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20 Gennaio 2022


La sentenza delle Sezioni unite sull’onere per il giudice di calcolare e motivare l’aumento di pena per ciascuno dei reati uniti dal vincolo della continuazione

Cass., Sez. un., sent. 24 giugno 2021 (dep. 24 dicembre 2021), n. 47127, Pres. Fumu, Rel. Dovere, imp. Pizzone



1. Con ordinanza di rimessione formulata ai sensi dell’art. 618 di rito, la Terza Sezione penale della Corte di cassazione, a fronte di contrapposti orientamenti giurisprudenziali, poneva la seguente questione di diritto: «se, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base per tale reato, debba anche calcolare l’aumento di pena in modo distinto per i singoli reati o possa determinarlo unitariamente per il complesso dei reati satellite».

Una prima peculiarità della sentenza è la distinta trasposizione del quesito da parte delle Sezioni unite che, opportunamente, propone l’ulteriore questione della sussistenza o meno dell’obbligo per il giudice di motivare la quantificazione dell’aumento della pena per ciascuno dei reati satellite. Quindi, la Corte esplicita, in tema di reato continuato, la questione circa la coerente applicazione dell’art. 132 comma I c.p., ponendo attenzione non solo alla necessità o meno della quantificazione dell’incremento di pena per ciascuno dei reati in concorso, ma anche all’indicazione dei motivi che giustificano il relativo calcolo sanzionatorio. Ed infatti qualsiasi calcolo, per la verifica della sua esattezza e per uniformità della sua espressione, richiede l’applicazione di regole predeterminate e costanti che assumono carattere discrezionale solo in ordine alle grandezze utilizzate; la discrezionalità, per non assurgere ad arbitrio, deve essere pertanto giustificata.

 

2. La Corte, dunque, sottopone al suo vaglio due questioni: 1) se in caso di reato continuato il giudice debba stabilire, oltre alla pena inflitta per la violazione più grave, quelle comminate per i singoli reati satellite, o se, per converso, possa limitarsi ad indicare una pena unitaria frutto del cumulo giuridico; 2) se il giudice, aderendo alla prima ipotesi di calcolo, abbia l’obbligo di indicare i motivi fondanti l’incremento di pena per ciascun reato concorrente.

Orbene, in ordine al primo interrogativo, sono stati rilevati due distinti orientamenti interpretativi.  Secondo una giurisprudenza, assai risalente nel tempo e legata all’ormai anacronistica concezione secondo cui il reato continuato costituirebbe una unità reale, il meccanismo sanzionatorio del cumulo giuridico delle pene, distinto dalla regola della sommatoria delle sanzioni stabilita dall’art. 73 c.p., anche considerando il limite mitigatorio del successivo art. 78 c.p., non richiederebbe alcuna specificazione delle pene inflitte per i cosiddetti reati “satellite”[1] siano essi omogenei che eterogenei. Si tratta di pervicace prassi applicativa che ha indotto la Corte a superare anche l’assunto espresso in precedenza dalle Sezioni Unite[2] circa la nullità della sentenza nell’ipotesi della determinazione di una pena complessiva inflitta per reati avvinti dal vincolo della continuazione, priva di qualsiasi indicazione circa le sanzioni stabilite per ciascuno di essi, sostenendo che si tratterebbe di vizio od anche solo irregolarità non prevista dalla legge[3].

Il contrapposto orientamento, secondo il quale il giudice deve determinare non solo la pena per la violazione più grave, ma anche le sanzioni per i reati in continuazione, è stato formulato da più recenti pronunce di legittimità, ritenendo di poter far fronte a due distinte necessità. In ordine alla prima, si è osservato che l’aumento della pena per la continuazione, individuando i singoli incrementi per ciascuno dei reati satellite, consentirebbe sia il necessario controllo sull’uso del potere discrezionale del giudice che la possibilità di operare una corretta modulazione della sanzione complessiva inflitta nel corso degli ulteriori gradi del giudizio; riguardo alla seconda, sarebbe garantita una valutazione autonoma dei singoli reati che compongono l’unicità del disegno criminoso[4].

 

3. Le Sezioni Unite optano per questa seconda interpretazione, in applicazione delle previsioni normative contenute nell’art. 81 comma III c.p., 533 comma II e 546 comma I lett. e) n. 2 di rito. In tal senso, più volte la giurisprudenza, aderendo ad una “visione multifocale” della continuazione tra reati, ha progressivamente accentuato un vizio di motivazione sancendo la nullità in parte qua della sentenza nell’ipotesi in cui si determini una pena complessiva ai sensi dell’art. 81 comma II c.p., senza alcuna indicazione delle sanzioni stabilite per ciascun reato concorrente, causa l’impossibilità di operare il controllo sul buon uso fatto dal giudice del suo potere discrezionale.

Quest’ultima considerazione potrebbe indurre però a ritenere che la motivazione richiesta dall’art. 132 comma I c.p., requisito essenziale della condanna ai sensi dell’art. 546 comma I lett. e) n. 2 c.p.p., possa essere soddisfatta anche con la sola esplicitazione del risultato di un calcolo; si tratterebbe di una discutibile conclusione su cui, come di seguito si vedrà, la Cassazione ha formulato opportune puntualizzazioni. Il pregio, quindi, dei precedenti formulati dalla richiamata giurisprudenza è quello di aver esaltato il carattere duttile del reato continuato, oggetto, anche nelle distinte fasi processuali, a seconda delle esigenze, come suggerisce anche l’art. 188 disp. att. c.p.p., ad una possibile «lettura unitaria»[5], ovvero ad una sua «analisi frammentata».  Pertanto, in risposta al primo quesito, la Corte ha statuito che, come previsto dalle richiamate disposizioni di legge, in particolare dall’art. 533 comma II c.p.p., il giudice deve quantificare l’incremento di pena per ciascuno dei reati in concorso, determinando di seguito «la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme […] sulla continuazione»[6].

 

4. La soluzione adottata dalle Sezioni unite, se riferita esclusivamente alla necessaria quantificazione dell’incremento di pena per ciascuno dei reati satellite, eluderebbe l’individuazione dell’alternativo limite sanzionatorio previsto dal comma III dell’art. 81 c.p., quale ulteriore parametro necessario sia per valutare la legalità edittale della pena complessivamente inflitta, che per verificare l’esercizio del potere discrezionale da parte del giudice. Si tratterebbe di interpretazione che in realtà non esprimerebbe un pieno accoglimento alla teoria circa la pluralità sostanziale dell’istituto, anche se da un lato sembrerebbe discostarsi da una concezione di “unità reale” del reato continuato, oggi anacronistica anche alla luce della sostanziale riforma introdotta con la legge n. 99 del 1974[7]. Essa, infatti, implicitamente ammetterebbe che la minore riprovevolezza, giustificante la possibile deroga al cumulo materiale delle pene e subbiettivamente riconducibile, seppure impropriamente, al requisito del “medesimo disegno criminoso[8], connoterebbe esclusivamente i “reati satellite” e non la violazione più grave[9]. Ciò determinerebbe, come spesso accade, la peculiare e discutibile applicazione dell’art. 597 comma IV c.p.p., nel caso in cui, esclusa la condanna per uno dei reati in concorso ai sensi dell’art. 81 comma II c.p., distinto dalla violazione più grave, sia unicamente eliminato il suo apporto sanzionatorio. Operando in tal modo, a titolo esemplificativo, potrà risultare che l’elisione delle pene inflitte per tutti i reati satelliti estinti per prescrizione, con unica superstite la violazione più grave, comporterà l’annullamento dell’effetto mitigatorio caratterizzante la disciplina della continuazione. La minore riprovevolezza del reato continuato influisce infatti su tutte le sanzioni comminate per i reati concorrenti e non solo su quelli ritenuti “satelliti” del più grave; la pena inflitta per quest’ultimo assume dunque peculiare rilievo solo per la determinazione del limite del suo triplo, previsto dall’art. 81 comma I c.p., alternativo alla sommatoria di tutte le pene applicate ai sensi degli artt. 81 comma III e 73 c.p., avendo, per il resto, importanza pari alle altre.

Quindi l’assunto espresso dalle Sezioni unite è condivisibile solo se lo si intende come previsione della preliminare individuazione delle pene da infliggersi per ogni singolo reato in concorso, da considerarsi come entità autonome e tutte proporzionalmente determinanti la quantificazione del loro successivo cumulo giuridico ai sensi dell’art. 81 c.p.; si tratta dell’unica possibile «sequenza che assicura il controllo del rispetto del limite posto dal comma 3 dell’art. 81 cod. pen.». Ed infatti, per calcolare l’alternativo limite previsto dall’art. 81 comma III c.p., si deve necessariamente operare la sommatoria delle singole pene inflitte per ciascuno dei delitti in concorso ai sensi dell’art. 73 c.p. Invero, le successive considerazioni formulate dalla Corte in tema di motivazione della quantificazione del cumulo giuridico, escludono l’adozione di tali modalità operative, seppure evocate nel testo della decisione[10].

 

5. Ritenendo infondata la «tesi della legittimità di un aumento unitario della pena per il reato più grave – inteso come aumento che non distingue le pene relative a ciascun reato satellite», così esaltando l’“individualità” di ogni illecito in continuazione, al giudice è  richiesto dunque di motivare sul valore ponderale attribuito a ciascun reato satellite che concorre a determinare il complessivo trattamento sanzionatorio, così da rendere «conoscibili gli elementi che hanno condotto alla definizione di quel valore».

La Corte, in ultimo, ha disatteso l’orientamento che ritiene la motivazione della pena del reato continuato circoscritta alla sola esposizione delle ragioni fondanti il calcolo della sanzione inflitta per la violazione più grave, ed ha per converso condiviso il principio della esplicitazione dei motivi giustificanti l’aumento inflitto per i reati satellite, indicando però dei criteri di modulazione del predetto onere motivazionale. In particolare, secondo il supremo consesso, l’impegno motivazionale del giudice deve accrescere quanto più le pene inflitte si discostano dai limiti minimi edittali che, nell’ipotesi del reato continuato, sono alternativamente sanciti dai commi I e III dell’art. 81 c.p.

 

6. Le Sezioni unite hanno dunque formulato il seguente principio di diritto: «ove riconosca la continuazione tra reati, ai sensi dell’art. 81 c.p., il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base per tale reato, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati satellite».

 

 

[1] Per i rilievi critici sulla discutibile dizione di “reati satelliti”, si consenta il richiamo al contributo di A. Conz, La natura atomistica del reato continuato ed il nonsense dei “reati satelliti”, in Arch. pen., fasc. 2, 2017.

[2] Cass. pen., Sez. un., 21 aprile 1995, n. 7930, in C.E.D. Cass., n. 201549.

[3] Cass. pen., Sez. II, 21 gennaio 2015, n. 4984, in C.E.D. Cass., n. 262290, e prima, in senso conforme, Cass. pen., Sez. I, 27 novembre 2009, n. 3100, ivi, n. 245958.

[4] G. Delitala, In tema di reato continuato, in Riv. it. dir. pen., 1929, 192.

[5] G. Marinucci – E. Dolcini – G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, IX ed., 2020, 615.

[6] In tema di determinazione della pena, si veda G. Gualtieri, sub art. 81 c.p., in E. Dolcini, G.L. Gatta (a cura di), Codice penale commentato, I, Milano, 2021, V ed., 1553.

[7] E. Proto, Sulla natura del reato continuato, Palermo, 1951; G.D. Pisapia, Reato continuato, Napoli, 1938, e G. Leone, Del reato abituale, continuato e permanente, Napoli, 1933. Sull’incidenza della riforma del 1974 nella disciplina del reato continuato, si veda T. Padovani, Diritto penale, Milano, 2017, XI ed., 455, ss., e più in generale G. Vassalli, La riforma del 1974, Milano, 1975.

[8] V. Zagrebelsky, Reato continuato, Milano, 1976, 31 ss., e R.A. Frosali, Sistema penale italiano, Torino, 1958, vol. II, 510, ss.

[9] Con riferimento allo schema di calcolo da adottare nell’ipotesi di continuazione tra reati, si richiamano le osservazioni formulate nella nota A. Conz, Il giudizio in tempi diversi nella disciplina del reato continuato: considerazioni a latere sul tema dell’individuazione della “violazione più grave”, in Cass. pen., 2018, 263.

[10] Il richiamo è alla pronuncia Cass. pen., sez. un., 26 febbraio 2015, n. 22471, Sebbar, secondo cui è necessaria l'individuazione delle pene per i singoli reati satellite, prassi essenziale ai fini della "misura" degli aumenti da apportare alla pena-base.