Legge 28 febbraio 2020, n. 7 (di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 161), in G.U. n. 50 del 28 febbraio 2020
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1. Con la legge 28 febbraio 2020 n. 7, le Camere hanno convertito, concludendone l’iter parlamentare, il decreto legge 30 dicembre 2019, n. 161 in tema di «modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni». Il presente contributo intende ora sinteticamente riaggiornare quanto già si era indicato nel precedente commento alla contro-riforma Bonafede[1], affinché il lettore possa, così, agevolmente apprezzare la disciplina normativa – al netto delle ultime novità introdotte in sede di conversione – che andrà a trovare, a breve, applicazione sulla base della lettura congiunta dei due contributi, laddove nel primo venivano indicate diffusamente tutte le novità, anche nel raffronto con la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 216/2017, della contro-riforma Bonafede, mentre nel presente scritto – secondo una trattazione espositiva ed una articolazione dei paragrafi che, per comodità di lettura, si rifanno a quelle precedenti – si richiamano sinteticamente le sole modifiche apportate in sede di conversione.
Va anzitutto premesso, prima di passare all’analisi del contributo parlamentare alla riforma, che, quanto all’entrata in vigore della nuova disciplina, si interviene nuovamente per rinviarne l’operatività di altri due mesi, sì che il testo definitivo troverà applicazione rispetto ai procedimenti penali iscritti – anziché dopo il 29 febbraio 2020 – a far data dal 30 aprile 2020, ciò in quanto il Ministero della giustizia non ha ancora ultimato l’installazione e l’attivazione delle nuove dotazioni informatiche necessarie per dare piena attuazione alle nuove disposizioni processuali.
2. Riservatezza ed esigenze processuali. – Sul fronte del meccanismo di redazione del verbale delle operazioni, le modifiche introdotte in sede di conversione del decreto legge n. 161/2019 risultano del tutto inconsistenti, posto che si interviene in via esclusiva sul testo del comma 2-bis dell’art. 268 c.p.p. per riformulare la sola clausola di salvaguardia delle intercettazioni rilevanti (ovvero quelle, lo si ricorderà, che devono essere comunque trascritte quand’anche contenenti espressioni lesive della reputazione delle persone o riguardanti dati personali definiti sensibili dalla legge) che, pur mutando testualmente dall’originaria formulazione «salvo che si tratti di intercettazioni rilevanti ai fini delle indagini» a «salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini», resta di fatto invariata nella sostanza, essendo il legislatore intervenuto soltanto per obliterare il riferimento alla più ampia categoria delle intercettazioni e ripristinare il richiamo alle sole espressioni di cui all’incipit del nuovo comma.
Lo stesso art. 268 c.p.p. viene poi interessato da un ulteriore intervento, questa volta in tema di udienza stralcio, laddove, correttamente ed in linea con quanto si era già segnalato nel nostro precedente contributo, viene ora ripristinata l’originaria formulazione del 6° comma al fine di restituire anche ai difensori della persona offesa la facoltà di interlocuzione rispetto alla selezione del materiale intercettivo, cosicché ora l’avviso – e le facoltà ad esso connesse e conseguenti – di esaminare gli atti relativi alle intercettazioni depositate presso l’archivio nonché di ascoltare le relative registrazioni torna ad essere indirizzato non soltanto ai difensori dell’imputato ma anche a quelli delle altri parti processuali[2]. Sempre nel corpo della medesima disposizione, in fine al 7° comma, si prevede inoltre espressamente, facoltà che già era riconosciuta in via pretoria, che il giudice, con il consenso delle parti e salvo contestazioni[3], sia nel corso dell’udienza stralcio[4] sia all’atto della formazione del fascicolo per il dibattimento all’esito dell’udienza preliminare, possa disporre l’utilizzazione delle trascrizioni già effettuate nel corso delle indagini dalla polizia giudiziaria[5].
Relativamente all’archivio digitale, si interviene poi in via esclusiva, nell’ovviare ad una evidente e già segnalata svista del legislatore d’urgenza, ad introdurre nel 4° comma dell’art. 89-bis disp. att. c.p.p. anche il riferimento all’art. 454 c.p.p. accanto a quello degli artt. 268 e 415-bis c.p.p., posto che l’acquisizione delle intercettazioni avviene, secondo quanto previsto dalla novella ed in via alternativa rispetto alla tradizionale udienza stralcio, con il deposito degli atti unitamente all’avviso di conclusione delle indagini preliminari oppure appunto, qualora il pubblico ministero opti per l’esercizio dell’azione penale nelle forme del giudizio immediato, all’atto del deposito della richiesta di emissione del relativo decreto; analogo innesto viene operato anche, in termini identici, per l’art. 114, comma 2-bis, c.p.p. che sancisce il divieto di pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni non acquisite ai sensi dei medesimi artt. 268, 415-bis e 454 c.p.p.
Circa la conservazione dei dati nell’archivio multimediale, tuttavia, prima di passare ad analizzare gli aspetti più interessanti della legge di conversione, è opportuno perimetrare il novero degli atti che, alla luce della nuova disciplina, devono essere custoditi all’interno dell’archivio. Anzitutto va evidenziato che il legislatore, all’art. 269, comma 1, c.p.p., opera una distinzione concettuale tra verbali, registrazioni e ogni altro atto ad esse relativo. I verbali – comunemente detti “brogliacci” – sono costituiti, ai sensi dell’art. 268, comma 2, c.p.p., dagli atti in cui viene, anche sommariamente, trascritto il contenuto delle comunicazioni intercettate; le registrazioni sono invece rappresentate dalle fonie delle collocuzioni che vengono appunto captate ed impresse sulle memorie digitali dei server delle società di intercettazioni collocati all’interno degli uffici C.I.T. delle procure e che, attraverso le successive operazioni di riversamento, ossia di trasferimento da un server all’altro[6], vanno ad essere conferite all’interno dell’istituendo archivio digitale; gli altri atti relativi alle registrazioni sono infine rappresentati dai decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni, così come richiamati dall’art. 267, comma 5, c.p.p., cosicché si deve escludere che vi siano ricomprese anche le informative di polizia giudiziaria che vengono depositate al pubblico ministero nelle more delle operazioni di intercettazione, o al termine delle stesse, in vista delle proroghe delle attività medesime oppure ai fini dell’emissione di misure cautelari, posto che a tali atti il legislatore non fa alcun riferimento testuale.
Fatte queste premesse, è possibile chiarire che, ai sensi del nuovo art. 269, comma 1, c.p.p., verbali, registrazioni ed ogni altro atto ad esse relativo sono ora conservati integralmente nell’archivio digitale. Tale disposizione non implica però affatto, va detto, che tali atti non possano essere presenti, in copia, anche all’interno del fascicolo del pubblico ministero, posto che la contro-riforma Bonafede ha superato l’originaria procedura di acquisizione al fascicolo delle indagini, di cui all’abrogato art. 268-ter c.p.p., che prevedeva invece una ontologica e drastica separazione tra atti relativi alle intercettazioni ed altri atti processuali: proprio in ragione della difficile attuabilità di tale disciplina, la nuova normativa non pretende affatto che sussista una netta divaricazione tra tali atti e consente, non rinvenendosi alcuna disposizione di senso contrario, una compenetrazione tra atti dell’archivio ed atti del fascicolo delle indagini, con il solo limite per gli atti relativi alle intercettazioni non acquisite o non utilizzate. In altre parole, ora ancor più di prima con l’inserimento di un nuovo periodo all’interno dell’art. 269, comma 1, c.p.p., si prevede che non siano coperti dal segreto «i verbali e le registrazioni delle comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo di cui all’art. 373, comma 5, c.p.p., o comunque utilizzati nel corso delle indagini preliminari»: al di là della pessima formulazione lessicale, laddove si fa riferimento ai verbali ed alle registrazioni acquisite anziché acquisiti, la novità introdotta in sede di conversione sta anche a sottolineare che – se ciò che non è utilizzato resta coperto dal segreto e rimane confinato all’interno dell’archivio – gli atti ed i verbali ritenuti rilevanti dalle parti, oltre che nell’archivio, possono anche materialmente confluire in copia all’interno del fascicolo delle indagini. D’altra parte, è il riformulato art. 291, comma 1, c.p.p. che, nel riesumare l’innesto già introdotto dalla riforma Orlando – secondo cui il pubblico ministero, a corredo della richiesta di misura cautelare, presenta al giudice gli elementi su cui essa si fonda, compresi i verbali di cui all’art. 268, comma 2, c.p.p. – prevede proprio che al giudice si debbano trasmettere i brogliacci, pur limitatamente alle comunicazioni e conversazioni rilevanti, che siano, secondo la precisazione inserita in sede di conversione, conferiti nell’archivio, dando così prova del fatto che ciò che non è soggetto al segreto può confluire (evidentemente in copia) all’interno del fascicolo delle indagini. E la segretezza delle sole intercettazioni non rilevanti o inutilizzabili si evince pure dal disposto dell’art. 92, comma 1-bis, disp. att. c.p.p. secondo cui il giudice, nel trasmettere ai fini dell’esecuzione l’ordinanza cautelare, restituisce appunto, proprio ai fini della conservazione nell’archivio e ad impedirne la divulgazione, gli atti che non ritiene ostensibili.
Invero, se la disposizione è correttamente volta, come si è detto, a rafforzare la tutela delle collocuzioni non utili al procedimento, va rilevato però come l’intervento operato sul 1° comma dell’art. 291 c.p.p. appaia, per certi versi, equivoco, posto che presuppone che la trasmissione dei verbali delle intercettazioni rilevanti abbia ad oggetto quelli (già) conferiti nell’archivio mentre, sia nel caso di operazioni ancora in corso all’atto della richiesta cautelare avanzata dal pubblico ministero sia in caso di autorizzazione al ritardato deposito, bisogna ritenere che il conferimento non possa che avvenire soltanto in un momento successivo rispetto a quello del deposito della richiesta di emissione di misura cautelare.
In ogni caso, tali considerazioni si ricollegano a filo diretto con il diritto dei difensori delle parti di visionare gli atti relativi alle intercettazioni, ascoltare le registrazioni ed ottenerne copia. Anche sul punto si registrano alcuni interventi correttivi, non secondari, in sede di conversione in legge del d.l. n. 161/2019. Se nulla viene innovato in tema di udienza stralcio, sicché – nelle desuete ipotesi di attivazione di tale subprocedimento – i difensori conservano il diritto di ascolto ed esame integrale di registrazioni ed atti mentre hanno facoltà di ottenere copia delle trascrizioni e trasposizione delle fonie limitatamente a quelle riconosciute d’interesse, si interviene anzitutto per chiarire e circoscrivere, recuperando quanto già prevedeva la riforma Orlando, le facoltà difensive al momento del deposito, presso la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento, degli atti a sostegno del titolo cautelare. Si precisa, così, che il difensore ha diritto di esame e di copia dei verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate e ha in ogni caso il diritto alla trasposizione, su supporto idoneo alla riproduzione dei dati, delle relative registrazioni. La legge di conversione specifica inoltre, intervenendo sul testo dell’art. 293, comma 3, c.p.p., che il diritto di esame e copia dei verbali (ma la precisazione non può che estendersi anche al connesso e conseguente diritto alla trasposizione delle registrazioni, essendo – per espressa previsione di legge – registrazioni relative agli atti predetti) attiene esclusivamente ai verbali trasmessi al giudice a corredo della richiesta cautelare in quanto rilevanti ai fini della decisione. Ne consegue che il difensore, in sede cautelare, ha diritto all’ascolto ed alla copia delle sole intercettazioni selezionate e trasmesse dal pubblico ministero al giudice, ad esclusione di quelle ritenute da quest’ultimo non rilevanti o inutilizzabili e restituite all’inquirente per la conservazione in archivio, cosicché è precluso in fase d’indagine (salva l’attivazione dell’udienza stralcio) l’accesso indiscriminato del difensore all’ascolto di tutte le intercettazioni, anche perché non di rado è possibile che le operazioni non siano nemmeno ancora del tutto concluse, tanto che su tutto ciò che non sia stato oggetto di anticipata discovery, finalizzata al soddisfacimento delle esigenze cautelari, grava ancora il segreto d’indagine. Soltanto a seguito dell’attivazione dell’udienza stralcio oppure – all’esito delle investigazioni – dei meccanismi selettivi di cui agli artt. 415-bis e 454 c.p.p., il difensore consegue il diritto di ascolto integrale delle intercettazioni, secondo quanto si è già indicato nel nostro precedente contributo[7]. Si interviene quindi in sede di conversione, in linea con quanto si è detto, sul testo del 1° comma dell’art. 269 c.p.p. per specificare che il diritto del giudice per le indagini preliminari e dei difensori delle parti di accedere all’archivio per l’ascolto delle intercettazioni è consentito soltanto dopo il deposito effettuato, a seconda dei casi, ai sensi degli artt. 268, 415-bis o 454 c.p.p., anche in considerazione del fatto che l’interesse delle altre parti di accedere al plesso integrale delle intercettazioni sorge proprio in vista dell’udienza stralcio, ordinaria o differita che sia; ciò, peraltro, risulta pienamente in linea con il disposto dell’art. 89-bis, comma 4, disp. att. c.p.p. laddove si stabilisce appunto che i difensori delle parti possono ottenere copia delle registrazioni e degli atti quando acquisiti a norma degli artt. 268, 415-bis e 454 c.p.p.
L’ultima novità riguarda, infine, la disciplina introdotta nel nuovo comma 2-bis dell’art. 454 c.p.p., ove si prevede ora che il termine di quindici giorni entro il quale al difensore è concesso di depositare l’elenco di ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chieda copia possa essere prorogato di dieci giorni su richiesta del legale medesimo. Tale modifica, che appare coerente rispetto ad un termine che, specialmente in caso di indagini particolarmente complesse, risulterebbe eccessivamente limitato per consentire un’attenta analisi di un corposo apparato probatorio, non chiarisce però a chi spetti, tra pubblico ministero e giudice, di provvedere sulla richiesta del difensore: in considerazione del fatto che sull’istanza provvede, in prima battuta, il pubblico ministero e che l’eventuale richiesta di differimento del termine interverrebbe prima – in quanto propedeutica – della richiesta di copia di ulteriori registrazioni rilevanti, si può ritenere, senza dubbio, che spetti all’inquirente, e non invece al giudice, di provvedere anche sull’istanza di differimento, con una decisione, peraltro, non sindacabile in seconda istanza dal giudice, cui infatti è possibile fare ricorso, per espressa previsione normativa, soltanto perché si proceda nelle forme di cui all’art. 268, comma 6, c.p.p. ovvero per sollecitarne un sindacato nel merito delle intercettazioni da acquisire al procedimento.
3. Interventi in tema di captatore informatico. – Sul fronte del captatore informatico, vanno segnalate, anzitutto, alcune modifiche secondarie all’art. 89 disp. att. c.p.p., laddove si interviene, al 2° comma, a prevedere che, ai fini dell’installazione e dell’intercettazione attraverso captatore informatico in dispositivi elettronici portatili devono – anziché possono – essere impiegati soltanto programmi conformi ai requisiti tecnici stabiliti con decreto del Ministero della giustizia, modifica che, nel voler sottolineare più energicamente il divieto d’uso di programmi non conformi, appare di scarso impatto rispetto a quanto già era previsto dal decreto Bonafede; al 3° comma si interviene invece per indicare, più correttamente, che l’operazione di conferimento (anziché trasferimento) dei dati captati avviene non già nell’archivio digitale di cui all’art. 269 c.p.p. ma negli impianti della procura della Repubblica, posto che, come si era osservato, l’intercettazione continuerà, anche nella vigenza delle nuove disposizioni, ad essere effettuata attraverso gli impianti, pur installati presso le sale server degli uffici requirenti, appartenenti alle società di intercettazioni accreditate o aggiudicatarie del servizio e, soltanto ad operazioni ultimate, avverrà il trasferimento dei dati da tali server a quello, ministeriale, dell’archivio digitale.
L’unica modifica d’interesse è invece quella che interviene sul testo dell’art. 266, comma 2-bis, c.p.p., norma che prevede, come si era indicato[8], la disciplina derogatoria – per i reati di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. nonché per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell’art. 4 c.p.p. – rispetto alla tradizionale configurazione delle intercettazioni tra presenti, avallando in tali casi gli ascolti anche nei luoghi domiciliari. Il legislatore interviene ora, interpolando la disposizione sopra indicata, prevendendo che – limitatamente ai suddetti delitti contro la pubblica amministrazione – l’intercettazione ambientale ubiquitaria sia consentita previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi dell’art. 614 c.p. A ben vedere, tale precisazione non sposta affatto i termini di quella tripartizione in classi di reati che si era indicata nel precedente contributo, posto che non va ad incidere minimamente sui presupposti legittimanti le intercettazioni per i reati contro la pubblica amministrazione, i quali continuano, esattamente come prima, ad assimilarsi in toto ai reati di criminalità organizzata non comune, potendosi procedere ad intercettazioni senza limiti di luogo sia qualora siano eseguite con metodi tradizionali sia qualora si intenda fare ricorso al captatore informatico. Ciò che il legislatore prevede è invece uno sforzo motivazionale ulteriore da parte del giudice che autorizza le operazioni di intercettazione mediante captatore informatico che è chiamato ora, limitatamente ai predetti reati contro la pubblica amministrazione, a dar conto, nel corpo della motivazione, di quali elementi inducano a ritenere l’utilità del mezzo investigativo anche all’interno dei luoghi di privata dimora: utilità che, invero, appare difficilmente rinnegabile, posto che – se è scontata l’ipotizzabile fruttuosità di un’intercettazione all’interno del domicilio lavorativo in caso di indagini per reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione – è anche facilmente intuibile l’utilità di una intercettazione all’interno dell’abitazione, specialmente laddove si ipotizzino confidenze dell’indagato con i familiari conviventi. Se si considera poi che, non trattandosi di un presupposto di ammissibilità, l’eventuale omessa indicazione delle suddette ragioni non sconta certamente la sanzione di inutilizzabilità dei risultati, di cui al 1° comma dell’art. 271 c.p.p., in quanto non eseguita al di fuori dei casi consentiti dalla legge, la novità appare, francamente, di modesta portata innovativa.
4. La tempestiva reazione del legislatore alle Sezioni unite “Cavallo”. – Nel precedente contributo si erano illustrate le conclusioni, poco condivisibili a parere di chi scrive, cui era pervenuta, in tema di utilizzabilità in procedimenti diversi dei risultati delle intercettazioni, la pronuncia delle Sezioni unite “Cavallo”[9]. A fronte di un quadro normativo evidentemente insoddisfacente e che, alla luce della lettura restrittiva fornita dal giudice della nomofilachia, avrebbe messo in serio affanno gli uffici requirenti, il legislatore interviene ora sul punto modificando, pur con una tecnica normativa non certo encomiabile, il testo del 1° comma dell’art. 270 c.p.p. il quale stabilisce ora che i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti (più correttamente, disposte), salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’art. 266, comma 1, c.p.p.
L’inserimento, a distanza di meno di due mesi dalla pronuncia delle Sezioni unite, del riferimento all’art. 266 c.p.p. potrebbe indurre a ritenere, in sede di prima, ma poco attenta, esegesi della norma, che il legislatore abbia semplicemente inteso positivizzare le condizioni indicate dalla Suprema Corte ai fini dell’impiego delle risultanze intercettive in procedimenti diversi, laddove il supremo consesso di legittimità ha stabilito appunto che l’utilizzabilità delle captazioni in procedimenti diversi, in quanto connessi ai sensi dell’art. 12 c.p.p. rispetto ai reati per cui l’autorizzazione era stata originariamente concessa, richiede in ogni caso che si tratti di reati ricompresi nel catalogo declinato dall’art. 266 c.p.p., ovverosia di reati per i quali sarebbero comunque state consentite ab origine le operazioni di intercettazione. Invero, tale lettura non può essere avallata, in quanto il riferimento all’art. 266 c.p.p. nell’attuale formulazione dell’art. 270 c.p.p. è accostato non – nella prima parte del periodo – all’indicazione del divieto di utilizzazione in procedimenti diversi quanto piuttosto, in coda, alle ipotesi dei reati per i quali sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza e per i quali l’utilizzabilità è invece sempre ammessa senza limiti. Proprio l’abbinamento all’eccezione anziché alla regola, impone la lettura congiunta dei casi di cui agli artt. 266 e 380 c.p.p., ove però l’utilizzo della congiunzione “e” potrebbe indurre a propendere per un restringimento del raggio d’azione delle ipotesi derogatorie nel momento in cui il legislatore richiederebbe ora, ai fini dell’utilizzabilità incondizionata delle intercettazioni captate in altro procedimento, che il nuovo delitto in via di accertamento possa essere ricondotto sia al catalogo dell’art. 380 che, congiuntamente, a quello dell’art. 266 c.p.p. Ma, posta l’illogicità di una tale soluzione, anche in considerazione del fatto che i requisiti dei reati per i quali sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza sono talmente stringenti che il richiedere anche il soddisfacimento delle condizioni di cui all’art. 266 c.p.p. non determinerebbe sostanzialmente alcun effetto restrittivo[10], non può che ritenersi che la congiunzione “e” debba invece essere intesa in senso disgiuntivo con la conseguenza che la nuova disciplina ammette l’utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi non soltanto qualora le captazioni risultino necessarie ed indispensabili per l’accertamento dei delitti per i quali sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza ma anche, in alternativa, per i reati indicati nel corpo del 1° comma dell’art. 266 c.p.p. E la bontà di tale soluzione interpretativa trova conferma, peraltro, proprio nei lavori parlamentari[11] laddove si indica che tale modifica estende l’utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi anche nei casi indicati dall’art. 266 c.p.p. per i quali non sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. A ben vedere, dunque, con l’importante novità normativa in commento si prevede ora, secondo una ratio certamente condivisibile in quanto coerente con il sistema, che tutte le volte che per un determinato titolo di reato sarebbe stato possibile procedere autonomamente, e ab origine, ad operazioni di intercettazione, le risultanze delle attività captative che abbiano evidenziato la sussistenza di un ulteriore reato siano pienamente utilizzabili, proprio sulla base dell’obiezione principale mossa ai sostenitori della tesi avversa, ovverosia il fatto che in tali ipotesi non si verifica alcuna lesione del principio costituzionale di cui all’art. 15 Cost., posto che il requisito della motivazione viene comunque soddisfatto nel momento in cui il giudice illustra, nel provvedimento autorizzativo o di convalida, la sussistenza dei requisiti legittimanti il ricorso al mezzo intercettivo rispetto al reato per cui in quel momento si procede. E tale modifica ristabilisce, a parere di chi scrive, quell’equilibrio tra valori costituzionali che, con la più recente evoluzione giurisprudenziale, si stava andando a perdere.
La modifica in commento assume allora particolare rilievo investigativo, posto che soffoca, ancor prima del nascere, quella incessante, e altrettanto estenuante, rincorsa degli inquirenti all’attivazione di sempre nuove intercettazioni che si sarebbe determinata a seguito della pronuncia delle Sezioni unite “Cavallo”, posto che la captazione di ulteriori reati non connessi, utilizzabile quantomeno come notizia di reato, avrebbe costretto la polizia giudiziaria delegata agli ascolti a segnalare tempestivamente, con idonea informativa, il colloquio al pubblico ministero, il quale avrebbe quindi dovuto apprestarsi, a sua volta, a richiedere con adeguata solerzia al giudice per le indagini preliminari una nuova intercettazione, peraltro (anche) sulle stesse utenze già oggetto di ascolto, con una inutile ed ingiustificata duplicazione del lavoro di polizia giudiziaria e magistratura, non solo inquirente, nonché dei costi delle operazioni. Ne deriva ora, invece, una disciplina che sterilizza drasticamente il campo operativo delineato dalle Sezioni unite “Cavallo” in ordine all’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi in quanto connessi ai sensi dell’art. 12 c.p.p., posto che, allo stato, se il reato di nuova emersione rientra nel catalogo di cui all’art. 266 c.p.p. allora le relative captazioni risulteranno pienamente utilizzabili, già di per sé, per la prova di quel delitto mentre, in caso contrario, non potrà comunque mai trovare applicazione la disciplina tracciata dalla Suprema Corte che, a prescindere dal dato della sussistenza di un’ipotesi di connessione, richiederebbe comunque il soddisfacimento anche delle condizioni dell’art. 266 c.p.p., con la conseguenza dunque che la regola generale del divieto di utilizzazione non ammette ora altre deroghe se non quelle testualmente indicate dal legislatore.
In ogni caso, per controbilanciare la novità normativa, il legislatore ha anche scelto di intervenire ad indicare che l’utilizzabilità, nei predetti casi, sussiste non soltanto qualora i risultati delle operazioni di intercettazione siano indispensabili per l’accertamento dei suddetti reati ma quando, anche, risultino rilevanti nella medesima direzione, modifica che, invero, appare del tutto superflua, in considerazione del fatto che ciò che è indispensabile è necessariamente, ed ancor prima, anche rilevante. Nella stessa direzione si colloca la rimodulazione del comma 1-bis dell’art. 270 c.p.p. laddove si prevede che l’utilizzabilità dei risultati delle operazioni di intercettazione tra presenti effettuate con captatore informatico possano essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto autorizzativo, ciò non soltanto se compresi tra quelli indicati dall’art. 266, comma 2-bis, c.p.p. ma se ritenuti indispensabili per l’accertamento di tali reati.
Da ultimo si deve segnalare che la legge di conversione introduce anche, tra i casi elencati dall’art. 266, comma 1, nuova lettera f-quinquies), c.p.p., l’ammissibilità delle operazioni di intercettazione in relazione ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p. o al fine di agevolare l’attività delle medesime associazioni.
[1] Si veda D. Pretti, La metamorfosi delle intercettazioni: la contro-riforma Bonafede e l’inarrestabile mito della segretezza delle comunicazioni, in Sist. pen., 2/2020, p. 71 ss.
[2] A tutte le parti spetta ora anche l’accesso all’archivio alla luce della modifica dell’art. 269, comma 1, ult. periodo, c.p.p.
[3] A fronte delle quali il giudice deve comunque procedere con trascrizione peritale.
[4] E la norma dev’essere necessariamente ritenuta estensibile anche ai due casi di udienze stralcio differite che, per espressi rinvii normativi, si rifanno alla disciplina di quella ordinaria.
[5] Sul punto resta solo da chiedersi se i difensori possano revocare successivamente, ed in particolare nel corso del dibattimento, il consenso precedentemente prestato – verosimilmente all’esito dell’udienza preliminare – all’utilizzazione delle trascrizioni operate dalla polizia giudiziaria: nell’ipotesi in cui il giudice per l’udienza preliminare dovesse aver specificamente verbalizzato il consenso delle difese, deve ritenersi che un successivo dissenso sarà ammissibile soltanto a fronte di argomentate doglianze, comunque mai generalizzate all’intero plesso delle registrazioni ma relative a specifici progressivi di cui il difensore lamenti una documentata inattendibilità dell’operato degli inquirenti.
[6] Server che sono fisicamente installati, entrambi, presso la procura della Repubblica.
[7] Con la precisazione che, ora, la legge di conversione specifica che il connesso diritto di esame degli atti relativi alle intercettazioni, al momento del deposito dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, attiene ai soli atti depositati, quando, invero, bisogna ritenere che in tale fase al difensore spetti l’accesso indiscriminato a tutto il complesso delle intercettazioni effettuate nel corso del procedimento, posto che il difensore ha facoltà di esaminare gli atti ed ascoltare le registrazioni proprio in vista di indicarne – ai fini dell’acquisizione al fascicolo – di ulteriori rispetto a quelle già selezionate dagli inquirenti.
[8] Cfr. D. Pretti, op. cit., pp. 91-92.
[9] Cfr. Cass. sez. un. 28 novembre 2019-dep. 2 gennaio 2020, n. 51, Rv. 277395.
[10] Non sarebbero più utilizzabili, ad esempio, per il delitto di cui all’art. 497-bis c.p. che, pur ricompreso – alla lettera m-bis) – nell’elenco dell’art. 380 c.p.p., non soddisfa alcuno dei requisiti richiesti dall’art. 266, comma 1, c.p.p.
[11] Cfr. il parere della Commissione permanente Affari Costituzionali del Senato della Repubblica del 19 febbraio 2020 relativamente all’emendamento n. 2.219.