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03 Novembre 2023


Osservatorio Corte EDU: settembre 2023

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



 

A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Alessandro Faina* (artt. 2, 3, 7 e 14 Cedu) e Francesca Ertola (artt. 6 e 15 Cedu).

In settembre abbiamo selezionato pronunce relative a: obblighi sostanziali e procedurali in materia di diritto alla vita (art. 2 Cedu); divieto di tortura e divieto di discriminazione per l’orientamento sessuale (art. 3 e 14 Cedu); assunzione delle prove in dibattimento, ricognizione del reo e regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio (art. 6 Cedu); condanna per terrorismo fondata sull’utilizzo del sistema criptato di messaggistica telefonica ByLock (art. 6 e 7 Cedu); limiti alla derogabilità delle garanzie del giusto processo in caso di stato di emergenza (art. 15 Cedu).

 

ART. 2 CEDU

C. edu, sez. I, 14 settembre 2023, Ainis e altri c. Italia

Diritto alla vita – morte per intossicazione da cocaina di un individuo in stato di arresto – obblighi positivi sostanziali – violazione

I ricorrenti – compagna, figlia e madre di un cittadino italiano morto in seguito ad un’acuta intossicazione da cocaina mentre si trovava in stato d’arresto nei locali della questura di Milano (§§ 1-2, 4-13) – lamentavano la violazione del diritto alla vita del proprio familiare da parte delle autorità italiane, per non aver adempiuto agli obblighi positivi sostanziali di protezione discendenti dall’art. 2 Cedu (§§ 44-48). I giudici di Strasburgo, dopo aver reiterato la propria interpretazione in materia di obblighi positivi di protezione della vita ex art. 2 Cedu, in particolare nei confronti di individui nella custodia delle autorità (§§ 53-55, 57), hanno sottolineato come l’onere della prova in relazione ad eventi lesivi occorsi in ambiti di conoscenza esclusiva delle autorità spetti a quest’ultime, esistendo una forte presunzione di responsabilità delle autorità rispetto al verificarsi di tali eventi nei confronti di individui privati della libertà personale (§ 56). La Corte ha poi rilevato come, sulla base delle informazioni in loro possesso in merito allo stato di tossicodipendenza del ricorrente e alla sua alterazione psicofisica al momento dell’arresto, le autorità italiane avessero il dovere di adottare precauzioni basilari che ne proteggessero la salute e l’integrità fisica in seguito all’arresto (§§ 58, 64). Nel valutare se le autorità avessero adempiuto al loro obbligo di adottare tali precauzioni a protezione del ricorrente, i giudici hanno rilevato la mancanza di prove che lo stesso fosse stato sottoposto, al momento dell’arresto e una volta trasportato in questura, alle necessarie cure mediche, a perquisizione personale e a stretta osservazione, che avrebbero potuto prevenirne l’assunzione di un’ulteriore (fatale) dose di cocaina in questura o comunque la morte per intossicazione pregressa (§§ 60-63). La Corte ha pertanto concluso che il governo italiano non ha dimostrato che le autorità avessero sufficientemente e ragionevolmente adempiuto ai propri obblighi di protezione della vita del ricorrente, e ha ravvisato la violazione dell’art. 2 Cedu da parte delle autorità italiane (§ 65). (Alessandro Faina)*

Riferimenti bibliografici: D. Sibilio, Secondo la Corte europea lo Stato ha il dovere di proteggere i minorenni vulnerabili... anche da se stessi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 982.

 

ARTT. 3 e 14 CEDU

C. edu, sez. III, 12 settembre 2023, Lapunov c. Russia

Divieto di tortura – detenzione e tortura di un individuo in ragione della sua omosessualità – obblighi positivi sostanziali e procedurali – violazione – divieto di discriminazione – violazione

Il ricorrente, cittadino russo, lamentava la violazione da parte delle autorità russe degli obblighi sostanziali e procedurali ex artt. 3, 5 e 14 Cedu in relazione alla sua illegittima detenzione e alle torture subite in ragione della sua omosessualità in Cecenia (§§ 1, 13-61). La Corte ha innanzitutto valutato il ricorso ammissibile, ribadendo come l’adempimento da parte del ricorrente dell’obbligo di diligenza nel rivolgersi speditamente alle autorità locali e alla Corte stessa debba essere valutato alla luce delle circostanze specifiche di ciascun caso, ivi compresa, nel caso in esame, la particolare posizione di vulnerabilità che aveva inizialmente esposto il ricorrente a timore di ritorsioni da parte delle autorità cecene (§§ 80-87). I giudici di Strasburgo hanno poi esaminato la dettagliata ricostruzione degli eventi vissuti dal ricorrente in seguito al suo arresto e, rilevata la mancanza di plausibili alternative, hanno concluso che il ricorrente è stato sottoposto a tortura da parte delle autorità cecene e vi è dunque stata violazione degli obblighi sostanziali derivanti dall’art. 3 Cedu (§§ 102-110). I giudici hanno altresì preso in considerazione il travagliato iter investigativo attivato dal ricorrente in seguito alle torture subite e, esaminandolo nel quadro del già ritenuto fallimento sistematico delle autorità russe ad investigare detenzioni illegittime e scomparse in Cecenia, hanno ravvisato l’insufficienza delle indagini condotte in relazione alla detenzione e tortura del ricorrente e la conseguente violazione degli obblighi procedurali derivanti dall’art. 3 Cedu (§§ 111-118). La Corte ha ritenuto altresì provata la violazione da parte delle autorità russe del divieto di discriminazione ex art. 14 Cedu, nonché del diritto alla libertà e sicurezza ex art. 5 Cedu (§§ 119-129). (Alessandro Faina)*

Riferimenti bibliografici: A. Aimi, La mancata punizione dei torturatori di Bolzaneto: una nuova macchia sulla “fedina convenzionale” dello Stato italiano, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 351.

 

ART. 6 CEDU

C. eur. dir. uomo, com. sez. IV, sent. 26 settembre Kolompar c. Serbia

Irrituale ricognizione nel corso del dibattimento – contraddittorietà delle prove su cui si basa la condanna – ragionevole dubbio – violazione

La ricorrente è stata condannata per il reato di furto sulla base di una irrituale ricognizione da parte della vittima nel corso del dibattimento. La Corte europea, adita per violazione dell’art. 6 Cedu, ricorda come le regole probatorie rientrino nell’ambito di competenza esclusiva degli Stati. I giudici di Strasburgo non possono sindacare se una prova sia stata correttamente ammessa, acquisita o valutata, dovendosi limitare a verificare se il procedimento possa considerarsi complessivamente equo (§ 12). Nel caso di specie, la persona offesa ha proceduto all’identificazione in violazione delle norme processuali interne che impongono la presenza di almeno due persone il più possibile somiglianti tra loro (§ 13), mentre nessuno degli altri testimoni oculari era stato in grado di riconoscere la ricorrente (§ 15). Peraltro, in fase di indagini, la polizia aveva già mostrato alla vittima alcune fotografie dell’imputata, contribuendo così a pregiudicare ulteriormente l’attendibilità della ricognizione avvenuta in aula (§ 15). Ad avviso della Corte, i giudici nazionali non hanno adeguatamente illustrato le ragioni per cui hanno ritenuto tale identificazione decisiva ai fini della condanna, nonostante la contraddittorietà degli altri elementi di prova, in spregio a «two basic requirements of criminal justice»: (i) la regola di giudizio per cui la colpevolezza deve essere provata al di là di ogni ragione dubbio; (ii) il principio in dubio pro reo, in forza del quale il rischio della mancata prova ricade sull’accusa (§ 16). Da qui, l’accertata lesione della fairness processuale (§ 17). (Francesca Ertola)

Riferimenti bibliografici: S. Buzzelli, Molteplici e gravi violazioni da parte della Georgia, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1539 ss.

 

C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 26 settembre 2023, Yüksel yalçinkaya c. Turchia

Utilizzo del sistema criptato di messaggistica telefonica ByLock – prova decisiva per la condanna – impossibilità per la difesa di accedere ai dati illegittimamente acquisiti dai servizi di intelligence e al contenuto delle conversazioni decriptate – violazione

La vicenda sottoposta all’attenzione della Grande camera riguarda la condanna del ricorrente per partecipazione all’organizzazione terroristica armata FETÖ/PDY, responsabile del tentato colpo di Stato del luglio 2016, a seguito del quale è stato dichiarato uno stato di emergenza nazionale. Il giudizio di colpevolezza si è basato prevalentemente sull’utilizzo del sistema di messaggistica crittografata denominata ByLock, considerato dai giudici interni come prova decisiva della consapevole adesione al sodalizio criminale. Il ricorrente lamenta la violazione del diritto a un equo processo, sotto diversi profili (§ 273). Innanzitutto, l’acquisizione e la decriptazione da parte dei servizi di intelligence (MİT) dei dati grezzi («raw data») contenuti sul server By Lock è avvenuta illegalmente, in assenza di una preventiva autorizzazione del giudice (§ 283), senza l’adozione di misure tecniche dirette a impedirne l’alterazione (§ 284) e oltre il termine legale previsto per la loro conservazione (§ 285). Inoltre, l’impossibilità di accedere ai dati originali secretati dal MİT e di conoscere il contenuto delle conversazioni ha impedito all’imputato di confrontarsi efficacemente con le prove a carico, in violazione del principio della parità delle armi (§§ 286-287). La Corte europea si sofferma, in via preliminare, sulla natura ontologicamente alterabile delle prove elettroniche e sulle tecnologie necessarie per la loro acquisizione, conservazione e trattamento, specie quando si tratta di sistemi di comunicazione cifrati (§ 312). Sebbene il controllo giurisdizionale o la sorveglianza di un organo indipendente rappresentino un fattore che contribuisce ad assicurarne l’affidabilità e l’integrità (§ 316), la Corte ritiene di non disporre di elementi sufficienti per contestare l’esattezza dei dati utilizzati ai fini della condanna, quantomeno nella misura in cui dimostrano l’utilizzo del sistema ByLock da parte del ricorrente (§§ 321-323). In merito alla violazione del diritto di difesa e della parità delle armi, la C.edu evidenzia come la full disclosure di tutti gli elementi a disposizione dell’accusa – sia a carico che a discarico – rappresenti un aspetto fondamentale del giusto processo (§ 327). Qualora, per tutelare interessi contrapposti, tale diritto subisca limitazioni, occorre verificare se sussistano adeguati fattori di bilanciamento (§ 330).  Nel caso de quo, il ricorrente è stato privato della possibilità di contestare l'ammissibilità e la completezza dei dati – originali – acquisiti dal MİT (§ 331). La richiesta di sottoporre tali dati a un esame indipendente per la verifica del loro contenuto e della loro integrità è stata continuamente respinta dalle autorità interne (§ 332-333). Al tempo stesso, non sono mai state prese in considerazione le censure sollevate dal ricorrente in ordine alle difformità tra i diversi elenchi di utenti ByLock redatti dai servizi di intelligence, nonché tra il numero di utenti indagati e il numero di download (§ 334). Da ultimo, il contenuto decriptato delle conversazioni intercettate, così come le generalità dei destinatari delle comunicazioni, non sono mai stati messi a disposizione della difesa (§§ 335-336). Ad avviso dei giudici di Strasburgo, simili limitazioni avrebbero imposto un onere motivazionale rafforzato in capo ai giudici nazionali, chiamati a illustrare i motivi alla base della mancata divulgazione dei dati grezzi (§ 331) e le ragioni per cui hanno ritenuto attendibile il materiale fornito dai servizi di intelligence (§ 334), soprattutto tenendo conto del loro «peso preponderante» ai fini della condanna (§ 337). Il pregiudizio alla fairness processuale risulta inoltre aggravato dall’utilizzo della presunzione secondo cui, date le sue caratteristiche tecniche, il sistema ByLock veniva utilizzato «esclusivamente» dai membri del FETÖ/PDY, senza alcuna considerazione in ordine al ruolo eventualmente rivestito dall’imputato all’interno dell’organizzazione terroristica (§§ 338-339).  Alla luce di quanto esposto, la C.edu riscontra l’assenza di garanzie sufficienti per assicurare la «reale possibilità» di esercitare il diritto di difesa e di contestare le prove a carico «su un piano di parità con l'accusa» (§ 341). Nonostante le specificità del procedimento in esame, «sia per quanto riguarda il contesto in cui si è svolto sia per quanto concerne… l’utilizzo di un elevato volume di dati elettronici crittografati relativi a migliaia di persone», la mancata considerazione delle istanze e delle argomentazioni avanzate dal ricorrente (§ 345) risulta incompatibile con l'essenza stessa del diritto a un equo processo ex art. 6 Cedu (§ 346). (Francesca Ertola)

Riferimenti bibliografici: M. Pisati, ‘Full collection of data’ e diritto di difesa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 2239 ss.

 

ART. 7 CEDU

C. edu, Grande Camera, 26 settembre 2023, Yüksel Yalçınkaya c. Turchia

Nullum crimen sine legenulla poena sine lege – interpretazione e applicazione del diritto domestico imprevedibile e incompatibile con la natura del reato contestato– accertamento dell’elemento soggettivo del reato richiesto anche in relazione a reati di terrorismo che minacciano la vita della nazione – violazione

Per ulteriori dettagli sulla vicenda, v. supra sub art. 6. Il ricorrente, cittadino turco, lamentava altresì la violazione da parte delle autorità turche dell’art. 7 Cedu in relazione alla sua condanna per partecipazione ad un’organizzazione terroristica armata in assenza di prova oltre ogni ragionevole dubbio: (i) dell’esistenza di tale organizzazione, (ii) della conoscenza da parte del ricorrente della natura di tale organizzazione, nonché (iii) della consapevole partecipazione del ricorrente all’organizzazione stessa e alla realizzazione dei suoi scopi (§§ 214-217, 219-226). La Corte ha innanzitutto ribadito come il principio alla base dell’art. 7 Cedu occupi una posizione di rilievo nel sistema di protezione convenzionale, al punto da non poter essere derogato nemmeno in tempo di guerra o altra emergenza pubblica (§ 237). I giudici di Strasburgo hanno altresì sottolineato come l’interpretazione giurisprudenziale, inevitabile in qualunque sistema giuridico, possa comportare la violazione dell’art. 7 Cedu ogniqualvolta da essa scaturisca un’applicazione del diritto irragionevolmente inaccessibile o imprevedibile, o una condanna che prescinda dall’accertamento concreto della colpevolezza dell’imputato (§§ 239, 242). Nell’applicare tali principi generali al caso di specie, la Corte ha in primo luogo rilevato che il reato contestato al ricorrente era previsto e definito dal diritto vigente al momento della sua asserita commissione (§§ 243-249). La Corte è poi passata a valutare se la condanna del ricorrente per la sua partecipazione ad un’organizzazione terroristica armata fosse sufficientemente prevedibile al momento della commissione dei fatti a lui contestati, in particolare l’asserito utilizzo da parte sua dell’applicazione di messagistica ByLock, ritenuto sufficiente dai tribunali domestici per fondare la sua responsabilità penale e condanna (§§ 254, 255-259). I giudici di Strasburgo hanno pertanto passato al vaglio l’operato dell’autorità giudiziaria turca nell’ottica di stabilire se i tribunali domestici avessero effettuato una verifica attenta e prevedibile degli elementi costitutivi del reato, ed in particolare dell’elemento soggettivo (§ 260). All’esito di tale scrutinio, la Corte ha rilevato come nel caso in esame le autorità turche non avessero fornito alcuna spiegazione attendibile in merito alle motivazioni per cui il mero utilizzo da parte del ricorrente dell’applicazione ByLock fosse sufficiente a provare l’elemento soggettivo del reato a lui contestato, in particolare la sua consapevole partecipazione all’organizzazione terroristica con il dolo specifico di realizzarne gli scopi (§§ 262-263). La Corte ha ritenuto la condanna per terrorismo dell’utilizzatore di un’applicazione di messaggistica senza previo accertamento della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato contraria al principio di legalità e prevedibilità della pena alla base dell’art. 7 Cedu (§§ 264-265, 267), a prescindere dalle difficoltà incontrate dagli stati nella lotta contro il terrorismo (§§ 269-271). I giudici hanno pertanto ravvisato la violazione dell’art. 7 Cedu da parte delle autorità turche (§ 272). (Alessandro Faina)*

Riferimenti bibliografici: C. Pagella, La Corte EDU esclude la violazione dell’art. 7 in ragione della qualifica professionale dell'imputato: imprevedibilità delle pronunce in materia di prevedibilità soggettiva?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, p. 1628; P. Bernardoni, Terrorismo “morale” e articolo 7 CEDU: la Corte di Strasburgo ritiene imprevedibile la spiritualizzazione del concetto di violenza operata dai giudizi turchi, in Riv. it. dir. proc. pen., p. 1157; T. Trinchera, La Corte europea di fronte alla minaccia di attentati terroristici: tra obblighi di prevenzione e limiti imposti all’uso della “forza letale”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1200.

 

ART. 15 CEDU

C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 26 settembre 2023, Yüksel yalçinkaya c. Turchia

Stato di emergenza – diritti derogabili – margine di apprezzamento – proporzionalità – violazione

Per la sintesi della vicenda v. supra sub. art. 6 e 7 Cedu. La Corte europea si è inoltre soffermata sui limiti entro cui la dichiarazione di uno stato di emergenza ex art. 15 Cedu può determinare la violazione di diritti “derogabili”, quali l’art. 6 Cedu (§ 347). In generale, rientra nella competenza degli Stati il compito di individuare le situazioni di eccezionale «pericolo pubblico che minacci la vita della nazione» e, in caso affermativo, stabilire «fino a che punto è necessario spingersi nel tentativo di superare l'emergenza» (§ 348). Le parti contraenti non dispongono tuttavia di un potere discrezionale illimitato, in quanto le misure in deroga agli obblighi previsti dalla Convenzione sono ammesse unicamente «nella stretta misura in cui la situazione lo richieda». Dal canto suo, la Corte europea conserva un margine di apprezzamento ex art. 19 Cedu in merito alla proporzionalità dei provvedimenti adottati, tenendo conto della natura dei diritti interessati, delle circostanze che hanno dato luogo allo stato di emergenza e la sua durata (§ 349). In particolare, 15 C.edu non ha l'effetto di dispensare le Parti contraenti dall'obbligo di rispettare i principi alla base dello Stato di diritto, né conferisce alle autorità statali «carta bianca per porre in essere azioni che possono portare a conseguenze arbitrarie per i singoli» (§ 350). Pertanto, nel determinare se una misura lesiva del diritto a un equo processo risulti giustificata, la Corte deve valutare se siano state assicurate garanzie adeguate contro gli abusi (§ 350). Nel caso di specie, le violazioni accertate sub art. 6 Cedu non trovano un’adeguata giustificazione nell’esigenza di far fronte alla grave crisi politica creatasi a seguito del tentativo di colpo di Stato del luglio 2016. Le autorità interne non solo non hanno fatto riferimento a uno speciale regime derogatorio (§ 352), specie per quanto riguarda l’argomentazione per cui il mero utilizzo della piattaforma Bylock costituisce prova “decisiva” dell’appartenenza all’associazione terroristica (§ 353), ma non si sono neppure soffermate sulla loro necessità e proporzionalità ex art. 15 Cedu (§ 354) (Francesca Ertola).

 

Le opinioni espresse nel presente contributo appartengono esclusivamente all’autore e non riflettono necessariamente quelle delle Kosovo Specialist Chambers and Specialist Prosecutor’s Office / The views expressed herein are those of the author and do not necessarily reflect the views of the Kosovo Specialist Chambers and Specialist Prosecutor’s Office.