1. La Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Potenza ha adottato un Protocollo organizzativo e di coordinamento in tema di indagini ex d.lgs. n. 231/2001, con il quale ha pubblicato delle linee guida applicative del decreto 231, al fine di meglio coordinare le indagini nel settore della responsabilità da reato degli enti.
Nell’accogliere le principali linee di indirizzo, la Procura Generale ha integrato il Protocollo con una Relazione illustrativa, allo scopo di soddisfare una duplice prospettiva.
Dapprima, la necessità di approfondire alcune questioni che investono il d.lgs. n. 231/2001 deriva dal carattere particolarmente problematico della disciplina, ancora oggi intrisa di dubbi interpretativi.
In secondo luogo, l’esigenza di adottare un Protocollo si riconnette alla recente estensione della portata normativa di alcuni reati – artt. 316 ter e 640 bis c.p., richiamati nell’art. 24 d.lgs. n. 231/2001 – anche ai casi di sovvenzioni pubbliche a danno dello Stato, di altri enti pubblici o dell’Unione europea, ricomprendendo così le risorse del PNRR (il rinvio è all’art. 28 bis co. 1, lett. d) del D.L. n. 4/2022, convertito in legge L. n. 25/2022).
Difatti – si legge in Relazione – l’obiettivo della Procura Generale è di soddisfare «esigenze di armonizzazione delle prassi interpretative e operative» affinché esse interagiscano «con quella di dare ulteriore impulso alle indagini ex d. lgs. n. 231/2001, anche in funzione della ‘sfida PNRR’»[1].
2. L’attenzione rivolta a questo provvedimento origina sia dal contesto di materia in cui si inserisce – all’indomani della pronuncia della Corte di Cassazione nel caso Impregilo[2] – sia dalle posizioni adottate dalla Procura Generale di Potenza nella formulazione delle linee guida applicative del decreto 231.
Giova, a questo punto, ripercorrere gli snodi argomentativi più significativi del Protocollo e della Relazione al fine di individuare gli spunti interpretativi da cui scaturisce il richiamato interesse.
3. Un particolare riferimento è al tema dell’imputazione all’ente del reato commesso dal soggetto apicale al suo interno, ex art. 6 d.lgs. n. 231/2001 e nello specifico, della rilevanza, ai fini dell’imputazione del fatto all’ente, del rapporto di causalità che deve sussistere tra le carenze del modello organizzativo di un’impresa e la commissione del reato nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
Sul punto, la dottrina prevalente[3] propende per una ricostruzione del nesso imputativo della persona giuridica sulla base dei canoni ascrittivi tradizionali della colpa individuale, ex art. 43 co. 3 c.p.[4].
In questi stessi termini si è espressa la giurisprudenza di legittimità e, da ultimo, la sentenza Impregilo[5].
Di fronte ad un caso di responsabilità dell’ente per illecito commesso da soggetti apicali, la Suprema Corte si è pronunciata dichiarando che: «[…] perché possa affermarsi una responsabilità colposa si ritiene insufficiente la realizzazione del risultato offensivo tipico in conseguenza della condotta inosservante di una data regola cautelare, ma occorre che il risultato offensivo corrisponda proprio a quel pericolo che la regola cautelare violata era diretta a fronteggiare. Occorre, cioè, una corrispondenza causale tra la violazione della regola cautelare e la produzione del risultato offensivo» (Cass. pen., Sez. VI, n. 23401/2022).
Alla luce di ciò, sarà necessario accertare non solo la violazione della regola cautelare e l’esistenza del nesso causale tra la suddetta violazione e il reato della persona fisica, ma, altresì, la pertinenza tra la inosservanza della regola cautelare e lo specifico rischio da cui si è concretizzato l’evento hic et nunc, con successiva verifica dell’eventuale efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito.
Nel caso di specie, l’inefficienza dell’organismo di vigilanza, del tutto privo di autonomia, non ha avuto alcun valore causale nella commissione del reato di aggiotaggio da parte dei soggetti apicali e, pertanto, è condizione insufficiente al riconoscimento di una responsabilità della società. Al contrario, sarebbe stato necessario che quella determinata lacuna organizzativa del Mogc avesse avuto un ruolo determinante nella commissione del reato della persona fisica.
4. Sul punto il Protocollo organizzativo si esprime con «una scelta dissonante» dalla recente pronuncia della Corte di Cassazione [6].
Innanzitutto, in relazione ai casi di un organismo di vigilanza esistente, ma non correttamente formato ovvero di un modello organizzativo privo dei requisiti di effettività, il Protocollo afferma che nessun ruolo fondamentale può essere riconosciuto, ai fini dell’accertamento della responsabilità d’impresa, alla sussistenza di un rapporto di causalità intercorrente tra il deficit organizzativo e lo specifico reato commesso dalla persona fisica.
Al contrario, per fondare la responsabilità da reato dell’impresa, ex art. 6 d.lgs. n. 231/2001, sarà sufficiente il mero accertamento dell’inesistenza o della inidoneità ovvero dell’inefficacia del Mogc e/o dell’Odv (art. 21 del Protocollo)[7].
Infatti – motiva la Relazione – il decreto 231 prevede un’attività di vigilanza dell’organismo teleologicamente indirizzata a “prevenire” la commissione di reati all’interno della società, e non, come diversamente sostenuto dalla Cassazione, a “evitare” la commissione di questi.
Pertanto, il suo compito di vigilanza non si pone in un rapporto di causalità con il reato commesso dalla persona fisica, ma, al contrario si colloca in una fase per così dire più anticipata rispetto al verificarsi del reato, ossia in una fase preventiva.
Così la Relazione si esprime: «Di contro, diversamente da quanto ritenuto dalla S.C., la normativa in analisi non impone all’Odv – ed alle modalità procedimentali previste dal Mogc – l’idoneità a evitare la commissione del reato, ma a “prevenire” la stessa, il che sposta il rapporto fra l’attività di vigilanza e la commissione del reato dalla categoria del nesso di causalità a quello dell’astratto orientamento teleologico della prima, in funzione preventiva rispetto alla seconda».
Da ciò, l’eventuale condotta organizzativa negligente dell’Odv sarà rilevante sul piano preventivo e basterà di per sé a fondare una colpa di organizzazione dell’ente, a prescindere da un suo specifico collegamento causale rispetto alla verificazione dell’evento hic et nunc.
5. Inoltre, la verifica di un rapporto di causalità tra l’inidoneità dell’Odv e la commissione del reato comporterebbe il riconoscimento di una posizione di garanzia, ex art. 40 cpv. c.p., in capo ai membri dell’Odv, condizione questa ritenuta inaccettabile sia dalla giurisprudenza di legittimità (Suprema Corte sent. n. 18168/2016[8]) sia dalla Procura Generale di Potenza[9].
Tuttavia – continua la Relazione – se è vero ciò, al tempo stesso non può trascurarsi un rilevante dato di fatto. Un organismo di vigilanza perfettamente autonomo ed indipendente, sebbene non dotato di una posizione di garanzia, è senz’altro in grado di ridurre significativamente la possibile realizzazione di un reato.
Difatti, con i suoi poteri preventivi, l’Odv sarà in grado di dissuadere i soggetti apicali dal commettere eventuali illeciti[10].
Dunque – conclude la Relazione – «la qualificazione della sua viziata costituzione e/o mancata operatività» è da ritenersi «presupposto sufficiente per l’innesco della responsabilità amministrativa» essendo tale interpretazione perfettamente in linea con la lettera e la ratio della norma[11].
6. Un ultimo passaggio affrontato dalla Relazione riguarda l’eventuale violazione del principio costituzionale del divieto di responsabilità per fatto altrui – di cui all’art. 27, co.1 Cost. – derivante dall’accoglimento della posizione interpretativa sostenuta dalla Procura Generale[12].
Su questo punto, già la Corte di Cassazione con la sentenza Impregilo aveva dichiarato che il riconoscimento di una natura colposa alla responsabilità da reato delle persone giuridiche e la conseguente rilevanza del nesso di causalità normativa tra il difetto di organizzazione – nel caso concreto «la lacuna od il punto di debolezza del modello» – e la commissione del reato da parte del soggetto apicale costituiva «l’unica lettura normativa possibile per evitare tensioni con il principio costituzionale del divieto di responsabilità per fatto altrui»[13].
In modo difforme, la Procura Generale replica che la irrilevanza del nesso di causalità fra il difetto di idoneità dell’Odv e/o del Mogc e il reato non incide in nessun modo sul rispetto dei principi costituzionali.
Il principio di personalità della responsabilità penale nei confronti dell’ente è in ogni caso rispettato poiché la responsabilità della societas origina sempre da un fatto proprio dell’ente, consistente in un difetto di organizzazione, su cui si fonderebbe il coefficiente soggettivo della colpa organizzativa.
7. Queste, seppur in breve, le considerazioni elaborate dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Potenza.
Dal provvedimento emerge l’interesse degli Uffici Requirenti ad una puntuale applicazione del d. lgs. n. 231/2001 nel proprio Distretto, soprattutto alla luce dei recenti interventi normativi che hanno ampliato la portata di alcune fattispecie di reato, tra cui gli artt. 316 ter e 640 bis c.p., includendo la tutela delle sovvenzioni pubbliche, tra cui le risorse del PNRR.
Ulteriore dato rilevante è che il Protocollo si occupa di fornire una serie di “buone prassi”, quali ad esempio le modalità di iscrizione della notizia di reato nel registro e/o gli strumenti d’indagine e garanzie connesse, che permettono così di potenziare l’efficienza delle indagini giudiziarie in questo settore.
[1] Vedi Relazione, cit., p. 2.
[2] Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 23401/2022, Impregilo.
[3] Per un approfondimento del tema, cfr. ex multis, C. De Maglie, L' etica e il mercato. La responsabilità penale delle società, Giuffrè, 2002, p. 366 ss.; C.E. Paliero C. Piergallini, La colpa di organizzazione, in Resp. amm. soc. enti, 2006, p. 167 ss.; C.E. Paliero, La società punita: del come, del perché, e del per cosa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, p. 1545 ss.; C. Piergallini, Paradigmatica dell'autocontrollo penale (dalla funzione alla struttura del ‘modello organizzativo' ex d.lgs. 231/2001), in Studi in onore di M. Romano, Jovene, 2011, p. 2099 ss.; Id., Colpa (dir. pen.), in Enc. dir., voce Reato colposo, Annali, X, Giuffrè, 2017, p. 222 ss.; M.N. Masullo, Colpa penale e precauzione nel segno della complessità, Esi, 2012, p. 153 ss.; G. Fidelbo, L’accertamento dell’idoneità del modello organizzativo in sede giudiziale, in V. Mongillo, A.M. Stile, G. Stile (a cura di), La responsabilità da reato degli enti collettivi: a dieci anni dal d.lgs. n. 231/2001, problemi applicativi e prospettive di riforma, Jovene, 2013, p. 182 ss.; V. Mongillo, La responsabilità penale tra individuo ed ente collettivo, Giappichelli, 2018, p. 423 ss.; C.E. Paliero, La colpa di organizzazione tra responsabilità collettiva e responsabilità individuale, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2018, p. 211 ss.; A. Alessandri, S. Seminara, Diritto penale commerciale, Giappichelli, 2018, p. 100 ss.; V. Manes, Realismo e concretezza nell'accertamento dell'idoneità del modello organizzativo, in Giur. comm, 2021, p. 633 ss.; E. Ambrosetti, E. Mezzetti, M. Ronco, Diritto penale dell'impresa, Zanichelli, 2022, p. 60 ss.
[4] Sulla concezione normativa della colpa e sulla teoria della doppia misura della colpa si rinvia in particolare, ex multis, G. Forti, Colpa ed evento nel diritto penale, Giuffrè, 1990, cit., p. 403 ss.; M. Romano, Commentario sistematico del codice penale, vol. I, Giuffrè, 2004, cit., p. 458 ss.; L. Cornacchia, Concorso di colpe e principio di responsabilità penale per fatto proprio, Giappichelli, 2004, cit., p. 514 ss.; D. Castronuovo, La colpa penale, Giuffrè, 2009, cit., p. 205 ss.; Id., L'evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, p. 1627 ss.; S. Canestrari, La doppia misura della colpa nella struttura del reato colposo, in Ind. pen., 2012, p. 21 ss.
[5] La Suprema Corte, con sentenza n. 23401/2022, si è pronunciata sul ricorso proposto dal Procuratore Generale della Repubblica avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano. Il caso ha ad oggetto una società chiamata in giudizio per l’illecito amministrativo ex art. 25 ter, lett. r) dipendente dal reato di manipolazione del mercato commesso dal Presidente del Consiglio di amministrazione e dall’Amministratore Delegato della società. L’ente, pur essendo dotato di un modello di organizzazione gestione e controllo, difettava in relazione al suo organismo di vigilanza poiché del tutto privo dei requisiti di autonomia e indipendenza.
[6] Così in Relazione, cit., p. 1.
[7] L’art. 21 del Protocollo afferma: «l’accertamento dell’inesistenza o della inidoneità, ovvero inefficacia, del MOGC e/o dell’ODV, esaurisce, secondo le previsioni del d.lgs. n. 231/2001, il tema probatorio, con riferimento al reato commesso da soggetto “apicale” dell’ente».
[8] Cass. pen. Sez. I, sent. n. 18168/2016.
[9] Così in Relazione, cit., p. 5.
[10] Ibidem.
[11] Ibidem.
[12] Sul principio di personalità della responsabilità penale, ex multis, A. Alessandri, voce Impresa (responsabilità penali), in Dig. disc. pen., Utet, 1992, p. 198 ss.; E. Dolcini, Principi costituzionali e diritto penale alle soglie del nuovo millennio. Riflessioni in tema di fonti, diritto penale minimo, responsabilità degli enti e sanzioni, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 19 ss.; D. Pulitanò, La responsabilità “da reato” degli enti: i criteri d'imputazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, p. 415 ss.; G. De Vero, Trattato di diritto penale. La responsabilità penale delle persone giuridiche, Giuffrè, 2008, cit., p. 31 ss.
[13] Così si legge a p. 15 della sentenza Impregilo.