Cass., Sez. un., sent. 30 settembre 2021 (dep. 30 marzo 2022), n. 11586, Pres. Cassano, rel. Fidelbo
1. Con sentenza in data 30.9.2021 (depositata il 30.3.2022 n. 11586/22) le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno dato risposta al seguente quesito di diritto: “se, in caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado, fondata su una diversa valutazione delle dichiarazioni ritenute decisive, l'impossibilità di procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa a causa del decesso del soggetto da esaminare precluda, di per sé sola, il ribaltamento del suddetto giudizio”.
2. Prima di illustrare le valutazioni in diritto della Suprema Corte relative al quesito sopra indicato, conviene richiamare sinteticamente i principali snodi attraverso i quali si è articolata la vicenda oggetto d’esame.
Nell’ambito di un procedimento penale per i reati di concorso in due omicidi, soppressione di cadavere, rapina, violenza privata, porto di coltello a serramanico ed altro, S.D. nel marzo del 2016 veniva condannato dalla Corte di assise esclusivamente per il reato di cui all’art. 411 cod. pen. ed assolto in relazione agli altri reati.
In particolare, l’assoluzione di S.D. in ordine ad uno dei due omicidi era stata giustificata dal primo giudice sia in base ad un giudizio di inattendibilità della coimputata M.S., unica fonte di accusa circa la partecipazione di S.D. all'omicidio, sia sulla ritenuta mancanza di elementi di riscontro alle dichiarazioni della stessa.
Nell’aprile 2017 la Corte di assiste di appello riformava la predetta decisione e dichiarava la responsabilità di S.D. per tutti i reati a lui contestati.
Al ribaltamento della decisione assolutoria il giudice di appello perveniva da un lato ritenendo credibili le dichiarazioni di M.S. circa il coinvolgimento di S.D. in uno dei due omicidi e, dall’altro, evidenziando una serie di elementi a riscontro della chiamata in correità.
La condanna anche per il secondo omicidio era invece legata ad una mera rivalutazione dell’elemento soggettivo del reato.
La Corte di cassazione nel luglio 2017 annullava con rinvio la sentenza della Corte di assiste di appello rilevando che la ritenuta responsabilità di S.D. nell'omicidio si era basata su una mera rilettura delle dichiarazioni rese da M.S. senza che fosse stata rinnovata l'istruzione dibattimentale finalizzata a risentire la coimputata.
Prima di procedere oltre, deve essere evidenziato il momento temporale della decisione della Suprema Corte che si colloca in epoca successiva alla sentenza “Dasgupta” delle Sezioni Unite dell’aprile 2016[1] – secondo la quale il giudice di appello deve procedere, anche d'ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa in caso di riforma della sentenza di assoluzione determinata da un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, rinnovazione dovuta anche per le dichiarazioni rese dal coimputato nello stesso procedimento – ma antecedente all’entrata in vigore (3 agosto 2017) del comma 3-bis dell’art. 603 cod. proc. pen.[2] che impone l'obbligo di rinnovazione istruttoria nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa
La Corte di assise di appello, quale giudice di rinvio, nel marzo 2019, preso atto del sopravvenuto decesso di M.S., disponeva l'acquisizione e la lettura delle dichiarazioni da questa rese nel corso delle indagini preliminari e nell'udienza preliminare ritenendo che una interpretazione costituzionalmente orientata del nuovo art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. non appare incompatibile con gli artt. 512 e 513 cod. proc. pen. e, per l’effetto, confermava la decisione di condanna di S.D. (fatta eccezione per il reato di porto di coltello estinto per prescrizione) ritenendo le dichiarazioni di M.S. credibili e dotate di riscontri.
Avverso quest’ultima sentenza la difesa dell’imputato proponeva nuovo ricorso per cassazione.
La Quinta Sezione penale della S.C., ritenendo di condividere la soluzione interpretativa offerta dal giudice di rinvio con l'acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali della coimputata nel frattempo deceduta, nella consapevolezza che tale soluzione si pone in contrasto con il principio di diritto enunciato dalle citate Sezioni Unite “Dasgupta”, ai sensi dell'art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., rimetteva nuovamente la questione alle Sezioni Unite.
3. Una prima questione di diritto affrontata dalla Sezioni Unite nella sentenza qui in commento ha riguardato l’applicazione dell’art. 512 cod. proc. pen. così come effettuata dal giudice di rinvio in relazione alle dichiarazioni di M.S.
Deve premettersi che la predetta coimputata era stata regolarmente sentita in contraddittorio nel corso del giudizio dibattimentale innanzi al primo giudice e che solo nel giudizio di appello, dinanzi alla richiesta del Procuratore generale di esaminarla nuovamente, la difesa di M.S. aveva prodotto una certificazione attestante le gravi condizioni di salute della stessa.
Ciò, secondo la difesa dell’imputato, non rendeva “imprevedibile” il decesso di M.S. avvenuto prima della celebrazione del giudizio di rinvio, il che non avrebbe consentito l’applicazione del disposto dell’art. 512 cod. proc. pen. per l’acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali della donna ed avrebbe precluso il ribaltamento della sentenza di primo grado.
Le Sezioni Unite, nel ricordare che, per consolidata giurisprudenza di legittimità[3], la valutazione sulla imprevedibilità dell'evento, che impedisce la ripetizione dell'atto assunto nelle indagini preliminari e ne legittima la lettura, trova il suo fondamento in un giudizio di prognosi postuma, che deve far riferimento alle circostanze note o conoscibili al momento in cui la parte interessata avrebbe potuto chiedere l'incidente probatorio, hanno però chiarito che, nel caso di specie, trattandosi di soggetto già esaminato in dibattimento, si è al di fuori dell'ambito applicativo dell’art. 512 cod. proc. pen. con la conseguenza che tale acquisizione documentale deve essere più correttamente ricondotta ai poteri officiosi che vanno riconosciuti al giudice.
4. Ciò doverosamente premesso, passando ora alla questione principale di diritto sottoposta alla Sezioni Unite, va detto che la soluzione della stessa non può che passare attraverso l’esame di quanto affermato nella citata sentenza “Dasgupta” laddove il Supremo Collegio, affrontando il caso della "impossibilità" di rinnovare la prova dichiarativa per irreperibilità, infermità o morte del soggetto, ha stabilito che in appello, se non è possibile rinnovare la prova dichiarativa, non è consentito ribaltare il verdetto assolutorio.
È, infatti, del tutto evidente che l’applicazione rigorosa di tale principio renderebbe addirittura superfluo l'esame di motivi del ricorso relativi ad asseriti vizi di motivazione della sentenza impugnata ed alla credibilità della coimputata e condurrebbe sic et simpliciter alla conferma della sentenza assolutoria di primo grado.
5. Volendo però discostarsi da tale principio, le Sezioni Unite, nella sentenza qui in commento, hanno preliminarmente ritenuto doveroso ricordare il percorso della giurisprudenza – nazionale ed europea – sul tema del "ribaltamento" della sentenza assolutoria di primo grado partendo dagli oneri motivazionali gravanti sul giudice di appello in caso di riforma della pronuncia di primo grado in origine evidenziati in due importanti decisioni del Supremo Collegio[4] secondo le quali, qualora all'assoluzione segua in appello una decisione di colpevolezza dell'imputato, sul giudice incombe l'onere di dimostrare, con una rigorosa analisi, «l'incompletezza o l'incoerenza» della decisione appellata.
Sul punto si ritornerà nel dettaglio più avanti per constatare come tali principi siano stati ulteriormente rafforzati nell’ultima decisione delle Sezioni Unite.
6. L’evoluzione giurisprudenziale successiva si è, poi, mostrata particolarmente sensibile nel recepire le indicazioni interpretative provenienti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo a partire dal noto caso del 2011 “Dan c. Moldavia”[5] (peraltro preceduto e seguito da numerose altre decisioni conformi[6]) nel quale la Corte EDU ha sostenuto che, in caso di superamento di una sentenza assolutoria, il giudice di appello deve procedere all'esame diretto dei testimoni, per valutarne l'attendibilità e così da assicurare l'equo processo.
In sostanza, secondo la Corte EDU nel caso di overturning sfavorevole senza rinnovazione dell'istruttoria è da ritenersi esclusa l'”equità” del processo richiamata all’art. 6 della Convenzione il cui rispetto impone che l'imputato si possa sempre confrontare con i testimoni davanti al giudice che dovrà decidere.
7. Lo stretto legame con le decisioni della Corte EDU è stato, poi, stabilito con una serie di pronunce delle Sezioni Unite a partire dalla già più volte richiamata sentenza “Dasgupta” nella quale non solo si è chiarito che qualora il "ribaltamento" della decisione avvenga solo sulla base di una diversa valutazione delle prove dichiarative ritenute decisive senza che si proceda alla rinnovazione delle stesse, la sentenza è affetta da vizio di motivazione – connesso ad una carenza istruttoria nel giudizio di appello – rilevabile anche d’ufficio ma si è anche richiesta una “motivazione rafforzata” sostanzialmente idonea a scardinare i passaggi logico/ricostruttivi effettuati dal giudice di primo grado tenendo conto del rispetto del disposto dell’art. 533 cod. proc. pen. secondo cui la condanna è sempre subordinata al superamento di ogni ragionevole dubbio.
Dalla lettura della predetta sentenza emerge un regime tendenzialmente “rigido” di applicazione della regola della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale (esteso anche ai soggetti c.d. “vulnerabili”) al punto che, se in appello l'esame del dichiarante sia divenuto impossibile, perché, ad esempio – per restare al caso di specie – medio tempore deceduto, «non vi sono ragioni per ritenere consentito un ribaltamento del giudizio assolutorio ex actis».
L’unico elemento tale da affievolire l’evidenziata “rigidità” decisoria appare dedursi nel passaggio della predetta sentenza in cui si è sottolineato il dovere del giudice di accertare «sia la effettiva sussistenza della causa preclusiva della nuova audizione, sia che la sottrazione all'esame non dipenda dalla volontà di favorire l'imputato o da condotte illecite poste in essere da terzi» essendo in tal caso il giudice legittimato a fondare il proprio convincimento sulle precedenti dichiarazioni.
Con tale ultimo passaggio la Corte appariva, quindi, avere inserito un fattore di flessibilità, affidando al giudice la valutazione circa l'insuperabile necessità della reiterazione dell'atto istruttorio così aprendo la strada processuale a casi residui in cui il giudice avrebbe potuto fondare la propria decisione avvalendosi (anche) di "precedenti dichiarazioni" non raccolte in contraddittorio.
Al filone di decisioni aperto con la sentenza “Dasgupta” ne sono, poi, seguite altre con le quali la regola della necessaria rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva è stata confermata anche in relazione al ribaltamento della pronuncia assolutoria emessa nel giudizio abbreviato[7], è stata estesa alle dichiarazioni rese dal perito o dal consulente tecnico nel corso del dibattimento[8], nonché all'annullamento, ai soli fini civili, della sentenza assolutoria di primo grado[9].
Per dovere di completezza è però doveroso ricordare che la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale non è stata, invece, richiesta nel caso inverso in cui la riforma riguarda una sentenza di condanna in primo grado[10].
8. Dopo avere esaminato la predetta evoluzione giurisprudenziale, le Sezioni Unite, nella sentenza qui in esame sono però passate ad esaminare il comma 3-bis dell'art. 603 cod. proc. pen. che così recita: «Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale».
Premettendo che la predetta disposizione, in assenza di disposizioni transitorie, è applicabile anche nella vicenda processuale in esame ancorché entrata in vigore successivamente sia alla sentenza della Corte di appello oggetto di annullamento, sia alla decisione della Corte di cassazione, ciò in quanto la nuova disciplina dell'art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., non è intervenuta a regolamentare in modo innovativo l'atto di impugnazione in quanto tale ovvero il regime stesso dell'impugnazione, ma ha introdotto una nuova regola processuale sulla istruttoria in appello, peraltro ponendosi in linea di continuità con la giurisprudenza sopra richiamata, le Sezioni Unite hanno evidenziato come «la ellittica formulazione della norma potrebbe portare a letture divergenti rispetto al sistema creato dalla giurisprudenza». Ciò nell’ottica di un istituto dell'appello, come delineato anche a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 103 del 2017, che resta un mezzo di controllo della decisione assunta in primo grado e che, anche dopo l'introduzione del comma 3-bis nell'art. 603, non prevede per il giudice di appello un obbligo di disporre una rinnovazione "generale e incondizionata" ma solo la «previsione di una nuova, mirata, assunzione di prove dichiarative ritenute dal giudice di appello "decisive" ai fini dell'accertamento della responsabilità».
9. Alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale sopra esposto le Sezioni Unite, volendo parzialmente discostarsi dai principi della sentenza “Dasgupta” sono poi passate ad esaminare la questione del “an” e del “quomodo” sia eventualmente possibile un overturning sfavorevole all’imputato nel caso di impossibilità di procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa.
Il primo profilo esaminato è stato quello della compatibilità di una simile operazione processuale con il dettato costituzionale.
Al riguardo si è condivisibilmente osservato che sebbene l'art. 111 della Costituzione, al comma terzo, garantisce all'imputato «la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico» nonché il diritto di acquisire «ogni altro mezzo di prova a suo favore» – non essendovi dubbio che le regole del giusto processo si applichino anche in appello – tuttavia, lo stesso art. 111, comma 5, della Costituzione prevede una deroga al principio del contraddittorio stabilendo che «nei casi regolati dalla legge la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita».
D’altro canto – hanno sempre condivisibilmente osservato le Sezioni Unite – le disposizioni processuali vigenti non stabiliscono alcun divieto di "ribaltare" l'assoluzione quando vi siano condizioni oggettive che impediscano la rinnovazione della prova, sicché in presenza di disposizioni che non contengano divieti di esclusioni probatorie non può trovare applicazione una regola di origine giurisprudenziale non riprodotta nel codice di rito, né tale divieto potrebbe desumersi dal dettato costituzionale atteso che, per contro, proprio il citato comma 5 dell’art. 111 Cost. prevede una deroga al principio del contraddittorio nei casi di accertata impossibilità di natura oggettiva, tra i quali può rientrare la sopravvenuta morte del dichiarante.
10. Rimane però da chiedersi se l’eccezionale deroga de qua al principio del contraddittorio sia compatibile anche con l’art. 6 della CEDU e con le decisioni in materia adottate dalla Corte EDU.
Sul punto è stato evidenziato che nella stessa sentenza “Dan c. Moldavia” la Corte EDU, preso atto che «la valutazione dell'attendibilità di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate», ha tuttavia riconosciuto che «vi sono casi in cui è impossibile udire un testimone personalmente durante il processo perché, per esempio, è deceduto».
Come si vede già in detta pronuncia si registra una significativa riduzione della rigidità del principio affermato e si riconosce la sussistenza di casi in cui può ammettersi una deroga così da ricondurre ad equità la relativa procedura.
Nello stesso senso, in maniera ancor più esplicita, si è espressa la Corte EDU proprio con riferimento al caso di un teste non risentito dal giudice di appello, in quanto nelle more deceduto: in tale fattispecie i giudici di Strasburgo hanno censurato la decisione che aveva statuito il ribaltamento non per il mero utilizzo delle pregresse dichiarazioni, ma solo in quanto l'affidamento su tali dichiarazioni avrebbe dovuto essere accompagnato da adeguate garanzie[11].
Va evidenziato come quest'ultima sentenza abbia richiamato due note pronunce[12] della Grande Camera della Corte di Strasburgo che «hanno ritenuto compatibile con le garanzie convenzionali la condanna fondata su dichiarazioni decisive assunte in via unilaterale, ogni volta che il sacrificio del diritto di difesa (ovvero l'impossibilità di interrogare direttamente il teste fondamentale) sia bilanciato da «adeguate garanzie procedurali» e che ricorrano tre canoni processuali da verificare: a) l'esistenza di un valido motivo giustificativo dell'assenza del testimone, quale presupposto dell'ammissione delle dichiarazioni precedenti; b) l'accertamento che la dichiarazione cartolare sia stata determinante per la condanna; c) la presenza di sufficienti garanzie procedurali compensative, idonee a bilanciare le difficoltà causate alla difesa in conseguenza dell'ammissione di dette prove, al fine di garantire l'equità del processo».
Alla luce di quanto esposto risulta allora superato il rigido meccanismo indicato dalle Sezioni Unite “Dasgupta” secondo il quale la sopravvenuta impossibilità di rinnovazione in appello della prova dichiarativa ritenuta decisiva determina l’inevitabile conferma della sentenza assolutoria di primo grado.
11. Vi è però un ultimo profilo che deve essere esaminato: dato per assodato che è possibile un overturning sfavorevole all’imputato nel caso di impossibilità di procedere alla rinnovazione orale in appello della prova dichiarativa e da realizzarsi mediante la lettura e la conseguente utilizzazione delle dichiarazioni precedentemente rese dal dichiarante in assenza di contraddittorio con l’imputato, vi è però da domandarsi quale debba essere il portato motivazionale della sentenza che ribalta la sentenza assolutoria di primo grado tale da riequilibrare la mancanza del contraddittorio.
È, infatti, chiaro che i fattori compensativi, funzionali a far apprezzare l'equità del giudizio in presenza di situazioni che rendono impossibile la piena realizzazione del contraddittorio in presenza di prova non assunta devono essere tali che, più la prova ha carattere di decisività, maggiore deve essere la pregnanza di tali fattori e ciò anche in relazione al concreto accertamento dell'imprevedibilità del mancato esame del dichiarante[13].
In tal senso le Sezioni Unite “Troise”[14], nel richiamare gli approdi della giurisprudenza della Corte EDU, hanno ribadito che la condanna che si fondi unicamente o in misura determinante su una testimonianza resa in fase di indagini da un soggetto che l'imputato non sia stato in grado di interrogare nel corso del dibattimento integra una violazione dell'art. 6 CEDU, ma solo se il pregiudizio così arrecato ai diritti della difesa non sia stato controbilanciato da elementi sufficienti o da solide garanzie processuali in grado di assicurare l'equità del processo nel suo complesso.
Dette garanzie procedurali secondo un più recente arresto della Coste di legittimità «dovranno essere individuate nell'accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto, tra i quali possono rientrare anche le dichiarazioni dei testi indiretti, che hanno percepito in ambiente extra-processuale le dichiarazioni accusatorie della fonte primaria, confermandone in dibattimento la portata»[15].
Tuttavia le Sezioni Unite, con la sentenza qui in esame hanno previsto un impegno motivazionale ancor più articolato: il "rafforzamento" delle argomentazioni motivazionali di una sentenza che dispone un overturning di tal tipo sfavorevole all’imputato deve essere particolarmente incisivo e, in primo luogo, avere ad oggetto la dichiarazione "decisiva", resa in primo grado e non potuta replicare, attraverso un esame e una valutazione di tutti gli elementi riguardanti la credibilità del soggetto e l'attendibilità del suo narrato, per poi procedere alla falsificazione della stessa prova dichiarativa per verificarne le disarmonie logiche e argomentative, nonché per evidenziare il fondamento erroneo dei fatti e rapporti valorizzati dal primo giudice sulla base di un eventuale travisamento probatorio.
Inoltre, detto “rafforzamento” deve avvenire non solo su basi "argomentative", bensì sulla base di ulteriori elementi che siano idonei a compensare il sacrificio del contraddittorio, elementi che il giudice ha l'onere di ricercare e acquisire anche avvalendosi dei poteri officiosi di cui all'art. 603, comma 3, cod. proc. pen.
Insomma, il deficit probatorio che si verifica per effetto della impossibilità di procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa "decisiva" e in presenza di una sentenza assolutoria di primo grado determina la necessità di prevedere tutte quelle garanzie procedimentali in grado di reintegrare il quadro probatorio, al fine di dimostrare la illogicità della originaria valutazione che di quelle prove ha fatto il primo giudice.
Da ultimo, si è però anche precisato che le garanzie procedimentali che possono giustificare sia il superamento della presunzione di innocenza rafforzata legata all'intervenuta assoluzione, sia la mancanza del contraddittorio, possono però anche non operare cumulativamente, nel senso che spetta alla discrezionalità del giudice, in rapporto alle necessità di integrazione probatoria, valutare se sia necessario o meno ricorrere ad una rinnovazione anche officiosa dell'istruzione dibattimentale, oppure sia sufficiente una motivazione rafforzata con gli opportuni riscontri.
12. All’esito delle considerazioni cui sopra le Sezioni Unite hanno quindi affermato il seguente principio di diritto:
“La riforma, in appello, della sentenza di assoluzione non è preclusa nel caso in cui la rinnovazione della prova dichiarativa decisiva, oggetto di discordante valutazione, sia divenuta impossibile per decesso del dichiarante; tuttavia, la motivazione della sentenza che si fondi sulla prova non rinnovata deve essere rafforzata sulla base di elementi ulteriori, idonei a compensare il sacrificio del contraddittorio, che il giudice ha l'onere di ricercare ed eventualmente acquisire anche avvalendosi dei poteri officiosi di cui all'art. 603, comma 3, cod. proc. pen.».
[1] Cass. SS.UU., sent. n. 27620, del 28/04/2016, Dasgupta.
[2] Comma inserito dall’art. 1, comma 58, della l. 23.6.2017, n. 103 a decorrere dal 3.8.2017.
[3] ex plurimis, Sez. 5, n. 4945, del 20/01/2021, T.; Sez. 6, n. 50994, del 26/03/2019, D.; Sez. 1, n. 45862, del 17/10/ 2011, Albano.
[4] Cass. SS.UU., sent. n. 33748, del 12/07/2005, Mannino; Cass. SS.UU. n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti.
[5] Corte EDU, 05/07/2011.
[6] v., Corte EDU, 08/03/2007, Danila c. Romania; Corte EDU, 26/02/20 12, Gaitaranu c. Romania; Corte EDU, 05/03/2013, Manolachi c. Romania; Corte EDU, 04/07/2013, Hanu c. Romania; Corte EDU, 09/04/ 2013, Flueras c. Romania.
[7] Cass. SS.UU., n. 18620 del 19/01/2017, Patalano.
[8] Cass. SS.UU., n. 14426 del 28/01/2019, Pavan.
[9] Cass. SS.UU., n. 22065 del 28/01/2021, Cremonini.
[10] Cass. SS.UU., n. 14800 del 21/12/ 2017, dep. 2018, Troise.
[11] Corte EDU, 10/11/ 2020, Dan c. Moldavia, nota come “Dan 2”.
[12] Corte EDU, 15/12/2011, Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito e 15/12/2015, Schatschaschwili c. Germania.
[13] cfr., Corte EDU, 23/06/ 2016, Ben Moumen c. Italia; nello stesso senso Corte EDU, 16/07/2019, Iulius Por Sigur Porsson c. Islanda, e Corte EDU, 09/11/2021, Ignat c. Romania.
[14] Cfr. nota sub. 10.
[15] Cass. Sez. 2, n. 15492 del 05/02/2020, C.; nello stesso senso Sez. 6, n. 43899 del 28/06/2018, Tropeano; Sez.6, n. 50094 del 26/03/2019, D.; Sez. 2, n. 19864 del 17/04/2019, Mellone.