Scheda  
01 Aprile 2020


Rimessa alle Sezioni unite la questione relativa all’inclusione della recidiva qualificata tra le aggravanti che ex art. 649-bis c.p. rendono procedibili d’ufficio taluni reati contro il patrimonio dopo il d.lgs. 36/2018


Francesca Vitarelli

Cass., Sez. II, ord. 12 febbraio (ud. 14 gennaio 2020), n. 5555, Pres. Cammino, Est. Messini D'Agostino


 

1. Con l’ordinanza qui segnalata, la Seconda sezione della Corte di Cassazione, rilevata la presenza di un contrasto giurisprudenziale, seppure implicito, rimette alle Sezioni Unite il seguente quesito: “se il riferimento alle aggravanti ad effetto speciale contenuto nell'art. 649-bis, c.p., ai fini della procedibilità d’ufficio, per taluni reati contro il patrimonio (art. 640, terzo comma, c.p.; art. 640-ter, quarto comma, c.p., fatti di cui all'art. 646, secondo comma, o aggravati dalle circostanze di cui all'art. 61, primo comma, n. 11, c.p.) vada inteso come riguardante anche la recidiva qualificata di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell'art. 99 dello stesso codice”.

L’occasione per stimolare un intervento nomofilattico arriva alla Sezione remittente da un ricorso del P.m. contro la dichiarazione di estinzione del reato di appropriazione indebita, aggravata anche da recidiva qualificata, per remissione di querela[1]. In particolare, il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata per violazione della legge penale, appellandosi al disposto dell’articolo 649-bis c.p., il quale prevede la procedibilità di ufficio del reato di appropriazione indebita in presenza di un’aggravante ad effetto speciale, ritenuta sussistente nel caso di specie.

Tale norma è stata introdotta dal D. Lgs. 36/2018, che ha operato significative modifiche in tema di procedibilità per i delitti di truffa (art. 640 c.p.), frode informatica (640-ter c.p.) e appropriazione indebita (art. 646 c.p.)[2]. Segnatamente, con gli artt. 8, 9 e 10 del citato decreto, si è previsto che la truffa sia procedibile a querela, salvo che ricorra una delle circostanze previste dall’art. 640 c.p., comma 2 o quella del danno patrimoniale di rilevante gravità; la frode informatica sia procedibile a querela, salvo sussista una delle circostanze di cui all’art. 640-ter c.p., commi 2 e 3, quella della minorata difesa di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5 (solo per le circostanze riguardanti la persona) o quella del danno patrimoniale di rilevante gravità; l’appropriazione indebita sia sempre procedibile a querela (mentre in precedenza si procedeva d’ufficio se ricorreva la circostanza del fatto commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario o una di quelle indicate nell'art. 61 c.p., comma 1, n. 11).

Tuttavia, come rilevato dal p.m. nel caso di specie, lo stesso decreto legislativo con l’art. 11 ha introdotto l’art. 649-bis c.p.[3], secondo il quale, nei casi in cui la truffa e la frode informatica siano procedibili a querela – in base alle disposizioni di cui sopra – e l’appropriazione indebita sia aggravata dalla circostanza del fatto commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario o da una di quelle indicate nell’art. 61 c.p., comma 1, n. 11, si procede d’ufficio “qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale” ovvero, “se la persona offesa è incapace per età o infermità o se il danno arrecato alla persona offesa è di rilevante gravità”[4].

Oggetto del quesito rimesso alle Sezioni Unite è quindi se tra le circostanze richiamate dall’art. 649-bis c.p. ai fini della procedibilità d’ufficio sia ricompresa anche la recidiva qualificata.

Invero, se ci si fermasse al dato letterale, non vi sarebbero dubbi circa l’inclusione di tale circostanza tra quelle che, se contestate, incidono sul regime di procedibilità: si tratta infatti indubbiamente di un’aggravante ad effetto speciale, posto che le ipotesi previste ai commi secondo, terzo e quarto dell’art. 99 c.p. (recidiva aggravata, pluriaggravata e reiterata) comportano un aumento della pena superiore ad un terzo[5]. D’altro canto, bisogna però considerare che la recidiva è, al contempo, una circostanza soggettiva inerente alla persona del colpevole, al pari di quelle sull’imputabilità (art. 70, comma 1, n. 2 e comma 2 c.p.), il che da sempre la rende sui generis rispetto alle altre aggravanti ad effetto speciale.

 

2. Il punctum dolens della parificazione della recidiva alle altre circostanze ad effetto speciale, con tutte le conseguenze che da ciò discendono, è stato già affrontato in passato. Sulla questione erano infatti intervenute le Sezioni Unite, che, con la sentenza n. 3152 del 31 gennaio 1987[6], avevano escluso la recidiva dal novero delle circostanze aggravanti che rendono il reato di truffa perseguibile d’ufficio, in quanto essa, inerendo esclusivamente alla persona del colpevole, non può incidere sul fatto-reato.

In tale pronuncia, era stato anche sottolineato come la ratio del particolare regime di procedibilità prescelto dal legislatore per il delitto di truffa dovesse essere ricercato nella rilevanza degli interessi civilistici sottesi a tale reato, i quali, tuttavia, in presenza di peculiari circostanze aggravanti, non potrebbero prevalere su contrapposti interessi pubblicistici. In sostanza, di norma la truffa non è considerata una fattispecie eversiva dell’ordine economico, ma piuttosto una vicenda meramente intersoggettiva, lesiva di un interesse prevalentemente privato: da ciò deriverebbe la logica della ‘avulsione’ dell’aggravante della recidiva dal novero di quelle per le quali si giustificherebbe il regime di procedibilità ex officio. La rilevanza degli aspetti civilistici sottesi al reato di truffa, peraltro, come rilevato dalla sezione rimettente[7], connota anche i delitti di appropriazione indebita e di frode informatica, per i quali si potrebbe pertanto giungere alle medesime conclusioni.

Lo stesso principio è stato ribadito da numerose pronunce successive, nelle quali si mette in evidenza la forte connotazione “soggettivistica” di tale circostanza aggravante e le conseguenze che potrebbero derivare dal fatto di far dipendere il regime di procedibilità da una circostanza la cui sussistenza dipende dalle caratteristiche della persona del colpevole, per di più rimessa alla valutazione discrezionale del giudice. In particolare, nel 1999, il Supremo Collegio, richiamando l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite, ha ulteriormente precisato e ribadito che la recidiva “è un’aggravante che inerisce esclusivamente alla persona così qualificata e non può comunicarsi agli altri compartecipi, poiché non incide sul fatto-reato, sulla sua natura e sulla sua gravità oggettiva. Diversamente opinando il reato sarebbe perseguibile a querela o d’ufficio, a seconda della presenza, o meno, tra i coimputati di un recidivo, mentre la regola dell’estensione della querela (art. 123 c.p.) è correlata al principio dell’unicità del reato concorsuale e non alle qualità personali (negative) dei concorrenti”[8].

Anche a seguito della riforma della recidiva attuta con la l. n. 251/2005, la giurisprudenza ha ribadito tale orientamento, evidenziando anzi come le nuove disposizioni abbiano “acuito i connotati personalistici della recidiva, rendendone ancor più peculiare il relativo regime”[9]. In considerazione di ciò, si è ritenuto che il richiamo che compare nell’art. 640, comma 3, c.p. alle circostanze aggravanti previste allo stesso articolo o ad “altre” circostanze aggravanti, non potesse ricomprendere una circostanza come la recidiva, connotata da caratteristiche che la distinguono dalle altre circostanze sulle quali si radica la logica della procedibilità ex officio del delitto di truffa.

È legittimo però interrogarsi circa la perdurante validità di tale principio a seguito della riforma del 2018, posto che attenendosi al dato letterale – come già sottolineato – fra le “circostanze aggravanti ad effetto speciale” richiamate dal nuovo art. 649-bis c.p. potrebbe essere ricompresa anche la recidiva qualificata.

I medesimi interrogativi, peraltro, si pongono anche in merito ad un’altra norma introdotta dal medesimo decreto: si tratta dell’art. 623-ter c.p., che, per altri fatti di reato che lo stesso decreto ha reso procedibili a querela (minaccia grave ex art. 612 c.p., comma 2, violazione di domicilio del pubblico ufficiale nel caso dell'art. 615 c.p., comma 2, nonché i delitti contro la inviolabilità dei segreti di cui all'art. 617-ter c.p., comma 1, art. 617-sexies c.p., comma 1, art. 619 c.p., comma 1, e art. 620 c.p.), dispone parimenti la procedibilità d’ufficio “qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale”.

 

3. Il collegio remittente, tenendo in considerazione entrambe le norme di nuova introduzione – l’art. 649-bis c.p. e l’art. 623-ter c.p. – sottolinea come, sebbene nella giurisprudenza di legittimità formatasi dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 36/2018 non vi siano riferimenti al disposto di tali articoli (ad eccezione di una sola pronuncia in cui si menziona l’art. 649-bis c.p.), sussisterebbero comunque i presupposti per un intervento nomofilattico delle Sezioni Unite. Infatti, a parere della corte, è possibile riscontrare un contrasto in punto di diritto, seppur non esplicito, in merito all’oggetto dell’ordinanza di rimessione.

Tra i casi in cui emerge, seppur tra le righe, la questione, si ricordano due recenti sentenze che hanno esaminato fattispecie di minaccia grave, poste in essere da soggetti ai quali era stata contestata e applicata la recidiva qualificata. In entrambe le ipotesi, preso atto della nuova formulazione dell’art. 612 c.p., secondo il quale anche la minaccia grave, se non “fatta in uno dei modi indicati nell’art. 339 c.p.”, è procedibile a querela, il Collegio ha dato rilievo alla remissione, intervenuta nel corso del procedimento (annullando senza rinvio la sentenza impugnata per estinzione del reato)[10]. Nella motivazione, come si accennava, non vi è alcun riferimento espresso al disposto dell’art. 623-ter c.p., che tuttavia, di fatto, non è stato ritenuto preclusivo all’operatività della sopravvenuta procedibilità a querela per la minaccia grave, pur in presenza della recidiva qualificata.

Un contrapposto orientamento è stato espresso nell’unica pronuncia che ha richiamato l’art. 649-bis c.p., in un caso in cui, per alcuni delitti di truffa, il difensore di tre imputati ricorrenti aveva chiesto una declaratoria d’improcedibilità per difetto di querela. Il collegio ha rilevato che detti reati erano e rimanevano procedibili d’ufficio anche a seguito della modifica dell’art. 640 c.p., per effetto del D. Lgs. n. 36 del 2018: ciò “in virtù della contestazione dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5 che integra gli estremi del reato di cui all’art. 640 c.p., comma 2, n. 2-bis[11]. La stessa sentenza ha poi precisato che, “in presenza della contestazione della recidiva, i reati de quibus sarebbero comunque procedibili d’ufficio ex art. 649-bis c.p.”, con ciò includendo anche la recidiva qualificata, contestata ed applicata nel caso di specie, tra le circostanze aggravanti ad effetto speciale rilevanti ai fini della procedibilità d’ufficio della truffa.

Secondo i giudici remittenti, tale ultima affermazione, benché espressa incidentalmente dalla Cassazione – in quanto la questione era stata risolta alla luce del rilievo precedente circa la sussistenza dell’aggravante della minorata difesa – permette di rilevare la presenza di un contrasto giurisprudenziale che giustifica una rimessione alle Sezioni Unite per un intervento nomofilattico.

***

4. La rimessione della questione alle Sezioni Unite è funzionale, pertanto, a scongiurare futuri contrasti giurisprudenziali, che potrebbero dar luogo ad incertezze già nella fase iniziale del procedimento, in occasione della scelta relativa all’esercizio dell’azione penale in presenza di reati divenuti procedibili a querela commessi da soggetti con una recidiva qualificata (e in assenza di altri presupposti che consentano la procedibilità d’ufficio).

Ricapitolando, la questione si presta ad opposte soluzioni: la prima sarebbe quella di considerare la recidiva, stante il suo carattere speciale e facoltativo[12], incapace di sortire un effetto tale da influire sul regime di procedibilità; la seconda, sostenibile valorizzando un’interpretazione letterale delle disposizioni del decreto, porterebbe a ricomprendere anche la recidiva tra le circostanze aggravanti che recano la procedibilità d’ufficio.

Indubbiamente, stando al dato letterale, si potrebbe opinare che, se il legislatore avesse voluto escludere la recidiva qualificata dal novero delle circostanze ad effetto speciale rilevanti ai fini della procedibilità d’ufficio, avrebbe potuto prevederne espressamente l’irrilevanza: sarebbe stato sufficiente precisare “qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva”. A ciò si aggiunga che, come fa notare la corte rimettente, non si riscontra, nelle pronunce del Giudice delle leggi e della Corte di Cassazione, un orientamento in base al quale sarebbe contraria ai principi costituzionali la previsione di un diverso regime di procedibilità per taluni reati, a seconda che siano commessi da recidivi “qualificati” o meno[13]. Nulla osterebbe dunque, formalmente, all’inclusione della recidiva nel novero delle ipotesi di cui al 649-bis c.p.

Cionondimeno, buone ragioni di ordine sistematico sembrano militare a favore della tesi che esclude la recidiva dal novero delle ipotesi previste dall’art. 649-bis c.p., anche tenendo conto delle conseguenze rilevanti che può avere l’adozione dell’una o dell’altra ipotesi.

In particolare, non si può non tenere conto dell’effetto che sortirebbe – in sede applicativa – un’interpretazione degli 649-bis c.p. e 623-ter c.p. fedele alla littera legis. Come evidenzia lo stesso collegio remittente, laddove si aderisse ad un’interpretazione letterale, in presenza di recidiva qualificata il pubblico ministero dovrebbe esercitare l’azione penale anche in assenza di querela. Tuttavia, la necessaria valutazione sulla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della recidiva – vincolata ai criteri affermati dalla giurisprudenza, ma pur sempre rimessa alla discrezionalità del giudice di merito – potrebbe portare il giudice di primo grado a non riconoscere in concreto la sussistenza della recidiva qualificata, pur correttamente contestata, laddove ritenga, all’esito del giudizio, che il delitto commesso non sia stato espressione di una più accentuata colpevolezza e pericolosità dell’imputato[14]. Ne conseguirebbe, dunque, l’improcedibilità dell’azione penale per difetto di querela[15].

Trattasi, invero, di una situazione che, come rilevato dal collegio remittente, diverge in maniera evidente da quella in cui in cui le altre circostanze ad effetto speciale vengano in un primo momento contestate dal p.m. e poi escluse in fase di giudizio: infatti, in tal caso, il giudice, a seguito di una valutazione oggettiva dei presupposti applicativi della circostanza, li ritiene insussistenti ab origine. Al contrario, nell’ipotesi poc’anzi prospettata, la recidiva qualificata viene meno non in quanto erroneamente contestata dal p.m., bensì perché, stante il suo carattere facoltativo, il giudice può non applicarla a seguito di una valutazione discrezionale.

In conclusione, le innegabili incertezze applicative cui porterebbe l’assimilazione della recidiva alle altre aggravanti ad effetto speciale renderebbero ragionevole un’interpretazione che esclude la recidiva qualificata dalla sfera applicativa degli articoli 649-bis c.p. e 623-ter c.p.: a prescindere dalla qualifica formale di circostanza ad effetto speciale, tale esito sarebbe sistematicamente coerente con le peculiarità che da sempre vengono riconosciute a tale istituto, in quanto inerente alla persona del colpevole e dipendente, nella sua applicazione, dalla valutazione discrezionale del giudice alla luce delle circostanze del caso concreto.

 

 

[1] Il caso riguardava un uomo sottoposto a procedimento penale in relazione al reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.), in forma continuata ed aggravata dall’avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione, o di ospitalità (art. 61, comma 1, n. 11, c.p.), in aggiunta alla contestata recidiva, specifica ed infraquinquennale. All’esito del giudizio, il Tribunale ha dichiarato il non doversi procedere in relazione al reato ascritto in quanto estinto in conseguenza di remissione della querela.

[2] In attuazione della delega contenuta nella L. 23 giugno 2017, n. 103, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”.

[3] Unico articolo inserito nel nuovo autonomo capo III bis del titolo XIII, sui delitti contro il patrimonio.

[4] Ipotesi aggiunte dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3 (la legge c.d. “Spazzacorrotti”).

[5] Cass. sez. un., 24 febbraio 2011, n. 20798, Indelicato.

[6] Cass. sez. un., 31 gennaio 1987, n. 3152, Paolini.

[7] § 4 dell’ordinanza in oggetto.

[8] Cass., sez. II, 19 novembre 1999, n. 1876, Aliberto.

[9] Cass. sez. II, 10 giugno 2014, n. 26029, Folgori; nello stesso senso poi ancora Cass. sez. II, 1° luglio 2015, n. 29529, Di Stefano; Cass., sez. II, 1° ottobre 2015, n. 2990, Saltari; Cass., sez. II, 28 gennaio 2016, n. 18311; Cass., sez. II, 29 aprile 2016, n. 38396, Meocci; Cass., sez. VII, 26 settembre 2016, n. 42880, Battaglia; Cass., sez. II, 20 dicembre 2016, n. 1907, Camozzi; Cass., sez. II, 21 settembre 2017, n. 47068, Mininni

[10] Cass., sez. V, 1° aprile 2019, n. 30453, Cabello e Cass., sez. VI, 11 luglio 2019, n. 35880, Della Rocca.

[11] Cass., sez. II, 8 gennaio 2019, n. 17281, Delle Cave.

[12] L’ipotesi di recidiva obbligatoria ex art. 99, comma 5, c.p. è venuta meno con la sentenza n. 185 del 2015 della Corte costituzionale.

[13] Cfr. Cass., sez. II, 2 luglio 2015, n. 31811, Angileri; Cass., sez. V, 24 marzo 2009, n. 22619, Baron; Cass., sez. V, 2 novembre 2016, n. 31064, Conte; Cass., sez. V, 5 luglio 2017, n. 57694, Panza; Sez. F, n. 38806 del 27/07/2017, Mari).

[14] Secondo il diritto vivente, nella valutazione della recidiva, il giudice è chiamato ad un esercizio motivato del proprio potere discrezionale, in ragione dei principi da tempo affermati dalla Corte costituzionale, v. Corte Cost. n. 192/2007, cui seguirono una serie di ordinanze di inammissibilità dello stesso tenone: Corte Cost., n. 409/2007, Corte Cost. n. 33/2008; Corte Cost. n. 90/2008; Corte Cost., b. 193/2008; Corte Cost., n. 257/2008; Corte Cost., n. 171/2009. Ma v. anche analoghi principi espressi dalla Corte di Cassazione, Cass. sez. un., 24 febbraio 2011, n. 20798, Indelicato; Cass., sez. un., 23 giugno 2016, n. 31669, Filosofi.

[15] Come con chiarezza statuito dalle Sezioni unite, a partire da Cass. sez. un., 27 maggio 2010, n. 35738, Calibè.