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18 Novembre 2019


Le novità in materia di reati tributari e di responsabilità degli enti contenute nel c.d. decreto fiscale (d.l. n. 124/2019)

Note a prima lettura del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (“Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”)



1. Il 26 ottobre 2019 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legge n. 124/2019, recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”, noto alle cronache come “decreto fiscale”.

Le novità direttamente incidenti sul sistema penale sono contenute nel Capo IV del decreto, composto da un unico articolo – l’art. 39 – strutturato in tre commi. Il primo modifica la disciplina di cui al d.lgs. n. 74/2000 sui reati tributari (infra, § 2); il secondo novella il d.lgs. n. 231/2001 sulla responsabilità da reato degli enti (infra, § 3); il terzo precisa che tutte le novità contenute nei due precedenti commi avranno efficacia dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del decreto.

Tenendo a mente quest’ultimo non trascurabile profilo temporale, sul quale torneremo in seguito (infra, § 4), volgiamo anzitutto un rapido sguardo alle novità introdotte in materia penale.

 

2. Le modifiche in materia di reati tributari di cui al d.lgs. n. 74/2000. - Le novità in materia di reati fiscali si muovono lungo due principali linee direttrici, entrambe convergenti nel senso di un inasprimento della politica criminale in questa materia e compendiate nel noto slogan “manette agli evasori”. Da un lato si intensifica il trattamento sanzionatorio per molti di questi reati; dall’altro si abbassano le soglie di punibilità ivi previste, in senso ampliativo dell’area di rilevanza penale dell’evasione fiscale e dunque – come si metterà in luce – in controtendenza rispetto alla precedente riforma del 2015[1].

 

2.1. Nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2), la pena viene elevata dalla reclusione da un anno e sei mesi a sei anni a quella della reclusione da 4 a 8 anni.

Viene peraltro introdotto nella norma un comma 2-bis in forza del quale il previgente trattamento sanzionatorio (reclusione da un anno e sei mesi a sei anni) viene mantenuto nella sola ipotesi in cui l’ammontare degli elementi passivi fittizi sia inferiore a 100.000 euro.

Una simile riduzione di pena legata all’entità della passività fittizia era in passato già stata prevista (con una soglia di euro 154.937,07) al terzo comma della disposizione, ma era successivamente stata rimossa a seguito dell’abrogazione di tale comma ad opera d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 settembre 2011, n. 148.

 

2.2. Viene intensificato il trattamento sanzionatorio anche per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3), in relazione al quale si passa dalla pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni alla pena della reclusione da 3 a 8 anni.

Non viene in questo caso toccata la soglia di punibilità, che resta dunque quella a) dell’imposta evasa superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 30.000 euro; b) dell’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque superiore a un milione cinquecentomila euro (soglia così innalzata proprio in occasione della citata riforma del 2015); ovvero dell’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, superiore al 5% dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a 30.000 euro.

 

2.3. Nel reato di dichiarazione infedele (art. 4) l’intervento aggravatore si esplica invece in entrambi i sensi sopra anticipati. Da un lato si modifica in eccesso la cornice edittale, che passa dalla reclusione da uno a tre anni alla reclusione da 2 a 5 anni; dall’altro vengono ridotte le soglie di punibilità previste tanto alla lettera a (ove la soglia di imposta evasa passa da 150.000 a 100.000 euro), quanto alla lettera b della norma (ove la soglia degli elementi attivi sottratti all’imposizione è ridotta da tre milioni a  due milioni di euro).

La soglia di cui alla lett. b) viene quindi riportata esattamente a quella vigente fino a prima della riforma del 2015, mentre la soglia di punibilità, pure abbassata, viene mantenuta ad un livello comunque superiore a quello precedente al 2015, quando cioè si attestava sui cinquantamila euro.

Sempre all’art. 4, inoltre, il decreto fiscale abroga la disposizione di cui al comma 1-ter in forza della quale si escludeva la punibilità delle “valutazioni” che, singolarmente considerate, differissero in misura inferiore al 10% da quelle corrette, precisando altresì che gli importi compresi in tale percentuale non fossero computati ai fini del superamento delle soglie di punibilità.

Viene così rimossa una disposizione che di fatto riproduceva in relazione alla sola dichiarazione infedele il disposto dell’abrogato art. 7, comma 2, d.lgs. 74/2000[2] e che aveva destato più di una perplessità per il fatto di limitare quantitativamente delle valutazioni in un ambito nel quale – in forza del disposto del comma 1-bis del medesimo articolo – esse sembrano già escluse dall’area di rilevanza penale [3].

 

2.4. La risposta punitiva si inasprisce anche per il reato di omessa dichiarazione (art. 5): la cornice edittale sarà – tanto al comma 1, quanto al comma 1-bis – non più quella della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni, ma quella della reclusione da 2 a 6 anni.

 

2.5. Come preventivabile, all’intervento legislativo sui reati fiscali dichiarativi è corrisposta una contestuale intensificazione della reazione sanzionatoria al reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” (art. 8), ove l’attuale pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni viene elevata a quella della reclusione da 4 a 8 anni; con la precisazione – inserita in un nuovo comma 2-bis – che la pena rimane invece quella della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni  “se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per periodo d’imposta, è inferiore a euro centomila”.

 

2.6. Viene inoltre innalzata la pena prevista per il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili” (art. 10), ove si passa dalla pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni ad una cornice che va da un minimo di 3 anni a un massimo di 7 anni di reclusione.

 

2.7. Un’ulteriore rilevante modifica riguarda i reati di omesso versamento, le cui soglie di punibilità vengono ritoccate al ribasso.

Nel reato di omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis) la soglia di 150.000 euro viene portata a 100.000 euro.

Nel reato di omesso versamento di IVA (art. 10-ter) alla soglia di 250.000 euro viene sostituita quella di 150.000 euro.

Sul punto l’attuale intervento si pone ancora una volta in controtendenza rispetto alla manovra di parziale depenalizzazione operata con la già citata riforma del 2015. Si rammenterà infatti che, fino ad allora, la soglia era fissata sia all’art. 10-bis che all’art. 10-ter nella misura di 50.000 euro; misura che era stata nel 2015 triplicata all’art. 10-bis e quintuplicata all’art. 10-ter con conseguente abolitio criminis parziale.

Con l’odierno decreto fiscale non si ritorna al grado di severità vigente fino al 2015, ma si ridimensiona l’effetto di depenalizzazione prodotto da quella riforma, attestandosi il confine dell’area di rilevanza penale ad un livello intermedio, con un conseguente effetto di incriminazione di fatti nuovi, che dovrà evidentemente sottostare al principio di irretroattività in peius.

Peraltro, questo fenomeno di fluttuazione delle soglie dovuto alla successione di leggi comporterà altresì che fatti che costituivano reato nel momento in cui furono commessi prima della riforma del 2015 e che costituiranno reato anche al momento del giudizio in forza del presente decreto non saranno comunque punibili in virtù della regola della c.d. legge intermedia ex art. 2, comma 2, c.p., proprio perché non costituivano reato nel periodo intercorrente tra il 2015 e il 2019[4]. Questa, in concreto, potrebbe essere la sorte delle condotte, commesse prima della riforma del 2015, di omesso versamento di ritenute per un ammontare compreso tra 100.000 e 150.000 euro e di omesso versamento di IVA per un ammontare compreso tra 150.000 e 250.000 euro.

 

2.8.  Importante, ancora, è l’introduzione di un nuovo art. 12-ter, che prevede l’applicabilità della c.d. confisca allargata in caso di condanna o patteggiamento per qualsiasi delitto previsto dal d.lgs. n. 74/2000 – fatta eccezione per i soli reati di omesso versamento di cui agli artt. 10-bis e 10-ter – quando:

a) nel delitto di cui all’art. 2, l’ammontare degli elementi passivi fittizi è superiore a 100.000 euro;

b) nei delitti previsti dagli artt. 3 e 5, comma 1, l’imposta evasa è superiore a 100.000 euro;

c) nel delitto di cui all’art. 5, comma 1-bis, l’ammontare delle ritenute non versate è superiore a 100.000 euro;

d) nel delitto di cui all’art. 8, l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è superiore a 100.000 euro;

e) nel delitto di cui all’art. 10-quater, l’indebita compensazione ha ad oggetto crediti non spettanti o inesistenti superiori a 100.000 euro;

f) nel delitto di cui all’art. 11, comma 1, l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore a 100.000 euro;

g) nel delitto di cui all’art. 11, comma 2, l’ammontare degli elementi attivi inferiori a quelli effettivi o degli elementi passivi fittizi è superiore a 100.000 euro;

h) in ogni caso di condanna o patteggiamento per i delitti previsti dagli artt. 4 e 10.

In questo modo il decreto in oggetto crea un regime differenziato all’interno di ogni singola fattispecie incriminatrice, al dichiarato scopo di colpire più severamente i c.d. “grandi evasori”: superata la soglia di rilevanza penale del fatto, per far scattare l’operatività della confisca allargata sarà necessario superare un’ulteriore soglia. Vi sarà dunque una fascia di condotte sottoposte al solo regime “ordinario” della confisca prevista dall’art. 12-bis, e un’altra fascia di condotte più gravi (che cioè superano anche le soglie indicate dall’art. 12-ter) rispetto alle quali sarà applicabile anche la confisca c.d. allargata di cui all’art. 240-bis c.p.

Fanno eccezione a questo sistema “a doppio schema” le sole fattispecie di cui agli artt. 4 e 10, rispetto alle quali è sempre applicabile la confisca allargata. Scelta, quest’ultima, che appare comprensibile rispetto all’art. 10, in quanto punisce condotte di distruzione o occultamento di documenti o scritture, ma che sembra invece meno scontata rispetto all’art. 4, ove – essendo contemplate delle soglie – avrebbe potuto astrattamente operare il “doppio schema” previsto in relazione alle altre fattispecie incriminatrici. Ulteriore eccezione, ma nell’opposto senso di ritenere che non sia mai applicabile la confisca allargata, è prevista per le fattispecie di omesso versamento ex artt. 10-bis e 10-ter; ciò presumibilmente in ragione della minore gravità che contraddistingue la condotta tipica di queste fattispecie.

Come noto, la confisca c.d. allargata di cui all’art. 240-bis c.p. (nel quale è recentemente confluita la misura precedentemente prevista dall’art. 12-sexies l. 356/1992) ha ad oggetto il denaro, i beni o le altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. Questa confisca, dunque, consiste in una forma di ablazione fondata essenzialmente sulla sproporzione patrimoniale, sproporzione che permette una presunzione iuris tantum di origine illecita dei beni, secondo un meccanismo di accertamento non dissimile da quello proprio della confisca di prevenzione di cui al c.d. codice antimafia (d.lgs. 159/2011) [5].

Non va peraltro dimenticato che, al fine circoscrivere l’estensione di tale presunzione, la giurisprudenza ha elaborato l’accorgimento della c.d. “ragionevolezza temporale”, quale limite implicito della confisca allargata in base al quale il momento di acquisizione del bene di valore sproporzionato non dovrebbe risultare eccessivamente lontano dall’epoca di realizzazione del reato per cui è intervenuta condanna[6]: limite che dovrebbe ragionevolmente trovare applicazione anche in questo nuovo ambito applicativo della confisca in discorso.

Ulteriore limite, questa volta esplicito, all’operatività della confisca è peraltro desumibile dallo stesso art. 240-bis c.p., che contiene una clausola in base alla quale “in ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, salvo che l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge”. La ratio di questa previsione sembra essere quella di escludere dall’oggetto della confisca allargata quanto l’imputato abbia già restituito all’erario, evitando una duplicazione di apprensione del provento illecito. Tale precauzione – proprio nell’ambito dei reati tributari – era già adottata nel diritto vivente in forza di un consolidato indirizzo giurisprudenziale[7], ed era stata addirittura “rafforzata” dal legislatore del 2015 prevedendo, al secondo comma dell’art. 12-bis, che la confisca sia esclusa non solo per la parte che il contribuente ha effettivamente già versato all’erario, bensì anche per quella che “si impegna” a versare[8]. A stretto rigore letterale, qualora il decreto dovesse essere convertito in legge nell’attuale versione, la rilevanza dell’impegno a pagare l’imposta evasa ex art. 12-bis, comma 2, sembrerebbe poter operare solamente in relazione alla confisca “ordinaria” prevista da quello stesso articolo, mentre per la confisca allargata introdotta all’art. 12-ter sembrerebbe rilevare solamente l’effettiva restituzione all’erario.

Può infine rammentarsi che, in virtù del rinvio che il nuovo art. 12-ter fa all’art. 240-bis c.p., a sua volta richiamato dall’art. 578-bis c.p.p., il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato tributario estinto per prescrizione o per amnistia, potranno decidere sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, purché procedano ad un previo accertamento della responsabilità dell’imputato.

 

3. La novità in materia di responsabilità da reato degli enti.  - Va segnata, infine, l’introduzione all’interno del catalogo dei reati-presupposto della responsabilità dell’ente ex d.lgs. 231/2001 del reato di “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000.

Viene infatti aggiunto nel decreto 231 un nuovo art. 25-quinquiesdecies (“Reati tributari”) che commina in capo all’ente responsabile la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote; e che – possiamo aggiungere – renderà applicabile alla persona giuridica l’intero compendio di misure contemplate dal decreto 231, ivi compresa – tra l’altro – la confisca, anche per equivalente, del prezzo o profitto della dichiarazione fraudolenta realizzata nell’interesse o a vantaggio dell’ente[9].

La novella sembra costituire un “primo passo” verso un ampliamento del catalogo dei reati-presupposto ex d.lgs. 231/2001 ai delitti tributari, ampliamento sollecitato dal diritto dell’Unione europea, in particolare dalla c.d. direttiva PIF[10].

Tuttavia, da un lato, il decreto – rinviando in toto all’art. 2 d.lgs. 74/2000, e quindi all’evasione anche di imposte sui redditi – pare andare oltre a quelli che sono gli obblighi sovranazionali, che naturalmente riguardano solo imposte (in particolare l’IVA) che impattano sulle finanze europee; ciò che però potrebbe giustificarsi al fine di evitare irragionevoli disparità di trattamento. Dall’altro – rinviando solamente all’art. 2 d.lgs. 74/2000 e a nessun altro reato tributario “dichiarativo” in materia di IVA – sembra compiere un passo fin troppo piccolo rispetto all’esigenza di pieno adeguamento agli obblighi discendenti dalla direttiva PIF e di rispetto del principio di ragionevolezza e uguaglianza [11]. Infatti, l’art. 6 della direttiva – il cui termine di recepimento è scaduto nel luglio di quest’anno – impone di adottare le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere ritenute responsabili per tutte le frodi che offendano interessi finanziari dell’Unione europea ai sensi degli artt. 3, 4 e 5 della medesima direttiva, secondo una definizione ben più estesa rispetto alle condotte incriminate dal solo art. 2 d.lgs. 74/2000[12].

Vi sarà dunque auspicabilmente tempo per un ripensamento dell’intervento in questo delicato settore inerente al rapporto tra responsabilità degli enti e reati tributari, settore notoriamente dibattuto e lungamente indagato dalla dottrina[13], per lo più favorevole ad una responsabilizzazione delle personnes morales, ma anche spesso attenta a sottolineare i profili problematici che una acritica “aggiunta” potrebbe determinare sul piano – tra l’altro – di un attrito con il principio del ne bis in idem e, più in generale, di un cumulo sanzionatorio sproporzionato[14].

 

4. Profili temporali (e di costituzionalità) del decreto fiscale. - Come anticipato, l’art. 39, comma 3, del decreto in oggetto dispone che le novità sopra esaminate avranno efficacia dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del decreto e cioè – al più tardi – entro il Natale di quest’anno.

Questo differimento nell’entrata in vigore della novella, per vero, lascia sorgere più di un dubbio circa l’effettiva sussistenza di quella straordinaria necessità e urgenza che dovrebbe caratterizzare le materie fatte oggetto di decretazione governativa ai sensi dell’art. 77 Cost. e di cui, invece, sembra essere impudentemente confessata l’assenza.

Sulla legittimità costituzionale di tale previsione occorrerebbe dunque una seria riflessione, anche alla luce delle non del tutto univoche indicazioni provenienti dalla Consulta[15]. Peraltro, se il dubbio in questione è qui certamente acuito dalla prevista dilazione temporale della sua entrata in vigore, esso potrebbe più in generale riconnettersi all’ormai nota tendenza a considerare la riserva di legge in materia penale come compatibile rispetto all’attività normativa del governo, con contestuale dequotazione del ruolo dell’istituzione democratica parlamentare[16].

 

 

[1] Il riferimento è al d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, su cui si veda, tra i molti, I. Caraccioli, I nuovi reati tributari. Commento al D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, Milano, 2016; C. Nocerino, S. Putinati (a cura di), La riforma dei reati tributari. Le novità del d.lgs. n. 158/2015, Giappichelli, 2015. Per un commento allo schema di decreto si rinvia alle riflessioni svolte da S. Cavallini, Osservazioni 'di prima lettura' allo schema di decreto legislativo in materia penaltributaria, in Dir. pen. cont., 20 luglio 2015; nonché, volendo, S. Finocchiaro, Sull'imminente riforma in materia di reati tributari: le novità  contenute nello 'schema' di decreto legislativo, in Dir. pen. cont., 16 luglio 2015.

[2] Con la precisazione che, a differenza che nell’art. 7, al comma 1-ter dell’art. 4 si fa(ceva) riferimento genericamente alle valutazioni e non solo a quelle “estimative”. Sul punto cfr. anche E.D. Basso-A. Viglione, I nuovi reati tributari, Giappichelli, 2017, p. 114 s.

[3] In questo senso S. Cavallini, Osservazioni, cit., p. 9.

[4] Ai sensi dell’art. 2, comma 2, c.p. è infatti sufficiente che il fatto non costituisca reato secondo “una” legge posteriore. Sulla lex intermedia, in dottrina, per tutti, C. Pecorella, Legge intermedia: aspetti problematici e prospettive de lege ferenda, in Dolcini-Paliero (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, I, Milano, 2006, p. 611 ss., nonché G. L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme "integratrici": teoria e prassi, Milano, Giuffrè, 2008, p. 124. In giurisprudenza cfr. ad esempio Cass., sez. II pen., 7 luglio 2009, n. 35079.

[5] Confisca “allargata” e confisca “di prevenzione” costituiscono «altrettante species di un unico genus», secondo quanto da ultimo affermato da Corte cost., sent. 24 gennaio 2019 (dep. 27 febbraio 2019), n. 24, con nota, tra gli altri, di F. Basile- E. Mariani, La dichiarazione di incostituzionalità della fattispecie preventiva dei soggetti “abitualmente dediti a traffici delittuosi”: questioni aperte in tema di pericolosità, in Giust. Pen., c. 151-160; di V. Maiello, La prevenzione ante delictum da pericolosità generica al bivio tra legalità costituzionale e interpretazione tassativizzante, in Giur. cost., fasc. 1/2019, p. 332; di F. Mazzacuva, L’uno due dalla Consulta alla disciplina delle misure di prevenzione: punto di arrivo o principio di un ricollocamento sui binari costituzionali?, in Riv. it. dir. proc. pen., p. 987 ss.; e, volendo, di S. Finocchiaro, Due pronunce della corte costituzionale in tema di principio di legalità e misure di prevenzione a seguito della sentenza de Tommaso della Corte Edu, in Dir. pen. cont., 4 marzo 2019.

[6] Cfr., ad esempio, Cass. pen., sez. I, 16 aprile 2014, n. 41100; Cass. pen., sez. IV, 7 maggio 2013, n. 35707; Cass. pen., sez. I, 11 dicembre 2012, n. 2634; Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 2001, n. 11049; Cass. pen., sez. V, 23 aprile 1998, n. 2469. In questo senso si è anche espressa Corte cost., sent. 21 febbraio 2018, n. 33, su cui si permetta un rinvio a S. Finocchiaro, La Corte costituzionale sulla ragionevolezza della confisca allargata. Verso una rivalutazione del concetto di sproporzione?, in Dir. pen. cont., fasc. 2/2018.

[7] Cfr., ex multis, Cass. pen., sez. III, 15 aprile 2015, n. 20887; cfr., nello stesso senso, Cass. pen., sez. III, 16 maggio 2012, n. 30140; Cass. pen., sez. III, 3 dicembre 2012, n. 46726.

[8] Sul punto cfr. ad esempio N. Pisani, Impegno al pagamento del debito tributario ai sensi dell’art. 12 bis d.lgs. 74/2000: riflessioni sulla natura giuridica della confisca in materia tributaria, in Riv. resp. amm. soc. enti, 2017, I, p. 73 ss.; S. Delsignore, Commento all’art. 12-bis, in Nocerino-Putinati (a cura di), La riforma dei reati tributari. Le novità del d.lgs. n. 158/2015, Giappichelli, Torino, 2015, p. 288; e, volendo, S. Finocchiaro, L’impegno a pagare il debito tributario e i suoi effetti su confisca e sequestro, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., fasc. 4/2015, p 163 ss.

[9] Ciò segna un’importante novità: il profitto del reato tributario, sub specie di risparmio d’imposta, era infatti stato ritenuto confiscabile in capo all’ente solo in via “diretta”, pur a seguito di una discussa qualificazione della confisca del denaro come confisca, appunto, “diretta” (Cass., Sez. Un. pen., 30 gennaio 2014-dep. 5 marzo 2014, n. 10561, Gubert; sul punto richiamata da Cass., Sez. Un. pen., 26 giugno 2015-dep. 21 luglio 2015, n. 31617, Lucci). Sul punto, per tutti, F. Mucciarelli, C. E. Paliero Le sezioni unite e il profitto confiscabile: forzature semantiche e distorsioni ermeneutiche, in Dir. pen. cont., 30 luglio 2015.

[10] Sulla direttiva PIF (Direttiva UE/2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale) cfr., tra gli altri, E. Basile, Brevi note sulla nuova Direttiva PIF. Luci e ombre del processo di integrazione UE in materia penale, in Dir. pen. cont., 12 dicembre 2017, e F. La Vattiata, La nuova direttiva PIF. Riflessioni in tema di responsabilità da reato degli enti giuridici, gruppi societari e reati tributari, in Giurisprudenza Penale, 2019, 9.

[11] Sul punto si vedano le osservazioni critiche di E. Basile, Riflessioni de lege ferenda sul recepimento della direttiva PIF: la repressione delle frodi e lo strano caso dell'art. 316-ter c.p., in Dir. pen. cont., 31 maggio 2019, in ptc. pp. 18 e 19. Può essere inoltre utile rammentare il considerando n. 14 della Direttiva, a tenore del quale: “Nella misura in cui gli interessi finanziari dell'Unione possono essere lesi o minacciati dalla condotta imputabile a persone giuridiche, queste dovrebbero essere responsabili dei reati commessi in loro nome, quali definiti nella presente direttiva”.

[12] In particolare, nel definire il concetto di “frode che offende gli interessi dell’UE”, l’art. 3 § 2, lett. d) della direttiva PIF, contempla “in materia di entrate derivanti dalle risorse proprie provenienti dall’IVA, l’azione od omissione commessa in sistemi fraudolenti transfrontalieri in relazione: i) all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti relativi all’IVA, cui consegua la diminuzione di risorse del bilancio dell’Unione;  ii) alla mancata comunicazione di un’informazione relativa all’IVA in violazione di un obbligo specifico, cui consegua lo stesso effetto; ovvero iii) alla presentazione di dichiarazioni esatte relative all’IVA per dissimulare in maniera fraudolenta il mancato pagamento o la costituzione illecita di diritti a rimborsi dell’IVA.

[13] Al riguardo, senza pretesa di esaustività, R. Alagna, I reati tributari ed il regime della responsabilità da reato degli enti, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2012, p. 397; P. Aldrovandi, I profili evolutivi dell’illecito tributario, Padova, 2005, p. 230 ss.; S. Beltrani, Responsabilità degli enti e reati tributari (Commento a Cass. Pen., n. 25774, 4 luglio 2012), in Resp. amm. soc. enti, 2013, III, p. 205 ss.; I. Caraccioli, Reati tributari e responsabilità degli enti, in Riv. resp. amm. enti, 2007, I, p. 155; F. D’Arcangelo, La responsabilità degli enti per i delitti tributari dopo le SS.UU. 1235/10, in Resp. amm. soc. enti., 2011, IV, p. 125 ss.; P. Ielo, Commissione Greco: dall’usura alla frode verso una più ampia responsabilità degli enti, in Guida dir., 2010, fasc. 1, p. 23; A. Ingrassia-S. Cavallini, Brevi riflessioni sulla relazione tra il d.lgs. 231/2001 e i reati tributari: poenae non sunt multiplicanda sine necessitate, in Resp. amm. soc. enti., 2016, II, p. 109 ss.; A. Perini, Brevi considerazioni in merito alla responsabilità degli enti conseguente alla commissione di illeciti fiscali, in Resp. amm. soc. enti, 2006, II, p. 88; C. Santoriello, I reati tributari nella responsabilità da reato degli enti collettivi: ovvero dell’opportunità di configurare la responsabilità amministrativa delle società anche in caso di commissione di reati fiscali, in Archivio penale, fasc. 1/2017, p. 82 ss.; P. Sorbello, Evasione fiscale e politica criminale: considerazioni sull’inopportunità sistemica della mancata corresponsabilizzazione degli enti nei reati tributari, in Ind. pen., 1/2011, p. 167 ss. Sul punto si veda anche la c.d. commissione Greco del 2007 (Commissione di studio per la riforma del d. lgs. 231/2001) e, al riguardo, P. Ielo, Commissione Greco, cit., p. 23; nonché la Relazione al disegno di legge di delegazione europea 2018 in cui pure si osservava che “a termini di direttiva, è doveroso l’ampliamento del catalogo dei reati-presupposto della responsabilità degli enti collettivi ex decreto legislativo n. 231 del 2001 alle frodi in materia di IVA […]”. Fa peraltro notare come del catalogo di reati presupposto facessero già parte “alcune figure di reato in vario modo correlate ad illeciti fiscali”, G. L. Gatta, I profili di responsabilità penale nell’esercizio della corporate tax governance, in Dir. pen. cont., 4 giugno 2018, p. 5; e cfr. anche F. D’Arcangelo, La responsabilità degli enti per i delitti tributari, cit., p. 134, che osserva come “il dogma della irresponsabilità dell’ente per i delitti fiscali [fosse] fortemente vulnerato senza, peraltro, violare il principio di tipicità della responsabilità amministrativa da reato”.

[14] In questo senso, ad esempio, cfr. A. Ingrassia-S. Cavallini, Brevi riflessioni sulla relazione tra il d.lgs. 231/2001 e i reati tributari, cit., p. 109 ss.; nonché I. Caraccioli, Reati tributari e responsabilità degli enti, cit., p. 155.

[15] La Corte costituzionale ha già avuto modo di rilevare che il decreto-legge “entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo” (sent. n. 220 del 2013), ma ha altresì ritenuto che “la straordinaria necessità ed urgenza non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge, ma ben può fondarsi sulla necessità di provvedere con urgenza, anche laddove il risultato sia per qualche aspetto necessariamente differito” (sentt. nn. 16 e 170 del 2017). Del resto, può rammentarsi che l’art. 15, comma 3, l. 400/1988 prescrive che «i decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo»; norma, quest’ultima, che pur non avendo di per sé rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimità, “costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost.” (sentt. nn. 170 del 2017, 220 del 2013, 22 del 2012).

[16] Tendenza, quest’ultima, alla quale si pare ormai abituati, ma su cui sempre attuali rimangono le riflessioni, tra gli altri, di E. Dolcini, Leggi ‘ad personam’, riserva di legge e principio costituzionale di eguaglianza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/2004, p. 50 ss.; F. Bricola, Teoria generale del reato, in Nss. Dig. it., vol. XIX, 1973, p. 39 ss.; G. Delitala, Cesare Beccaria e il problema penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1964, p. 965 ss.