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  Scheda  
25 Febbraio 2022


Le Sezioni unite chiariscono i limiti della (ir)rilevanza della “pedopornografia domestica” ai sensi dell’art. 600-ter c.p.

Cass., Sez. un., sent. 28 ottobre 2021 (dep. 10 febbraio 2022), n. 4616, Pres. Cassano, est. Sarno



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1. Con la sentenza in epigrafe, le Sezioni Unite della Cassazione tornano a occuparsi del delitto di produzione di materiale pedopornografico di cui all’art. 600-ter c.p. e, nello specifico, della c.d. pornografia domestica, termine che si riferisce alla produzione di immagini sessualmente esplicite raffiguranti un minore che abbia raggiunto l’età del consenso sessuale – quattordici anni[1] – da parte di chi con questi intrattenga una relazione affettiva intima.

La pronuncia per molti versi completa l’opera definitoria intrapresa dalla precedente sentenza n. 51815 del 31 maggio 2018, con cui le medesime Sezioni Unite avevano chiarito la natura di reato di danno del delitto di produzione di materiale pornografico, sancendo la fine di quel consolidato orientamento giurisprudenziale che subordinava la ricorrenza della fattispecie in questione all’accertamento di un pericolo concreto di diffusione del suddetto materiale[2]; con tale nuovo arresto, infatti, da un lato la Suprema Corte approfondisce il significato da attribuire alla condotta di utilizzazione del minore all’interno dell’art. 600-ter comma 1 n. 1 c.p., in piena continuità con il proprio precedente, dall’altro si esprime sulla corretta interpretazione del richiamo contenuto nei successivi commi 2, 3 e 4 al «materiale pornografico di cui al primo comma», aspetto non affrontato dalle Sezioni Unite del 2018.

Nell’attesa di ospitare più ampli contributi di commento, in questa sede ci soffermeremo sul percorso argomentativo seguito dai giudici di legittimità, al fine di mettere in luce l’effettiva portata applicativa dei principi di diritto affermati.

 

2. Il caso sottoposto all’esame della Corte di legittimità concerneva la realizzazione da parte di un soggetto allora trentenne di immagini raffiguranti una minore ultraquattordicenne nel compimento di atti sessuali, oltre che la loro successiva divulgazione tramite il social network Facebook. La vicenda traeva origine dalla denuncia presentata dalla giovane, la quale, tuttavia, in sede di udienza preliminare aveva parzialmente ritrattato le proprie affermazioni, sostenendo di aver previamente consentito tanto alla produzione del materiale, nell’ambito di una relazione affettiva intima intrattenuta con il soggetto maggiorenne, quanto alla parziale cessione del medesimo, mediante invio delle immagini a una terza persona con cui la stessa aveva successivamente intrecciato una relazione sentimentale.

Confermando la pronuncia di primo grado, la Corte d’appello di Roma aveva condannato l’imputato per il delitto di produzione di materiale pedopornografico di cui all’art. 600-ter c. 1 n. 1 c.p., considerando irrilevante e comunque non scriminante il consenso prestato dalla minore. La difesa dell’imputato presentava quindi ricorso in Cassazione, denunciando come i giudici di merito avessero fornito una lettura della fattispecie criminosa contraria all’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite n. 51815 del 2018, le quali avevano chiarito la non configurabilità della condotta di “utilizzazione” del minore nelle ipotesi di c.d. pornografia domestica, caratterizzate dall’assenza di forme di strumentalizzazione o reificazione del minorenne ultraquattordicenne, cui deve essere riconosciuto il diritto di esercitare la propria libertà sessuale anche attraverso riproduzioni video o fotografiche.

 

3. Con ordinanza del 22 aprile 2021, la Terza Sezione penale della Cassazione, interessata dal ricorso, decideva di rimettere gli atti alle Sezioni Unite, ritenendo di non poter integralmente condividere quanto affermato dalla richiamata pronuncia n. 51815 del 2018[3].

In quell’occasione, le Sezioni Unite, volendo attribuire carattere pregnante alla nozione di “utilizzazione del minore” contenuta nell’art. 600-ter, avevano effettivamente affermato – seppur in obiter dictum – che tale condotta non sussiste qualora le immagini o i video a carattere pornografico raffiguranti il minore ultraquattordicenne siano realizzati nell'ambito di un rapporto che, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, debba ritenersi scevro da condizionamenti derivanti dalla posizione dell’autore, e siano altresì destinate a un uso strettamente privato. A giudizio delle Sezioni Unite, tale conclusione appariva coerente non solo con una lettura della fattispecie in questione quale reato di danno posto a tutela dell’immagine, della dignità e dello sviluppo sessuale del minore, ma anche con le indicazioni ricavabili dalle pertinenti fonti europee e sovranazionali, che espressamente prevedono la possibilità di non incriminare la produzione e il possesso di materiale pedopornografico relativo a minori che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale, purché il materiale sia destinato a un uso strettamente privato delle persone coinvolte e l’atto non implichi alcuna forma di abuso (così, in particolare, l’art. 8§3 della direttiva 2011/93/UE e l’art. 20§3 della Convenzione di Lanzarote).

La Terza Sezione riteneva tuttavia di dover mettere parzialmente in discussione l’esito interpretativo cui erano giunte le Sezioni Unite, evidenziando diversi profili di dissenso rispetto all’autorevole precedente.

In primo luogo, veniva rilevato come il citato obiter dictum non avesse adeguatamente preso in considerazione la differenza intercorrente tra una relazione interpersonale intima tra soggetti minori, tutti in grado di manifestare un valido consenso all’attività sessuale, e la medesima relazione tra un minore e un adulto, la quale difficilmente, a parere dei rimettenti, potrebbe essere definita paritaria.

In secondo luogo, e più radicalmente, i giudici di legittimità ritenevano di non poter condividere l’assunto secondo cui il consenso all’atto sessuale prestato dal minore ultraquattordicenne potesse estendersi anche alla rappresentazione digitale dell’atto stesso, osservando come il minore non sarebbe in grado di discernere le possibili ripercussioni sulla propria sfera psichica e sulla propria immagine connesse ai rischi di diffusione di tale materiale.

Da ultimo, la Terza Sezione rilevava l’incompletezza dell’analisi delle Sezioni Unite, le quali non avevano fornito indicazioni rispetto alle possibili ricadute della propria interpretazione della condotta di “utilizzazione” di cui all’art. 600-ter c. 1 sui successivi commi 2, 3 e 4 del medesimo articolo, i quali fanno riferimento al “materiale pornografico di cui al primo comma”. La lettura restrittiva della nozione di utilizzazione, invero, avrebbe ragionevolmente dovuto riflettersi su tutte le fattispecie configurate dall’art. 600-ter, escludendo la rilevanza penale delle condotte di commercializzazione, cessione, diffusione, ecc. aventi a oggetto immagini realizzate lecitamente, ai sensi del comma 1: la Sezione rimettente, conseguentemente, prospettava il rischio di un vuoto di tutela, non integralmente colmato dalla recente incriminazione del fenomeno del c.d. revenge porn attraverso l’introduzione dell’art. 612-ter nel codice penale (fattispecie peraltro non applicabile ai fatti di specie, commessi tra il 2011 e il 2012). 

 

4. Con la pronuncia in commento, le Sezioni Unite, come si anticipava, attribuiscono un duplice contenuto alla questione rimessa dalla Terza Sezione: da un lato, rinvengono l’esigenza di chiarire i confini entro i quali la c.d. pornografia domestica deve essere considerata penalmente irrilevante, in particolare laddove le condotte siano realizzate nel contesto di una relazione affettiva tra un soggetto minore e una persona maggiorenne; dall’altro, assumono il compito di illustrare i rapporti intercorrenti tra il primo comma e i successivi commi 2, 3 e 4 dell’articolo 600-ter.

 

5. Nell’esaminare il primo profilo, dopo aver brevemente ripercorso l’evoluzione normativa e giurisprudenziale che ha interessato l’art. 600-ter a seguito della sua introduzione nel codice a opera della l. 269 del 1998[4], le Sezioni Unite ritengono necessario tornare sull’esegesi del primo comma dell’articolo in questione, soffermandosi sulla condotta di “produzione di materiale pornografico utilizzando minori di anni diciotto”.

 

5.1. Anzitutto, le Sezioni Unite ricordano come la formulazione della norma presupponga indubbiamente la diversità dell’autore della condotta dal soggetto ripreso, non potendo acquisire rilevanza penale ai sensi del delitto in oggetto l’“autoproduzione” del materiale da parte dello stesso minore (c.d. selfie)[5].

Per quanto attiene, invece, al piano dell’offesa, l’attuale punto di riferimento è costituito dalle più volte citate Sezioni Unite n. 51815 del 2018, le quali, superando l’orientamento precedentemente espresso dalle Sezioni Unite Bove n. 13 del 2000[6], hanno ricostruito la fattispecie in termini di reato di danno; sul piano ermeneutico, tale pronuncia ha assimilano la condotta di “produzione” (del materiale pornografico) a quella di “realizzazione” (di esibizioni o spettacoli pornografici), attribuendo rilevanza centrale alle modalità con cui tali condotte sono poste in essere, ossia alla nozione di “utilizzazione” dei minori. Detto concetto, come già ricordato, è stato inteso dalla Corte in senso pregnante, non come mero “utilizzo”, ma come strumentalizzazione, reificazione, asservimento del minore per un vantaggio altrui, in definitiva, sfruttamento (non necessariamente economico).

Aderendo a quest’impostazione, la pronuncia in commento ribadisce che «il discrimine fra il penalmente rilevante e il penalmente irrilevante in questo campo non è il consenso del minore in quanto tale, ma la configurabilità dell'utilizzazione»[7]: se ricorre la condotta di utilizzazione, nessuna valenza scriminante può essere attribuita al consenso del minore, che deve considerarsi frutto della condotta abusiva dell’agente e non può perciò essere ritenuto libero; d’altra parte, il consenso del minore costituisce un elemento necessario, ma non sufficiente, per escludere la condotta di utilizzazione, sicché il giudice sarà tenuto a svolgere un attento e rigoroso accertamento del contesto in cui tale consenso è stato espresso, al fine di verificare se esso possa essere effettivamente considerato scevro da illeciti condizionamenti.

La stessa sentenza n. 51815/2018, viene rilevato, ha individuato una serie di elementi che di per sé denotano la condizione di “utilizzazione” del minore. Costui, in particolare, risulterà in concreto oggetto di strumentalizzazione non solo nei casi in cui il suo consenso sia estorto mediante violenza o minaccia, ovvero sia carpito con l’inganno, ma anche laddove la condotta dell’agente debba essere considerata abusiva in quanto connessa a una particolare posizione di supremazia[8]; la condotta di utilizzazione, inoltre, sarà certamente riscontrabile in tutti quei casi in cui l’agente agisca per fini commerciali o, ancora, il minore coinvolto non abbia raggiunto l’età prevista dalla legge per la valida prestazione del consenso agli atti sessuali.

 

5.2. A completamento dell’opera chiarificatrice intrapresa dalle Sezioni Unite 2018, nella sentenza in commento i giudici di legittimità ritengono di poter ulteriormente declinare il concetto di “utilizzazione” del minore attraverso lo strumento dell’interpretazione sistematica, che impone una lettura della norma coerente non solo con le disposizioni di cui al Titolo XII, Capo III, Sezione I del codice (“dei delitti contro la personalità individuale”), ma anche con quelle di cui alla successiva Sezione II (“dei delitti contro la libertà personale”)[9].

In particolare, le Sezioni Unite prendono in considerazione l’art. 609-quater c.p., rintracciandovi il principale riferimento normativo – dotato di valenza sistematica – in tema di limiti del consenso del minore in relazione alla propria sfera sessuale. La norma, infatti, individuando i casi in cui gli atti sessuali con il minorenne costituiscono reato, permette altresì di identificare le ipotesi in cui deve essere esclusa la validità del consenso eventualmente prestato dal minore alla riproduzione documentale della propria attività sessuale; di conseguenza, la condotta di utilizzazione ricorrerà: a) in tutti i casi in cui il minore non abbia compiuto quattordici anni; b) nel caso in cui il minore abbia tra i quattordici e i sedici anni, in presenza dei particolari rapporti intercorrenti tra lui e l’agente considerati dal n. 2 del c. 1 dell’articolo in questione (parentela, convivenza, tutela, affidamento per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o custodia); c) nel caso di minore ultra sedicenne, in presenza delle condotte di abuso dei poteri connessi alla posizione dell’agente di cui all’art. 609-quater c. 2, sempre nell’ambito di rapporti di parentela, convivenza, educazione, ecc.; d) in tutti i casi in cui ricorrano le ulteriori condotte di abuso di fiducia, di autorità o influenza descritte dal nuovo comma 3 dell’articolo de quo, recentemente introdotto dalla l. 238/2021.

Approfondendo l’esame del contesto normativo, le Sezioni Unite rilevano poi come da diverse previsioni di legge – e in particolare dagli artt. 600-bis, 602-ter c. 4 e 609-quater c. 4 c.p. – si ricavi che il consenso del minore non può altresì essere ritenuto scevro da condizionamenti nei casi in cui l’attività sessuale (compresa l’attività di ripresa o registrazione) sia svolta in cambio della dazione o promessa di denaro o altra utilità. Viene precisato, inoltre, che l’“utilizzazione del minore” può ricorrere non solo quando l’agente produca autonomamente il materiale pornografico, ma anche quando induca o istighi a tali azioni il minore stesso, non potendosi parlare, in queste ipotesi, di “autoproduzione” in senso proprio[10].

 

5.3. L’esame del contesto normativo, in sintesi, permette di individuare una serie di situazioni nei quali la volontà del minore deve ritenersi coartata o condizionata, in relazione a condizioni di approfittamento, abuso di poteri, di autorità o di fiducia. Nell’accertare la sussistenza di tali condizioni, nondimeno, il giudice dovrà tenere in specifica considerazione il grado di maturità raggiunto dal minore, essendo chiamato a svolgere una valutazione particolarmente rigorosa specialmente in presenza di un soggetto infrasedicenne, considerato dalla legge più esposto ai rischi di condizionamento e pertanto meritevole di una tutela penale rafforzata.

Nell’accertamento dell’assenza di condizionamenti della volontà del minore, sottolineano poi le Sezioni Unite, una particolare attenzione sarà richiesta anche nei casi in cui l’agente sia un soggetto maggiorenne: pur in presenza di una relazione affettiva tra costui e il soggetto rappresentato, infatti, per poter escludere la rilevanza penale della condotta di produzione di materiale sessualmente esplicito il giudice sarà tenuto a «verificare specificamente che l’adulto non abbia vinto le resistenze del minore inducendolo a superare le proprie riluttanze tramite tecniche di manipolazione psicologica e di seduzione affettiva, (…) varie forme di condizionamento che includono il “ricatto affettivo”»[11].

Da ultimo, per acquisire rilevanza – non scriminante, ma – ai fini dell’esclusione di una condizione di strumentalizzazione del minore, il consenso da questi prestato dovrà essere specifico e privo di vizi, conformemente a quanto richiesto dalla normativa nazionale ed europea in tema di tutela dei dati personali; in proposito, le Sezioni Unite precisano che il consenso del minore all’atto sessuale non include di per sé quello alla registrazione o alle riprese di natura pornografica, che dunque dovrà essere reso in maniera espressa; allo stesso modo, il giudice dovrà accertare che il minore avesse altresì consentito alla successiva conservazione delle immagini da parte di chi le ha realizzate. In caso contrario, l’agente non ricadrà soltanto nelle conseguenze sanzionatorie previste dal codice della privacy[12], ma la sua condotta acquisirà rilevanza ai sensi dell’art. 600-ter c.p.

 

5.4. Alla luce di queste considerazioni, le Sezioni Unite giungono all’enucleazione del primo principio di diritto, affermando che «si ha “utilizzazione” del minore allorquando, all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico-fisica dello stesso».

 

6. Con riferimento al secondo dei profili problematici in esame, e dunque al tema del rapporto intercorrente tra il primo comma dell’art. 600-ter e i successivi commi 2, 3 e 4, le Sezioni Unite ricordano che una soluzione volta a precludere eventuali vuoti di tutela è stata recentemente offerta dalla sentenza n. 5522 del 2019 della Terza Sezione della Suprema Corte, la quale ha ritenuto configurabile il reato di cessione di materiale pedopornografico di cui all’art. 600-ter c. 4 c.p. anche nei casi in cui detto materiale sia stato realizzato dallo stesso minore[13].

A sostegno di tale conclusione, veniva rilevato che i citati commi 2, 3 e 4, nel riferirsi al “materiale pornografico di cui al comma 1”, non richiamano l’intera condotta delittuosa di cui al primo comma, ma soltanto l’oggetto materiale del reato; di conseguenza, ai fini dell’integrazione delle fattispecie in questione occorre esclusivamente accertare che le condotte di commercializzazione, diffusione, cessione, ecc. abbiano a oggetto materiale riconducibile alla nozione di pornografia di cui al settimo comma dell’art. 600-ter, comprensiva di «ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali».

 

6.1. Quest’orientamento interpretativo viene condiviso dalle Sezioni Unite. Pur senza entrare nel merito della riconducibilità alla nozione di pornografia del materiale autoprodotto, questione ultronea rispetto ai fatti di causa, i giudici di legittimità mettono infatti in luce come presupposto necessario della c.d. pornografia domestica – che, nell’accezione usata dalla Suprema Corte, si riferisce solo al materiale eteroprodotto – sia l’uso esclusivamente privato del materiale a contenuto sessuale[14].

La messa in circolazione del materiale raffigurante il minore, pertanto, integrerebbe in ogni caso una strumentalizzazione di quest’ultimo, anche laddove egli non risulti “utilizzato” nella fase iniziale, essendo la produzione avvenuta con il suo consenso e nell’ambito di una relazione affettiva non abusiva. Più precisamente, a giudizio delle Sezioni Unite in simili situazioni possono realizzarsi due diversi scenari: se la messa in circolazione del materiale è voluta fin dall’inizio da chi lo ha prodotto, ricorre senz’altro la fattispecie di cui all’art. 600-ter comma 1 c.p., assumendo la condotta dell’agente connotati di per sé abusivi; se, invece, la diffusione o cessione del materiale è frutto di una determinazione successiva, nei confronti dell’agente non potrà “rivivere” la disposizione di cui al primo comma, ma potranno senza dubbio rintracciarsi gli estremi delle fattispecie – sussidiarie – di cui ai commi 2, 3 o 4 dell’art. 600-ter, non acquisendo a tal fine rilevanza l’originaria liceità della condotta di produzione del materiale.

In entrambi i casi, nessun rilievo – né scriminante, né ai fini dell’esclusione della tipicità – può essere attribuito alla volontà del minore, che non può mai validamente consentire alla messa in circolazione del materiale a contenuto sessuale che lo riguardi. Nel sostenere tale conclusione, le Sezioni Unite dimostrano, da un lato, di condividere la considerazione svolta dai giudici rimettenti secondo cui deve escludersi – attraverso una sorta di presunzione iuris et de iure – che il minore (che pure possa validamente consentire al compimento di atti sessuali) abbia raggiunto un livello di maturità tale da permettergli una valutazione realmente consapevole in ordine alle ricadute negative della mercificazione del suo corpo attraverso la divulgazione delle immagini erotiche che lo raffigurano;  dall’altro, di aderire alla tesi – a sua volta prospettata nell’ordinanza di rimessione – secondo cui il bene giuridico tutelato dall’art. 600-ter sarebbe non solo l’interesse individuale dei minori materialmente coinvolti, ma altresì l’interesse collettivo di tutti i minori, la cui dignità e libertà sessuale potrebbe risultare danneggiata o messa in pericolo «per effetto della desensibilizzazione prodotta dalla visione delle immagini poste in circolazione»[15].

 

6.2. Le Sezioni Unite giungono così ad affermare un secondo principio di diritto: «La diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un minore degli anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600-ter, terzo e quarto comma, cod. pen. ed il minore non può prestare consenso ad essa».

 

7. Applicando i principi ora esposti al caso di specie, il ricorso dell’imputato viene ritenuto fondato. Nonostante la maggiore età di quest’ultimo, infatti, l’assenza di connotati abusivi nell’ambito della relazione intrattenuta con la ragazza minorenne imponeva di escludere la sussistenza del reato di cui all’art. 600-ter c. 1 c.p.; l’avvenuta cessione delle immagini a carattere pornografico, invece, stante l’irrilevanza del consenso prestato dalla minore, era inquadrabile nell’ambito del reato di cui all’art. 600-ter c. 4, il quale risultava però già estinto per prescrizione.

* * *

8. Come si anticipava in premessa, con la pronuncia in commento le Sezioni Unite sembrano aver completato l’opera ermeneutica intrapresa dalla precedente sentenza n. 51815 del 2018, cogliendo lo spunto da quest’ultima offerto in obiter dictum e precisando l’ambito di (ir)rilevanza penale della c.d. pornografia domestica.

A fronte dei dubbi avanzati dalla Terza Sezione della Suprema Corte, infatti, i giudici di legittimità sembrano aver offerto all’interprete alcuni ulteriori punti fermi.

Da una parte, si è ribadita la prospettiva – già accolta dalla pronuncia del 2018 – secondo cui, a fronte del consenso prestato dal minore ultraquattordicenne alla realizzazione di materiale sessualmente esplicito che lo raffiguri, il giudice deve svolgere un accertamento rigoroso circa l’assenza di comportamenti abusivi o condizionanti da parte dell’agente; conseguentemente, la pornografia domestica (se con tale termine si intende la rappresentazione, attraverso immagini o video, del minore nel compimento di atti sessuali a opera di un soggetto con cui questi intrattenga una relazione affettiva intima) non può essere considerata radicalmente estranea all’ambito di applicazione dell’art. 600-ter c. 1 c.p., potendosi rintracciare anche in queste ipotesi gli estremi di comportamenti abusivi o profittativi da parte del soggetto agente. Nello svolgere tale accertamento, il giudice dovrà espressamente considerare anche l’età dell’agente (specie se maggiorenne) e l’età del minore (specie se infrasedicenne), quali fattori capaci di influire sull’instaurazione di una relazione manipolativa o abusiva tra i soggetti in questione.

D’altra parte, le Sezioni Unite accolgono un’interpretazione estensiva delle fattispecie delittuose di cui ai successivi commi 2, 3 e 4, di fatto negando – a dispetto del dato letterale – ogni collegamento con il reato di cui al comma 1; l’espressione “materiale pornografico di cui al primo comma”, infatti, viene interpretata quale rinvio diretto alla nozione di “pornografia” di cui al comma 7, senza attribuire alcuna rilevanza alla condotta di “utilizzazione” del minore. Parimenti irrilevante è, con riferimento alle fattispecie in questione, il consenso dell’offeso, che non può rivestire alcuna efficacia scriminante.

 

9. In conclusione a questa breve disamina, occorre soffermarsi su due ulteriori passaggi argomentativi della sentenza in commento, finora volutamente tralasciati, che, invece, ci sembrano destare qualche perplessità.

In coda alle proprie motivazioni, dopo aver chiarito che la messa in circolazione del materiale pedopornografico, ancorché questo sia stato prodotto lecitamente ai sensi dell’art. 600-ter c. 1, deve comunque essere inquadrata nell’ambito dei reati di cui ai commi 2, 3 e 4, la Suprema Corte osserva da un lato che «la responsabilità dell’adulto per la successiva diffusione del materiale resterà esclusa solo per eventi imprevedibili a lui non imputabili e solo nel caso dimostri di avere adottato le necessarie cautele per scongiurarla o di non averla potuta impedire», dall’altro che «se la circolazione del materiale realizzato sarà imputabile all’iniziativa esclusiva del minore, la responsabilità della circolazione incomberà su quest’ultimo», attesa la natura di reato comune del delitto ex art. 600-ter.

La prima affermazione, se non l’abbiamo male interpretata, ci pare seriamente discutibile, in quanto presa alla lettera condurrebbe ad applicare la sanzione prevista per i delitti di cui ai commi 2, 3 e 4 c.p. – indubbiamente puniti solo a titolo di dolo – a chi abbia colposamente apportato un contributo causale alla diffusione del materiale pedopornografico (banalmente, lasciando incustodito lo smartphone o il computer su cui le immagini erano conservate e così permettendo a terzi di vederle e diffonderle).

La seconda affermazione, pur se fondata su un assunto indiscutibile (il delitto di cui all’art. 600-ter è reato comune), appare di complessa lettura. Facendo riferimento a l’“iniziativa esclusiva del minore”, la Cassazione sembra alludere proprio al minore raffigurato nelle immagini a contenuto pornografico; sorge allora il dubbio che, in questo modo, le Sezioni Unite abbiano voluto attribuire rilevanza penale al fenomeno del c.d. sexting, che in effetti, nella lettura estensiva offerta dalla pronuncia in esame, potrebbe astrattamente ricadere quantomeno nell’ambito dell’art. 600-ter c. 4, il quale contempla l’ipotesi di cessione a titolo gratuito.

Atteso, però, che le Sezioni Unite hanno espressamente asserito di occuparsi del solo caso di eteroproduzione del materiale pornografico, verosimilmente l’ipotesi che esse avevano in mente era quella del minore che diffonda o ceda a terzi l’immagine o il video in precedenza prodotto da un soggetto con cui intratteneva una relazione intima. Ricondurre tali condotte all’ambito di applicazione dell’art. 600-ter, tuttavia, non sembra esente da criticità, specialmente con riferimento al caso in cui il materialeeteroprodotto, ma comunque conservato dal minore – sia ceduto a un soggetto, diverso da chi lo ha realizzato, con cui pure il minore intrattenga una relazione affettiva intima, non vedendosi perché una simile condotta, che potrebbe definirsi una particolare forma di sexting, non dovrebbe considerarsi a sua volta espressione della libertà sessuale del minore.

 

[1] Tale elemento si ricava, a contrario, dall’art. 609-quater c. 1 c.p., che punisce il compimento di atti sessuali con un minore che non abbia compiuto gli anni quattordici.

[2] Cass., Sez. un., sent. 31 maggio 2018 (dep. 15 novembre 2018), n. 51815, rispetto alla quale può rimandarsi al commento di R. Bertolesi, Produzione di materiale pornografico: per le Sezioni unite non è necessario l'accertamento del pericolo di diffusione, in Dir. pen. cont., 30 novembre 2018.

[3] Per una più approfondita analisi dell’ordinanza di rimessione, si può rimandare al contributo di D. Rosani, Sexting minorile: le Sezioni unite chiamate ad esprimersi sul materiale pedopornografico prodotto col consenso del minore (600-ter c.p.), in questa Rivista, 29 settembre 2021.

[4] Per la quale può rimandarsi al § 2 del Considerato in diritto della sentenza in commento.

[5] Principio che può ritenersi ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità: in questo senso, cfr. Cass. pen., Sez. III, sent. 18 febbraio 2016, n. 11675, Rv. 266319-01; Cass. pen., Sez. III, sent. 11 aprile 2017, n. 34357, Rv. 270719-01.

[6] Cass., Sez. un., sent. 31 maggio 2000 (dep. 5 luglio 2000), n. 13, Bove, Rv. 216337-01. Sul punto, può rimandarsi al già citato contributo di R. Bertolesi, Produzione di materiale pornografico, cit.

[7] Così già Cass., Sez. un., sent. 31 maggio 2018 (dep. 15 novembre 2018), n. 51815, § 4.1.2.

[8] In senso simile, la giurisprudenza successiva all’arresto delle Sezioni Unite ha valorizzato «la ricorrenza di un differenziale di potere tra il soggetto che realizza le immagini e il minore rappresentato»: cfr. in particolare Cass. pen., Sez. III, sent. 22 ottobre 2020, n. 2252, Rv. 280825-01.

[9] Le Sezioni Unite rilevino, infatti, come le disposizioni di entrambe le sezioni rientrino «in una comune logica di sistema sorretta dalle medesime finalità», consistente, «nella tutela dell’integrità non solo fisica ma anche psichica dei soggetti più esposti all’aggressione e allo sfruttamento»: cfr. sul punto il § 4.1 della sentenza in commento.

[10] In questo senso, già Cass. pen. Sez. III, sent. 23 ottobre 2020, n. 2252, Rv. 280825-01, e Cass. pen., Sez. III, sent. 18 aprile 2019, n. 26862, Rv. 276231-01, a mente delle quali «risponde del delitto di pornografia minorile, punito dall'art. 600-ter, comma primo, n. 1, cod. pen. anche colui che, pur non realizzando materialmente la produzione di materiale pedopornografico, abbia istigato o indotto il minore a farlo, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l'intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell'utilizzazione del minore, che implica una strumentalizzazione del minore stesso, sebbene l'azione sia posta in essere solo da quest'ultimo».

[11] Cfr. sul punto il § 5 della sentenza in commento.

[12] In particolare, la mancanza del consenso assume autonoma rilevanza penale ai sensi dell’art. 167 d.lgs. 196/2003, che tuttavia si apre con la clausola “salvo che il fatto costituisca più grave reato”.

[13] Cass. pen., Sez. III, sent. 21 novembre 2019 (dep. 12 febbraio 2020), n. 5522, con commento di D. Rosani, Cessione di immagini pedopornografiche autoprodotte ('selfie'): la Cassazione rivede la propria lettura dell’art. 600-ter c.p., in questa Rivista, 4 dicembre 2020.

[14] In questo senso depongono anche le fonti sovranazionali ed europee in tema di tutela del minore contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale, che, nello stabilire il divieto di circolazione delle immagini pornografiche raffiguranti minori, prescindono dalle relative modalità di realizzazione; i già citati art. 8§3 della direttiva 2011/93/UE e art. 20§3 della Convenzione di Lanzarote, inoltre, prevedono la possibilità di escludere la rilevanza penale della c.d. pornografia domestica a condizione che il materiale sia destinato a un uso strettamente privato delle persone coinvolte.

[15] Cfr. § 9.4 della sentenza in commento.