Cass., Sez. VI, sent. 21 novembre 2019 (dep. 25 febbraio 2020), n. 7462, Pres. Villoni, Est. Capozzi, ric. Luppino
1. Come è noto, il delitto di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato (art.-316 ter c.p.) sanziona la condotta di chiunque ottenga dallo Stato, dagli enti pubblici o dalle Comunità Europee, l’erogazione di contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, mediante la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute. La rilevanza penale della condotta è subordinata al superamento di una soglia di punibilità che da disposizione normativa deve eccedere, per l’importo erogato, la somma di 3.999,96 € al di sotto della quale il fatto costituisce un mero illecito amministrativo soggetto al pagamento di una sanzione pecuniaria.
Sin dalla sua entrata in vigore la norma incriminatrice in esame ha generato non pochi dubbi interpretativi soprattutto con riferimento al momento consumativo del reato e alle conseguenti modalità di accertamento del superamento della soglia di punibilità. La questione è particolarmente rilevante poiché nella prassi non mancano ipotesi in cui il soggetto agente ottenga l’indebita erogazione dilazionata in più tranche. L’elargizione periodica, infatti, può generare contrasti interpretativi e problemi soprattutto pratici nei casi in cui le singole erogazioni siano inferiori ai 3.999,96 €.
A tal proposito ci si è chiesti se, in questi casi, il reato debba: a) considerarsi consumato nel tempo e nel luogo in cui sia stata percepita l’ultima erogazione concessa dall’ente; o b) nel momento in cui siano state percepite le singole erogazioni da parte del soggetto beneficiario. Nel primo caso, si tratterebbe di un delitto a c.d. consumazione prolungata[1] con la conseguenza che la cifra da considerare ai fini del superamento della soglia di punibilità sarebbe quella risultante dalla sommatoria delle singole elargizioni; nel secondo caso, invece, vi sarebbero tante violazioni (attinte dal vincolo della continuazione ex art. 81 cpv c.p.) quante sono le singole tranche percepite.
Sul punto la giurisprudenza di legittimità[2] è da tempo orientata nel definire il reato di indebita percezione di erogazione ai danni dello Stato ex art. 316-ter c.p. alla stregua di un delitto a consumazione prolungata richiamando quanto già statuito in materia di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Più precisamente, in materia di truffa ex art. 640-bis c.p., si è detto che nel caso di percezione di prestazioni indebite, finanziamenti e contributi, la cui erogazione sia dilazionata nel tempo, si verte in un’ipotesi di reato a consumazione prolungata giacché il soggetto agente palesa la volontà - fin dall’inizio - di realizzare un evento destinato a perdurare nel tempo. Da ciò ne discende che, ai fini della consumazione del reato, non viene in considerazione il tempo e il luogo in cui viene emesso il provvedimento concessorio dei finanziamenti, bensì il tempo e il luogo in cui il soggetto percepisce in concreto l’ingiusto profitto consistente nelle indebite erogazioni. Sicché, sulla base di tale impostazione, il momento consumativo del reato coincide con la cessazione dei pagamenti. Di conseguenza, al pari di quanto statuito in materia di truffa, si ritiene che ai fini della valutazione del superamento o meno della soglia di punibilità prevista dall’art. 316-ter, comma 2, c.p., dovrà tenersi conto della complessiva somma indebitamente percepita e non di quella mensilmente corrisposta[3].
2. L’orientamento sin qui richiamato è stato seguito anche per definire anche i giudizi di merito della vicenda oggetto della sentenza in commento. Il caso riguarda la condotta di un datore di lavoro che – mediante la presentazione di prospetti mensili (i c.d. modelli DM10) – ha denunciato all’INPS di aver corrisposto le retribuzioni ad una sua dipendente portando a conguaglio le indennità di maternità anticipate per conto dell’ente. Indennità che, invece, non sarebbero state mai corrisposte dal datore di lavoro. Per tale condotta i giudici del merito hanno ritenuto configurato il delitto previsto dall’art. 316-ter c.p. ravvisandone tutti gli elementi costitutivi e ritenendo unitaria la condotta nonostante l’imputato avesse presentato mese per mese ben nove modelli DM10 ottenendo per ciascuno di essi un conguaglio avente importo inferiore a 3.999,96 €.
La Corte di Appello, in particolare, aderendo all’interpretazione fornita dalla giurisprudenza in materia di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ha ritenuto irrilevante la circostanza che – per ottenere i predetti conguagli – l’imputato avesse presentato mensilmente un modello DM10[4]. È stato pertanto escluso che il comportamento tenuto dal datore di lavoro possa così configurare tante singole violazioni della fattispecie incriminatrice essendo la condotta riconducibile ad un'unica determinazione dolosa.
3. Ciò detto, la difesa dell’imputato, impugnando la sentenza emessa dalla Corte di Appello milanese, ha presentato ricorso innanzi la Corte di Cassazione deducendo come unico motivo la violazione dell’art. 316-ter c.p. Nell’atto di ricorso è stato evidenziato che la responsabilità penale dell’imputato doveva essere esclusa considerato che il medesimo avrebbe presentato nove modelli DM10 ciascuno di importo inferiore alla soglia di punibilità. Il fatto, quindi, si componeva di una pluralità di condotte avvinte dal vincolo della continuazione e non da un unico comportamento fraudolento dal quale sarebbero conseguite in automatico le indebite compensazioni.
Con sentenza depositata il 25 febbraio 2020, la Corte di Cassazione, aderendo all’impostazione difensiva, ha annullato la sentenza di gravame rinviando per nuovo giudizio a diversa sezione della Corte di Appello di Milano. Nella motivazione della sentenza i giudici di legittimità hanno chiarito che la Corte di Appello sarebbe incorsa in errore nell’aver affermato – ai fini del superamento della soglia di 3.999,96 € –l’unicità della condotta dell’imputato facendo leva sulla determinazione volitiva che, nel caso di specie, sarebbe stata univoca sin dalla prima presentazione del modello DM10.
Sulla questione la Corte di Cassazione ha ribadito che la compensazione dei contributi INPS avviene sulla base di prospetti mensili, richiamando a tal proposito la circolare emessa dallo stesso ente previdenziale secondo cui “la compensazione degli importi a credito può essere effettuata con il mod. F24, anche utilizzando più modelli…[5]”. La Suprema Corte, riportando uno stralcio di una precedente sentenza di legittimità[6], ha inoltre osservato che nel caso di presentazione di più prospetti mensili il giudizio non potrà prescindere dalla valutazione di questa circostanza ai fini dell’accertamento dell’eventuale superamento della soglia di punibilità indicata dal comma 2 dell’art. 316-ter c.p.
4. Da ciò ne consegue che nel caso specifico in cui il datore di lavoro porti a conguaglio contributi o indennità mese per mese il reato non può dirsi a consumazione prolungata poiché il soggetto agente pone in essere tante distinte condotte finalizzate ad ottenere per ciascuna il conguaglio delle fittizie anticipazioni. Il fatto che il reato di cui all’art. 316-ter c.p. sia stato inteso come delitto a consumazione prolungata discende quindi dall’erronea valutazione che, nonostante i versamenti siano stati dilazionati nel tempo dall’ente erogatore, questi sarebbero tutti riconducibili ad un originario ed univoco comportamento fraudolento.
Nei reati a consumazione prolungata, quali ad esempio la truffa ex art. 640-bis c.p. o l’usura di cui all’art. 644 c.p., la condotta tipica si esaurisce con la percezione della prima somma indebita segnando così il perfezionamento del reato poiché è in quel momento che si ravvisano tutti gli elementi costitutivi richiesti dalla fattispecie. In tali casi, pertanto, quando dalla condotta discende l’erogazione dilazionata di altre indebite elargizioni, il momento consumativo del reato si sposta in avanti fino a comprendere l’ultima indebita erogazione riconducibile all’originario comportamento antigiuridico. La ratio risiede nel fatto che, con i versamenti successivi al primo, si avrebbe un approfondimento dell’offesa tale da giustificare la posticipazione del momento consumativo del reato. La particolarità dei delitti a consumazione prolungata risiede, quindi, nel fatto che l’autore del reato pone in essere un unico comportamento illecito dal quale derivano più effetti dilazionati nel tempo senza che questi siano la conseguenza di nuove e ulteriori condotte criminose. Allo stesso modo ne discende che il reato di cui all’art. 316-ter c.p. può essere inteso come un delitto a consumazione prolungata in relazione ai soli fatti che vengono ad esistenza per mezzo di un’unica condotta delittuosa dalla quale discende – come conseguenza diretta di quell’azione – l’erogazione di più indebiti differiti nel tempo. Sicché il discrimine tra le due ipotesi di consumazione andrebbe ricercato nelle modalità attraverso cui il delitto sarebbe stato realizzato. A tal fine sarà decisivo stabilire, caso per caso, se le indebite compensazioni presuntivamente godute dal ricorrente siano state conseguite per l’effetto di un’unica condotta cui siano seguite le compensazioni periodiche illegittime, ovvero attraverso distinte condotte indipendenti. Nel caso di specie è evidente che non è stata realizzata una singola condotta, ma plurime azioni consistenti nella predisposizione mese per mese dei modelli DM10.
Ciò detto, per completezza espositiva preme osservare che in senso conforme a quanto sin qui detto, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali aveva già espresso un parere sulle modalità di contestazione dell’art. 316-ter c.p.[7]. Nello specifico, con riferimento al quantum indebitamente percepito, il Ministero chiarisce che nella fattispecie di indebita fruizione di conguagli contributivi, il reato si realizza con il mancato versamento all’INPS di quanto mensilmente dovuto per effetto delle false denunce all’ente. Ne consegue che, se il conguaglio indebito si è realizzato in più mensilità, si dovranno configurare tanti reati – in concorso materiale - quanti sono i mesi interessati, per i quali, troverà comunque applicazione la continuazione ai sensi dell’art. 81, cpv c.p. Da ciò può concludersi che, con la sentenza in commento, la Cassazione ha fornito uno spiraglio per il superamento dell’orientamento giurisprudenziale prevalente che vede il reato di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato come un delitto a consumazione prolungata.
[1] Per approfondimenti si veda F. Mantovani, Diritto penale. Parte speciale, Padova, 2019, 191; C. Benussi, Diritto penale della Pubblica Amministrazione, Padova, 2016, 176; D. Brunelli, Il reato portato a conseguenze ulteriori, problemi di qualificazione giuridica, Torino, 2000, 105 e 125.
[2] Cass. sez. II, 9 marzo 2015 n. 26761, in Diritto & Giustizia, 2015; Cass. sez. III, 8 ottobre 2014 n. 6809, in CED Cass. pen., 2015; Cass. sez. VI, 19 febbraio 2013 n. 12625, in CED Cass. pen., 2013.
[3] Cass., sez. VI, 2 marzo 2010 n. 11145, in CED Cass. pen., 2010.
[4] Corte di Appello di Milano, 28 febbraio 2019 n. 1590.
[5] Circolare INPS n. 12 del 2006.
[6] Cass. sez. II, 16 marzo 2016 n. 15989 in Diritto & Giustizia, 2016, che nello specifico ha affermato “..non sfugge che trattandosi di contestazione per reato continuato ex art. 81 cpv c.p., legato al fatto che, all'epoca delle condotte in contestazione, i c.d. "Mod. DM10" erano caratterizzati da prospetti mensili con i quali il datore di lavoro ebbe a denunciare all'I.N.P.S. le retribuzioni ai dipendenti, ai fini della corretta valutazione dell'eventuale superamento della soglia indicata dall'art. 316-ter c.p., comma 2, oltre la quale la condotta diventa penalmente rilevante non si potrà che tenere conto anche di tale profilo”.
[7] Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 11 ottobre 2016 n. 18746.