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11 Marzo 2020


Le Sezioni unite chiudono la saga dei “fratelli minori” di Bruno Contrada: la sentenza Contrada c. Italia non può produrre effetti erga omnes

Cass. pen., SS.UU., sentenza 24 ottobre 2019 (dep. 3 marzo 2020), n. 8544, Pres. Carcano, rel. Boni, ric. Genco



1. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno deciso: Bruno Contrada è “figlio unico”. I suoi cc.dd. fratelli minori – ossia i soggetti che, come lui, sono stati condannati per concorso esterno in associazione mafiosa per fatti antecedenti all’intervento delle Sezioni Unite Demitry del 1994 – non possono valersi della sentenza con cui la Corte di Strasburgo il 14 aprile 2015 accertò che la condanna irrogata nei suoi confronti dallo Stato italiano violava l’art. 7 Cedu, poiché tale pronuncia non appare suscettibile di produrre effetti erga omnes.

Secondo il principio di diritto stabilito dalla decisione in commento, infatti, «i principi affermati dalla sentenza della Corte EDU del 14 aprile 2015, Contrada contro Italia, non si estendono nei confronti di coloro che, estranei a quel giudizio, si trovino nella medesima posizione quanto alla prevedibilità della condanna per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, in quanto la sentenza non è una sentenza pilota e non può considerarsi espressione di una giurisprudenza europea consolidata».

 

2. A interpellare le Sezioni Unite era stata la sesta sezione penale della Cassazione[1], chiamata a valutare il ricorso presentato da un soggetto, Genco Stefano, che, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa per fatti commessi fino al febbraio del 1994, aveva avanzato istanza di revisione “europea” della propria condanna ai sensi dell’art. 630 c.p.p., come modificato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 113 del 2011.

Il ricorrente aveva chiesto al giudice della revisione di accertare l’illegittimità della propria condanna per contrasto con l’art. 7 Cedu, sostenendo che l’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo di cui all’art. 46 Cedu imponesse allo Stato italiano di garantire l’attuazione dei principi stabiliti nella pronuncia emessa su ricorso di Bruno Contrada non solo nei confronti di quest’ultimo, ma anche in relazione a tutti coloro che si trovassero nella medesima situazione sostanziale riconosciuta incompatibile con la Convenzione.

In tale arresto, in effetti, i giudici di Strasburgo – lo ricordiamo brevemente – avevano ritenuto che condannare Contrada per concorso esterno in associazione mafiosa per fatti commessi tra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta determinasse una violazione del principio “Nullum crimen, nulla poena sine lege” di cui all’art. 7 Cedu, considerando il reato in questione non “sufficientemente chiaro e prevedibile” al tempo dei fatti in quanto frutto di un’evoluzione giurisprudenziale consolidatasi solo con l’intervento delle Sezioni Unite Demitry dell’ottobre 1994[2]; la pronuncia, cioè, di per sé pareva prestarsi a un’estensione eccedente il caso del singolo ricorrente a Strasburgo, poiché sembrava constatare una violazione delle garanzie Cedu di carattere strutturale o sistematico, la cui rimozione avrebbe pertanto richiesto l’adozione delle misure di carattere generale o individuale opportune.

L’istanza di revisione era stata tuttavia reputata infondata dalla Corte d’appello di Caltanissetta, la quale – rifacendosi alla giurisprudenza, anche di legittimità, che fino a quel momento aveva sempre rigettato le richieste provenienti dai presunti “fratelli minori” di Contrada[3] – aveva negato l’estensibilità erga omnes dei principi sanciti dalla Corte europea nella sentenza in questione. A fronte di tale rigetto, dunque, Genco Stefano presentava ricorso al giudice di legittimità, censurando la sostanziale disapplicazione del “giudicato europeo” che, a suo giudizio, doveva invece necessariamente trovare un’attuazione generalizzata in relazione a tutti i casi omogenei rispetto a quello del ricorrente vittorioso a Strasburgo.

 

3. Investita del ricorso, la sesta sezione della Cassazione – dietro sollecitazione dello stesso ricorrente – riteneva necessario rimettere la decisione alle Sezioni Unite; a suo parere, infatti, le contrastanti pronunce giudiziali che negli ultimi anni avevano affrontato il problema dei “fratelli minori” rendevano incerto definire se l’obbligo di conformazione di cui all’art. 46 Cedu operasse anche con riferimento a situazioni coperte dal giudicato diverse da quella concretamente valutata dalla Corte europea e, nel caso, a quali condizioni e attraverso quali rimedi processuali ciò potesse avvenire.

Veniva in proposito osservato che, se l’istituto della “revisione europea” coniato dalla Consulta con la sentenza n. 113 del 2011 appariva di per sé rivolto al solo soggetto che avesse adito vittoriosamente la Corte europea nei cui confronti la rimozione della violazione accertata richiedesse la riapertura del procedimento, lo stesso giudice costituzionale aveva successivamente riconosciuto – con la sentenza n. 210 del 2013, la quale faceva seguito alla condanna subita dall’Italia nel caso Scoppola[4] – la possibilità che le sentenze di condanna della Corte di Strasburgo rivestissero una portata generale anche con riferimento alle situazioni già coperte da giudicato; ciò, tuttavia, nel solo caso in cui all’accertamento della violazione della Cedu seguisse una pronuncia di illegittimità costituzionale. La decisione era stata peraltro integrata da un primo intervento delle Sezioni Unite (sentenza 18821/2014, Ercolano) che, andando oltre l’arresto del giudice delle leggi, aveva ammesso il ricorso all’incidente di esecuzione nei casi in cui occorresse rimuovere un vizio strutturale della normativa interna di carattere sostanziale, in relazione a situazioni identiche a quella concretamente vagliata dai giudici di Strasburgo, sempre che si trattasse di un’operazione “a rime obbligate”[5].

Successivamente a tali interventi la giurisprudenza di legittimità si era tuttavia divisa in ordine alla possibilità di consentire il ricorso allo strumento della revisione “europea” da parte di chi fosse rimasto terzo rispetto al giudizio davanti alla Corte di Strasburgo: se infatti alcune pronunce avevano ammesso il ricorso alla sola condizione che si fosse in presenza di una pronuncia di condanna della Corte europea qualificabile come sentenza pilota[6], altre avevano radicalmente escluso tale possibilità[7].

A tali decisioni si aggiungevano, poi, quelle strettamente riferibili alla sentenza Contrada c. Italia, che parimenti avevano fornito a questi problemi soluzioni non omogenee; in particolare, mentre nel 2016 la Cassazione Dell’Utri aveva in astratto ammesso sia l’estensibilità erga omnes della pronuncia in questione, sia il ricorso alla revisione europea da parte dei “fratelli minori”, negandone tuttavia l’operatività in concreto in ragione dell’addotta mancanza di identità tra la posizione del ricorrente rispetto a quella di Bruno Contrada (e la medesima soluzione era stata poi raggiunta anche nel 2017 nel caso Gorgone), la più recente sentenza Esti del 2018 aveva invece negato in radice la portata generale della Contrada c. Italia[8].

La stessa sesta sezione della Corte, peraltro, dopo aver mosso rilievi critici rispetto alle pronunce appena richiamate, osservava che con riferimento ai “fratelli minori” di Contrada sarebbe stata forse preferibile una terza opzione interpretativa, ossia quella di riconoscere l’effettiva portata generale della sentenza Contrada c. Italia e di ammettere che tutte le condanne a titolo di concorso esterno in associazione mafiosa relative a fatti antecedenti il consolidamento in via giurisprudenziale della fattispecie attraverso la pronuncia delle Sezioni Unite Demitry di per sé violano l’art. 7 Cedu, giacché il reato – come accertato dalla stessa Corte europea – al tempo non era sufficientemente chiaro e prevedibile. Alla luce dei riscontrati dubbi interpretativi e tenuto conto della gravità delle ripercussioni di una simile soluzione, i giudici di legittimità hanno però ritenuto che dovessero essere le Sezioni Unite a stabilire «se la sentenza della Corte EDU del 14 aprile 2015 sul caso Contrada abbia una portata generale, estensibile nei confronti di coloro che, estranei a quel giudizio, si trovino nella medesima posizione, quanto alla prevedibilità della condanna; e, conseguentemente, laddove sia necessario conformarsi alla predetta sentenza nei confronti di questi ultimi, quale sia il rimedio applicabile».

 

4. Nell’affrontare simili questioni, le Sezioni Unite prendono atto dell’esistenza dei due principali indirizzi giurisprudenziali contrastanti riconosciuti dalla sesta sezione, rappresentati il primo dalle pronunce della Corte di cassazione Dell’Utri n. 44193/2016 e Gorgone n. 53610/2017[9] e il secondo dalla sentenza Esti n. 8661/2018[10], entrambi comunque volti – anche se per ragioni diverse – a negare l’estensione della sentenza Contrada c. Italia a casi diversi da quello del ricorrente. Il giudice rimettente, come si è già detto, nella propria ordinanza si era peraltro confrontato criticamente con entrambi questi indirizzi e aveva dimostrato di essere piuttosto orientato verso l’accoglimento nel merito dell’istanza del ricorrente, seppure mostrandosi incerto con riguardo allo strumento processuale idoneo a tal fine.

Per rispondere al quesito loro sottoposto, le Sezioni Unite riconoscono dunque di dover muovere dalla ricognizione dei contenuti decisori della sentenza Contrada c. Italia, al fine di determinarne correttamente la natura e la portata. Alla luce di quest’operazione, esse concludono di non poter condividere la tesi difensiva del ricorrente, così come recepita anche dal giudice rimettente.

Anzitutto, viene osservato che il Genco non può direttamente invocare in proprio favore gli obblighi di conformazione di cui all’art. 46 Cedu, non essendo parte del giudizio svoltosi a Strasburgo; l’esame del ricorso impone infatti «la verifica circa la sussistenza delle condizioni che legittimino l'attribuzione alla stessa decisione dell'idoneità all'applicazione generalizzata degli affermati principi e la riferibilità della violazione dell'art. 7 CEDU a tutti i casi di condanna già irrevocabile per concorso esterno in associazione di stampo mafioso, consumato in epoca antecedente al febbraio 1994»[11].

In primo luogo, le Sezioni Unite rilevano che nel sistema convenzionale l’espansione degli effetti di una pronuncia di condanna della Corte europea a casi non specificamente oggetto di giudizio è espressamente regolata dall’art. 61 del regolamento della Corte con riguardo alle c.d. sentenze pilota e, ai sensi del comma 9 del medesimo articolo, ai casi in cui la sentenza stessa segnali l’esistenza di un problema strutturale o sistemico all’interno dello Stato: in entrambe queste ipotesi, dunque, l’obbligo di adeguamento trascende sicuramente la posizione del singolo ricorrente e si traduce nell’obbligo di adottare «le misure generali e/o, se del caso, individuali necessarie» in grado di ripristinare le garanzie convenzionali nei confronti di tutti coloro che si trovino nella medesima situazione considerata dalla Corte incompatibile con la Convenzione[12].

Oltre a ciò, va considerato che la stessa giurisprudenza costituzionale italiana ha apertamente riconosciuto una generale portata vincolante tanto alle sentenze pilota della Corte di Strasburgo, quanto a quelle che tendano ad assumere «un valore generale e di principio»[13]; viene nondimeno messo in luce come il giudice comune, pur non potendosi sostituire alla Corte europea nell’interpretazione delle disposizioni della Convenzione, non resti relegato alla posizione di «mero esecutore o recettore passivo del comando contenuto nella pronuncia del giudice europeo», ma disponga comunque «di un margine di apprezzamento del significato e delle conseguenze della pronuncia della Corte EDU, purché ne rispetti la sostanza e la stessa esprima una decisione che si collochi nell'ambito del diritto consolidato e dell'uniformità dei precedenti»[14]. Al contrario, come chiarito dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 49 del 2015, «nessun obbligo esiste in tal senso, a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamento oramai divenuto definitivo»[15].

Questa soluzione per la Consulta si impone a fronte della constatazione della necessaria vocazione casistica degli interventi della Corte di Strasburgo, ma non nega in alcun modo la natura vincolante di ogni singola pronuncia del giudice europeo[16]. In proposito, nella propria ordinanza di rimessione la sesta sezione della Cassazione rilevava invero che la Grande Camera della Corte di Strasburgo – sentenza G.I.E.M. e a. c. Italia del 28 giugno 2018 – si sarebbe mostrata in aperto dissenso rispetto al principio statuito nella sentenza n. 49 del 2015, in ragione del fatto che le pronunce della Corte europea «hanno tutte lo stesso valore giuridico»[17]. Trattasi tuttavia, a giudizio delle Sezioni Unite, di un’affermazione (definita “lapidaria” e “non corredata da nessun rilievo esplicativo”) che non coglie l’essenza del principio enunciato dalla Consulta, il quale non appare finalizzato a eludere l’obbligo di dare una piena attuazione alle sentenze della Corte europea, ma piuttosto a introdurre un criterio prudenziale a fronte di orientamenti che appaiano ancora suscettibili di mutamento: così come testimoniato dalla stessa sentenza G.I.E.M. c. Italia, che in materia di confisca urbanistica si è discostata dal proprio precedente Varvara[18].

 

5. Applicando i suddetti principi al caso di specie, dunque, le Sezioni Unite rilevano per prima cosa che la sentenza Contrada c. Italia non ha la struttura formale di una sentenza pilota, contiene l’espresso riconoscimento di una violazione di carattere strutturale o sistematico: essa, infatti, declina il giudizio di violazione dell’art. 7 Cedu in termini strettamente individuali e non è corredata da alcuna indicazione quanto ai rimedi adottabili.

Per assegnare comunque alla pronuncia portata generale, occorrerebbe interpretarla nel senso che essa abbia nei fatti stigmatizzato il contrasto interpretativo emerso nella giurisprudenza interna tra gli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta in relazione alla configurabilità del concorso esterno nel reato di associazione di stampo mafioso. Senonché, secondo i giudici di legittimità la valutazione di imprevedibilità svolta dalla Corte europea è stata condotta non solo sul piano oggettivo, ma altresì sul piano soggettivo, avendo essa preso in espressa considerazione anche la specifica posizione dell’imputato nell’ambito del procedimento di cognizione, le difese da costui articolate e i contenuti delle motivazioni dei giudici nazionali[19].

Ciò, si legge nella sentenza in commento, sarebbe «già in sé sufficiente per negare l’efficacia estensiva della decisione Contrada nei riguardi di altri condannati per la medesima fattispecie di concorso esterno in associazione di stampo mafioso (…) realizzati prima dell’anno 1994»[20]. Alla medesima conclusione si deve però giungere altresì in virtù di una «ulteriore e non meno rilevante ragione»: ossia che comunque, tenuto conto dei criteri coniati dalla giurisprudenza costituzionale, e in particolare dalla sentenza n. 49 del 2015, la sentenza Contrada c. Italia non può essere considerata espressione di un diritto consolidato.

A sostegno di questa conclusione viene sottolineato, da un lato, che non risultano allo stato ulteriori decisioni di accoglimento di ricorsi provenienti da soggetti condannati dallo Stato italiano ai sensi degli artt. 110 e 416-bis c.p. (e infatti è tuttora pendente il ricorso proposto da Marcello Dell’Utri nel 2014, all’indomani del passaggio in giudicato della propria sentenza di condanna); dall’altro, che nella stessa giurisprudenza europea non è ravvisabile un’univoca e costante interpretazione dei concetti di accessibilità e prevedibilità della legge penale ai sensi dell’art. 7 Cedu: in particolare – come anche in dottrina negli ultimi anni si è messo in luce[21] – mentre in numerose pronunce la Corte ha accolto una concezione soggettiva di prevedibilità, apprezzata con riferimento anche alle qualifiche professionali ed esperienze individuali del ricorrente[22], in altri casi essa ha fatto leva su dati di carattere puramente oggettivo, quali il contenuto precettivo della legge e l’interpretazione giudiziale sviluppatasi a riguardo[23], e in altre situazioni ancora ha persino considerato l’evoluzione del contesto sociale quale indice di prevedibilità dell’incriminazione[24].

Nella sentenza Contrada c. Italia, invece, la Corte europea pare aver fatto ricorso a una combinazione di criteri, quello soggettivo, incentrato sulla condotta processuale del ricorrente, e quello (preponderante) oggettivo, ancorato all’esistenza di un contrasto giurisprudenziale; le stesse Sezioni Unite, tra l’altro, considerano inedito il rigore utilizzato dai giudici europei nella vicenda di specie, la quale avrebbe potuto avere «ben diverso epilogo, se soltanto fosse stata apprezzata alla luce del criterio soggettivo o di quello basato sulla considerazione sociale»[25]. In tale arresto, inoltre, la Corte di Strasburgo pare aver trascurato il necessario ruolo evolutivo e integrativo dell’interpretazione giurisprudenziale, la quale – come si legge in diversi precedenti del giudice europeo[26] – viola l’art. 7 Cedu solo quando appare incongruente con l’essenza del reato e imprevedibile alla luce degli sviluppi interpretativi anteriori.

Tanto basta a rafforzare la convinzione circa il «carattere peculiare della decisione in esame, condivisibilmente definito atipico o anomalo da parte della dottrina e meritevole di più attenta rielaborazione, anche perché basato su presupposti di fatto non correttamente percepiti»; asserzione da cui discende che la statuizione di principio contenuta nella sentenza Contrada c. Italia non vincola l’ordinamento nazionale al di fuori dello specifico caso risolto e non deve pertanto essere oggetto di attuazione erga omnes.

 

6. Un’estensione generalizzata della valutazione di imprevedibilità svolta dalla Corte europea con riguardo a Bruno Contrada non potrebbe avvenire – sostengono le Sezioni Unite – nemmeno alla luce di un’interpretazione convenzionalmente orientata del principio di legalità.

Non è condivisibile, infatti, l’affermazione secondo cui il concorso esterno in associazione mafiosa sarebbe “un reato di origine giurisprudenziale”, la quale omette radicalmente di considerare la base legislativa su cui si fonda tale incriminazione. Inoltre, la Corte europea ha trascurato di considerare che il contrasto interpretativo composto dalle Sezioni Unite Demitry nel 1994 non riguardava in nessun caso un’alternativa decisoria tra incriminazione a titolo di concorso esterno e assoluzione, bensì solo tra concorso esterno e partecipazione nell’associazione di stampo mafioso. Per questo motivo, «non potevano residuare dubbi o insuperabili incertezze sul carattere illecito della condotta e sulla sua rilevanza penale, sicché l'unico esito non prevedibile in quel contesto interpretativo della fattispecie era l'assoluzione, senza riflessi pregiudizievoli nemmeno sotto il profilo sanzionatorio, stante l'invariata punizione della partecipazione del concorrente necessario e dell'apporto del concorrente eventuale»[27]. Il che, si osserva, appare tanto più vero con riguardo alla specifica posizione di Genco Stefano, il quale aveva posto in essere le condotte incriminate fino a pochi mesi prima l’intervento “chiarificatore” delle Sezioni Unite del 1994.

La stessa pronuncia della Corte europea, peraltro, non appare coerente con i propri precedenti quanto all’incidenza che un contrasto giurisprudenziale avrebbe sulla concreta prevedibilità dell’esito giudiziario da parte del cittadino: secondo le Sezioni Unite, difatti, l’esistenza di due divergenti opzioni interpretative circa la qualificazione giuridica della condotta dell’extraneus rendeva comunque prevedibile la possibile adozione di una delle soluzioni in discussione. Del resto, l’intervento delle Sezioni Unite Demitry nel 1994 non aveva determinato un mutamento interpretativo in malam partem, ma la semplice stabilizzazione – nell’ambito di un fisiologico processo di evoluzione giurisprudenziale – di una delle possibili soluzioni esegetiche fino ad allora esistenti.

Non sembra accettabile, pertanto, un «eccessivo irrigidimento del criterio della prevedibilità» che conduca a ritenere violato tale canone ogniqualvolta si sia in presenza di un mero contrasto giurisprudenziale, da cui peraltro deriverebbe l’aggiuntiva difficoltà di definire chiaramente quando il consolidamento del quadro ermeneutico in sede giudiziaria possa dirsi sufficientemente stabilizzato.

 

7. A conclusione del proprio ragionamento, le Sezioni Unite ricordano che il concetto di prevedibilità delle conseguenze penali della condotta non è estraneo al nostro ordinamento, ma viene veicolato attraverso la nozione di errore incolpevole sulla legge penale, coniata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364 del 1988[28]. Si osserva, allora, che «la Corte europea ha ricondotto al principio di legalità convenzionale quella nozione di prevedibilità che la giurisprudenza costituzionale italiana aveva già riconosciuto, pur se correlata al principio di colpevolezza, in termini altrettanto funzionali per la garanzia del cittadino»[29].

Sulla base di questo criterio, nondimeno, la giurisprudenza di legittimità ha finora costantemente escluso la possibilità di invocare l’ignoranza inevitabile della legge penale a fronte di una situazione caratterizzata da un contrasto interpretativo tra pronunce giudiziali, poiché in tali casi lo stato di incertezza imporrebbe all’individuo di astenersi dall’agire, potendo egli comunque prevedere la possibilità che dalla propria condotta derivino conseguenze di carattere penale. Nel caso di specie, dunque, nemmeno tale canone potrebbe essere invocato.

 

8. Alla luce di quanto sopra, le Sezioni Unite rigettano il ricorso presentato dal Genco, escludendo che la sentenza Contrada c. Italia possegga i requisiti formali e contenutistici necessari ad assegnarle portata generale e a consentirne così un’estensione nei confronti di tutti i condannati a titolo di concorso esterno in associazione mafiosa per fatti precedenti il 1994. L’insussistenza dei presupposti legittimanti il ricorso avrebbe dovuto condurre, a ragione, a una pronuncia d’inammissibilità; stante la rilevanza delle questioni giuridiche sollevate, però, le Sezioni Unite si risolvono a pronunciare un rigetto nel merito.

 

***

 

9. Con la pronuncia appena esaminata, le Sezioni Unite della Corte di cassazione sembrano aver chiuso nettamente la strada alle istanze provenienti da sedicenti “fratelli minori” di Bruno Contrada, offrendo un autorevole precedente per i giudici che in futuro dovessero trovarsi a valutare simili richieste.

Ci sembra però utile soffermarci brevemente su quelli che ci paiono essere i punti centrali del ragionamento della Corte, che a nostro giudizio può dirsi particolarmente condivisibile nel merito. La domanda cui ci preme rispondere è, in particolare, se – a prescindere dalla netta soluzione adottata con riferimento alla sentenza Contrada c. Italia – le Sezioni Unite siano state in grado di fornire delle indicazioni più generali intorno al trattamento riservato dal nostro ordinamento a chi, sottoposto a una condanna ormai passata in giudicato, voglia avvalersi di una pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo emessa in favore di un soggetto diverso, ma in relazione a una situazione sostanzialmente identica alla propria.

Alcuni mesi fa, nel commentare l’ordinanza di rimessione della sesta sezione della Cassazione[30], avevamo sostenuto che compito delle Sezioni Unite sarebbe stato rispondere a tre distinti quesiti; in particolare, ci sembrava che, per affrontare integralmente tutte le questioni loro sottoposte, i giudici di legittimità avrebbero dovuto chiarire:

a) se, in linea generale, i principi espressi dalle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo siano suscettibili di estensione erga omnes anche con riferimento alle situazioni già coperte da giudicato;

b) se l’ordinamento italiano attualmente disponga dei rimedi processuali adeguati a consentire ai “fratelli minori” del ricorrente vittorioso a Strasburgo di avvalersi del c.d. giudicato europeo;

c) se e, nel caso, a quali condizioni l’ordinamento italiano possa accordare tutela in questo senso ai “fratelli minori” di Bruno Contrada.

 

10. Con riguardo al primo punto, occorre rilevare che nella propria motivazione, come abbiamo visto, le Sezioni Unite si sono concentrate prevalentemente sulla specifica questione attinente l’estensibilità erga omnes della sentenza Contrada c. Italia, sollecitate in questo senso dal modo in cui la sesta sezione della Corte aveva formulato il proprio quesito. Ci sembra, tuttavia, che la pronuncia abbia posto alcuni punti fermi più generali, capaci di guidare i giudici che – con riferimento a sentenze della Corte europea diverse rispetto a quella rilevante nel caso di specie – si trovino in futuro ad affrontare problemi simili.

Dal ragionamento della Corte, infatti, traspare chiaramente la convinzione che le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo possano produrre effetti nei confronti di soggetti diversi del ricorrente, anche qualora siano destinatari di una sentenza di condanna già passata in giudicato, purché sussista almeno una delle seguenti tre condizioni, tra loro alternative: i) si sia in presenze di una sentenza pilota ai sensi dell’art. 61 del regolamento della Corte; oppure ii) la Corte europea abbia espressamente rintracciato una violazione di carattere strutturale o sistemico imputabile allo Stato italiano, la cui rimozione imponga l’adozione delle misure di carattere generale o individuale adeguate; ovvero ancora iii) la Corte abbia, anche se solo implicitamente, riconosciuto l’esistenza di una violazione di portata generale, purché la sentenza in cui è contenuta la statuizione capace di rivestire “valore generale e di principio” possa dirsi espressione di una giurisprudenza consolidata secondo i criteri identificati dalla Corte costituzionale nella pronuncia n. 49 del 2015.

Nel caso in cui non si ricada nelle ipotesi di cui all’art. 61 del regolamento della Corte, né si sia in presenza di una decisione espressiva di “diritto consolidato”, lo Stato italiano non sarebbe vincolato a conformarsi alla condanna europea oltre lo specifico caso oggetto di giudizio innanzi alla Corte di Strasburgo. Ne deriva, secondo il principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite, che in simili casi la valutazione di incompatibilità con la Convenzione svolta dai giudici europei non si estende nei confronti di soggetti terzi; nel caso in cui costoro siano destinatari di una sentenza ormai definitiva, di conseguenza, questa non può essere rimossa: in questo senso, dunque, la pronuncia qui in commento pare aver colto nei principi stabiliti dalla sentenza n. 49 del 2015 i limiti entro cui il c.d. giudicato europeo può ricevere un’attuazione generalizzata.

 

11. In relazione al secondo punto, ci sembra necessario ammettere che, sebbene il giudice rimettente avesse ampiamente argomentato intorno all’esistenza di una situazione di incertezza in giurisprudenza quanto ai rimedi processuali utilizzabili dai cc.dd. fratelli minori del ricorrente, le Sezioni Unite non hanno affrontato specificamente questo profilo.

I dubbi della sesta sezione della Cassazione concernevano, nello specifico, la possibilità per i soggetti estranei rispetto al giudizio europeo di avvalersi dello strumento della “revisione europea” coniato dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 113 del 2011, posto che l’ammissibilità dell’incidente di esecuzione doveva – e deve tuttora – ritenersi fondata sul precedente arresto delle Sezioni Unite nel caso Ercolano, alle condizioni sopra richiamate: arresto con cui (non ci sembra superfluo evidenziarlo) le Sezioni Unite non hanno ora ritenuto di doversi confrontare, non rintracciandosi alcun richiamo alla sentenza Ercolano nella pronuncia qui in commento. Le Sezioni Unite, tuttavia, dei due quesiti loro espressamente sottoposti dal rimettente – se la sentenza Contrada c. Italia abbia portata generale e, nel caso, quale sia lo strumento processuale utilizzabile per garantirne l’attuazione nei casi diversi da quello del ricorrente – hanno risposto apertamente solo al primo, alla cui soluzione positiva era, in questa formulazione, condizionato il secondo.

Ciò nondimeno, ci pare che sussistano buone ragioni per ritenere che le Sezioni Unite non abbiano escluso la possibilità che soggetti estranei al giudizio europeo ricorrano allo strumento ex art. 630 c.p.p. Anzitutto perché, ci sembra, qualora avessero condiviso l’orientamento di quelle precedenti pronunce delle sezioni semplici della Cassazione che avevano radicalmente negato questa possibilità[31] tale questione processuale sarebbe stata affrontata in via preliminare, prima di entrare nel merito della fondatezza del ricorso; in secondo luogo, perché ci pare che la sentenza contenga un richiamo – seppure indiretto – a tale eventualità. Nella parte finale della pronuncia, invero, le Sezioni Unite, nel considerare che nel nostro ordinamento la valutazione di prevedibilità della condanna dovrebbe tradursi nell’apprezzamento dell’errore incolpevole sulla legge penale, osservano che quest’operazione dovrebbe normalmente ritenersi preclusa dall’avvenuta formazione di un giudicato, «tranne che non ricorrano i presupposti di attivazione della revisione speciale di cui all'art. 630 cod. proc. pen., che nella presente vicenda non ricorrono per quanto già esposto»[32] (ossia perché non si è in presenza né di una sentenza pilota, né di una sentenza espressiva di diritto consolidato?).

La questione, però, ci sembra essere tuttora aperta. Da parte nostra, abbiamo in precedenza già osservato come l’ampiezza del dispositivo della sentenza n. 113 del 2011 – che fa meramente riferimento ai casi in cui la riapertura del processo sia “necessaria” per conformarsi a una sentenza definitiva della Corte europea – dovrebbe di per sé consentire il ricorso a tale strumento anche in quei casi in cui il giudicato europeo debba trovare attuazione nei confronti di soggetti diversi dal ricorrente[33]; resta tuttavia ancora insoluto il dubbio che, al contrario, sia a tal fine necessario sollevare una nuova questione di legittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p., come peraltro oggetto di richiesta da parte della difesa dello stesso Genco[34].

 

12. Infine, per quanto concerne i “fratelli minori” di Bruno Contrada, la risposta delle Sezioni Unite è stata invece chiara. Eventuali loro istanze – sollevate tanto in sede di revisione europea, quanto in sede di incidente d’esecuzione – dovrebbero essere reputate inammissibili, giacché mancano i presupposti per estendere erga omnes i principi stabiliti dalla sentenza Contrada c. Italia: essa, infatti, a) non ha realmente riscontrato un vizio strutturale o sistemico dell’ordinamento italiano (in quanto fondata su una valutazione di carattere parzialmente soggettivo) e b) comunque non è una sentenza pilota, né appare espressiva di un diritto consolidato.

In questo modo, le Sezioni Unite dovrebbero aver definitivamente scongiurato una prospettiva che, a parere di molti – noi per primi – sarebbe stata ben poco desiderabile: ossia che un’estensione generalizzata del principio di diritto asseritamente sancito dalla Corte europea nel caso Contrada conducesse i giudici italiani a caducare tutte le sentenze di condanna per concorso esterno pronunciate rispetto a fatti commessi prima dell’intervento delle Sezioni Unite Demitry…quest’ultima pronuncia compresa. Non bisogna trascurare, tuttavia, che la situazione potrebbe inevitabilmente cambiare laddove la Corte europea dovesse nuovamente condannare lo Stato italiano per violazione dell’art. 7 Cedu, per i medesimi motivi di cui alla sentenza del 14 aprile 2015, con riferimento al ricorso n. 3800/15 presentato da Marcello Dell’Utri, comunicato al Governo italiano in data 16 novembre 2017 e tuttora pendente.

Nell’attesa di eventuali nuovi pronunciamenti della Corte di Strasburgo, però, le Sezioni Unite sembrano aver – più o meno definitivamente – chiuso la “saga” dei fratelli minori di Bruno Contrada. Non solo: dalla riscontrata non estensibilità erga omnes della Contrada c. Italia dovrebbe altresì discendere che anche il giudice di cognizione che si trovasse oggi di fronte a fatti qualificabili a titolo di concorso esterno in associazione mafiosa commessi prima del 1994 non sarebbe tenuto ad astenersi dalla condanna, non essendo vincolato alla valutazione di imprevedibilità compiuta dai giudici europei con riguardo a Bruno Contrada; si tratta, nondimeno, di un’ipotesi che ci sembra assumere una scarsa rilevanza, posto che simili reati sarebbero comunque ormai estinti per prescrizione.

 

 

[1] Cass., Sez. VI, ordinanza del 22 marzo 2019 (dep. 17 maggio 2019), n. 21767, rispetto alla quale si può rimandare a S. Bernardi, Troppe incertezze in tema di "fratelli minori": rimessa alle Sezioni Unite la questione dell’estensibilità erga omnes della sentenza Contrada c. Italia, in Dir. pen. cont., 13 giugno 2019.

[2] Cfr. Corte eur. dir. uomo, Sez. IV, sentenza del 14 aprile 2015, ric. n. 66655/13, Contrada c. Italia (n. 3), § 75.

[3] La vicenda dei cc.dd. fratelli minori di Contrada si è infatti aperta con l’istanza di revoca della condanna a titolo di concorso esterno in associazione mafiosa pronunciata nei confronti dell’ex senatore Marcello Dell’Utri, rigettata prima dalla Corte d’appello di Palermo e poi dalla Corte di cassazione, Sez. I, sentenza dell’11 ottobre 2016 (dep. 18 ottobre 2016), n. 44193, di cui abbiamo già dato conto in S. Bernardi, I "fratelli minori" di Bruno Contrada davanti alla Corte di Cassazione, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., n. 2/2017, p. 257 ss. Dell’Utri ha successivamente tentato anche la via della “revisione europea”, senza successo, come da ultimo confermato da Cass. pen., Sez. V, sentenza del 22 gennaio 2019 (dep. 19 giugno 2019), n. 27308. Numerosi sono i soggetti che hanno cercato di avvalersi della sentenza Contrada c. Italia per ottenere la revoca in sede di incidente di esecuzione della propria condanna, subendo a loro volta un rigetto: così Cass. pen., Sez. I, sentenza del 10 aprile 2017 (dep. 27 novembre 2017), n. 53610, Gorgone, per la quale può rimandarsi a S. Bernardi, Ancora sui "fratelli minori" di Bruno Contrada: un nuovo diniego della Cassazione, in Dir. pen. cont., 11 dicembre 2017; Cass. pen., Sez. 1, sentenza del 12 gennaio 2018 (dep. 22 febbraio 2018), Esti, n. 8661; Cass. pen., Sez. 1, sentenza del 12 giugno 2018 (dep. 20 luglio 2018), n. 36505, Corso; Cass. pen., Sez. 1, sentenza del 12 giugno 2018 /dep. 30 luglio 2018), n. 36509, Marfia; Cass. pen., Sez. 1, sentenza del 4 dicembre 2018 (dep. 2 gennaio 2019), n. 37, Grassia; Cass. pen., Sez. 1, sentenza del 19 febbraio 2019 (dep. 9 aprile 2019), n. 15574, Papa. Lo stesso Genco Stefano aveva in precedenza tentato questa strada, preclusagli da Cass. pen., Sez. I, sentenza del 27 febbraio 2019 (dep. 29 marzo 2019), n. 13856.

[4] Corte cost., sentenza 3 luglio 2013 (dep. 18 luglio 2013), n. 210, in merito alla quale cfr. G. Romeo, Giudicato penale e resistenza alla lex mitior sopravvenuta; note sparse a margine di Corte cost. n. 210 del 2013, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., n. 4/2013, p. 261 ss., oltre che E. Lamarque – F. Viganò, Sulle ricadute interne della sentenza Scoppola, in Dir. pen. cont., 31 marzo 2014 (oltre che in Giur. ita., n. 2/2014).

[5] Cass. pen., SS.UU., sentenza del 24 ottobre 2013 (dep. 7 maggio 2014), n. 18821, Ercolano, in proposito della quale si può rinviare a F. Viganò, Pena illegittima e giudicato. Riflessioni in margine alla pronuncia delle Sezioni Unite che chiude la saga dei “fratelli minori” di Scoppola, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., n. 1/2014, p. 250 ss. Ci limitiamo qui a mettere in luce che le Sezioni Unite in quell’arresto hanno ritenuto – in questo senso andando oltre quanto precedentemente stabilito dalla Consulta – che l’incidente di esecuzione fosse a tali condizioni strumento attivabile non solo nei casi in cui sia intervenuta una declaratoria di illegittimità costituzionale, ma altresì nei casi in cui sia possibile procedere a un’interpretazione della normativa interna in senso convenzionalmente conforme: in questa seconda ipotesi, dunque, il giudice dell’esecuzione potrebbe procedere a dare attuazione al giudicato europeo nei confronti di soggetti diversi dal ricorrente a Strasburgo anche in assenza di una pronuncia di illegittimità costituzionale.

[6] Vengono in proposito richiamate Cass. pen., Sez. VI, sentenza del 23 settembre 2014 (dep. 6 novembre 2014), n. 46067, Scandurra, e Cass. pen., Sez. VI, sentenza del 2 marzo 2017 (dep. 4 maggio 2017), n. 21635, Barbieri.

[7] In particolare, Cass. pen., Sez. I, sentenza 23 ottobre 2018 (dep. 13 dicembre 2018), n. 56163, Bruno, con commento di G. Biondi, La Cassazione e i fratelli minori di Lorefice, in Dir. pen. cont., 21 marzo 2019, e Cass. pen., Sez. II, sentenza 20 giugno 2016 (dep. 7 settembre 2017), n. 40889, Cariolo, rispetto alla quale cfr. S. Bernardi, La Suprema Corte torna sui limiti di operabilità dello strumento della “revisione europea”: esclusa l’estensibilità ai “fratelli minori” del ricorrente vittorioso a Strasburgo, in Dir. pen. cont., 26 settembre 2017.

[8] Tutte pronunce di cui abbiamo già dato atto supra, nota n. 3.

[9] Le quali avevano ritenuto che lo strumento processuale astrattamente utilizzabile da terzi che volessero valersi di quanto statuito dalla Corte europea nella pronuncia Contrada c. Italia fosse quello della revisione “europea”, mentre andava considerato inammissibile il ricorso all’incidente di esecuzione, possibile in base ai c.d. principi Ercolano nei soli casi in cui la rimozione della violazione non richieda alcuna attività ricognitiva al giudice dell’esecuzione. Estendere la valutazione di imprevedibilità svolta dai giudici di Strasburgo nella sentenza de qua con riguardo a soggetti diversi dal ricorrente, invece, avrebbe imposto necessariamente di valutare la concreta vicenda fattuale e processuale dell’interessato, al fine di accertarne l’effettiva identità rispetto alla posizione di Bruno Contrada (operazione che con riguardo ai ricorrenti Dell’Utri e Gorgone ha avuto, come già si è detto, esito negativo). A questo orientamento avrebbe da ultimo aderito altresì la citata sentenza della Cassazione n. 27308/2019, la quale ha respinto – ritenendolo ammissibile, ma infondato – l’ulteriore ricorso presentato nell’interesse di Marcello Dell’Utri nel tentativo di ottenere la revisione della condanna subita.

[10] Secondo la quale l’obbligo di conformazione di cui all’art. 46 Cedu riguarderebbe strettamente il solo caso del ricorrente vittorioso a Strasburgo, sicché per negare l’estensione della sentenza Contrada c. Italia basta considerare che il concorso esterno in associazione mafiosa non è un reato a origine giurisprudenziale (né potrebbe esserlo, nel nostro ordinamento) e che pertanto l’asserzione secondo cui una condanna a tale titolo per fatti commessi anteriormente al 1994 sarebbe stata imprevedibile appare radicalmente destituita di fondamento. Tra le altre pronunce che hanno fatto proprio questa impostazione vi è anche la già richiamata Cassazione n. 13856/2019 che aveva rigettato il ricorso proposto dal medesimo Genco Stefano avverso il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione aveva negato la revoca della condanna.

[11] Cfr. p. 14 della sentenza in commento.

[12] Come del resto chiaramente affermato anche dalla giurisprudenza della Corte europea, a partire dalla sentenza della Grande Camera del 13 luglio 2000, ric. nn. 39221/98 e 41963/98, Scozzari e Giunta c. Italia.

[13] Vengono in proposito richiamate le sentenze della Consulta del 19 luglio 2011 (dep. 22 luglio 2011), n. 236, e del 14 gennaio 2015 (dep. 26 marzo 2015), n. 49.

[14] Cfr. p. 17 della sentenza in commento.

[15] In questo senso cfr. Corte cost., sentenza 14 gennaio 2015 (dep. 26 marzo 2015), n. 49, § 7, in cui si legge che «è (…) solo un “diritto consolidato”, generato dalla giurisprudenza europea, che il giudice interno è tenuto a porre a fondamento del proprio processo interpretativo, mentre nessun obbligo esiste in tal senso, a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamento oramai divenuto definitivo».

[16] Del resto, come evidenziato dalla Corte costituzionale e ricordato dalle Sezioni Unite, lo stesso art. 28, comma 1 lett. b) Cedu attribuirebbe un maggior grado di autorevolezza alle pronunce della Corte espressive di un principio consolidato, prevedendo che in presenza di quest’ultime la decisione sul ricorso individuale sia adottata non da una Camera nella composizione ordinaria, ma da un comitato di tre giudici.

[17] C. eur. dir. uomo, Grande Camera, sentenza 28 giugno 2018, G.I.E.M. e a. c. Italia, in merito alla quale si può rimandare a A. Galluccio, Confisca senza condanna, principio di colpevolezza, partecipazione dell'ente al processo: l'attesa sentenza della Corte Edu, Grande camera, in materia urbanistica, in Dir. pen. cont., 3 luglio 2018. Questo punto era stato particolarmente sottolineato dall’opinione parzialmente concorrente e parzialmente dissenziente del giudice Pinto de Albuquerque, allegata alla sentenza.

[18] In effetti, mentre nella sentenza della Corte europea, Sez. II, del 29 ottobre 2013, ric. n. 17475/09, Varvara c. Italia, la Corte europea sembrava aver desunto dalle garanzie di cui all’art. 7 Cedu la necessità che la confisca urbanistica di cui all’art. 44 c. 2 T.U. edilizia (configurata dall’ordinamento italiano come sanzione amministrativa obbligatoria conseguente all’accertamento di un fatto di lottizzazione abusiva, ma per la Corte avente natura sostanzialmente penale) venisse applicata solo a seguito di una sentenza di condanna, la Grande Camera G.I.E.M. e a. c. Italia ha chiarito che è invece sufficiente che vi sia stato l’accertamento della responsabilità penale dell’individuo, pur se in assenza di formale condanna (ad es. a causa dell’intervento della prescrizione). Tra le due pronunce era peraltro intervenuta proprio la sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015, la quale aveva per l’appunto escluso che la Varvara c. Italia a posteriori si potrebbe dire: a ragione – fosse espressiva di una giurisprudenza consolidata della Corte europea.

[19] Trattasi di argomento in precedenza già valorizzato dalla Corte di cassazione Dell’Utri n. 44193/2016.

[20] Cfr. p. 20 della sentenza in commento.

[21] Sul tema, ampiamente, S. De Blasis, Oggettivo, soggettivo ed evolutivo nella prevedibilità dell’esito giudiziario tra giurisprudenza sovranazionale e ricadute interne, in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., n. 4/2017, p. 128 ss. In proposito, se si vuole, si può rimandare anche a S. Bernardi, I "fratelli minori" di Bruno Contrada davanti alla Corte di Cassazione, cit., p. 273 ss., ove avevamo svolto osservazioni di segno simile a quelle ora accolte dalle Sezioni Unite.

[22] Vengono a riguardo richiamate le sentenze Corte eur. dir. uomo, sentenza del 1o settembre 2016, X e Y c. Francia, ric. n. 48158/11, Corte eur. dir. uomo, sentenza del 6 ottobre 2011, Soros c. Francia, ric. n. 50425/06, Corte eur. dir. uomo, sentenza del 10 ottobre 2006, Pessino c. Francia, ric. n. 40403/02, e Corte eur. dir. uomo del 28 marzo 1990, Groppera Radio AG e a. c. Svizzera, ric. n. 10890/84, nelle quali la Corte ha valutato la prevedibilità della condanna alla luce della particolare posizione e qualifica professionale del ricorrente, riconoscendo in capo a quest’ultimo il dovere, piuttosto che la materiale possibilità, di conoscere l’illiceità penale della propria condotta.

[23] Le Sezioni Unite richiamano, tra le altre, Corte eur. dir. uomo, sentenza del 15 novembre 1996, Cantoni c. Francia, ric. n. 17862/91, in cui i giudici europei avevano ritenuto la prevedibilità della condanna alla luce dell’esistenza di una “tendenza giurisprudenziale estensiva” nella giurisprudenza, nonostante permanessero contrasti nelle pronunce di merito; e Corte eur. dir. uomo, Grande Camera, sentenza del 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna, ric. n. 42750/09, in cui la Corte aveva ritenuto imprevedibile il mutamento giurisprudenziale attuato in totale assenza di precedenti conformi.

[24] Così Corte eur. dir. uomo, sentenze del 22 novembre 1995, S.W. c. Regno Unito, ric. n. 20166/92 e C.R. c. Regno Unito, ric. n. 20190/92, le quali, in materia di marital rape, avevano giustificato addirittura un’interpretazione giurisprudenziale sfavorevole al ricorrente contra legem e totalmente innovativa, adducendo la possibile “prevedibilità sociale” della condanna; e Corte eur. dir. uomo del 24 maggio 1988, Müller c. Svizzera, ric. n. 10737/84.

[25] Cfr. p. 22 della sentenza in commento. Occorre infatti tenere in considerazione il fatto che Bruno Contrada era, negli anni in cui teneva le condotte oggetto di condanna, attivamente impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata, quale dirigente della Squadra Mobile di Palermo prima e capo del Centro Interprovinciale Criminalpol poi, oltre che come capo di gabinetto presso l’Alto Commissario per la lotta alla mafia.

[26] Così Corte eur. dir. uomo, sentenza del 22 novembre 1995, S.W. c. Regno Unito, ric. n. 20166/92, § 36; cfr. anche Corte eur. dir. uomo, Grande Camera, sentenza del 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna, ric. n. 42750/09, § 115; Corte eur. dir. uomo, sentenza del 25 maggio 1993, ric. n. 14307/88, Kokkinakis c. Grecia, § 40; Corte eur. dir. uomo, sentenza del 15 novembre 1996, Cantoni c. Francia, ric. n. 17862/91, § 31.

[27] Cfr. p. 26 della sentenza in commento. Avevamo già espresso simili considerazioni in S. Bernardi, Troppe incertezze in tema di "fratelli minori": rimessa alle Sezioni Unite la questione dell’estensibilità erga omnes della sentenza Contrada c. Italia, cit.

[28] Corte cost., sentenza del 23 marzo 1988 (dep. 24 marzo 1988), n. 364, la quale ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p. «nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile».

[29] Cfr. p. 30 della sentenza in commento.

[31] Abbiamo già fatto riferimento supra, nota n. 7, alle pronunce Bruno e Cariolo.

[32] Cfr. p. 30 della sentenza in commento.

[34] Richiesta che le Sezioni Unite non hanno accolto sulla base della considerazione che «il giudicato di condanna, pronunciato nei riguardi del ricorrente, non rivela profili di illegittimità convenzionale per contrasto con l'art. 7 CEDU».