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28 Novembre 2022


Condotte riparatorie e ne bis in idem nella responsabilità delle persone giuridiche per illeciti tributari

Nota a Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, decreto di archiviazione 9 novembre 2022 (caso DHL)



Per leggere il testo del provvedimento, clicca qui.

1. L’inserimento dei reati tributari nel catalogo dei reati ascrivibili agli enti ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 è avvenuta, nel 2019, senza tenere in considerazione il fatto che le persone giuridiche sono già destinatarie delle severe sanzioni amministrative pecuniarie irrogate per la violazione degli illeciti fiscali[1]; obliterando, conseguentemente, il possibile conflitto con la garanzia del ne bis in idem, benché tale problema fosse già chiaramente prevedibile, in quanto sostanzialmente analogo a quello approfonditamente dibattuto in relazione alla previsione legislativa del doppio binario punitivo delle persone fisiche[2].

Della soluzione del problema – ancora una volta[3] – si è fatta carico la giurisprudenza, questa volta nella sua veste requirente, sfruttando a pieno il “potere di conformazione” del diritto interno ai diritti fondamentali che ormai le è ampiamente riconosciuto.

Il tema ha un rilevante impatto nella prassi giudiziaria (e aziendalistica), tale da giustificare la risonanza mediatica[4] e la immediata segnalazione e pubblicazione del “decreto di archiviazione” qui in evidenza[5] – emesso dalla Procura di Milano – che per primo ha affrontato la questione, offrendo una soluzione destinata a diventare il punto di riferimento per successivi interventi sulla materia, non solo giurisprudenziali ma anche eventualmente legislativi.

 

2. In breve, gli snodi argomentativi del decreto di archiviazione: una importante società di logistica era indagata per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 25-quinquiesdecies d.lgs. n. 231/2001, in relazione all’ art. 2 d.lgs. n. 74/2000), commesso – secondo l’ipotesi accusatoria – allo scopo di simulare contratti di appalto in luogo di somministrazione di manodopera.

Già in fase di indagini, la difesa della società aveva perspicuamente eccepito la possibile violazione del divieto di bis in idem, da valutare anche sulla base di una serie di condotte realizzate post factum dalla società: in primo luogo, la società aveva già pagato l’imposta dovuta, comprensiva di ingentissime sanzioni e interessi, per il corrispondente illecito tributario; in secondo luogo, la società si era fatta carico della stabilizzazione di ben 1200 lavoratori, che in precedenza svolgevano la loro mansione come prestatori d’opera alle dipendenze di plurime società appaltatrici; in terzo luogo, la società aveva attuato un’importante attività di implementazione del proprio modello organizzativo, provvedendo in particolare a predisporre nuove procedure operative funzionali ad assicurare, per il futuro, il puntuale monitoraggio degli adempimenti fiscali, anche da parte dei fornitori, sì da minimizzare il rischio di commissione di nuovi illeciti tributari.

Con questi dati fattuali la Procura di Milano ha dovuto confrontarsi allo scopo di valutare, in concreto, la compatibilità del procedimento ex d.lgs. n. 231/2001 con la garanzia europea del ne bis in idem.

Sul piano normativo, infatti, la Procura riconosce la presenza di tutti i presupposti strutturali del bis in idem: lo stesso soggetto – in questo caso soggetto collettivo, una persona giuridica – era infatti destinatario di una duplice sanzione punitiva – tali dovendosi senz’altro qualificare, ai sensi degli Engel criteria, sia le sanzioni tributarie sia quelle comminate dal d.lgs. n. 231/2001 – in relazione allo stesso fatto – indubitabile secondo la Procura anche la identità del sostrato fattuale, valutata anch’essa sulla base dei parametri convenzionali, tra l’illecito amministrativo (previsto dagli artt. 1, comma 2 e 3, e 5, comma 4 e 4 bis, d.lgs. n. 471/1997) e il reato tributario (previsto dall’art. 2 d.lgs. n. 74/2000), entrambi punitivi della condotta di fraudolenta dichiarazione dell’imposta sul valore aggiunto.

Passando a svolgere l’A e B test, che – come noto – definisce i limiti di tollerabilità dei meccanismi di doppio binario punitivo[6], la Procura rileva la carenza della close connection in substance: non nella prospettiva del coordinamento procedimentale – rispetto al quale sono indicati alcuni profili di connessione, ritenuti sufficienti a integrarne l’esistenza – ma nella prospettiva della proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio.

In particolare, si rileva come, a fronte della pregressa irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, non esista alcun meccanismo normativo di compensazione – analogo a quello vigente per le persone fisiche (ex artt. 19 ss. d.lgs. n. 74/2000) – che consenta di “proporzionare” la risposta punitiva che venga inflitta all’esito del secondo procedimento, ovvero di tenere conto della pena già eseguita ed eventualmente di scomputarla, allo scopo di evitare un cumulo punitivo eccessivo e dunque illegittimo.

Ed è a questo punto che rilevano decisivamente i suddetti dati fattuali, ovvero le condotte societarie post factum poste in evidenza dai difensori della persona giuridica.

Assume in primo luogo rilevanza la severità della sanzione tributaria già eseguita, che la Procura giudica già ex se sufficiente a retribuire il disvalore complessivo del fatto; con l’effetto di rendere del tutto inutile, in quanto senz’altro eccessiva, la pena potenzialmente irrogabile all’esito dell’accertamento positivo di responsabilità per la commissione del reato tributario oggetto di contestazione.

Ma nella valutazione di adeguatezza e proporzionalità – questo è il passaggio più originale del decreto – la Procura valorizza il ruolo decisivo delle condotte riparatorie poste in essere dalla società successivamente alla commissione del fatto, in funzione, da una parte, compensativa rispetto al danno arrecato anche ai lavoratori e, dall’altra, preventiva rispetto al rischio di realizzazione di ulteriori illeciti analoghi a quelli oggetto di contestazione.

Alla luce di ciò, la Procura ha ritenuto che “l’ulteriore irrogazione della sanzione ex d.lgs. n. 231/2001” costituisca “un fatto che sembra porsi in contrasto con la consolidata giurisprudenza in materia di ne bis in idem”, disponendo di conseguenza l’archiviazione del procedimento iscritto nei confronti della società.

 

3. Il provvedimento pone sul tappeto numerose tematiche meritevoli di discussione e approfondimento: non solo quelle specificamente relative al ne bis in idem, ma anche di ordine più generale, attinenti alla centralità che va assumendo il “momento riparativo” nell’amministrazione della giustizia penale e al ruolo sempre più penetrante del giudice penale nel definire i limiti stessi dell’intervento punitivo.

In ordine al riconoscimento dei presupposti applicativi della garanzia, la Procura condivisibilmente supera i dubbi che sono stati sollevati nella dottrina in relazione alla effettiva medesimezza del fatto alla base dei due procedimenti punitivi. Occorre svolgere, tuttavia, alcune precisazioni.

Quanto al profilo oggettivo della violazione tributaria, la Procura riconosce una perfetta identità e sovrapposizione tra il reato tributario e il corrispondente illecito amministrativo: il giudizio di medesimezza soprassiede al confronto strutturale tra le disposizioni normative, adottando immediatamente il parametro dell’idem factum materiale, conformemente alle ormai univoche indicazioni della giurisprudenza convenzionale[7].

Si dimostra così, una volta di più, la inconcepibile limitazione derivante dall’ancoraggio della garanzia ad una concezione formalistica della “specialità” (unilaterale) (ai sensi della tradizionale interpretazione dell’art. 19 d.lgs. n. 74/2000), che circoscrive l’operatività del ne bis in idem nei confini angusti dell’idem legale[8].

Quanto al profilo soggettivo dell’illecito, la Procura mette invece in relazione la “colpa di organizzazione” prevista come elemento strutturale dell’illecito ex d.lgs. n. 231/2001 con la “colpa” prevista all’art. 5 del d.lgs. n. 472/1997 come elemento soggettivo dell’illecito amministrativo tributario. Tale parallelismo, tuttavia, è fuori segno: il suddetto art. 5, infatti, tipizza l’elemento soggettivo dell’illecito individuale. La responsabilità tributaria della persona giuridica per il pagamento della sanzione tributaria è invece di tipo sostanzialmente oggettivo: come illustrato, infatti, il suddetto art. 7 d.lgs. n. 269/2003 prevede, semplicemente, che la sanzione – benché irrogata nei confronti dell’autore, persona fisica della violazione tributaria – è posta esclusivamente (ed oggettivamente) “a carico” del contribuente-persona giuridica[9].

Proprio la presenza della colpa organizzativa esclusivamente nella struttura dell’illecito ex d.lgs. n. 231/2001 è stata additata da una parte della dottrina per sostenere la possibile diversità dei “fatti” posti a fondamento delle due sanzioni e, di conseguenza, la dubbia operatività del divieto di bis in idem[10].

Sennonché, come più approfonditamente argomentato in altre sedi[11], è proprio il reato tributario il “fatto” da cui fondamentalmente dipende la responsabilità ex crimine della persona giuridica; rispetto a tale fatto – materialmente corrispondente all’illecito tributario amministrativo – la colpa di organizzazione costituisce il ‘mero’ nesso soggettivo di ascrizione alla responsabilità collettiva, indipendentemente dalla collocazione dogmatica che a tale elemento si voglia attribuire nella struttura analitica dell’illecito dell’ente[12].

Affermare il contrario, cioè la diversità materiale dei fatti, significherebbe non tenere conto del dato decisivo: il fatto offensivo, oggetto di responsabilità punitiva, è esattamente lo stesso; è sulla stessa violazione tributaria e sul suo variabile grado di disvalore che si fondano e sono parametrate sia le sanzioni tributarie sia quelle ex d.lgs. n. 231/2001.

 

4. Il profilo certamente più innovativo, sul piano sistematico – anche in considerazione del potenziale impatto sulla prassi, ovvero sulla gestione organizzativa delle contestazioni tributarie – è costituito, come detto, dalla valorizzazione delle condotte riparative e di compliance ai fini del giudizio di proporzionalità complessiva della pena.

La Procura rintraccia il fondamento giuridico, la giustificazione teorica di questa importante correlazione nella nuova “dimensione normativa” (e precettiva) del principio di proporzionalità, che va assumendo sempre più centralità come parametro di sindacato delle scelte legislative e che, in questa prospettiva, è stato già messo espressamente in relazione anche con la valorizzazione delle condotte riparatorie eventualmente realizzate dal reo allo scopo di compensare gli effetti offensivi del fatto illecito[13].

A ben vedere, la rilevanza attribuita a tale profilo è perfettamente in linea con l’impostazione già consolidata nella giurisprudenza della Corte di Cassazione in merito al ne bis in idem in materia di abusi di mercato[14]. Ai fini di assicurare la compatibilità con la garanzia europea del meccanismo di doppio binario ivi previsto, la Corte – recependo i chiari input della Corte di Giustizia relativamente alla necessità di estendere il meccanismo di compensazione previsto all’art. 187-terdecies T.u.f.[15] – ha infatti stabilito che il giudice del secondo procedimento ha il potere/dovere di svolgere il giudizio di proporzionalità della pena complessiva, all’esito del quale è legittimato a disapplicare, anche in toto (qualora ritenga che la prima sanzione sia adeguata), la sanzione prevista dalla seconda fattispecie punitiva.

I parametri normativi per svolgere il giudizio di proporzionalità sono individuati in quelli previsti all’art. 133 c.p. ai fini della commisurazione della pena[16]. Ebbene, tra questi parametri – come noto – al n. 3 del comma 2 è specificamente annoverato anche il comportamento post factum del reo, dovendo il giudice tenere conto “della condotta contemporanea o susseguente al reato”.

In questa ampia prospettiva, può trovare pieno riconoscimento normativo non solo la valorizzazione della condotta riparatoria in senso stretto – volta a compensare i danni prodotti dal reato – ma anche quella realizzata in funzione più specificamente preventiva rispetto alla futura commissione di analoghi fatti illeciti. D’altra parte, la funzione attenuante di entrambi tali profili – quindi la loro incidenza sulla determinazione della pena proporzionata – è espressamente affermata dall’art. 17 d.lgs. n. 231/2001, che attribuisce esattamente a quelle condotte riparative la funzione di escludere l’applicabilità delle sanzioni interdittive.

 

5. Approfondendo l’analisi argomentativa del provvedimento, tuttavia, si può rilevare come la Procura affermi di ritenere la sanzione amministrativa già in sé proporzionata al disvalore complessivo del fatto. Sulla base di questa premessa, la celebrazione del procedimento ex d.lgs. n. 231/2001 a carico dell’ente sarebbe in ogni caso illegittima, in quanto la pena eventualmente irrogata all’esito di un accertamento di responsabilità risulterebbe comunque eccessiva, sproporzionata.

Conseguentemente, l’archiviazione del procedimento avrebbe dovuto disporsi indipendentemente da una ulteriore valutazione delle condotte riparative post factum. Nel decreto stesso, d’altra parte, espressamente si riconosce come tali condotte costituiscano la condizione per evitare di subire una “pena eccessiva”. Posto in questi termini, il sillogismo giuridico sembra scricchiolare: in presenza di una violazione, non è consentito subordinare la giustiziabilità di una garanzia fondamentale – nella fattispecie, a non subire una sproporzionata duplicazione della pena – ad una condizione ulteriore, come può anche essere la realizzazione di una condotta riparativa.

In realtà, al di là della coerenza con questo passaggio, nella trama argomentativa della decisione di archiviazione, la condotta riparativa è decisivamente inserita nel giudizio di proporzione: in assenza di tali condotte, il mero pagamento delle sanzioni tributarie non sarebbe stato ritenuto “proporzionato” rispetto al fatto, non avrebbe reso irragionevole la celebrazione del procedimento punitivo de societate. Ed in effetti, a ben vedere, ciò che rende davvero inutile il procedimento ex d.lgs. n. 231/2001 è l’avvenuta anticipazione non tanto (e non solo) degli effetti punitivi, bensì di quelli ‘virtuosi’ che la contestazione della responsabilità ex crimine normalmente determina: ovvero, appunto, la riparazione del danno e la ri-organizzazione interna in funzione preventiva di ulteriori illeciti.

In sostanza, sebbene inespresso, il profilo rilevante è quello della “complementarità di scopo” tra i due procedimenti, ovvero l’altro ed ulteriore requisito della close connection: la responsabilità ex d.lgs. n. 231/2001 trova la sua più autentica “ragion d’essere” non nella prospettiva punitiva, bensì in quella preventiva, cioè nella compliance, nell’obiettivo di corretta organizzazione e gestione dei rischi penali.

L’archiviazione si fonda pertanto sul venir meno, in concreto, sia dello scopo punitivo – conseguenza della sanzione amministrativa già eseguita, sia e soprattutto di quello preventivo – conseguenza di una scelta riparativa del tutto autonoma da parte dell’ente.

Nel contesto di una giustizia penale sempre più (ragionevolmente) negoziata, la dialettica costruttiva tra accusa e difesa è riuscita convogliare la soluzione più ragionevole all’interno della garanzia del ne bis in idem, sfruttando tutte le potenzialità offerte dalla valutazione di proporzionalità, nonché quelle legate al riconoscimento in capo alla magistratura degli ampi “poteri di adattamento” del diritto al caso concreto.

La spirale virtuosa di questa soluzione si apprezza anche da un ulteriore punto di vista. Il decreto mette infatti in evidenza l’effetto di “leva” che tale impostazione può determinare, soprattutto in relazione alle realtà societarie di grandi dimensioni (comparabili quindi a quella che era stata indagata), non solo rispetto ad un puntuale e tempestivo pagamento dell'imposta evasa e delle relative sanzioni, ma altresì rispetto ad ulteriori condotte di riparazione nei confronti di soggetti danneggiati, nonché rispetto ad un adeguamento organizzativo ai best standard della compliance preventiva.

In questo modo, anche sul piano normativo, si appiana la incoerenza sistematica conseguente alla mancata estensione alle persone giuridiche della causa di non punibilità del ravvedimento operoso inserita all’art. 13 d.lgs. n. 74/2000 (la cui estensione applicativa, anche in via analogica, trova un limite nella previsione dell’art. 8 d.lgs. n. 231/2001)[17]. La soluzione raggiunta dalla Procura risulta sicuramente anzi ancora più coerente con la struttura della responsabilità dell’ente, perché àncora l’effetto premiale del ravvedimento anche alle condotte di riparazione che coinvolgono direttamente i difetti della struttura organizzativa.

La soluzione ‘ottimale’ raggiunta in via pretoria difficilmente sarebbe garantita da un intervento legislativo diretto a disciplinare la generalità dei casi. La cristallizzazione di rigide regole di compensazione rischia di non tener conto di contesti fattuali in verità assai eterogenei e non è detto che riesca ad assicurare la coerenza sistematica tra gli strumenti normativi vigenti. De lege ferenda, si potrebbe allora pensare di “formalizzare” il riconoscimento di un ampio potere di valutazione della proporzionalità del cumulo punitivo, come accaduto in relazione alla riformulazione dell’art. 187 terdecies[18].

Di contro, sulla soluzione escogitata dalla Procura di Milano – e sulla generalizzazione di tale ampio potere – “pesa” il suo essere strettamente condizionata dalla concretezza del caso e dalla individualità degli attori – accusa e difesa – della vicenda giudiziaria: un’ampia discrezionalità usata ragionevolmente, con sensibilità giuridica e attenzione alle istanze difensive, determina gli effetti virtuosi che sono apprezzabili in questa vicenda. La discrezionalità, tuttavia, è dotata della caratteristica di potersi muovere in tutt’altra direzione, producendo effetti che sarebbero apprezzabili in senso diametralmente opposto. Per una evidente riprova basti osservare proprio la giurisprudenza che finora ha applicato – in relazione ai doppi binari punitivi vigenti nella materia finanziaria e in quella tributaria – il test della complessiva proporzionalità: la Cassazione – di regola – riconosce serenamente la piena legittimità dei cumuli punitivi (tra sanzioni penali e amministrative), in forza di una valutazione discrezionale di proporzionalità che risulta difficilmente sindacabile[19]. Con buona pace delle istanze del ne bis in idem.

 

6. Questa importante operazione esegetica, che porta sostanzialmente alla “disapplicazione” dell’illecito penale della persona giuridica, non poggia su una base legislativa espressamente positivizzata.

Il Pubblico Ministero ha potuto dare “diretta applicazione” al principio di ne bis in idem specificamente previsto all’art. 50 CDFUE in ragione del fatto che si trattava di riconoscere efficacia alla garanzia in una materia – quella dell’IVA – rientrante nella competenza unionale, poiché entrano direttamente in gioco – attraverso il corretto versamento di tale imposta – gli interessi finanziari dell’Unione Europea. Il decreto di archiviazione trova pertanto una solida base legale nel diritto europeo ed anzi è coerente con le indicazioni della Corte di Giustizia, che ha espressamente riconosciuto la efficacia diretta dell’art. 50 e ha invitato i giudici nazionali a disapplicare le norme interne con essa contrastanti[20].

Al di fuori delle materie di competenza unionale – quindi in relazione a tutti gli illeciti tributari che non impattano sulle finanze dell’Unione – una soluzione analoga sarebbe ben più problematica, poiché la garanzia convenzionale dell’art. 4 Prot. 7 Cedu, rilevante in tutto il nostro ordinamento ai sensi dell’art. 117 Cost., non è dotata di efficacia diretta. L’unico rimedio sarebbe quello – che costituisce un’alternativa comunque percorribile anche nelle materie di competenza unionale[21] – costituito dalla, invero alquanto problematica, questione di legittimità costituzionale.

Più in generale, tuttavia, la vicenda riporta al centro del dibattito la progressiva metamorfosi del ruolo della magistratura ordinaria nel nostro ordinamento, sempre più spesso chiamata non più solo a sollevare i dubbi di costituzionalità, ma a svolgere direttamente il sindacato di legittimità e a porvi rimedio normativo. Si tratta di un vero paradigma di “sindacato diffuso” – in questo caso per di più attuato dalla magistratura requirente – che comporta uno stravolgimento sistematico dell’ordinamento e dei principi che lo governano.

Ciò soprattutto colpisce i postulati classici della legalità penale e impone, sforzandosi anche di superare pregiudiziali ideologiche, di porsi costruttivamente rispetto al problema, ovvero di valutare se si tratti di un fenomeno ormai incontenibile – quindi da gestire attraverso nuovi strumenti concettuali e adeguati principi normativi – oppure se cercare di contenerne gli effetti, attraverso un più incisivo ed efficiente utilizzo dei classici strumenti ordinamentali di assorbimento delle superiori istanze costituzionali: non solo l’attivismo della Corte costituzionale – che si sta chiaramente muovendo lungo tale direzione – ma anche e soprattutto quello del legislatore, attraverso la predisposizione di meccanismi di monitoraggio che siano funzionali a stimolare e attuare un tempestivo adeguamento della legislazione vigente ai vincoli sovranazionali.

 

 

[1] In particolare, l’art. 7 d.lgs. n. 269/2003 ha previsto - innovando rispetto alla regola della responsabilità civilistica solidale ex art. 11 d.lgs. n. 472/1997 - che le sanzioni irrogate ai sensi del irrogate ai sensi del d.lgs. n. 472/1997 nei confronti dell’autore – persona fisica – della violazione tributaria, sono poste “esclusivamente a carico della persona giuridica”: cfr. F. Gallo, L’impresa e la responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie, in Rass. trib., 2005, p. 11 ss.; A. Giovannini, Per una riforma del sistema sanzionatorio amministrativo, in Trattato di diritto sanzionatorio tributario, II, Diritto sanzionatorio amministrativo, cit., p. 1385 ss.

[2] Specificamente sulle problematiche poste dalla previsione della responsabilità ex d.lgs. n. 231/2001 nella prospettiva del ne bis in idem, cfr. A.F. Tripodi, L’ente nel doppio binario punitivo. Note sulla configurazione metaindividuale dei doppi binari sanzionatori, in questa Rivista, 28 dicembre 2020; il tema è comunque affrontato, tra gli altri, da R. Bartoli, Responsabilità degli enti e reati tributari: una riforma affetta da sistematica irragionevolezza, in questa Rivista, 3/2020, p. 223 ss.; F. D’Arcangelo, La responsabilità da reato degli enti per i delitti tributari: sintonie e distonie di sistema, in questa Rivista, 7/2020; A. Ingrassia, S. Cavallini, Brevi riflessioni sulla relazione tra il d.lgs. 231/2001 e i reati tributari: poenae non sunt multiplicanda sine necessitate, in Resp. amm. soc. enti, 3/2016, p. 109 ss.; A. Perini, S. Ronco, Considerazioni in tema di estensione della responsabilità da reato dell’ente agli illeciti di matrice tributaria: criticità attuali e prospettive di sviluppo, in Resp. amm. soc. enti, 2/2021, p. 43 ss.; D. Piva, Reati tributari e responsabilità dell’ente, cit., p. 275 ss.; M. Scoletta, Il principio europeo di ne bis in idem e i modelli punitivi “a doppio binario”, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 4/2021, p. 180 ss.

[3] Già era accaduto allo scopo di ‘adeguare’ al contenuto del ne bis in idem il doppio binario sanzionatorio delle persone fisiche vigente in materia di abusi di mercato: cfr. Cass., 21 settembre 2018, n. 49869, Chiarion Casoni; Id., 10 ottobre 2018, n. 45829, Franconi; Id., 5 febbraio 2019, n. 5679, Erbetta; Id., 27 settembre 2019, n. 39999, Respigo; Id., 9 gennaio 2020, n. 397, Rosso; Cass., 15 aprile 2021, n. 31507, Cremonini; Cass., 1° febbraio 2022, n. 3555, Coen; v. anche, nella giurisprudenza civile, Cass. civ., 30 ottobre 2018, n. 27564, Garlsson Real Estate; su tale orientamento giurisprudenziale cfr. E. Fusco, G. Baggio, Recenti pronunce in tema di market abuse, in Dir. pen. cont.- Riv. trim., 1/2019, p. 68; F. Mucciarelli, Illecito penale, illecito amministrativo e ne bis in idem: la Corte di Cassazione e i criteri di stretta connessione e di proporzionalità, in Dir. pen. cont., 17 ottobre 2018.

[4] L. Ferrarella, Milano, l'effetto Procura su Dhl: 1.500 assunzioni dopo l'inchiesta sui contratti illeciti, in Corriere della Sera, 24 novembre 2022.

[5] F. Mucciarelli, Ne bis in idem, sanzioni tributarie e responsabilità dell’ente, in questa Rivista, 25 novembre 2022.

[6] Elaborato da Corte EDU, G.C., 15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia, sulla quale cfr., ex multis, F. Viganò, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio, in Dir. pen. cont., 18 novembre 2016; G. de Amicis, P. Gaeta, Il confine di sabbia: la Corte Edu ancora di fronte al divieto del ne bis in idem, in Cass. pen., 2017, p. 476 ss.

[7] La “concezione naturalistica” dell’idem factum, è stato definitivamente recepita da Corte EDU, Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zolotukhin c. Russia, par. 84: la giurisprudenza successiva si è adeguata a tale principio: cfr. ex multis Id., 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia, par. 224; nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, cfr. Corte giust. UE, 9 marzo 2006, C-436/04, Van Esbroeck, par. 25; Id., 18 luglio 2007, Norma Kraaijenbrink, C-288/05.

[8] Sulla dimensione applicativa di tale disposizione cfr., ex multis, A. Vallini, Il principio di specialità, in A. Giovannini, A. Di Martino, E. Marzaduri (a cura di), Trattato di diritto sanzionatorio tributario, I, Diritto sanzionatorio amministrativo, Milano, 2016, p. 267 ss.; sul contrasto di tale interpretazione restrittiva della “specialità” con il principio di ne bisi in idem, v. M. Scoletta, Il principio europeo di ne bis in idem, cit.; approfonditamente sul tema, C. Silva, Sistema punitivo e concorso apparente di illeciti, Torino, 2018.

[9] Sulla natura penale di tale previsione sanzionatoria e sul carattere oggettivo di tale responsabilità, si rinvia ancora alle riflessioni svolte in M. Scoletta, Il principio europeo di ne bis in idem, cit.

[10] Cfr. F. Consulich, L’ente alla Corte. Il D.LGS. 231/2001 al banco di prova delle carte dei diritti, in Resp. amm. soc. enti, 4, p. 41; D. Piva, Reati tributari e responsabilità dell’ente, cit., p. 275 ss.; F. Piergallini, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell’ente, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 2/2020, p. 217 ss.; problematicamente anche A.F. Tripodi, L’ente nel doppio binario punitivo, cit., p. 15 ss.

[11] M. Scoletta, Il principio europeo di ne bis in idem, cit.

[12] Per una sintesi della problematica si rinvia a M. Scoletta, Artt. 6-7 - Profili penalistici, in Aa.Vv., Compliance. Responsabilità da reato degli enti collettivi, Milano, 2019, p. 132 ss.; più approfonditamente, Id., Sulla struttura «concorsuale» dell’illecito punitivo delle persone giuridiche nell’ordinamento italiano, in Aa.Vv. Libro homenaje al prof. Luis Arroyo Zapatero. Un derecho penal humanista, Madrid, 2021, vol. I, p. 664 ss.

[13] F. Viganò, La proporzionalità della pena. Profili penale e costituzionali, Torino, 2021.

[14] V. giurisprudenza citata retro, nt. 3.

[15] Cfr. Corte giust. UE, Grande Sezione, 20 marzo 2018, C-537/16, Garlsson Real Estate, sulla quale cfr. F. Consulich, Il prisma del ne bis in idem nelle mani del Giudice eurounitario, in Dir. pen. proc., 2018, p. 949 ss.; E. Basile, Il “doppio binario” sanzionatorio degli abusi di mercato in Italia e la trasfigurazione del ne bis in idem europeo, in Giur. comm., 2019, p. 129 ss.

[16] Sulle “potenzialità” di questa disposizione nel giudizio di proporzionalità insiste molto A.F. Tripodi, Cumuli punitivi, ne bis in idem e proporzionalità, in Riv. it. dir. proc. pen., 3, p. 1047 ss.; con specifico riferimento al doppio binario delle persone giuridiche, v. ancora Id., L’ente nel doppio binario punitivo, cit., p. 31, che si sforza di individuare i ‘canali normativi’ attraverso i quali il giudice penale può assicurare la complessiva proporzionalità sanzionatoria; analogamente D. Piva, Reati tributari e responsabilità dell’ente, cit.

[17] Il problema è stato evidenziato da A. Ingrassia, Il bastone (di cartapesta) e la carota (avvelenata): iniezioni di irrazionalità nel sistema penale tributario, in Dir. pen. proc., 2020, 314 ss. Per una proposta interpretativa tesa a superare l’anomalia in parola R. Bartoli, Responsabilità degli enti e reati tributari, cit.; problematicamente, v. F. D’Arcangelo, La responsabilità da reato degli enti, cit.

[18] Tale fattispecie oggi prevede espressamente il dovere in capo al giudice del secondo giudizio di “tenere conto” delle sanzioni già in precedenza irrogate ed è interpretata nel senso che, a seguito da tale valutazione, il giudice possa applicare la pena anche al di sotto dei limiti edittali e finanche, nei casi eccezionali in cui ritenga che la sanzione già irrogata sia ex proporzionata, non applicarla affatto; cfr. F. Mucciarelli, Gli abusi di mercato riformati e le persistenti criticità di una tormentata disciplina, in Dir. pen. cont., 10 ottobre 2018.

[19] Per una sottolineatura dei possibili effetti perversi, cfr. M. Scoletta, Abusi di mercato e ne bis in idem: il doppio binario (e la legalità della pena) alla mercé degli interpreti, in Le Società, 2019, p. 533 ss.: più in generale, a margine della importante pronuncia della Corte di Giustizia (Corte giust. UE, Grande Sezione, 8 marzo 2022, C-205/20, NE), che ha riconosciuto addirittura un generalizzato potere di disapplicazione giudiziaria delle pene ritenute sproporzionate, cfr. le pur pacate preoccupazioni espresse di F. Viganò, La proporzionalità della pena tra diritto costituzionale italiano e diritto dell’Unione europea: sull’effetto diretto dell’art. 49, paragrafo 3, della Carta alla luce di una recentissima sentenza della Corte di giustizia, in questa Rivista, 26 aprile 2022.

[20] La diretta applicabilità dell’art. 50 CDFUE è espressamente ribadita, tra le altre, dalla sentenza Garlsson: «il diritto che il menzionato articolo 50 conferisce ai soggetti dell’ordinamento non è accompagnato, secondo i termini stessi del medesimo, da alcuna condizione ed è quindi direttamente applicabile nell’ambito di una controversia come quella principale» (par. 66); v. anche Corte giust. UE, GS, 20 marzo 2018, C-524/15, Menci: “Spetta al giudice nazionale accertare, tenuto conto del complesso delle circostanze del procedimento principale, che l’onere risultante concretamente per l’interessato dall’applicazione della normativa nazionale in discussione nel procedimento principale e dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni che la medesima autorizza non sia eccessivo rispetto alla gravità del reato commesso”; nella prospettiva interna, lo riconosce chiaramente C. Cost. n. 222 del 2019 e n. 149 del 2022.

[21] Cfr. C. Cost. n. 149 del 2022, che ribadisce la percorribilità del “doppio rimedio” proprio in relazione al principio europeo di ne bis in idem; su questo specifico profilo, M. Scoletta, Riaccentramento del sindacato di legittimità ed effettività dei diritti fondamentali europei: l’esempio della garanzia del ne bis in idem, di prossima pubblicazione in Osservatorio AIC.