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18 Novembre 2019


Il nuovo meccanismo del Protocollo 16: un “rinvio pregiudiziale convenzionale” per rafforzare il dialogo con la Corte EDU?


1. Con la richiesta di parere consultabile in allegato[1], il 9 agosto 2019 la Corte costituzionale armena ha attivato il meccanismo previsto dal Protocollo 16 addizionale alla Convenzione EDU[2]chiedendo alla Corte europea dei diritti dell’uomo di pronunciarsi in sede consultiva su alcuni profili legati all’interpretazione dell’art. 7 della CEDU, in base al quale, come noto, “nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che al momento in cui è stata commessa non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”.

In particolare, sono stati chiesti dei chiarimenti in riferimento al concetto di “legge” rilevante ai sensi dell’art. 7, alla nozione di certezza della legge, di accessibilità, di prevedibilità, di stabilità e di non retroattività della legge penale: tutti profili rilevanti ai fini della risoluzione di due giudizi di costituzionalità pendenti in Armenia in relazione all’art. 300.1 del Codice penale (riguardante il sovvertimento dell’ordine costituzionale), il primo sottoposto dalla Corte di prima istanza della giurisdizionale generale di Yerevan e il secondo dall’ex presidente dell’Armenia Robert Kocharyan[3]

La richiesta è stata accolta in data 11 ottobre 2019[4], ma, al di là della questione di merito, su cui i giudici di Strasburgo devono ancora pronunciarsi, è interessante soffermarsi sulle caratteristiche del nuovo meccanismo previsto da Protocollo 16, anche tenendo conto delle rilevanti riflessioni di recente pubblicate, a tal riguardo, da due giudici della Corte EDU (Síofra O’Leary e Tim Eicke, giudici eletti rispettivamente per l’Irlanda e il Regno Unito)[5]

Il Protocollo 16 è entrato in vigore il 1° agosto 2018 nei dieci Paesi che, ad oggi, hanno depositato la ratifica, ossia Albania, Armenia, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Lituania, San Marino, Slovenia e Ucraina. Gli Stati aderenti hanno iniziato fin da subito ad usufruirne: l’Armenia è stato il secondo Paese ad attivare la procedura, dopo la Francia

La prima applicazione del Protocollo si deve quindi alla Corte di Cassazione francese, nella sua composizione più autorevole (assemblea Generale), che nell’ottobre 2018 ha sospeso un procedimento al suo esame chiedendo ai giudici di Strasburgo di chiarire se rientri nel margine di apprezzamento delle autorità nazionali il rifiuto di trascrivere nei registri dello stato civile un atto di nascita riguardante un bambino nato all’estero da maternità surrogata che designi come madre quella non biologica e come padre quello biologico[6]. La Corte ha risposto a tale richiesta di parere nell’aprile 2019[7]

Per quanto riguarda invece l’Italia, il 10 agosto 2018 è stato presentato il Disegno di legge A.C. 1124 avente ad oggetto la ratifica ed esecuzione del Protocollo, ma la procedura di approvazione non si è ancora conclusa: ad oggi, dunque, non è possibile utilizzare tale strumento nel nostro ordinamento. 

Nondimeno, dato che il meccanismo previsto dal Protocollo 16 potrebbe rivestire una significativa importanza nell’implementazione del dialogo tra le Corti a garanzia di una più effettiva tutela dei diritti tutelati dalla Convenzione, nelle more della ratifica da parte del nostro Paese, pare opportuno soffermarsi a precisare la relativa procedura di funzionamento, le finalità che ne hanno giustificato l’introduzione, i benefici che potrebbero derivare dal suo utilizzo.  

 

2. Il Protocollo 16, all’art. 1, prevede che le giurisdizioni superiori degli Stati aderenti possano richiedere alla Corte EDU un’opinione consultiva in via incidentale in riferimento a “questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla convenzione o dai suoi protocolli” rilevanti per i procedimenti in corso[8]L’attivazione della procedura è dunque facoltativa e, peraltro, la richiesta di parere può anche essere ritirata dalla Corte richiedente in qualsiasi momento fino alla pronuncia della Grande Camera[9]

Nell’esporre il contesto giuridico e fattuale rilevante, l’autorità giudiziaria che presenta la richiesta deve chiarire le seguenti circostanze: i) l’oggetto del procedimento interno e le risultanze rilevanti dei fatti acquisiti nel corso del procedimento interno, o almeno una esposizione dei fatti rilevanti; ii) le norme di legge interne che si ritengono coinvolte; iii) i diritti o le libertà invocati contenuti nella Convenzione; iv) se di qualche utilità, una sintesi delle osservazioni delle parti nel procedimento interno in questione; v) se possibile e opportuno, una relazione sulle considerazioni e le valutazioni della questione compiute della corte che avanza la richiesta.

Ai sensi dell’art. 2, l’accoglimento o il rifiuto della richiesta sono subordinati alla decisione di un collegio di cinque giudici (tra cui il giudice dello Stato richiedente) e sono rimessi alla discrezionalità della Corte. In caso di rigetto della domanda, il rifiuto deve essere motivato. In caso di accoglimento, la Grande Camera (la quale deve includere anche il giudice dello stato richiedente) fornisce un parere consultivo, il quale viene pubblicato e comunicato alla corte o al tribunale richiedente e allo Stato contraente. I giudici, peraltro, in occasione dell’emissione del parere possono anche rilasciare “opinioni separate”

È importante sottolineare, tuttavia, che il parere non è in alcun modo vincolante e l’eventualità che l’autorità richiedente disattenda il contenuto del parere consultivo non incide in alcun modo sulla facoltà del singolo di proporre, a conclusione del giudizio, un ricorso individuale ex art. 34 della Convenzione. In tale sede, la Corte potrebbe confermare il suo precedente parere oppure discostarsene.

 

3. La finalità che ha condotto all’introduzione del Protocollo 16 è quella di rendere più efficiente il sistema dei ricorsi presso la Corte EDU. Infatti, alla base di tale iniziativa vi è la consapevolezza del suo difficile funzionamento a causa della molteplicità delle questioni che le vengono sottoposte[10]. Paradossalmente, in tale prospettiva, l’attività della Corte rischia infatti di determinare la violazione del diritto del cittadino alla durata ragionevole del processo (art. 6, par. 1, CEDU). 

La genesi di tale meccanismo deriva dunque da esigenze interne di natura organizzativa dell’istituzione europea, chiamata a proteggere l’efficienza complessiva del sistema convenzionale (piuttosto che dalle sollecitazioni provenienti dalle autorità giurisdizionali statali) e trova fondamento nella volontà di assicurare, in definitiva, un bilanciamento equo tra la necessità diridurre il contenzioso CEDU e l’effettività della tutela dei diritti umani

 

4. Il Protocollo 16, oltre a rendere potenzialmente più efficiente il sistema dei ricorsi, potrebbe apportare un significativo contributo all’implementazione del c.d. sistema multilivello di tutela dei diritti fondamentali, considerando l’impatto che hanno le pronunce della Corte EDU sulla giurisprudenza degli ordinamenti nazionali. Infatti, se è vero che la Corte si trova a svolgere la funzione di giudice del caso concreto, assume però al contempo le sembianze di una Corte “quasi costituzionale”[11].

Non a caso, tale nuovo strumento è stato assimilato al cd. rinvio pregiudiziale[12]di cui all’art. 267 TFUE, cioè al meccanismo attivabile dai giudici nazionali (compresa la Corte costituzionale) per sottoporre questioni interpretative alla Corte di Giustizia dell’Unione europea in riferimento a norme comunitarie, sebbene vi siano delle sostanziali differenze. Tra le più rilevanti, due, in particolare, di cui già si è detto: in primo luogo, la richiesta di parere da parte delle Alte Corti nazionali è sempre facoltativa, mentre il rinvio pregiudiziale da parte delle giurisdizioni di ultima istanza è obbligatorio (salvo alcune eccezioni); in secondo luogo, il parere consultivo emesso dalla Corte EDU non produce effetti vincolanti, mentre il provvedimento emesso dai giudici di Lussemburgo è vincolante sia per la giurisdizione nazionale che ha richiesto il rinvio, sia per tutte le altre giurisdizioni degli Stati membri[13].

Cionondimeno, pare comunque possibile compiere un parallelismo, con riferimento alla portata potenzialmente generale del parere emesso dalla Corte EDU, che potrebbe comunque trascendere la soluzione del caso di specie. Infatti, il parere dovrebbe contenere, secondo la dottrina, “un giudizio astratto, teso a chiarire in via preliminare il contenuto delle norme convenzionali, fornendo quindi un ausilio al giudice nazionale che potrà, così, prevenirne la violazione ovvero, se già commessa, porvi rimedio”[14]

È vero che, in occasione della prima applicazione della procedura consultiva da parte della Francia, la Corte ha dato l’impressione di non voler valorizzare la portata oggettiva del parere (fornendo chiarimenti generali sugli obblighi derivanti dalle clausole della convenzione), bensì di voler privilegiare la formulazione di risposte puntuali alle questioni circoscritte sollevate dai casi di specie. Tuttavia, il rilievo del parere al di là del caso di specie e la portata oggettiva e generale della procedura sarebbero testimoniati dalla partecipazione anche di terze parti: sono infatti intervenuti nel procedimento, come consentito dall’art. 3 del Protocollo 16, i governi di tre Stati terzi, nonché diverse organizzazioni non governative e centri di ricerca interessati alla questione.

Lo confermano, da ultimo, le riflessioni dei due giudici della Corte EDU pubblicate nell’ottobre 2019[15], cui si è già fatto riferimento, laddove si afferma che limitare il valore dell’opinione trasmessa solo alla questione sottoposta dal Tribunale richiedente vorrebbe dire fraintendere la natura e l’intento del Protocollo stesso. Infatti, secondo i giudici, tale meccanismo permette alla Corte EDU di esprimere orientamenti di portata più generale rispetto a quanto è possibile fare a seguito dei ricorsi individuali ex art. 34 CEDU. Inoltre, sebbene il parere non sia vincolante, l’interpretazione delle disposizioni della Convenzione fornite dalla Corte si ritiene comunque dotata di una certa autorevolezza non solo nei confronti degli Stati membri che aderiscono (anche se non intervengono nella procedura), ma anche di quelli che non hanno ratificato il Protocollo.

A prescindere dalla volontà che sembra manifestare la Corte, si potrebbe quindi desumere che i suddetti pareri, seppur emessi per risolvere questioni particolari, possano avere comunque un impatto sugli orientamenti giurisprudenziali dei tribunali nazionali, se non immediato, quantomeno mediato. Infatti, tale attività consultiva potrebbe contribuire ad eliminare il margine di incertezza interpretativa sulle norme della Convenzione e ad agevolare la trasparenza delle soluzioni interpretative, con la conseguenza che i giudici nazionali saranno probabilmente portati a conformarsi all’interpretazione data dai giudici di Strasburgo per evitare di incorrere in una violazione accertata tramite ricorso individuale ex art. 34 CEDU[16]. In tal modo, diminuirebbero infatti i rischi di un “effetto sorpresa” scaturito da un’eventuale decisione della Corte di Strasburgo che disattenda l’opinione consolidata della giurisprudenza nazionale.

Il Protocole du dialogue, come ribattezzato dal Presidente della Corte EDU Spielmann[17], ha la potenzialità, in definitiva, di rendere ancora più fruttuoso ed efficace il dialogo tra le Corti finalizzato alla tutela dei diritti umani mediante il rafforzamento dei tratti “costituzionali” della giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

A ciò si aggiunga che, qualora si concludesse l’iterdi adesione dell’Unione Europea alla CEDU, il Protocollo potrebbe anche, nell’ottica di un ancora più forte dialogo tra le corti[18], rappresentare un meccanismo di raccordo tra la Corte EDU e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea[19]. La terminologia utilizzata dai redattori farebbe infatti propendere a favore della futura inclusione della Corte di Lussemburgo tra le giurisdizioni legittimate a richiedere una pronuncia consultiva della Corte di Strasburgo, laddove si fa riferimento alle “high contracting parties” e non agli Stati membri e si parla genericamente di “pending cases” e non di casi pendenti a livello nazionale[20].

Peraltro, la Corte di Giustizia ha espresso il timore che, a seguito dell’adesione dell’Unione Europea alle CEDU[21]i Tribunali nazionali facciano un uso improprio del Protocollo 16 al fine di eludere la procedura di rinvio pregiudiziale, che, come si è già sottolineato, ha un’incidenza molto maggiore sugli orientamenti delle Corti nazionali. A tal proposito, alcuni commentatori hanno replicato che una chiara delimitazione della propria giurisdizione da parte della Corte EDU potrebbe evitare interferenze e, in ogni caso, l’eventuale tentativo di “forum shopping” da parte delle giurisdizioni nazionali potrebbe essere sanzionato in diversi modi, anche mediante l’avvio di procedure di infrazione[22].

 

5. In riferimento alla situazione italiana, il Disegno di legge[23]che è stato predisposto ai fini della ratifica del Protocollo 16 si compone di tre articoli, tra cui rileva, per comprendere il funzionamento della procedura, l’art. 3. In particolare, nel comma 1 si procede all’individuazione delle “più alte giurisdizioni” titolate ad inviare la richiestadi parere consultivo alla Corte EDU, ossia la Corte di Cassazione, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti e il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana.

La Corte costituzionale non è quindi stata inserita tra le più alte giurisdizioni: una scelta formalmente legittima dato che i redattori del Protocollo 16, coerentemente con il principio di sussidiarietà, hanno lasciato ai Paesi membri un’ampia discrezionalità in merito alla individuazione del giudice “a quo”. Cionondimeno, si segnala che il comma 3 dispone che la Consulta possa comunque provvedere con proprio regolamento[24], così da non escludere del tutto la Corte costituzionale dalla nozione di “alta giurisdizione”, lasciando alla stessa ogni valutazione in merito all’opportunità di divenire soggetto legittimato a proporre il rinvio oggetto del Protocollo 16. Il che, peraltro, sarebbe certamente auspicabile tenendo conto delle diverse occasioni di confronto che hanno coinvolto il giudice costituzionale e la Corte EDU[25].

Con riferimento ai profili procedurali, ilcomma 2 prevede la facoltà per il giudice di sospendere il processo in corso sino alla ricezione del parere consultivo della Grande Camera. Sotto questo aspetto la legge di ratifica del Protocollo 16 non incide in realtà sulla normativa nazionale vigente in tema di sospensione, ma si limita a introdurre una nuova ipotesi di sospensione facoltativa dei processi dinanzi alle più alte giurisdizioni nazionali.

Nonostante tale progetto di legge, tuttavia, ad oggi il Protocollo non è ancora stato ratificato. Nel gennaio 2019 la Corte costituzionale si è appellata al legislatore invitandolo a provvedere[26], ponendo l’accento sull’importanza strategica del “dialogo tra la Corte di Strasburgo e le Corti italiane”, che verrebbe ulteriormente valorizzato attraverso questo strumento. Qualora l’appello della Corte costituzionale venisse seguito, per l’Italia, quale contraente che esprime successivamente il proprio consenso a essere vincolato dal Protocollo 16, l’applicazione di quest’ultimo avverrà il primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dalla data in cui hanno espresso il loro consenso a essere vincolate dal Protocollo, come indicato espressamente dall’art. 8 del Protocollo stesso.

 

6. Alla luce di quanto emerso dall’analisi di tale strumento, è evidente che il nostro Paese potrebbe trarre dei benefici dall’instaurazione di un dialogo incidentale con la Corte EDU in sede “consultiva”. A riprova di ciò, si pensi a quanto emerso dalla sentenza 49/2015 della Corte costituzionale, in cui il giudice delle leggi ha legittimato la possibilità del giudice ordinario di discostarsi dalle statuizioni della Corte EDU, operando una distinzione tra “giurisprudenza consolidata” e singole pronunce ancora isolate o comunque non espressive di un orientamento conforme. Nei confronti di queste ultime, secondo la Consulta, sarebbe infatti senz’altro da escludere un obbligo in capo al giudice comune di conformarvisi[27].

Tale sentenza, in cui è stata intravista la volontà della Corte di erigere degli steccati a tutela dell’equilibrio del sistema vigente[28], dimostra anche che il meccanismo previsto dal Protocollo potrebbe essere utilmente esperito nei casi in cui non vi sia orientamento consolidato (o sufficientemente chiaro) espresso dalla Corte EDU.  L’attivazione di tale meccanismo potrebbe dare la possibilità ai giudici nazionali di rivolgersi in via preventiva alla Corte EDU per ottenere un parere su una questione interpretativa riguardante la portata o i limiti di un principio espresso dalla Convenzione[29]. In tal modo, dunque, si potrebbe potenzialmente limitare il rischio di pronunce contrastanti rispetto all’orientamento affermatosi a Strasburgo.

 

 

[1] La richiesta di parere è disponibile al seguente link.

[2] Clicca qui per il Protocollo 16 e qui per il relativo rapporto esplicativo.

[3] In particolare, tali giudizi riguardano la compatibilità dell’art. 300.1, entrato in vigore nel marzo 2009, con gli artt. 72 (principio di legalità), 73 (principio di irretroattività della norma penale più sfavorevole) e 79 (principio di certezza) della Costituzione armena. Secondo i ricorrenti, la norma è stata applicata nei confronti di Kocharyan in riferimento ad eventi verificatisi nel marzo 2008, nonostante non fosse in vigore a quel tempo e il trattamento sanzionatorio fosse più sfavorevole rispetto a quello previsto dall’art. 300 del Codice penale, allora in vigore.

[4] L’accettazione della richiesta è disponibile a questo link

[5] La riflessione pubblicata dai due giudici della Corte EDU è disponibile al seguente link.

[6] Sul punto v. M. Pappone, In attesa dell’italia, alcune riflessioni dopo l’entrata in funzione del Protocollo Addizionale n. 16 nell’ordinamento francese, in Diritti Comparati, 29 ottobre 2018.

[7] L’opinione consultiva resa dalla Corte è consultabile a questo link.

[8] Per comprendere quali siano le questioni cui fa riferimento l’art. 1 del Protocollo, secondo quanto affermato dai due giudici della Corte EDU nelle loro riflessioni sul Protocollo (consultabili a questo link, in particolare p. 7 e 12) si dovrà guardare alla prassi instaurata dalla Corte (in particolare, quale tipo di richiesta viene accettata, nonché fare riferimento anche al Rapporto esplicativo al Protocollo 11, che ha ristrutturato il meccanismo di controllo previsto dalla Convenzione (disponibile al seguente link), il quale fa riferimento a questioni che potrebbero determinare un cambiamento di indirizzo interpretativo rispetto ad una consolidata giurisprudenza o sollevare questioni importanti di interesse generale. Infine, si ipotizza un accoglimento implicito da parte della Corte EDU della “teoria dell’atto chiaro” (acte clair doctrine), adottata dalla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale, secondo la quale non vengono accolte le questioni che riguardano norme dal significato chiaro e univoco.

[9] In realtà, il limite di tempo entro il quale ritirare la richiesta non è esplicitato, ma, per analogia con i procedimenti controversi dinanzi alla Corte, attualmente il ritiro dovrebbe essere possibile in qualsiasi momento fino alla pronuncia della Grande Camera. Potrebbero eventualmente esserci delle restrizioni in futuro. Si veda a tal proposito questo link, in particolare p. 6.

[10] In generale sulle ragioni alla base dell’introduzione del Protocollo 16 si rinvia a R. Conti, La richiesta di “parere consultivo” alla Corte europea delle Alte Corti introdotto dal Protocollo n. 16 annesso alla CEDU e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE. Prove d’orchestra per una nomofilachia europea, cit., nonché a I. Anro, Il Protocollo 16 in vigore dal 1° agosto 2018: una nuova ipotesi di forum shopping tra le corti?, in Eurojus, 24 aprile 2018.

[11] Per approfondimenti v. E. Lamarque, La richiesta di pareri consultivi alla Corte di Strasburgo da parte delle più alte giurisdizioni nazionali, Milano, 2015.

[12] Cfr. R. Conti, La richiesta di “parere consultivo” alla Corte europea delle Alte Corti introdotto dal Protocollo n. 16 annesso alla CEDU e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE. Prove d’orchestra per una nomofilachia europea, cit.

[13] Cfr. sul punto qui, p. 6.

[14] Cfr. E. Cannizzaro, in La richiesta di pareri consultivi alla Corte di Strasburgo da parte delle più alte giurisdizioni nazionali, cit. 81.

[15] Testualmente: “it has the possibility, given the more “constitutional” nature of the new procedure to express, clarify or develop general principles in a context broader than the individual facts of an individual case may permit. The Article 34 individual applications vehicle is subject to the risk – in certain cases, in certain circumstances and with reference to certain Convention questions – of obfuscating those general principles given the degree to which the relevant judicial formation concentrates on their application in the circumstances of a concrete case” (..). This would mean, however, that even if an advisory opinion does not bind the requesting national Court when resolving the case before it, the interpretation of the Convention provision(s) provided by the Court is nevertheless an authoritative one. In addition, even for those Member States which decide not to ratify Protocol No. 16, it is difficult to avoid the conclusion that any opinions handed down on that basis will carry equal weight in cases involving them. An alternative view, if other Member States are not involved or do not involve themselves in the procedure, would be that the resulting advisory opinion is addressed only to the requesting court. However, Member States (and the public in general) are already alerted via the Court’s Hudoc database of all communicated cases. A decision not to intervene when informed of a pending advisory opinion procedure should not detract from the generality of the guidance provided by the Court. Both the formation chosen to provide advisory opinions and the nature of the questions which can be the subject of requests suggest that limiting the value of the opinion handed down to the requesting court only is to misconstrue the nature and intent of the protocol and the procedure it provides for.  Cfr. qui, p. 8.

[16] A tal riguardo, si dovrà stabilire un modo per armonizzare la nuova competenza consultiva della Corte con i ricorsi individuali ex art. 34 CEDU, stabilendo dei livelli di priorità. Dal rapporto esplicativo emerge, peraltro, che alle richieste interpretative verrà data “high priority” per garantire una ragionevole durata del processo pendente. Cfr. sul punto G. Asta, Il Protocollo XVI alla CEDU: chiave di volta del sistema europeo di tutela dei diritti umani?, in www.sioi.org, 13.

[17] Discorso del Presidente della Corte EDU Dean Spielmann alla 123a Sessione del Comitato dei Ministri, 16 maggio 2013. Il testo del discorso è consultabile online al sito internet www.echr.coe.int

[18] Sui rapporti tra le due Corti, nell’ambito dell’adesione dell’Unione Europea alla CEDU, si veda,inter alia, A. Tizzano, Les Cours Européennes et l’adhésion de l’Union à la CEDH, in Dr. Un. Eur., 2011, 29 ss; F. Perrini, Convenzione europea dei diritti dell'Uomo e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: un sistema normativo coerente di tutela dei diritti umani nel continente europeo?, in Panella - Spatafora (a cura di), Studi in onore di Claudio Zanghì, Torino, 2011, Vol. III, 809-830.

[19] La fattibilità di un sistema di collegamento tra le Corti di Strasburgo e Lussemburgo è stata discussa a più riprese in seno al Consiglio d’Europa (su tutti si veda CDDH, Study of Technical and Legal Issues of a Possible EC/EU Accession to the European Convention on Human Rights, CDDH(2002)10 Addendum 2, §§75-77 e 81). Per quanto riguarda invece l’Unione europea, il Parlamento europeo si è dimostrato restio ad una formalizzazione dei rapporti tra le due Corti mediante l’istituzione di un meccanismo di tipo pregiudiziale (cfr. Parlamento europeo, Institutional aspects of accession by the European Union to the European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms, 2009/2241(INI), 19 maggio 2010). Nel primo incontro dell’Informal Group incaricato di studiare le problematiche legate all’adesione dell’UE alla CEDU (CDDH-UE) fu infine deciso di non includere nell’accordo di adesione la questione dei rapporti tra le due Corti (1st Meeting of the CDDH Informal Working Group on the Accession of the European Union to the European Convention on Human Rights (CDDH-UE) with the European Commission, CDDH-UE(2010)01, §18). 

[20]A utorevole dottrina ha in diverse occasioni supportato l’idea della creazione di un meccanismo pregiudiziale che potesse permettere alla Corte di Lussemburgo di sottoporre alla Corte europea dei diritti dell’uomo eventuali questioni interpretative sui diritti garantiti dalla CEDU. Sul punto si vedano G. Cohen-Jonathan, la problématique de l’adhésion des communautés européennes à la convention européenne des droits de l’homme, in mélanges pierre henri teitgen, paris, 1984, 107-108; A. Pitrone, La competenza consultiva della Corte europea dei diritti dell’uomo nell’ambito dell’adesione dell’Unione europea alla CEDU, in Grotius, 5/2008, 162 ss. 

[21] Testualmente: “since [after accession] the ECHR would form an integral part of EU law, the mechanism established by that protocol could — notably where the issue concerns rights guaranteed by the Charter corresponding to those secured by the ECHR — affect the autonomy and effectiveness of the preliminary ruling procedure provided for in Article 267 TFEU. In particular, it cannot be ruled out that a request for an advisory opinion made pursuant to Protocol No. 16 by a court or tribunal of a Member State that has acceded to that protocol could trigger the procedure for the prior involvement of the Court of Justice, thus creating a risk that the preliminary ruling procedure provided for in Article 267 TFEU might be circumvented, a procedure which, […] is the keystone of the judicial system established by the Treaties.” Cfr. parere 2/13, EU:C:2014:2454, par. 196-199.  

[22] Cfr. qui, p. 19-20. 

[23] Si tratta del Disegno di legge A.C. 1124, presentato il 10 agosto 2018.

[24] Ciò in conformità agli articoli 14, primo comma, e 22, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.

[25] Ex multis, v. Scoppola c. Italia, 17 settembre 2009 sulla retroattività della lex mitior;  Grande Stevens c. Italia, 4 marzo 2014 sul tema del ne bis in idem; Contrada c. Italia, 14 aprile 2015 sul principio di legalità convenzionale inteso come prevedibilità della decisione; De Tommaso c. Italia, 23 febbraio 2017 sulle misure di prevenzione personali; Sud fondi e altri c. Italia, 20 gennaio 2009, Varvara c. Italia, 29 ottobre 2013, G.I.E.M. e altri c. Italia, 18 giugno 2018 sul tema della confisca senza condanna. A seguito di tali pronunce della Corte EDU la Corte costituzionale ha “risposto” talvolta accogliendo in pieno e talvolta limitando la portata dei principi espressi dai giudici di Strasburgo.

[26] Il comunicato stampa dell’11 gennaio 2019 è consultabile qui.

[27] In tal modo, a parere della Corte, si favorirebbe un approccio dialogico e cooperativo piuttosto che verticistico: i giudici interni potrebbero discostarsi dalla soluzione affermatasi provvisoriamente a Strasburgo, e sperimentare invece soluzioni differenti, che potrebbero indurre anche i giudici europei a mutare opinione in casi successivi, tenuto conto degli argomenti spesi dai giudici nazionali.

[29] Si pensi, ex multis, alla nozione di “matièr penal” rilevante per la Convenzione, al principio di legalità di cui all’art. 7 e ai suoi corollari, al principio del ne bis in idem