Cass., Sez. un., sent. 24 settembre 2020 (dep. 16 febbraio 2021), n. 6087, Pres. Cassano, est. Di Stefano, ric. Rubbo
1. Con la sentenza qui allegata le Sezioni unite hanno risolto il quesito sollevato dalla Sezione VI della Corte di cassazione relativo alla corretta qualificazione giuridica della condotta del gestore o dell’esercente degli apparecchi da gioco leciti di cui all’art. 110, sesto e settimo comma, TULPS, che si impossessi dei proventi del gioco, anche per la parte destinata al pagamento del prelievo erariale unico (c.d. PREU), non versandoli al concessionario della rete per la gestione telematica degli apparecchi.
Dal massimo organo nomofilattico arriva una conferma dell’orientamento maggioritario, definito “sostanzialmente stabile” (par. 6 del Considerato in diritto) e solo di recente messo in discussione – come vedremo – da un’unica pronuncia di legittimità; le motivazioni della sentenza, depositate lo scorso 16 febbraio, offrono una diffusa ricostruzione della complessa normativa extrapenale di riferimento, la cui corretta interpretazione costituisce elemento dirimente per la soluzione della questione e sulla quale è pertanto utile soffermarsi brevemente.
2. Il settore che interessa è quello degli apparecchi da gioco c.d. “autosufficienti” (tipo slot-machines) di cui all’art. 110, sesto e settimo comma, TULPS; tali apparecchi, in quanto rientranti nell’ambito di esercizio del monopolio fiscale su giochi e scommesse, devono necessariamente essere inseriti in una rete telematica che consenta il controllo sull’utilizzazione e sulle somme dagli stessi raccolte ed erogate come vincite. A tal fine l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (in precedenza, l’Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato) provvede ad individuare con gara ad evidenza pubblica uno o più concessionari ai quali viene rilasciato il nulla-osta amministrativo per l’installazione e messa in esercizio degli apparecchi e viene affidata la gestione della rete telematica di controllo.
All’esercizio della concessione, oltre al soggetto concessionario, partecipano anche altre e diverse figure, che assumono rilevanza proprio nella vicenda de qua; si tratta, in particolare, del “gestore” e dell’“esercente”.
Il gestore è il soggetto che “esercita un’attività organizzata diretta alla distribuzione, installazione e gestione economica degli apparecchi da intrattenimento” (par. 4.1. del Considerato in diritto) in forza di un contratto di diritto privato con il concessionario il cui contenuto è almeno in parte predeterminato dall’atto di concessione. È il gestore, in particolare, che, mediante il c.d. “scassettamento”, provvede a prelevare dagli apparecchi i proventi delle giocate, dei quali ha dunque l’immediata disponibilità materiale. L’esercente è invece il titolare dell’esercizio dove sono collocati gli apparecchi ed è chiamato a svolgere attività analoghe a quelle del gestore laddove non sia presente quest’ultima figura.
Il denaro raccolto con le giocate è oggetto di un preciso meccanismo di ripartizione: tolta la percentuale destinata alle vincite dei giocatori, il residuo viene in parte destinato alla remunerazione degli attori della filiera ed in parte prelevato dall’erario tramite il PREU, istituito con l’art. 39, comma 13, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326[1].
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 334 del 2006, ha confermato la natura tributaria del prelievo erariale unico, il cui presupposto è individuato nell’organizzazione dell’attività di gioco; coerentemente, quale soggetto passivo del tributo deve essere riconosciuto (non già il giocatore, ma) il concessionario della rete[2].
3. Il caso portato all’attenzione delle Sezioni unite vedeva coinvolto il legale rappresentante di una società incaricata della raccolta delle giocate per conto del concessionario della rete telematica di controllo e gestione degli apparecchi da gioco leciti. Tale soggetto, assunta la posizione di “gestore”, dopo pochi mesi dall’avvio del rapporto con il concessionario interrompeva i versamenti delle somme prelevate dagli apparecchi da gioco, arrivando a cumulare – prima dell’avvenuto distacco di tali apparecchi dalla rete – ingenti somme non versate, per circa 400.000 euro relative al PREU e per circa 24.000 euro destinate al compenso della concessionaria.
Entrambi i Giudici del merito, in conformità con l’orientamento prevalente, avevano qualificato l’appropriazione del denaro incassato e trattenuto dall’imputato come peculato ex art. 314 c.p. La Sezione sesta della Corte di cassazione, assegnataria del ricorso, rilevava le conclusioni difformi alle quali era invece giunta la sentenza Cass., Sez. VI, 5 aprile 2018, n. 21318, ric. Poggianti la quale, pronunciandosi su un caso analogo di appropriazione di somme relative al PREU da parte del soggetto gestore, aveva ritenuto che tale condotta non potesse integrare l’ipotesi di peculato[3]. Preso atto del contrasto giurisprudenziale (ancorché innescato, come detto, da un’unica sentenza di segno contrario rispetto ad un orientamento stabile), la Corte devolveva il ricorso alle Sezioni unite.
4. La diversità di orientamenti emersa nella giurisprudenza di legittimità scaturiva, a ben vedere, da una differente visione di fondo in ordine alla disciplina extrapenale dell’esercizio degli apparecchi da gioco leciti di cui all’art. 110, sesto e settimo comma, TULPS; disciplina evidentemente decisiva ai fini della corretta qualificazione giuridica del fatto appropriativo del soggetto gestore. Tale differenza interessava, in prima battuta, la natura delle somme giocate e riscosse nell’ambito della gestione telematica del gioco lecito.
L’orientamento prevalente, rifacendosi ad una consolidata giurisprudenza delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione, riconosceva la natura pubblica delle somme raccolte per mezzo degli apparecchi da gioco, le quali sarebbero sin dall’origine di appartenenza della pubblica amministrazione concedente[4].
In questa prospettiva, al soggetto concessionario della rete di gestione veniva riconosciuta la qualità di “agente contabile”, nella misura in cui questi è chiamato a riscuotere denaro di immediata spettanza della p.a. Da tale qualità l’orientamento in parola deriva per il soggetto concessionario l’ulteriore qualifica pubblicistica di incaricato di pubblico servizio, qualifica che per mezzo del contratto stipulato fra le parti viene trasmessa al soggetto gestore, effettivamente chiamato a prelevare i proventi del gioco anche per la parte destinata al pagamento del PREU.
Da tali premesse non può che discendere l’inquadramento entro la fattispecie di cui all’art. 314 c.p. della condotta appropriativa del gestore – agente contabile e incaricato di pubblico servizio – rispetto alle somme raccolte dagli apparecchi da gioco, che presentano il requisito della altruità in quanto ab origine appartenenti all’Amministrazione concedente e delle quali il soggetto ha la disponibilità materiale per ragioni del servizio.
La citata sentenza Poggianti, di contro, aveva ritenuto che le somme raccolte mediante la gestione telematica degli apparecchi da gioco non avessero natura pubblica, ma fossero “interamente [di proprietà] della società che dispone del congegno da gioco, anche per la parte corrispondente all'importo da versare a titolo di prelievo unico erariale”, in quanto esse costituirebbero “un ricavo di impresa sul quale è calcolato l'importo che la società deve corrispondere a titolo di debito tributario”[5].
A tali conclusioni la pronuncia era giunta attraverso un’analisi della disciplina del PREU di cui al d.l. n. 269 del 2003 volta ad evidenziarne tre aspetti ritenuti centrali: i) come già abbiamo detto, soggettivo passivo dell’imposta costituita dal PREU è il concessionario della rete e non il giocatore; ii) il calcolo delle somme dovute a titolo di PREU dal concessionario è effettuato prendendo a riferimento l’anno solare, con un versamento finale a saldo dei versamenti periodici; iii) il PREU è dovuto anche sulle somme giocate tramite apparecchi non autorizzati e non collegati alla rete telematica.
Sulla base di tali considerazioni la sentenza Poggianti aveva concluso nel senso che il denaro incassato per mezzo degli apparecchi da gioco, lungi dall’essere ab initio di proprietà pubblica, costituisce piuttosto un incasso del concessionario della rete, sul quale questi assume un’obbligazione tributaria. In caso di mancato pagamento del PREU, dunque, a venire il gioco non sarebbe il modello dell’appropriazione di denaro altrui da parte di soggetto con qualifica pubblicistica, bensì quello dell’omesso versamento di imposta[6].
5. Le Sezioni unite sviluppano la parte motiva della sentenza prendendo le mosse proprio dalla questione che, come abbiamo detto, assume rilevanza preliminare e cioè quella della natura delle somme giocate. Sul punto la presa di posizione è netta: “non è dubitabile che (tutti) i proventi del gioco presenti negli apparecchi, al netto del denaro restituito quale vincita agli scommettitori, appartengano all’Amministrazione” (par. 7.1. del Considerato in diritto).
L’affermazione della natura pubblica del denaro incassato con gli apparecchi da gioco viene ricavata dalle autorevoli prese di posizione in tal senso della giurisprudenza civile di legittimità e della giurisprudenza contabile, invero già richiamate nell’ordinanza di rimessione della Sezione sesta. Particolare rilevanza in questo senso viene attribuita alla recente sentenza Cass., Sez. un. civ., 29 maggio 2019, n. 14697 che, nel confermare la giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti del concessionario di rete, ha nuovamente affermato la natura pubblica di tutte le somme raccolte mediante l’esercizio del gioco lecito, in ragione del “sistema di collegamento diretto” fra Amministrazione centrale e singoli apparecchi da gioco[7].
In questa prospettiva, sempre nel solco dell’interpretazione offerta dalle Sezioni unite civili e dai giudici contabili, la sentenza in commento riconosce come il concessionario di rete, in quanto “deputato istituzionalmente al maneggio di tale denaro pubblico”, rivesta il ruolo di agente contabile ex art. 178, R.D. 23 maggio 1924, n. 827 (par. 7.4. del Considerato in diritto).
Escluso dunque che le somme raccolte per mezzo degli apparecchi da gioco possano rappresentare un ricavo da attività di impresa, le Sezioni unite offrono una prima risposta al quesito loro sottoposto, per quanto concerne la posizione del concessionario di rete: questi, laddove trattenga gli incassi del gioco (anche) per la parte destinata al PREU, è responsabile del reato di peculato in quanto si appropria di denaro pubblico che egli gestisce nella veste qualificata e formale di agente contabile (par. 8 del Considerato in diritto).
6. Prima di affrontare direttamente la posizione del soggetto gestore, la Corte affronta il tema della possibilità di qualificare il concessionario di rete – a prescindere dal suo ruolo di agente contabile – come incaricato di pubblico servizio. Si tratta di un profilo che invero, come le stesse Sezioni unite ricordano, già l’ordinanza di rimessione aveva posto in termini dubitativi, valorizzando un passaggio testuale della citata sentenza Cass., Sez. un. civ., n. 14697 del 2019[8].
La rilevanza preliminare della questione, rispetto alla corretta qualificazione giuridica della condotta appropriativa del gestore, è espressamente chiarita dalla sentenza: “si tratta di un passaggio necessario per ritenere che tale qualificazione spetti anche al gestore il cui eventuale ruolo di incaricato di pubblico servizio è condizionato dall’esserlo il concessionario dal quale, in ipotesi, deriverebbe il conferimento di compiti nella conduzione del servizio pubblico” (par. 9 del Considerato in diritto).
Ebbene, le Sezioni unite ritengono che il concessionario effettivamente svolga in regime di concessione un pubblico servizio, che consiste nel diretto e continuativo controllo di una attività altrimenti illecita, svolgendo questi una funzione di interesse pubblico tanto nella prospettiva del contrasto alla ludopatia e alle attività criminali del settore, quanto per la gestione degli incassi destinati all’Erario.
Alle attribuzioni proprie del predetto pubblico servizio – prosegue la sentenza – partecipa invero anche il soggetto gestore, il quale, lungi dallo svolgere attività meramente materiali, collabora in particolare al controllo circa la funzionalità della rete telematica e alla gestione degli incassi, partecipando all’esercizio della stessa attività di agente contabile del concessionario e risultando in tal senso destinatario di precisi obblighi di controllo e tracciabilità.
7. In definitiva la Corte conclude affermando come il soggetto gestore, il quale assume la qualifica di incaricato di pubblico servizio trovandosi a raccogliere e detenere denaro pubblico nomine alieno, deve essere chiamato a rispondere per il delitto di peculato nel caso in cui si appropri degli incassi degli apparecchi da gioco, non versandoli al concessionario della rete anche per la parte destinata al PREU.
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8. La decisione delle Sezioni unite offre un’autorevole conferma dell’impostazione seguita dall’orientamento ermeneutico largamente maggioritario, rigettando al contempo la ricostruzione “alternativa” proposta dalla sentenza Poggianti nel 2018: la condotta appropriativa delle somme destinate al pagamento del PREU tenuta dal concessionario di rete ovvero dal gestore deve essere ricondotta al tradizionale schema della fattispecie di peculato realizzata nelle forme del mancato versamento di tributi all’ente titolare degli stessi da parte del soggetto incaricato alla riscossione che riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio[9].
È certamente da apprezzare lo sforzo di ricostruzione sistematica portato avanti dalla Suprema Corte, la quale nel risolvere le questioni inerenti alla complessa normativa extrapenale di riferimento assume quale punto fermo le statuizioni della più autorevole giurisprudenza civile e contabile, e dalle stesse fa discendere logicamente le conseguenze circa la corretta qualificazione criminale della condotta appropriativa dei soggetti coinvolti nella filiera del gioco lecito.
A me pare, tuttavia, che anche dopo l’intervento chiarificatore delle Sezioni unite sulle questioni strettamente penali rimangano aperte alcune questioni di fondo concernenti la disciplina della ricchezza prodotta dal gioco telematico e del PREU in particolare. Mi riferisco, nello specifico, alla peculiare posizione soggettiva del concessionario di rete, che si trova contemporaneamente e rispetto alle stesse somme di riferimento a vestire i panni del soggetto passivo di imposta e dell’agente contabile incaricato della riscossione.
In questo senso è stato evidenziato come tali qualifiche non potrebbero coesistere in capo al medesimo soggetto, sussistendo fra le stesse una incompatibilità ontologica[10]. Ed è in effetti proprio valorizzando tale nodo della disciplina di riferimento che la sentenza Poggianti del 2018 aveva ritenuto di poter offrire una ricostruzione della vicenda alternativa rispetto a quella poi condivisa dalle Sezioni unite: se il concessionario/soggetto passivo dell’imposta è tenuto a versare un tributo sulle somme raccolte tramite il gioco, tributo peraltro calcolato su base annuale e dovuto anche nel caso di apparecchi illecitamente sottratti alla gestione monopolistica della Stato, quelle somme – nell’impostazione seguita dalla Corte nel caso Poggianti – non potrebbero che appartenere originariamente allo stesso soggetto concessionario, venendo dunque meno il requisito dell’altruità necessario per la configurazione del peculato.
Che il rapporto tra il ruolo di agente contabile attribuito al concessionario dalla giurisprudenza civile, contabile e oggi dalle stesse Sezioni unite penali e la qualifica di soggetto passivo dell’imposta allo stesso riconosciuta – tra l’altro – dalla citata sentenza n. 334 del 2006 della Corte costituzionale e dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 81, sia problematico è testimoniato dal fatto che tanto le Sezioni unite civili quanto la Corte dei Conti si sono preoccupate di precisare come la posizione di soggetto passivo dell’imposta del concessionario non si ponga in contrasto con la riconosciuta natura pubblica delle somme derivanti dagli incassi del gioco.
Si tratta di un passaggio argomentativo naturalmente ripreso e valorizzato dalla stessa sentenza delle Sezioni unite de qua, nella quale in effetti i Giudici di legittimità in apertura della parte motiva si premurano di precisare come i due profili relativi alla “proprietà delle somme incassate dagli apparecchi di gioco” e all’“obbligo di versamento del PREU quale tributo” vadano necessariamente tenuti distinti (par. 7 del Considerato in diritto). È la stessa impostazione seguita dalle Sezioni unite civili, che avevano precisato in senso analogo come “la natura tributaria dell'imposta (…) e la qualificazione del concessionario come soggetto passivo d'imposta (…) operano limitatamente al rapporto di natura tributaria, senza incidere sulla funzione di agente della riscossione di denaro pubblico derivante dalla configurazione complessiva dell'attività di gioco lecito mediante apparecchi o congegni elettronici”[11].
Ebbene, a mio modestissimo avviso l’effettiva possibilità di erigere tale schermo fra natura delle somme raccolte e dimensione tributaria del PREU – ovvero, fra il ruolo di agente contabile e la qualifica di soggetto passivo di imposta dello stesso concessionario di rete – è tutta da verificare, specie laddove si prendano in considerazione le conseguenze in punto di responsabilità penale delle figure coinvolte.
In questo senso non può che essere richiamata la vicenda ermeneutica che ha di recente interessato la condotta di omesso versamento della tassa di soggiorno da parte dell’albergatore, della quale questa rivista ha ampiamente dato conto[12]. Si ricorderà infatti come in quel caso sia stata proprio la nuova qualifica di soggetto destinatario dell’obbligo tributario – e non più di mero incaricato alla riscossione – attribuita all’albergatore in riferimento alla tassa di soggiorno dal c.d. decreto rilancio (d.l. 19 maggio 2020, n. 34, conv. in l. 17 luglio 2020, n. 77) a far venir meno, per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore di tale decreto, la configurabilità della fattispecie di peculato.
Ai nostri fini rileva evidenziare come la stessa giurisprudenza di legittimità abbia reputato sufficiente l’assunzione da parte dell’albergatore della qualifica di “responsabile d’imposta” (nemmeno dunque, come nel caso del concessionario della rete telematica del gioco lecito, di vero e proprio “soggetto passivo dell’imposta”) per ritenere che sia stato “modificato sostanzialmente il rapporto intercorrente tra il gestore della struttura ricettiva e l’ente impositore” in modo tale da incidere anche sulla qualificazione giuridica della condotta di mancato pagamento, non più sussumibile entro la fattispecie di peculato ma rilevante quale illecito amministrativo-tributario di omesso versamento[13].
Nella disciplina in materia di gioco telematico, invece, la qualifica tributaria di soggetto passivo dell’imposta e quella pubblicistica di agente contabile incaricato alla riscossione parrebbero poter convivere senza particolari problemi in capo al medesimo soggetto, caratterizzandosi il prelievo tributario quale la mera “modalità con cui l’Amministrazione ottiene il versamento da parte del concessionario di somme dovute”[14].
In definitiva se in un caso, quello dell’albergatore, l’assetto (rinnovato) della disciplina tributaria incide e si riflette sul rapporto tra soggetto e Amministrazione, e di conseguenza sulla qualificazione giuridico-penale della condotta appropriativa eventualmente tenuta, altrettanto non avviene nella pure similare ipotesi del concessionario della rete di gestione e controllo del gioco telematico, ove invece i due piani – secondo la giurisprudenza contabile, civile e le stesse Sezioni unite penali – possono e devono essere tenuti rigorosamente distinti.
[1] Sul tema v. per tutti F.A. Cimino, Il trattamento fiscale delle vincite conseguite attraverso gli apparecchi elettronici di gioco lecito (slot machine e videolottery), in Rass. tributaria, 2017, 641 ss.
[2] Corte cost., 19 ottobre 2006, n. 334, in Giur. cost., 2006, 3337 ss. Con riferimento alla controversa natura giuridica del PREU e al contributo in questo senso offerto dalla richiamata pronuncia della Consulta v. A. Maniccia, I risvolti penalistici della controversa natura giuridica del prelievo erariale unico (PREU), in Cass. pen., 2019, 833 ss.
[3] Cass., Sez. VI, 5 aprile 2018, n. 21318, in Cass. pen., 2019, 820 ss., con nota di A. Maniccia, I risvolti penalistici della controversa natura giuridica del prelievo erariale unico, cit.
[4] In questo senso Cass., Sez. VI, 28 maggio 2008, n. 35373, in www.dejure.it; Cass., Sez. II, 10 aprile 2013, n. 18909, in Diritto e Giustizia online, 2 maggio 2013; Cass., Sez. VI, 5 ottobre 2017, n. 49070, in Riv. pen., 2017, 1051 ss.; Cass., Sez. VI, 10 aprile 2018, n. 15869, in www.dejure.it; Cass., Sez. VI, 30 aprile 2019, n. 4937, in Guida al diritto, 2020, 10, 30.
[5] Cass., Sez. VI, n. 21318 del 2018, cit., par. 2.3. del Considerato in diritto.
[6] La vicenda oggetto della sentenza Poggianti si caratterizzava per la messa in opera da parte degli imputati di un meccanismo fraudolento volto ad omettere la contabilizzazione delle giocate e a occultare la reale entità delle somme corrisposte dai giocatori. In sintesi, i dati delle giocate venivano alterati mediante l’utilizzo di una “scheda clone” di contabilizzazione, di modo che all’Amministrazione venissero comunicati non i dati effettivi, contabilizzati sulla scheda clone non collegata alla rete telematica, bensì quelli risultanti sulle schede originali, che registravano solo giocate fittizie e occasionali. Ai giudici di legittimità, pertanto, si poneva la questione della corretta qualificazione giuridica della condotta appropriativa, come peculato ovvero come truffa aggravata ai danni dello Stato o frode informatica; sulla soluzione offerta dalla sentenza Poggianti, nel senso della riconducibilità dei fatti contestati allo schema della truffa aggravata, v. A. Maniccia, I risvolti penalistici della controversa natura giuridica del prelievo erariale unico, cit., 844 ss.
[7] Cass., Sez. un. civ., 29 maggio 2019, n. 14697, in www.dejure.it, par. 9.3. del Considerato in diritto. Nello stesso senso la sentenza in parola richiama le conclusioni di Cass., Sez. un. civ., 1° giugno 2010, n. 13330, in Foro it. 2010, I, 3056; Cass., Sez. un. civ., 21 giugno 2010, n. 14891, in www.dejure.it; Corte Conti, Sez. I App., 18 settembre 2014, n. 1086, ivi; Corte Conti Lazio, 5 novembre 2010, n. 2110, in Riv. Corte conti, 2010, 6, 153.
[8] Cass., Sez. VI, ord. 12 settembre 2019, n. 1310, in questa Rivista, par. 6 del Considerato in diritto.
[9] Con riferimento alla responsabilità per peculato dell’incaricato alla riscossione che ometta di versare le somme all’Erario v., nella manualistica più recente, M. Pelissero, I delitti contro la pubblica amministrazione, in R. Bartoli – M. Pelissero – S. Seminara, Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, Torino, 2021, 437.
[10] In questi termini A. Maniccia, I risvolti penalistici della controversa natura giuridica del prelievo erariale unico, cit., 842.
[11] Così Cass., Sez. un. civ., n. 14697 del 2019, cit., par. 9.3. del Considerato in diritto; nello stesso senso anche Corte Conti, Sez. I App., n. 1086 del 2014, cit.
[12] Sul tema v. G.L. Gatta, Omesso versamento della tassa di soggiorno da parte dell’albergatore e peculato: abolitio criminis dopo il “decreto rilancio”?, in questa Rivista, 5 ottobre 2020; F. Vitarelli, Il Tribunale di Roma si discosta dalla Cassazione e riconosce l’abolitio criminis dopo il “decreto rilancio” per le condotte pregresse di omesso versamento dell’imposta di soggiorno da parte dell’albergatore, in questa Rivista, 23 novembre 2020; G.L. Gatta, Peculato dell’albergatore e revoca del giudicato per intervenuta (?) abolitio criminis: l’ordinanza del g.u.p. di Roma sul caso Paladino, in questa Rivista, 23 dicembre 2020; F. Vitarelli, Ancora sul peculato dell’albergatore dopo il “decreto rilancio”: il Tribunale di Perugia riconosce l’abolitio criminis, in questa Rivista, 23 dicembre 2020; G.L. Gatta, La Cassazione applica il 'criterio strutturale' e ribadisce: nessuna abolitio criminis del peculato commesso dall'albergatore prima del “decreto-rilancio”, in questa Rivista, 28 dicembre 2020; F. Lazzeri, Peculato dell’albergatore e nuovo illecito amministrativo in una recente sentenza di merito: alla base del riconoscimento dell’abolitio criminis una malintesa applicazione del criterio strutturale, in questa Rivista, 15 gennaio 2021; G. Amarelli, “Peculato dell’albergatore”: tra modifiche mediate reali o apparenti e successione impropria, tertium datur l’amnistia?, in questa Rivista, 5 febbraio 2021.
[13] In questi termini espressamente Cass. Sez. VI, 28 ottobre 2020, n. 36317, in questa Rivista, con nota di G.L. Gatta, La Cassazione applica il 'criterio strutturale', cit., par. 3 del Considerato in diritto.
[14] Così Corte Conti, Sez. I App., n. 1086 del 2014, cit.