della sua dignità umana, tale da superare la soglia richiesta per rientrare nell'ambito di applicazione del combinato disposto degli artt. 3 e 14 CEDU (§ 89). Nel caso di specie, anche tenuto conto della situazione precaria nella quale si trova l'intera comunità LGBT in Armenia, la Corte valorizza la particolare evidenza della matrice discriminatoria degli atti commessi ai danni della ricorrente, pubblicamente esposta a favore dei diritti delle persone LGBT (§§ 92-94). Allo stesso modo, ritiene particolarmente gravi le conseguenze di questi attentati sulla vita dell'attivista, privata della propria attività lavorativa, costretta a lasciare il paese dove aveva sempre vissuto e costruito i propri legami familiari e sociali, e non adeguatamente supportata dalle autorità di polizia (§ 95).  La Corte condivide anche le doglianze relative all'ineffettività delle indagini sull'incendio del locale nella capitale armena. Non soltanto gli agenti non hanno svolto alcun atto d'indagine una volta giunti sul luogo dell'incendio, e l'identificazione di alcuni fra i responsabili è stata consentita unicamente dagli sforzi della stessa ricorrente e dei suoi soci, ma il caso, nonostante il movente omofobo evidente, è stato trattato, dalle autorità di polizia prima e da quella giudiziaria poi, come una infrazione ordinaria, non motivata da un pregiudizio discriminatorio, violando l'obbligazione positiva d'indagare circa la matrice omofoba dell'attacco incendiario (§ 103). I giudici di Strasburgo, infine, affermano che le autorità armene non si siano prontamente attivate per proteggere la ricorrente, applicando tardivamente e poi sospendendo le misure richieste per ridurre il rischio di reiterazione delle condotte violente nei suoi confronti (§§ 112-113), e che non abbiano reagito adeguatamente ai discorsi d'odio di natura omofoba, anche all'indomani degli atti di violenza perpetrati in precedenza in suo danno (§ 120). Sul punto, la Corte evidenzia che, nonostante il diritto armeno punisca i discorsi d'odio, non consente di perseguire quelli espressivi di discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere, malgrado le raccomandazioni degli organi internazionali competenti in materia (§ 121) (Ilaria Giugni).

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’Italia condannata per non aver protetto le vittime di violenza domestica e di genere, in Riv. it. dir. pen. proc., 2017, p. 1192 ss.

 

 

ART. 5 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 31 maggio 2022, Galeano Peñas c. Spagna

Diritto alla libertà e alla sicurezza – prescrizione della pena – legalità della detenzione – non violazione

Il ricorrente, condannato in via definitiva nel 2013, presenta domanda di grazia nel 2014 e ottiene il rinvio dell’esecuzione della pena detentiva nel corso dell’esame dell’istanza, che si conclude nel maggio 2019 con il rigetto della medesima e il contestuale ordine di riprendere immediatamente l’espiazione (§ 19). I giudici spagnoli negano, infatti, che sia intervenuta l’estinzione della pena per decorso del tempo, in applicazione dell’art. 134 Còdigo penal che, come novellato nel 2015, stabilisce l’interruzione di tale termine durante il periodo di differimento dell’esecuzione (§ 21). Il ricorrente lamenta l’illegittimità della detenzione espiata dopo il gennaio 2019 poiché, a partire da questa data, avrebbe potuto giovarsi della “prescrizione” della pena in base alla disciplina antecedente la riforma (§§ 43-44). La Corte esclude il verificarsi di una violazione dell’art. 5 CEDU e rigetta il ricorso, per due ordini di ragioni. Innanzi tutto, si afferma che la legge spagnola consentiva al ricorrente di prevedere le conseguenze, sull’esecuzione della pena, della sopravvenuta modifica dell’art. 134 c.p., soggetta, secondo i giudici di Strasburgo, al principio del tempus regit actum (§ 73). Coerentemente, si rileva la sussistenza di un sufficiente nesso causale tra la condanna definitiva e la sua effettiva esecuzione, nonostante il tempo intercorso (§ 79). (Michele Pisati)

 

 

ART. 6 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 12 maggio 2022, Tabouret c. Francia

Equità processuale – durata ragionevole del procedimento penale – violazione

Il ricorrente lamenta l’irragionevole durata del procedimento penale in cui si è costituito parte civile, con particolare riferimento ai ritardi nello svolgimento delle operazioni peritali per la quantificazione dei danni subiti, che hanno reso impossibile l’esecuzione delle disposizioni civili nei confronti del condannato, divenuto nel frattempo insolvente (§ 71). La Corte, nell’esaminare il ricorso alla luce dell’art. 6 CEDU, richiama in via preliminare la propria giurisprudenza consolidata in materia: la durata ragionevole di un procedimento deve valutarsi alla luce della tipologia procedimentale e delle circostanze concrete del caso, cioè la complessità e l’oggetto della controversia, nonché la condotta del ricorrente e delle autorità statali (§ 83). Ed è stabilmente affermato che, quando si rende necessaria la collaborazione di un esperto, incombe al giudice assicurare l’efficienza procedimentale (§ 86). Ciò premesso, nel caso di specie, il procedimento penale è durato diciassette anni e otto mesi dalla data di costituzione del ricorrente alla decisione definitiva sulle restituzioni e il risarcimento del danno (§ 92). Per i giudici di Strasburgo, tale durata si spiega principalmente in virtù dell’insufficienza dei controlli operati dal giudice sull’attività del perito (§ 125). Da qui, l’accoglimento del ricorso (§ 127). (Michele Pisati)

Riferimenti bibliografici: F. Cassibba, Durata irragionevole delle indagini preliminari e archiviazione: diritti dell’offeso-danneggiato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, p. 1141.

 

 

ARTT. 8 e 13 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. I, 5 maggio 2022, A.A. e altri c. Italia

C. eur. dir. uomo, sez. I, 5 maggio 2022, Perelli e altri c. Italia

C. eur. dir. uomo, sez. I, 5 maggio 2022, Ardimento e altri c. Italia

C. eur. dir. uomo, sez. I, 5 maggio 2022, Briganti e altri c. Italia

Diritto alla vita privata – diritto a un ricorso effettivo – emissioni inquinanti Ilva di Taranto – ritardo lavori di risanamento – violazione

I ricorrenti nelle vicende in epigrafe sono cittadini italiani, lavoratori o ex dipendenti dell'Ilva di Taranto, in alcuni casi affetti da malattie professionali contratte per esposizione a sostanze tossiche, oppure familiari di impiegati presso lo stabilimento. Gli stessi adiscono la Corte lamentando la violazione di diverse disposizioni della Convenzione causate dalle emissioni inquinanti prodotte dall'impianto siderurgico Ilva: si contesta allo Stato italiano di non aver adottato le misure giuridiche e regolamentari volte a proteggere l'ambiente e la salute dei cittadini, e di aver omesso di fornire loro informazioni sull'inquinamento e sui conseguenti rischi per la salute, così violando gli artt. 2 e 8 CEDU; di aver cagionato l'insorgenza di patologie cancerose a taluni dei ricorrenti in violazione dell'art. 2  CEDU (solamente nei casi Perelli e altri c. Italia e A.A. e altri c. Italia); di non aver garantito il diritto a un ricorso effettivo di cui all'art. 13 CEDU; e, nel solo caso Briganti e altri c. Italia, di aver sottoposto i lavoratori a trattamenti inumani e degradanti tenuto conto delle condizioni di lavoro imposte, dell'esposizione a sostanze tossiche e alle patologie cancerose insorte. Quanto alle asserite violazioni degli artt. 2 e 3 CEDU, la Corte di Strasburgo ne afferma preliminarmente l'irricevibilità per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, dal momento che i ricorrenti avrebbero potuto intentare un'azione civile di risarcimento ex art. 2043 c.c. per ottenere la riparazione dei danni subiti (§ 10, Perelli e altri; § 11, A.A. e altri; § 8, Briganti e altri). Sulle doglianze relative agli artt. 8 e 13 CEDU, invece, la Corte ribadisce i principi affermati nella sentenza resa nel caso Cordella c. Italia, nella quale era stata constatata l'impasse in cui versava la gestione da parte delle autorità nazionali dell'emergenza ambientale legata alle attività produttive dell'Ilva di Taranto, e il conseguente pericolo per la salute della popolazione residente nelle zone a rischio causata dal protrarsi della situazione di inquinamento. In quella stessa decisione, era stata rilevata l'omessa adozione delle misure necessarie per assicurare la protezione effettiva dell'ambiente e del diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata, salvaguardia considerata irrimediabile ex post mediante alcun tipo di azione penale, civile od amministrativa, con conseguente violazione degli artt. 8 e 13 della CEDU (§§ 15-17, Perelli e altri; §§ 16-18, A.A. e altri; §§ 12-14, Briganti e altri; §§ 10-12, Ardimento e altri). Passando ai casi oggetto di scrutinio, i giudici di Strasburgo rilevano la perdurante violazione dei diritti alla vita privata e al ricorso effettivo dei ricorrenti, evidenziando come la procedura di esecuzione della richiamata sentenza Cordella sia ancora pendente dinanzi al Comitato dei Ministri, non essendovi allo stato informazioni precise circa l'attuazione effettiva del piano ambientale, elemento fondamentale affinché il funzionamento dell'acciaieria non continui a presentare rischi per la salute (§ 19, Perelli e altri; § 20, A.A. e altri; § 16, Briganti e altri; § 14, Ardimento e altri). Infine, la Corte specifica come il risanamento dell’impianto e delle zone a rischio sia di primaria importanza e urgente, concludendo che il piano ambientale debba essere eseguito nel più breve tempo possibile (§ 20, Perelli e altri; § 21, A.A. e altri; § 17, Briganti e altri; § 15, Ardimento e altri) (Ilaria Giugni).