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21 Dicembre 2021


Osservatorio Corte EDU: novembre 2021

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



A cura di Francesco Zacchè e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Pietro Bernardoni (artt. 2, 3, 7, 8 e 10 Cedu) e Stefania Basilico (artt. 5 e 6 Cedu).

In novembre abbiamo selezionato pronunce relative a: morte di una migrante a seguito di respingimento al confine (art. 2 Cedu); condizioni di trattenimento in un centro di detenzione per migranti (art. 3 Cedu); condizioni di legittimità della carcerazione preventiva (art. 5 Cedu); presunzione di innocenza (art. 6 Cedu); imparzialità del giudice (art. 6 Cedu); condanna confermata successivamente al decorso della prescrizione (art. 7 Cedu); tutela di whistleblower (art. 8 Cedu); bilanciamento tra libertà di espressione e reputazione (art. 10 Cedu).

 

ART. 2 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. I, 18 novembre 2021, M.H. e altri c. Croazia

Diritto alla vita – morte di una minore a seguito di respingimento al confine – carenze investigative – violazione

La sentenza in oggetto riguarda una serie articolata di fatti che vedono coinvolta una famiglia afgana di quattordici persone (il marito, due mogli e undici tra figli e figlie) nel loro tentativo di entrare in Croazia attraverso il confine terrestre con la Serbia (§5-6). Sotto il profilo relativo all’art. 2 Cedu, i fatti sottoposti all’esame della Corte si sono svolti il 21 novembre 2017, quando sette dei ricorrenti, avendo attraversato il confine, venivano respinti dalle autorità di frontiera croate, che dopo averli ricondotti alla frontiera a bordo di un veicolo, intimavano loro di tornare indietro lungo una linea ferroviaria. Il passaggio di un convoglio, tuttavia, travolgeva una delle minori, causandone il decesso (§7 ss.). Ne seguivano indagini condotte dalle autorità croate che si concludevano con l’accertamento del fatto che i ricorrenti non avevano attraversato il confine, non avevano parlato con agenti di frontiera croati né richiesto asilo (§9-22); la Corte costituzionale croata, poi, investita di un ricorso diretto dei ricorrenti, statuiva che le indagini condotte dalle autorità nazionali fossero state sufficientemente approfondite e efficaci da garantire adeguata tutela al diritto alla vita della minore uccisa (§23-27). La Corte europea, invece, valorizzando le discrepanze nella versione dei fatti accolta dai giudici nazionali e basata sulle dichiarazioni degli agenti di frontiera, evidenzia come le autorità nazionali non abbiano condotto un’investigazione effettiva e come, di conseguenza, sia stato violato il versante procedurale dell’art. 2 Cedu (§149-164); peraltro, proprio le carenze investigative impediscono alla Corte di pronunciarsi sulla violazione sostanziale, dichiarata assorbita, anche alla luce del fatto che le autorità nazionali avrebbero ancora la possibilità di riaprire le indagini e di giungere ad un più soddisfacente accertamento dei fatti (§165-166). (Pietro Bernardoni)

Riferimenti bibliografici: A. Faina, Malfuncioning of domestic system e violazione degli aspetti sostanziali e procedurali del diritto alla vita, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, fasc. 1, pp. 359 ss.; B. Fragasso, Operazioni militari e tutela dei diritti umani, tra giurisdizione extraterritoriale e obblighi di indagine ex art. 2 Cedu, in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, fasc. 2, pp. 738 ss.

 

ART. 3 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. I, 18 novembre 2021, M.H. e altri c. Croazia

Trattamenti inumani o degradanti – condizioni di trattenimento presso centro per migranti – idoneità delle condizioni per i migranti maggiorenni – non violazione – insufficiente attenzione alle condizioni dei minori – violazione

Per la ricostruzione dei fatti che hanno fondato la violazione processuale dell’art. 2 Cedu, v. supra. La doglianza relativa all’art. 3 Cedu considerata dalla sentenza in esame concerne le condizioni di trattenimento dei ricorrenti presso il centro di transito dell’immigrazione di Tovarnik, presso il quale i ricorrenti sono stati collocati dal 21 marzo 2018 al maggio 2018 (per tre di loro) e al 4 giugno 2018 (per gli altri). Il loro trattenimento era giustificato dell’esigenza di identificare i ricorrenti nonché di prevenire il rischio di fuga dalla Croazia verso altri Paesi (§29). Presso il centro, i ricorrenti avevano ricevono assistenza psicologica, ma erano stati trattenuti in condizioni assimilabili alla reclusione (prison-like conditions); i loro ricorsi per ottenere il rilascio dal centro, inoltre, erano stati rigettati tanto dall’autorità giudiziaria croata quanto dalla Corte costituzionale (§35-46). Premesso che, con riferimento alla legittimità del trattenimento, la Corte edu rileva la violazione dell’art. 5 Cedu (cfr. § 229 ss.), rispetto alle condizioni di trattenimento la Corte edu ribadisce, in effetti, l’idoneità della struttura a soddisfare le esigenze poste dall’art. 3 Cedu (§193), ma evidenzia come la natura detentiva del trattenimento e l’assenza di personale qualificato all’assistenza dei minori siano elementi tali da determinare una violazione della norma rispetto ai ricorrenti minorenni, tanto più alla luce del fatto che questi erano traumatizzati dall’aver assistito pochi mesi prima alla morte della sorella (§194-204). A sostegno di tale conclusione, peraltro, la Corte individua un fattore rilevante anche nella non breve durata del trattenimento, pari a due mesi e quattordici giorni: il protrarsi della situazione stressante, infatti, ha necessariamente un effetto maggiore sul benessere dei minori rispetto a quello che avrebbe avuto un collocamento a pari condizioni ma di più breve durata. (Pietro Bernardoni)

 

ART. 5 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 2 novembre 2021, W.A. c. Svizzera

Diritto alla libertà e alla sicurezza – assenza di un nesso di causalità tra la precedente condanna e la successiva ordinanza di carcerazione preventiva nei confronti di una persona con disturbi psichiatrici – violazione

Nel 1993, il ricorrente è condannato a vent’anni di reclusione per omicidio. Dopo l’esecuzione della pena, il procedimento viene riaperto nel 2013 ed al ricorrente viene applicata la misura della carcerazione preventiva che, a dire dei giudici nazionali, trova giustificazione nel pericolo di reiterazione del reato e nell’infermità mentale dell’interessato. Il ricorrente adisce quindi la C. eur. dir. uomo deducendo l’illegittimità della misura cautelare detentiva e, per l’effetto, la violazione del diritto alla libertà ed alla sicurezza (§ 30). I giudici di Strasburgo, premesso che la locuzione «dopo la condanna» di cui all’art. 5 comma 1 lett. a Cedu non ha un’accezione meramente temporale (§ 32-33), accolgono le doglianze del ricorrente. Nel dettaglio, rilevano il difetto di nuovi elementi, sia fattuali che probatori, legittimanti la riapertura del procedimento, con conseguente assenza di un effettivo nesso di causalità tra la condanna del 2013 e la successiva ordinanza cautelare. Da qui, l’illegittimità della privazione della libertà personale posta in essere nei confronti del ricorrente (§ 39-45), cui si sommano il contrasto con l’art. 5 comma 1 lett. 3 Cedu, essendo il ricorrente, infermo di mente, stato detenuto in un istituto ordinario, e, sotto diverso profilo, la violazione del ne bis in idem garantito dall’art. 4 Prot. n. 7 Cedu. (Stefania Basilico)

 

ART. 6 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 18 novembre 2021, Marinoni c. Italia

Equità processuale - presunzione di innocenza - condanna al risarcimento del danno ai soli fini civili sulla base di una mera valutazione degli elementi costitutivi del reato – motivazione della sentenza - non violazione

Il ricorrente, cittadino e scrittore italiano, all’esito del giudizio svoltosi secondo il rito abbreviato, è assolto dal reato di diffamazione per effetto della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca. La sentenza di proscioglimento viene impugnata, ai soli fini civili, dalle parti civili, che ottengono la condanna del ricorrente al risarcimento del danno patito. Il sig. Marinoni si rivolge ai giudici di Strasburgo sostenendo la violazione del diritto alla presunzione di innocenza di cui all’art. 6 comma 2 Cedu (§ 27). La Corte di Strasburgo, nel menzionare le garanzie poste a tutela della presunzione di innocenza, sottolinea anzitutto la necessità che un soggetto, pur dichiarato innocente, non sia effettivamente trattato come colpevole (§ 30-33). Ciò premesso, la Corte EDU esclude che il diritto del ricorrente ad essere presunto innocente sia stato concretamente violato. Infatti, a parere della Corte, i giudici nazionali, nel condannare al risarcimento del danno, si sono limitati a compiere una mera valutazione degli elementi costitutivi del reato, senza utilizzare in motivazione termini ed espressioni idonee a far dubitare dell’innocenza del ricorrente; con ciò rispettando appieno il paradigma di cui all’art. 6 comma 2 Cedu e, più in generale, l’equità processuale. (Stefania Basilico)

Riferimenti bibliografici: V. Vasta, Presunzione di innocenza e pubblicità extraprocessuale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 1061.

 

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 25 novembre 2021, Mucha c. Slovacchia

Equità processuale – imparzialità in senso oggettivo - condanna del ricorrente da parte del tribunale che aveva già precedentemente condannato i concorrenti nel medesimo reato – violazione

Il ricorrente è concorrente in un reato associativo unitamente ad altre otto persone. Dapprima, i giudici nazionali giudicano queste ultime colpevoli; successivamente, all’esito di un diverso procedimento assegnato ai medesimi giudici, viene condannato per lo stesso fatto di reato il ricorrente, che quindi adisce la Corte di Strasburgo sostenendo di essere stato giudicato da un tribunale parziale. A sostegno delle proprie doglienze, il ricorrente deduce, oltre che l’identica composizione dell’organo giudicante, le circostanze che il fascicolo di causa, da una parte, contenesse la sentenza di condanna già emessa nei confronti dei correi del reato e, dall’altra, che i giudici, influenzati dal precedente accertamento, non avessero valutato in suo favore alcuna circostanza soggettiva (§ 37-42). La Corte di Strasburgo, premessi brevi cenni in materia di imparzialità oggettiva dell’organo giudicante (§ 49), accoglie il ricorso ritenendo che non siano state adottate adeguate garanzie procedurali volte a fugare il dubbio sull’imparzialità dell’organo giudicante (§ 66). Il tutto senza considerare che, ad avviso della Corte EDU, dalla lettura della sentenza di condanna del ricorrente, che fa pedissequamente riferimento alla condanna dei correi, è agevolmente desumibile la volontà di evitare contraddizioni con il tenore testuale della stessa (§ 64). (Stefania Basilico)

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’imparzialità del giudice fra precedenti valutazioni e influenze mediatiche, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 2/21, p. 747, F. Ertola, Esigenze di imparzialità nel processo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 2235; L. Pressacco, Imparzialità del giudice e responsabilità del magistrato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 1837.

 

ART. 7 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, 4 novembre 2021, Shabelnik c. Ucraina (n. 3)

Nullum crimen sine lege – conferma di condanna già emessa dopo il decorso del termine di prescrizione – mera conferma della sentenza definitiva precedente – non violazione

La sentenza in esame rappresenta il capitolo di una lunga vicenda che ha visto il sig. Shabelnik ricorrere più volte davanti alla Corte di Strasburgo. Egli, infatti, era stato condannato nel 2002 per un duplice omicidio commesso nel 2001 (§5-12); a seguito della condanna, presentava un primo ricorso alla Corte edu, lamentando la violazione dell’art. 6 Cedu nel processo condotto nei suoi confronti. La Corte condannava l’Ucraina per il modo in cui era stato condotto il processo (§13-5), e ne seguiva il riesame del caso da parte dell’autorità giudiziaria nazionale, con conferma della condanna per entrambi gli omicidi. Shablenik adiva, però, una seconda volta la Corte europea, che individuava ulteriori violazioni dell’art. 6 Cedu anche nel giudizio di riesame della prima condanna (§16-22). Seguiva, quindi, un terzo giudizio nazionale, in esito al quale la Corte suprema ucraina assolveva il ricorrente rispetto all’omicidio nel cui accertamento si erano verificate le violazioni processuali stigmatizzate dalla Corte edu, confermando la condanna per l’altro omicidio e la pena dell’ergastolo (§23-26). Contro questa terza condanna, il ricorrente adiva ancora una volta la Corte europea, lamentando la violazione – questa volta – dell’art. 7 Cedu, in quanto la pronuncia sarebbe stata emessa dopo lo spirare del termine di prescrizione e, dunque, in violazione del nullum crimen anche rispetto al capo di condanna confermato in esito al giudizio. La Corte di Strasburgo, nella sentenza in esame, si confronta con tale doglianza, e nega che vi sia stata violazione dell’art. 7: vero è, infatti, che la pronuncia della Corte suprema nazionale è giunta oltre lo spirare del termine di prescrizione per l’accertamento del reato, ma – secondo i giudici della Convenzione – non si tratterebbe di un nuovo giudizio, bensì di una mera conferma della condanna già emessa. A sostegno di tale conclusione, la sentenza evidenzia il fatto che i due episodi per cui era stato condannato in origine il ricorrente erano del tutto scollegati tra loro, sia sul piano fattuale che su quello probatorio e, dunque, la caducazione di uno dei due capi di imputazione non ha richiesto diversi e ulteriori accertamenti o valutazioni per la conferma della condanna per quello non colpito dalle condanne della Corte edu (§45-50). (Pietro Bernardoni)

 

ART. 8 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, 9 novembre 2021, Špadijer c. Montenegro

Diritto al rispetto della vita privata e famigliare – obblighi orizzontali – atti persecutori sul luogo di lavoro nei confronti di una whistle-blower – insufficienza dei rimedi interni –violazione

La sentenza riguarda il caso di una guardia penitenziaria montenegrina, responsabile della gestione dei turni dei colleghi, la quale, dopo aver riportato le irregolarità commesse da alcuni di essi nella notte di Capodanno del 2013, era oggetto di ripetuti episodi minacciosi, di danneggiamenti ai suoi beni personali, anche fuori dal luogo di lavoro, e di ostruzionismo alle sue richieste (§5-12; §24). Tali condotte provocano un disturbo post-traumatico da stress che, nel 2016, la costringeva prima ad assentarsi e, poi, a lasciare definitivamente il lavoro (§23; §39-41). I giudici interni non ravvisavano profili di illegittimità nelle condotte dei colleghi della ricorrente, in quanto – basandosi su una restrittiva definizione di bullismo sul luogo di lavoro – ritenevano che esse non fossero state sufficientemente frequenti né reiterate da integrare la fattispecie (§29). La Corte edu, al contrario, ritiene che tali condotte integrino una violazione dell’obbligo gravante sullo Stato montenegrino di far rispettare il diritto al rispetto della vita privata e familiare anche nei rapporti orizzontali. Tale obbligo si estrinseca, rispetto al fenomeno delle aggressioni tra privati, come un obbligo di tutela penale contro le aggressioni fisiche; per le aggressioni psicologiche, invece, la Corte ribadisce il principio per cui è sufficiente anche una tutela di tipo disciplinare o civilistico, purché effettiva, e idonea ad assicurare sufficiente tutela ai c.d. whistle-blower (§85-90). Con riguardo al caso concreto, basandosi su tali principi, la Corte ritiene che la disciplina montenegrina – pur astrattamente idonea a garantire il rispetto dell’art. 8 Cedu nei rapporti tra privati – non sia stata efficacemente implementata: il procedimento di mediazione, infatti, è stato interrotto dal mediatore stesso, il quale, superando i limiti della sua competenza, ha ritenuto infondata la lamentela della ricorrente; i giudici civili, invece, hanno rifiutato tutela alla ricorrente per via della nozione restrittiva di bullismo da essi adottata (§91-101). (Pietro Bernardoni)

 

ART. 10 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. IV, 30 novembre 2021, Pal c. Regno Unito

Libertà di espressione – arresto di una giornalista per molestie nei confronti di un altro giornalista – scorretto bilanciamento tra diritto al rispetto della vita privata e familiare e libera manifestazione del pensiero – violazione.

Il caso deciso dalla sentenza in esame concerne la situazione di una giornalista britannica, ex psichiatra, che nel 2011 avvia una disputa con un altro giornalista, in relazione al tema della tutela dei whistle-blower nell’ambito del sistema sanitario britannico. Il confronto si svolge dapprima in forma privata, mediante uno scambio di e-mail; quindi, a seguito della “lettera di prevenzione delle molestie” ricevuta dalla ricorrente su denuncia del giornalista con cui era in disputa, anche mediante un articolo pubblicato su un sito web (§5-8). A seguito della pubblicazione dell’articolo, la ricorrente viene denunciata per molestie, arrestata e detenuta per circa sette ore, quindi rilasciata su cauzione e sotto condizioni (§12-13). Il procedimento a suo carico si conclude dopo circa otto mesi, con esito favorevole per la ricorrente (§18). La Corte, adita per violazione dell’art. 10 Cedu, ritiene innanzitutto che il procedimento penale intentato nei confronti della ricorrente, anche se archiviato, implichi in ogni caso un’interferenza nel suo diritto alla libera manifestazione del pensiero (§44); ciò in quanto la ricorrente è stata anche arrestata e sottoposta, per otto mesi, a procedimento penale, con svariate comparizioni davanti ai magistrati. Posto che tale interferenza è riconosciuta dalla Corte come “prescritta dalla legge” e rivolta al perseguimento di uno scopo legittimo, il parametro centrale del giudizio risulta essere quello della “necessità in una società democratica”; con il consueto strumento del bilanciamento tra il rispetto della vita privata e familiare della persona oggetto dell’articolo della ricorrente e il diritto di quest’ultima alla libera manifestazione del pensiero, valorizzando in particolare la distinzione tra affermazioni di fatto e giudizi di valore, la Corte ritiene che il procedimento penale cui la ricorrente è stata sottoposta non rappresenti un bilanciamento adeguato delle istanze in gioco ed ammonti, pertanto, a violazione dell’art. 10 Cedu (§53-63). (Pietro Bernardoni)

Riferimenti bibliografici: M. Crippa, La pubblicazione di dichiarazioni diffamatorie altrui: la Corte edu condanna l’Italia per la violazione del diritto di cronaca in relazione all’omicidio Tobagi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, fasc. 2, pp. 1164 ss.; M. Crippa, La violazione della libertà di stampa nell’ordinamento turco: ancora una condanna della Corte edu per la custodia cautelare dei giornalisti di un quotidiano antigovernativo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, fasc. 1, pp. 336 ss.